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L’autobiografia della Vedova Calabresi tra perdono e memoria storica

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Sono stato ad una presentazione del libro  “La crepa e la luce – Sulla strada del perdono” (ed. Mondadori)  di Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi ammazzato dai sicari di Lotta continua nel 1972. La signora Calabresi coglie l’occasione per tracciare una sua autobiografia all’insegna del perdono,  essendo ormai giunta a 75 anni di età.  Incontrandola,  ho detto pubblicamente  che è riuscita a trasformare una tragedia in poesia. Ho seguito con attenzione e anche commozione le sue parole ed oggi ho letto il suo libro.  Sotto il profilo umano emerge una donna fragile e forte ad un tempo che ha trovato nella fede il superamento di ogni odio sicuramente comprensibile in una persona che perdette il marito all’età di venticinque anni.
La Signora Calabresi è mia coetanea ed è anche torinese di origine: la nostra memoria quasi coincide ed ho sentito un’attrazione sentimentale verso questa donna che è riuscita a vivere due matrimoni tanto diversi uno dall’altro. Io ho conosciuto il figlio Mario Calabresi in alcune occasioni. Venne anche al ricordo di Carlo Casalegno che tenni nel luogo in cui subì l’agguato mortale delle Br. Posso dire che la vedova di Carlo Casalegno Dedi  nutriva sentimenti  molto diversi da quelli della Signora Calabresi e di suo figlio Mario. Così debbo dire anche  di un mio carissimo amico, il maestro Massimo Coco, figlio del Procuratore Generale di Genova  Francesco Coco  freddato dai brigatisti con la sua scorta. Massimo Coco ha scritto un grande libro destinato ad entrare nella memorialistica  del Novecento “Ricordare stanca” che ho presentato in diverse occasioni in cui dice anche con chiarezza che lui non è disposto a perdonare perché gli assassini di suo padre non sono mai stati identificati. Gemma Calabresi ha cercato invece nel suo libro addirittura di identificarsi nella vita dei responsabili della morte di suo marito, pensando a gente che avrebbe potuto anche fare del bene oltre che del male. Nel libro si parla  inoltre dei suoi incontri con il pentito Leonardo  Marino e degli “esuli” francesi condannati per l’omicidio Calabresi che non hanno mai fatto un giorno di carcere  per l’accoglienza loro accordata da Mitterand e confermata di recente dalle autorità d’Oltralpe. La comprensione della vedova Calabresi è sicuramente rispettabile, ma poco condivisibile. Con lo stesso metro avrebbe accordato fiducia anche al pluriomicida Battisti.  Sofri, il mandante, il capo supremo di “Lotta continua”, e’ difficile da perdonare non fosse altro perché mando’ allo sbaraglio tanti giovani in anni in cui bastava una parola per uccidere.  Ho chiesto alla Signora Calabresi cosa pensasse del delirante ed infame manifesto pubblicato su “L’Espresso” nel 1971 che raccolse 757 firme di intellettuali o sedicenti tali, il Gotha della cultura oltre che del culturame.
Persone come Giorgio Amendola firmarono il manifesto  insieme a Bobbio che si dissociò  molto tardivamente. Natalia Ginzburg  interrogata anni dopo disse: ”Non so cosa si vuole da me , non ho niente da dichiarare“. Il famoso critico Giulio Carlo Argan disse di “non ricordare nulla e di non volerne più parlare“.
A suo tempo mi sorprese che una storica dell’arte torinese stimata Anna Maria Brizio fosse stata tra i promotori del manifesto insieme a Musatti, Paci e Salinari, quello dell’ agguato di Via Rasella.
Ho raccontato in articoli e in un libro come fosse stata carpita da Moravia a Mario Soldati  la firma.  La signora Calabresi ha minimizzato il significato dell’appello di quasi tutta la cultura italiana  che armò la mano agli assassini del marito, dicendo che molte adesioni vennero ricavate dagli indirizzari di alcune associazioni. Può essere vero, come è vero quanto scrivo io per Soldati, ma solo in pochissimi si dissociarono dopo parecchi  anni. Bobbio espresse orrore per il testo sottoscritto.
Comprendo benissimo che armare la mano degli assassini con delle parole deliranti non equivalga ad ammazzare qualcuno, ma speravo che la signora Calabresi si sarebbe espressa  in un altro modo – pur perdonando tutti – nei confronti del meglio e del peggio della cultura italiana di allora che giudicò quasi coralmente  suo marito un assassino con le mani sporche di sangue dell’anarchico Pinelli. Io non riesco a dimenticare l’infame manifesto e non posso non ricordare che Giampaolo Pansa, Marco Pannella, Alberto Asor Rosa   e Sandro Galante Garrone rifiutarono la firma: rari nantes in gurgite vasto del conformismo e della violenza che sfociò nel terrorismo armato di cui l’ammazzamento di Calabresi fu il tragico inizio.
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Antifascismo, anticomunismo, antitotalitarismi

