M5S
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Diceva Mino Martinazzoli a metà degli anni duemila – e quindi già in piena seconda repubblica – che in Italia “la politica è sempre stata politica delle alleanze”.
Apparentemente una banalità ma, come ovvio, non era così. Anzi. Perchè storicamente, e anche recentemente, la cosiddetta “cultura delle alleanze” è stata avversata, duramente avversata. Da forze politiche che si collocano su fronti diversi se non addirittura alternativi.
Voglio fare, al riguardo, tre soli esempi a conferma di questa riflessione politica.
Innanzitutto la cosiddetta “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria. Certo, il leader del Pd dell’epoca l’aveva disegnata senza doppi fini e senza alcuna malizia politica. Ma è indubbio che quella impostazione era allergica alla costruzione delle alleanze tradizionali perchè individuava nella centralità del partito l’elemento cardine per creare e consolidare la democrazia dell’ alternanza nel nostro paese. Ovvero, il partito come alternativa all’alleanza tra partiti e soggetti politici diversi. Ma se questa era la motivazione nobile che giustificava la discesa in campo della “vocazione maggioritaria”, è altrettanto vero che si trattava di un progetto politico che affondava le sue radici ideali nella cultura gramsciana che, nella fattispecie, faceva proprio del partito il “nuovo principe” della società. Una concezione che alla base difettava su un punto decisivo: ovvero, la sottovalutazione del pluralismo e di ciò che rappresenta nello scenario politico e culturale del nostro paese.
Come secondo esempio non posso non ricordare che il leader della destra italiana, seppur di questa anomala destra nostrana, Silvio Berlusconi, ha sempre sostenuto che il suo programma di governo lo “si può realizzare solo il giorno in cui avrò la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento”. Una tesi alquanto ardita, al di là della propaganda che accompagna purtroppo in modo sistematico la politica contemporanea. Ma, al fondo, la concezione è sempre quella. E cioè, la coalizione o l’alleanza è vista ed interpretata come un inciampo e un fastidio più che non come una ricchezza e un valore aggiunto per il governo e la stessa democrazia italiana.
Un terzo ed ultimo esempio è rappresentato dal populismo dei 5 stelle. Cioè dal partito populista per eccellenza nel sistema politico italiano. Una strategia che non prevedeva alcuna alleanza perchè gli altri partiti erano sostanzialmente dei soggetti da non considerare in quanto incompatibili con il verbo e i dogmi del populismo anti politico e demagogico. Una prassi che è stata urlata e decantata per anni da tutto il partito dei 5 stelle in tutte le piazze italiane salvo poi rinunciarvi improvvisamente e collettivamente per motivazioni di puro potere. Ovvero, per dirla in termini più semplici, per continuare a conservare il seggio parlamentare e gli incarichi ministeriali con relativi benefit e privilegi. Da qui la gestione trasformistica ed opportunistica della politica e della stessa prassi politica. Ossia, il peggio che la politica possa offrire. Ma anche in questo caso persiste una radicale e scientifica ostilità e diffidenza nei confronti delle alleanze e delle coalizioni.
Ecco perchè, in ultima analisi, se vogliamo recuperare anche in vista delle ormai prossime elezioni politiche il senso, la mission e il ruolo delle alleanze, dobbiamo rifarsi organicamente alla cultura democratico cristiana e cattolico popolare. Una tradizione che ha sempre individuato nelle alleanze il valore aggiunto e la cifra distintiva della nostra democrazia e del nostro sistema politico. Una cultura che riconosce e valorizza il pluralismo politico e culturale – di norma rinnegato da chi individua nel proprio partito il salvatore della patria o il “nuovo principe” – e, di conseguenza, la centralità delle coalizioni e il valore delle alleanze politiche. A cominciare dall’esperienza politicamente più rilevante, quella dell’esecutivo a cui Alcide De Gasperi diede vita dopo le elezioni del 1948 dove preferì governare con una coalizione e non con la sola Dc, anche se ottenne la maggioranza assoluta dei seggi.