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Gian Luca Favetto su “Repubblica” ha scritto un articolo dal titolo  “Il 25 aprile: un verso di passione, colori, memorie e profumi “ in cui ad un certo punto ha  scritto quanto segue:  “Il 25 aprile deve sventolare fiero contro tutti i fascismi, nazismi, totalitarismi“. Nunzio dell’Erba mi ha segnalato l’articolo che mi era sfuggito.
In tutto il suo appassionato pezzo, che rivela il  valore del critico letterario capace, ma non certo dello storico, non compare mai la parola anticomunismo. A Fratelli d’Italia si imputa la colpa di non voler mai pronunciare la parola antifascismo, ma Favetto e tanti militanti e dirigenti della Sinistra non  si dicono mai  anticomunisti, commettendo  un identico errore. Il comunismo non è stato da meno del Nazismo, anzi dal 1917 al crollo del Muro di Berlino ha seminato milioni di morti, per non parlare della Cina  maoista e post maoista. Non basta prendere le distanze dallo stalinismo perché Krusciov che era antistalinista, invase l’Ungheria. C’è nel comunismo un’anima totalitaria che lo collega al giacobinismo della Rivoluzione francese, inasprito dalla visione marxista – leninista. Nella  ideologia totalitaria di Lenin ed anche di Trotsky c’è  il naturale ricorso alla violenza e al terrore  come armi di conquista e di mantenimento del potere. Stalin non fu una degenerazione di Lenin, ma la necessaria conseguenza, la normalizzazione di un regime che non poteva vivere in una “rivoluzione permanente“. Portare il socialismo in Russia stravolse tutti gli schemi utopistici di Marx che comunque, come colse subito  molto bene Mazzini, portava in sé una carica anche prussiana  di autoritarismo negatore di ogni  libertà individuale. Come vide Croce, non era possibile passare dalla dittatura del proletariato  del socialismo alla libertà del comunismo.
Dopo l’ esperienza dei dissidenti russi, da Solzeniskcin  a Sacharov, che hanno scoperchiato il vaso di Pandora del comunismo, non è più possibile non dirsi anticomunisti. Girare attorno a questo tema come fanno molti ex missini con l’ antifascismo è un atto di ipocrisia intellettuale e politica. Certo basterebbe una  chiara condanna comune nei confronti dei totalitarismi del Novecento, purché non sia un modo elegante per occultarne una parte come fa Favetto. Riccardo Lombardi arrivo’ a teorizzare l’acomunismo, prendendosi la severa critica filosofica  di Nicola Abbagnano; ci sono intellettuali novecenteschi che vennero accusati di afascismo, mentre molti  loro colleghi si fecero comprare dal regime e ne cantarono le lodi , salvo poi diventare comunisti dopo il 25 aprile 1945. L’ elenco sarebbe lungo. A tanti anni dalla caduta del regime forse anche definirsi afascisti potrebbe avere un senso, ma oggi la polemica politica incandescente richiede chiarezza assoluta. In ogni caso non devono essere i politici a scrivere o a riscrivere la storia, ma debbono essere gli storici. E se ci mettiamo su un piano storico il discorso non  appare  più riguardare il presente, ma il passato. E in questa dimensione può essere collocato anche il discorso di una possibile riconciliazione nazionale come sul terrorismo degli anni di piombo in parte si è realizzato.

Griffa: latinista insigne, preside coraggioso

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

All’ età di 103 anni è mancato un grande latinista torinese, il prof. Lodovico Griffa ,autore di innumerevoli libri scolastici che continuano ad avere molte adozioni, è stato un preside storico del liceo classico “Cavour “. Iscritto alla Federazione nazionale dei docenti fondata da Salvemini e Kirner e presieduta da Gliozzi, seppe difendere le ragioni di una scuola seria nel diluvio universale provocato dal ‘68. Al liceo scientifico di Moncalieri seppe tener testa ad una violenta contestazione negli anni 70.
Era un preside – studioso, come lo fu Giovanni Ramella e come continua ad essere Gianni Oliva, e non di quei presidi burocrati ed ottusi che spesso governano le scuole in modo grigio ed alcune volte senza  possedere le qualità  minime richieste ad un dirigente scolastico. Il coraggio di decidere a Griffa non è mai mancato. Credo che al Liceo Cavour sia ricordato insieme ai grandi Presidi a cui  purtroppo sono succeduti molti personaggi , ubbidienti, fino al ridicolo ,al politicamente corretto, persino adottando gli *, condannati dall’ Accademia della Crusca nel catalogare gli allievi, anzi alliev*. Non è casuale che l’ ultraottantenne Presidente a vita  degli ex allievi del” Cavour”  abbia ignorato la morte del prof. Griffa che lascia un’opera immensa editoriale  per la scuola .Almeno gli ex allievi dovrebbero ricordarlo e il presidente ha l’età per aver conosciuto Griffa.
Era un uomo modesto e schivo  che non amava comparire, ma non è possibile ignorare la sua figura di Maestro di più generazioni di studenti. L’ultima volta che ci siamo visti all’Università mi prese da una parte e mi disse: ” Tieni duro, guai se molli”. Nei momenti più difficili ho pensato spesso a quelle parole così affettuose ed imperative. Per me Griffa resterà un maestro di vita morale e intellettuale come lo fu il comune amico Oscar Navarro. Grandi figure lontane di monaci del sapere ,ma anche uomini decisi e molto concreti nel condurre una scuola nelle acque agitate più insidiose di anni bui e difficili, tutt’ altro che “formidabili“.
Con Ludovico Griffa e altri pochi amici tra cui Luciano Perelli e Italo Lana abbiamo combattuto la battaglia in difesa della cultura e della scuola classica  che soltanto Concetto Marchesi ebbe il coraggio di condurre. Abbiamo tenuto testa alla demagogia di chi riteneva Omero e Catullo superflui e classisti. Griffa ci ha insegnato come lo studio del Latino serva a far crescere in noi la capacità di ragionare come si deve, per dirla con Pascal . Forse si potrebbe ancora dire oggi che aver studiato o non aver studiato il Latino costituisce una differenza  che non ha nulla a che fare con il classismo E’ stato insieme a Luigi Vigliani un grande preside del Liceo “Cavour “, ma è stato soprattutto il difensore di una certa idea di “scuola seria, libera e laica “che abbiamo condiviso nella FNISM e nel Centro Pannunzio negli anni dei furori ideologici che avrebbero voluto travolgere il nostro patrimonio culturale e civile.