Insomma, anche su questo versante è la storia che legge le singole vicende politiche e che le spiega meglio di qualsiasi altra interpretazione. Di parte o meno che siano. Ed è per questo che non si possono accettare lezioni, su questo versante, nè dai populisti dei 5 stelle, nè dalla tradizione post comunista della sinistra italiana e tantomeno dalle varianti della destra italiana. Semplicemente si deve solo recuperare, ed inverare sempre di più nella politica italiana, la lezione di quel filone democratico cristiano e cattolico popolare attraverso il magistero dei suoi statisti e leader. Ancora una volta, quindi, dal passato si traggono gli spunti decisivi per governare il presente e guidare il futuro.
Giorgio Merlo
“Il ddl Concorrenza conferma la regionalizzazione del settore idroelettrico. Il testo mette la parola fine ai tentativi maldestri di alcune forze politiche che negli ultimi anni hanno cercato di demolire una delle prime forme concrete di autonomia delle Regioni. Chi ha provato a mettere le mani sui canoni idrici a vantaggio dei concessionari uscenti e con grave torto ai territori montani e pesanti danni erariali, non aveva fatto i conti con la Lega che ha sempre saputo contrastare e respingere queste manovre con un gioco di squadra che ha coinvolto Matteo Salvini e il ministro Giancarlo Giorgetti. Con le procedure di riassegnazione delle concessioni da parte delle Regioni verranno invece riconosciuti canoni adeguati ai territori montani interessati, compensazioni ambientali e forniture di energia gratuita. Dopo oltre 20 anni di stallo, partirà una stagione di grandi investimenti per modernizzare e rilanciare l’idroelettrico, un asset strategico per la nostra nazione per puntare ai target su energia da fonti rinnovabili e per ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero”.
Lo dice in una nota Riccardo Molinari, presidente dei deputati della Lega e coordinatore regionale del Piemonte per il partito.
In occasione della Giornata Nazionale di mobilitazione lanciata da Rifondazione Comunista, ieri una delegazione del Partito, composta dal Segretario Provinciale Fausto Cristofari, dalla componente della Segreteria Provinciale Marina Loro Piana, da Gianni Destefano, in rappresentanza del Circolo di Nichelino e da Mauro Gualeni, in rappresentanza del Circolo di Settimo Torinese, è stata ricevuta dal Prefetto Vicario di Torino, dott. Lastella. L’iniziativa si è realizzata in parallelo, per ciò che riguarda il Piemonte, con i presidi organizzati a Ivrea, Asti, Biella, Cuneo, Casale Monferrato, Tortona.
Nell’occasione è stata consegnata al rappresentante del Prefetto una prima tranche (circa 800) delle firme raccolte nei mercati e nelle piazze di Torino e provincia, a sostegno della campagna di Rifondazione Comunista contro la guerra e il carovita.
L’iniziativa intende portare l’attenzione sul pesante aumento del carovita e del costo delle bollette, originatosi già prima dell’invasione dell’Ucraina, a causa di speculazioni e privatizzazioni, ed accentuatosi con l’avvento dell’attuale “economia di guerra” perseguita dal governo Draghi.
Nel corso dell’incontro è stata argomentata l’insufficienza e l’iniquità delle misure tampone decise dal governo e sono state illustrate le proposte alternative di Rifondazione Comunista: blocco dell’aumento delle bollette; introduzione di un calmiere sui generi di prima necessità; aumento degli stipendi e delle pensioni; introduzione di un meccanismo di recupero degli stipendi rispetto all’inflazione. Le risorse per attuare queste urgenti misure sono reperibili utilizzando gli extraprofitti delle aziende che lucrano su produzione e distribuzione dell’energia e istituendo una tassa sulle ricchezze superiori a un milione di euro.
Il Prefetto Vicario, in base alle proprie prerogative, si è impegnato a rappresentare tali valutazioni e proposte direttamente al governo.
La campagna di raccolta firme da parte di Rifondazione Comunista proseguirà nel corso delle prossime settimane.