Il fumo tra piacere e salute. I divieti in arrivo

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni
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In una intervista sul “Corriere della Sera “Patty Pravo racconta che a dieci anni fumo’ la prima sigaretta e che non ha mai smesso. Aggiunge testualmente: “Mi davano 50 lire per la gondola, io andavo a scuola a piedi e le spendevo per le Nazionali Super, poi sono passata alle Marlboro rosse. A quattordici anni anziché  a scuola sono stata a far l’amore ( …), mi è piaciuto tanto“ . Il pomeriggio torno’ a farlo. Oggi Patty ha 75 anni e fuma ancora e dichiara di aver provato anche tutte le doghe  leggere e pesanti, salvo la cocaina.
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Pravo che deriva  il nome dalle dantesche “anime prave” dell’Inferno fu il mito della trasgressivita’ già a metà  degli Anni 60. Ricordo il Piper di via XX Settembre a Torino. Anche lì si fumava in modo quasi sfrenato. Ricordo Maria Grazia, una mia compagna di liceo, che già a diciassette anni arrivava al pacchetto giornaliero, per  non dire della mia amica Luisa che una volta mi disse con una certa  spavalderia  è quasi con orgoglio che mai avrebbe rinunciato alle Marlboro rosse . “A  casa mia -aggiunse  – potrebbe non esserci il pane, ma mai almeno una stecca di sigarette”. Fumava  quasi disperatamente anche negli ultimi anni,  malgrado una delicata operazione che avrebbe imposto l’assoluta astinenza dal fumo.
“Le Marlboro rosse – mi diceva Luisa – sono una passione a cui non posso resistere da quando provai ad aspirare avidamente il fumo all’età di 14, un piacere a cui non potrò mai rinunciare“.
Ho voluto citare qualche esempio di  alcune tabagiste perché le donne sono fumatrici molto più accanite.  Ci sono persino donne che hanno bisogno della sigaretta quando fanno l’amore,  per  poter aggiungere ad un piacere un altro piacere.
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La sigaretta ha rappresentato un simbolo  trasgressivo per molte generazioni e molte donne fumavano in passato per manifestare anche  una parità con gli uomini. Oggi si fuma per piacere o perché non più in grado di liberarsi dal vizio contratto in età sempre più giovane. Si ha un bel dire che il fumo fa male, ma aspirare una sigaretta per molti diventa qualcosa di irrinunciabile.Basta vedere la frenesia con cui i viaggiatori in stazione escono dai vagoni già con la sigaretta in bocca per poter fumare anche solo mezzo minuto, aspirando  con tiri lunghissimi in modo da consumare quasi tutta la sigaretta in pochissimo tempo .
Io ricordo le difficoltà con cui venne accolta la normativa che vietava di fumare nei locali cinematografici e nelle scuole.  Ricordo che tante professoresse non riuscivano ad adattarsi e ricorrevano a sotterfugi,  pur di fumare. La legge Sirchia ha dato più sistematicità ai divieti anche nei ristoranti e in altri luoghi . Sirchia è stato davvero un ministro della Sanità che non è arretrato di fronte alle proteste.Oggi si vuole estendere il divieto di fumare  ai tavoli esterni dei ristoranti, alle fermate  all’aperto di bus, metro, treni e traghetti e persino, sembra, nei parchi.
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Il fumo a me oggi da’  fastidio, dopo aver fumato con piacere decine d’anni . Quando accesi la prima sigaretta, riuscendo finalmente ad aspirare il fumo nei polmoni,  fu una gioia immensa. Prima compravo qualche volta le sigarette, ma non le apprezzavo.  Dopo la prima volta presi subito  il vizio a cui dovetti rinunciare per ragioni di salute lo scorso decennio . Altrimenti, avrei sicuramente  continuato  perché il fumo era qualcosa di speciale, come diceva  Mario Soldati che ha continuato a fumare anche in tardissima età. Montanelli continuo ‘ a fumare due sigarette al giorno dopo i pasti quando aveva più di ottant’anni .
Oggi mi da’ fastidio il fumo, ma non ho  dimenticato  il piacere del fumo e quindi capisco e in qualche modo invidio chi fuma.  Se qualcuno mi tentasse, magari farei volentieri un tiro. La via dei divieti può essere un modo per ridurre il fumo? Certo è modo per tutelare i non fumatori dal fumo passivo che non so, in verità,  se faccia così male,  abituati come siamo all’aria inquinata delle grandi città. Certamente  bisogna trovare il modo di dissuadere ad iniziare a fumare,  ma ho i miei dubbi circa i risultati. Nelle scuole e nelle università ragazzi e soprattutto ragazze fumano in gran numero.
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Ricordo di una mia allieva che usciva  da lezione per andare a fumare.  Quando, chiacchierando con alcuni  studenti,   stavo fumando in loro compagnia e   dissi che io mi limitavo alle sigarette, notai un certo stupore   in quei giovani che forse erano abituati anche alle canne. Questo è un tema che ci porterebbe distanti perché oggi le canne sono quasi una consuetudine  non solo giovanile e presto si arriverà alla loro legalizzazione in totale  controtendenza con il proibizionismo nei confronti del tabacco. Le campagne contro il fumo forse non bastano, forse  occorrono i divieti e le sanzioni per indurre almeno a ridurre il fumo.
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O forse i divieti potrebbero rendere persino più attrattivo il fumo. Il proibizionismo negli Stati Uniti non ridusse gli alcoolisti. Questa è storia.
Lo Stato ha il dovere di tutelare la salute pubblica e i non fumatori, ma è giusto proibire a chi vuole fumare di poter di fatto fumare, se non a casa o sul balcone , ammesso che non ci siano vicini che protestano? E’ una vecchia questione  quella secondo cui lo Stato non dovrebbe proibire le scelte sbagliate dei cittadini. Ma quando queste scelte danneggiano altri lo Stato deve provvedere a tutelare gli  altri.  Anche le sigarette elettroniche sono comprese nei divieti e nessuno finora sta stabilito in modo chiaro e definitivo se siano così dannose come le sigarette vere. Conosco fumatori che non hanno mai abbandonato le sigarette per quelle elettroniche che non li soddisfano affatto. Su Facebook c’è un club delle fumatrici che è fermo a qualche anno fa e che esalta il fumo addirittura per le donne in gravidanza: una vera farneticazione.
Personalmente  ritengo che i divieti non basteranno a frenare il vizio del fumo che dura da secoli.  Neppure l’alto prezzo dei pacchetti riesce a frenare la corsa dal tabaccaio.
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Forse l’unico modo per rallentarla sarebbe quello di costringere i fumatori a pagare dei ticket  aggiuntivi sui servizi sanitari a cui ricorrono. Non so come si possa procedere  su questo terreno e forse è una idea non percorribile  perché la salute e ‘ un diritto costituzionale. In ogni caso il fumo resta un tema divisivo, malgrado la scienza medica abbia dimostrato i gravi danni che provoca.