Dichiarazione dell’on. Osvaldo Napoli (Azione), parlamentare piemontese:
C’è una legge del Parlamento a cui il governo deve dare seguito. Quella legge prevede che sia insediato a Torino il Centro per l’intelligenza artificiale. Lo sa il ministro Messa, lo sa il sindaco Lo Russo, lo sanno i torinesi. Quindi si tratta di chiarire uno spiacevole equivoco. Sono certo che il sindaco vigilerà perché tutto sia chiarito.
“SI ADOPERI PERCHE’ VENGANO INGLOBATI IN IVECO CON CLAUSOLA SOCIALE”
“Da settimane gli operai di Meridiana, cooperativa cui Iveco ha appaltato la logistica, scendono in piazza e scioperano contro il licenziamento collettivo di 40 lavoratori. Il motivo è che Iveco ha optato per l’internalizzazione delle attività di Meridiana e ora vuole lasciare a casa chi per anni ha contribuito a portare avanti il gruppo. Trovo inspiegabile e vergognoso che Iveco – che produce veicoli industriali e bellici sta vivendo un periodo roseo, anche grazie al conflitto in Ucraina decida di lasciare a casa numerosi operai specializzati e di lunga esperienza. Per questo ho depositato un’interrogazione al Ministro Orlando: batta un colpo e per una volta si faccia sentire. I lavoratori devono essere immediatamente inglobati in Iveco attraverso la clausola sociale che favorisce la stabilità occupazionale del personale impiegato”. Così in una nota la deputata Jessica Costanzo (Italexit).
«Tutto tace sul nuovo contratto di servizio con Trenitalia. Più volte rinviata, l’entrata in vigore è stata annunciata per luglio, ma, ad oggi, non solo non ci sono conferme, ma c’è il fondato timore che il nuovo accordo cristallizzerà il taglio del 20% del servizio ferroviario regionale. Una preoccupazione evidenziata con forza dai comitati dei pendolari piemontesi auditi questa mattina in II Commissione, che hanno illustrato con precisione le tante criticità del trasporto ferroviario regionale più volte denunciate. Dal momento che l’assessore Marco Gabusi aveva indicato al 1 luglio come data di entrata in vigore del contratto, gli chiederò di riferire in Commissione per capire quali linee saranno tagliate nel caso venga confermato il taglio del 20% del servizio ferroviario regionale». Lo afferma il vice Presidente della Commissione Trasporti e consigliere regionale del Pd Alberto AVETTA, commentando l’audizione dei comitati dei pendolari, che si è svolta stamane a Palazzo Lascaris. I pendolari hanno segnalato i tagli delle corse e la riduzione dei treni sulle linee Torino-Chivasso-Milano, Torino-Ivrea-Aosta, Limone-Torino-Cuneo, Santhià-Biella-Novara, Asti-Acqui Terme, Alessandria-Casale-Chivasso, oltre ai tagli sulle corse del fine settimana. «È chiaro che se si dovesse confermare il taglio del 20% e non migliorare il servizio, sarà impensabile ridurre il traffico privato, migliorare la qualità dell’aria e contrastare lo spopolamento delle aree periferiche–aggiunge ancora il consigliere Alberto AVETTA-La Giunta Cirio pensa che una corsa tagliata sia solo un risparmio di spesa: è profondamente sbagliato. Tagliare una corsa in treno significa fare un danno diretto alla nostra qualità di vita, sia in termini ambientali e sanitari sia sotto l’aspetto sociale. Il trasporto collettivo su ferro è il più sostenibile. Non a caso l’Europa ha destinato risorse mai viste per favorire lo sviluppo delle ferrovie. E il Piemonte che fa? Ci sono solo 5 regioni in cui i km su ferro sono diminuiti: una di queste è il Piemonte. Dobbiamo invertire questa tendenza. Su tutto questo l’assessore Gabusi deve venire a discutere in Commissione».