Prime riflessioni sulle liste: candidature modeste. Non sarà un Parlamento dalle grandi qualità

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

L’enfant prodige di queste elezioni, anche se un po’ cresciutello, appare Carlo Calenda, considerato da alcuni come l’ago della bilancia e da altri poco oltre il tre per cento, malgrado l’alleanza con Renzi che gli ha consentito di presentarsi perché non sarebbe mai stato in grado di raccogliere le firme. Calenda è un colonnello senza truppe,se si esclude il 78 enne” soldato “( così si è dichiarato) Osvaldo Napoli ricandidato in più collegi. Anche la presenza femminile e’ assente con Calenda. E sta collezionando molti errori frutto di inesperienza ,ma anche di arroganza.
Ha sovradimensionato le due ministre di Forza  Italia neo convertite al calendismo, ha messo capolista a Milano il saltafossi e figlio d’arte  di Mondovì Enrico Costa, preferendolo al grande sindaco di Milano e deputato europeo Gabriele Albertini. Non è riuscito ad avere il consenso di Damilano e di “Torino Bellissima” che almeno su Torino aveva raccolto un recente ed ampio consenso. Ha insultato pesantemente per ragioni anche anagrafiche l’ex ministro Tremonti che resta un personaggio di primo piano. I candidati di Calenda appaiono marginali, opachi e spenti. Non ha saputo neppure valorizzare l’uscente onorevole Fregolent  e neppure quella parte di ex Dc che fa capo all’on. Merlo, mente colta e coerente, erede di Donat Cattin. Tra Calenda e Renzi non ci sono dubbi: è meglio Renzi.
La cosiddetta società civile non si è entusiasmata per Calenda, neppure la gioielliera Licia Mattioli si è lasciata incantare da una candidatura, lei così attenta alle cariche. Certamente ripresentare Napoli e la sua amica e collega non è un bel segno di novità. Anche Forza Italia ha commesso un gravissimo errore a non dare il collegio di Biella a Pichetto Fratin, vice ministro uscente dello sviluppo economico molto attivo e presente sul territorio.
Per non parlare della scomparsa dei moderati di Portas che hanno giocato su più tavoli e sono rimasti esclusi. In compenso ci sono i  nuovi moderati di Toti, davvero molto modesti.
Leggendo le liste ci si accorge che il 25 settembre entreranno in Parlamento persone per lo più di piccola caratura. E ci accorgiamo che i moderati, tanto ricercati come elemento di equilibrio, avranno un ruolo marginale. I parlamentari saranno di meno, ma non costituiranno una buona classe politica.
Una delle poche donne candidata al Sud si è fatta notare sui social per la sua distanza dalla Nato e da Kiev, contraddicendo le posizioni di Calenda che ha dovuto chiedere scusa. Inoltre appare davvero incomprensibile l’esclusione dalle liste dell’ex sindaco di Parma Pizzarotti, personalità di spicco e di esperienza. Calenda teme i nomi noti che possono dargli ombra.
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Piero Angela, è mancato un grande torinese libero

Di Pier Franco Quaglieni
Di Piero io ricorderò soprattutto l’indipendenza, lo spirito critico, la calma anglosassone del parlare. Piero Angela con il suo distacco cordiale, proprio dell’uomo di scienza che sapeva condividere con gli altri le sue conoscenze, è stato un unicum neppure solo sul piano televisivo. La boria dei colti non gli apparteneva  e anche gli incolti refrattari ai temi della cultura scientifica, dovevano un qualche modo  dargli ascolto. Ricordo che una volta quando Norberto  Bobbio concesse l’Aula Magna dell’Accademia delle scienze alla CGIL che confuse quella sede prestigiosa con la Camera del lavoro, attivando una  polemica dozzinale e faziosa, Angela mi disse il proprio disgusto. Angela veniva da solidi studi costantemente aggiornati nel corso dei decenni come si impone ad un uomo che studia la scienza.  Non aveva amato i suoi professori del “d’Azeglio“ dove non tornava volentieri. Ricordava  invece con affetto la sua compagna Bertini che fu anche il suo primo amore e me lo fece conoscere. Fu certamente un grandissimo divulgatore che rifiutò sempre la semplificazione a cui il piccolo schermo condanna per conquistare pubblico. Anche la semplificazione ideologica gli fu estranea e rifuggi ‘ dall’impegno politico. Amico di Pannella , sentì fastidio per la Bonino. Basti pensare per capire lo  stile Angela ad un suo collaboratore come Alessandro Barbero che gli deve la sua notorietà. Tanto semplificatore e fazioso è Barbero, quanto equilibrato, chiaro e profondo era Angela. Appartenne ad una famiglia illustre del Canavese, il padre medico ebbe una clinica in cui salvo ‘ molti ebrei. Aveva vissuto lui stesso il dramma della guerra civile e una volta mi raccontò il suo orrore per la fine barbaramente inumana a cui fu condannato un giovane  repubblichino di Salo’ nei giorni della fine di aprile 1945 . Non era un uomo di parte, mantenne sempre l’onestà intellettuale dell’uomo libero e questa resta la sua più grande lezione intellettuale e civile. Ha fatto bene l’amico Gilberto  Pichetto Fratin a proporre come viceministro un francobollo a lui dedicato. Quando gli consegnai il Premio “Pannunzio“ imperversava Santoro in Tv e io lo definii l’antiSantoro come definii anni dopo Daverio l’antiArgan. Gli feci un grave torto nell’accostarlo a questo volgare  erede di Masianello, ma lui capi’l’intento delle mie parole che volevano evidenziare il rifiuto di ogni facile demagogia nel suo rapporto umano  e televisivo. Angela è stato l’esempio alto dell’Italia civile che pochi uomini hanno rappresentato con dignità solitaria. Lui stesso si definì un pannunziano e interese la sua laicità sopratutto come indipendenza dello spirito. Il suo magistero è destinato a restare e il suo esempio rappresenta una delle pagine più alte della vita intellettuale. Ha onorato Torino come pochi. Occorse un mio articolo per ricordare la necessità di conferirgli la cittadinanza onoraria perchè forse Appendino non sapeva neppure chi fosse. Torino è stata fredda con uno dei suoi figli più illustri. Adesso è tutta una gara per proporre  l’intitolazione di vie e lapidi. Un segno ancora una volta del provincialismo piemontese. Non a caso Angela per affermarsi da dovuto come tanti torinesi,  da Soldati a Zolla, trasferirsi a Roma.

Fiorentini, Via Rasella e Montezemolo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

L’amica Mirella Serri, su “La Stampa”, ha rievocato  il partigiano Mario Fiorentini, morto  a 103 anni, e scritto “Senza il mitico Mario non ci sarebbe stata la resistenza romana che, oltre a lui, ebbe fra i personaggi di maggior spicco Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo e donne come Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marina Musu. Sì Grazie a questi gappisti gli uomini di Hitler e di Mussolini subirono attacchi e sconfitte clamorosi”.

Non dò giudizi su Fiorentini  di cui so poco anche perché il ricorso al terrorismo durante la Resistenza non l’ho mai condiviso. Ma non si può sottovalutare che il mitico Mario insieme a Giorgio Amendola  fu ideatore  dell’attentato in via  Rasella che provocò la  strage delle Fosse Ardeatine  con oltre trecento italiani mandati al macello. Quell’episodio di terrorismo,  che non fu un atto di guerra, organizzato dai Gappisti comunisti,  fu condannato da tutta la Resistenza non comunista. anche perché venne fatto poco tempo prima della liberazione di Roma  e si rivelò di fatto inutile.

Vorrei ricordare che, se i comunisti furono una parte  importante della Resistenza romana, il principale promotore della Resistenza a Roma fu il colonnello Giuseppe  Cordero  Lanza di Montezemolo che si oppose al terrorismo  dei comunisti e finì prima a Regina Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Montezemolo fu il capo del fronte clandestino romano. Rispettiamo Fiorentini che avrà agito sicuramente in buona fede e fu un partigiano pluridecorato , ma non  possiamo dimenticare la Medaglia d’oro al Valor Militare Montezemolo che fu la vera anima della resistenza armata già dall’8 settembre 1943. Ricordo che anche Marco Pannella condannò l’episodio di via Rasella  così come condannò il terrorismo rosso delle Br.

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I giovani green a Torino

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

La terza giornata del raduno green dei giovani attivisti ispirati da Greta si è conclusa, dicono i giornali, con una forte azione di “disobbedienza civile” con fumogeni, blocco dell’autostrada,vandalizzazione della sede della SNAM in corso Taranto. Hanno sfilato per tre ore indifferenti al caldo intollerabile o forse eccitati proprio dalla calura. La piccola e furiosa amazzone assente sarà fiera dei suoi prodi.  C’è da domandarsi che significato abbiamo certe azioni che non si discostano da quelle dei nostri centri sociali.  Hanno
bloccato l’autostrada in quanto luogo-simbolo dell’ingresso delle auto in città, una vera sciocchezza e un’autentica illegalità che andrebbe perseguita con la necessaria severità. Cosa intendono fare questi signori? Protestare ricorrendo anche alla violenza appare il loro scopo prioritario.  In questi frangenti di guerra, di carenza energetica ed economica l’Italia non necessita di altri agitatori a creare ulteriore confusione. Tornino da Greta e ci lascino in pace. La loro presenza può essere gradita solo
ai facinorosi e alle teste calde diventate incandescenti per il caldo. Questi ospiti andavano controllati, impedendo che facessero danni . Di gente così ne abbiamo già molta a Torino e il loro numero è già di per se’ intollerabile. La disobbedienza civile era quella di Pannella e di Ghandi, non quelle dei teppisti esagitati che ricorrono alla violenza.

Siccità, politica incerta, Covid, guerra. Il momento è tragico

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Un luglio caldissimo caratterizzato dalla siccità e da una ripresa del COVID si rivela un momento particolarmente drammatico.  La crisi energetica, l’inquietudine di parte del sindacato, la protesta dei taxisti, il caos nei voli aerei, le ripercussioni della guerra tra Russia ed Ucraina sulla nostra economia danneggiata dalle sanzioni,  un’agricoltura in ginocchio, una politica incerta appesa al filo dei Cinquestelle e alle turbolenze interne ai partiti rendono tragica la situazione italiana. Siamo alla vigilia delle grandi vacanze, i ristoranti sono pieni, la gente per ora, sfiancata dal caldo, non pensa o forse non vuole pensare a cosa la attende a settembre. In un momento come questo sarebbe necessario un governo forte in grado di affrontare di petto le situazioni irrisolte e le emergenze. Non basta un governo balneare dei tempi andati.
Invece la classe politica litiga e si rivela ancora una volta non adeguata. D’altra parte gli elettori che non votano più, sono maggioranza e rivelano una crisi della rappresentanza politica che vanifica la democrazia. C’è chi evoca l’Italia di cent’anni fa che accolse il fascismo come la soluzione alla ingovernabilità,  ma il confronto non regge sia perché la storia non si ripete e sia perché l’Italia di oggi non è paragonabile con quella uscita dalla Grande Guerra.  Appare invece singolare il confronto con la classe politica del 1922 che consegno’ con i suoi errori l’Italia al Fascismo.
C’è oggi un nuovo fascismo in agguato ? Per fortuna nostra possiamo escluderlo, ma la democrazia può morire non solo di fascismo.  Draghi in questo contesto e’ l’unica certezza a cui dobbiamo disperatamente aggrapparci. Ha sicuramente commesso degli errori,  ma non ci sono alternative. Chi vuole la salvezza dell’Italia deve rendersene conto e dobbiamo prepararci ad altri sacrifici senza i quali il nostro futuro non sarà possibile.  Questa è la realtà che si presenta alla vigilia delle ferie.

Il dramma di Contrada

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Riabilitato (ha avuto restituito il grado e rimodulata la pensione), Bruno Contrada non ha visto un euro di risarcimento per gli oltre otto anni di detenzione – «94 mesi, 2970 giorni tra carcere e domiciliari», precisa – che ha dovuto subire. Ieri l’ennesima tappa di questa odissea giudiziaria che ha dell’incredibile anche per la tempistica.

La Cassazione gli ha dato ragione, ha annullato il rigetto da parte della Corte d’appello di Palermo dell’istanza di risarcimento. Ma ha annullato con rinvio. Bisognerà trovare nuovi giudici d’appello «che non si siano mai occupati della mia vicenda, mica facile», ricorda Contrada, a cui assegnare il caso, e poi altra tappa in Cassazione. La terza.

Questa è giustizia da terzo mondo che grida vendetta , ma i giornali non ne parlano . Contrada ha diritto ad un po’ di pace . Si è rivelano un servitore degno dello Stato , malgrado le accuse infamanti che gli sono state vomitate addosso. Contrada ne  e’ uscito a testa alta . Non si può dire altrettanto  per i suoi persecutori che dovranno rispondere degli errori e della persecuzione che hanno orchestrato contro di lui .