“Del reddito di cittadinanza non c’e’ nulla da migliorare bisogna solo abolirlo perche’ la misura, cosi come e’ stata concepita, ha dimostrato di essere inutile. Non ha stimolato la gente a trovare lavoro, confermando anche l’inutilita’ dei navigator che dovevano trovare occupazione a chi percepiva il reddito, ed ha permesso ai soliti furbi, troppi, tra cui tanti delinquenti, di prendere del denaro senza che avessero i requisiti richiesti”. Dichiara in una nota la deputata di Azione, Daniela Ruffino. “Noi siamo d’accordo a sostenere chi è in difficoltà ma costruendo le opportunità per una occupazione reale e duratura, su questo si deve concentrare il governo Draghi in questa parte finale della legislatura. Non si possono mettere in conto al governo le difficoltà politiche di Conte che cosi pensa di sviare l’attenzione dalle sempre più evidenti tragicità dei 5 Stelle, sperando cosi di non andare sotto il 10% alle prossime elezioni politiche”, conclude.
La scomparsa di Ciriaco De Mita, dell’amico e Presidente Ciriaco, è una di quelle notizie che non avremmo mai voluto sentire e ascoltare. Per un motivo molto semplice, anzi persin banale. Perchè, per chi come me e quelli della mia generazione, hanno maturato e coltivato la passione e la militanza politica a fine anni settanta e nei primi anni ottanta, Ciriaco è sempre stato un leader da ascoltare, da cui si imparava sempre e con cui ci si confrontava. Seppur con difficoltà e qualche timore reverenziale. Con De Mita ho sempre avuto un rapporto diretto e anche aperto: durante la mia lunga presenza nel Movimento Giovanile Dc a livello nazionale e poi in Parlamento e nelle chiacchierate sporadiche degli ultimi anni. E questo avvenne per un motivo preciso, che prescindeva dalla mia persona. Il motivo vero era che Ciriaco sapeva che ero stato “l’ultimo” allievo di Carlo Donat-Cattin, suo grande oppositore politico e, al contempo, suo grande amico personale. E non perdeva occasione per spiegarmi e spiegare nei vari capannelli che si formavano attorno a lui gli “errori” politici della sinistra sociale di Forze Nuove, malgrado l’intelligenza politica e il coraggio di Donat-Cattin, nel giudicare e nell’affrontare il “rinnovamento” del partito che lui, Ciriaco, aveva impresso al partito durante gli anni della sua segreteria nazionale.
Ma, al di là di questa digressione personale, è indubbio che De Mita incarnava emblematicamente tutte quelle qualità che fanno di un politico un leader e uno statista. E cioè, intelligenza politica, capacità di guida, una precisa e definita cultura poltiica, coraggio e un consenso reale nel partito e, soprattutto, nella società di riferimento.
Rileggere il magistero politico, culturale ed istituzionale di Ciriaco De Mita sarà un preciso compito di tutti coloro che continuano ad avere a cuore il popolarismo di matrice sturziana, la strategia degasperiana e il pensiero moroteo. “Senza un pensiero è inutile l’impegno politico” amava ripetere con ossessione negli ultimi tempi. Perchè, forse, si rendeva conto che la politica stessa era sempre più dissociata dal pensiero e dalla cultura al punto che la politica si riduce a solo pragmatismo avaloriale, a trasformismo politico e ad opportunismo parlamentare. Ma quello che sarà interessante rileggere, almeno per noi cattolici popolari e cattolici democratici, è indagare sul percorso politico e culturale di De Mita dopo la fine della Democrazia Cristiana e il decollo di una stagione all’insegna della personalizzazione della politica, della spettacolarizzazione e della sostanziale assenza di riferimenti ideali e culturali. Un percorso che ha evidenziato la difficoltà del pensiero popolare e cristiano democratico a trovare una reale e nuova cittadinanza attiva nella cittadella politica italiana. Eppure Ciriaco, testardamente, e giustamente, sino alla fine ci ha raccomandati a non indebolire, a non emarginare e, soprattutto, a non archiviare quella tradizione culturale e politica – il popolarismo cristianamente ispirato, appunto – che resta l’unica a conservare una bruciante attualità e una altrettanto moderna contemporaneità nel panorama politico italiano ed europeo.
E da De Mita, dunque, si riparte. Per questo Ciriaco resta un faro che continua ad illuminarci e a cui dobbiamo continuare a guardare. Contro il “nulla della politica” per dirla con Martinazzoli e per la costruzione reale ed autentica del “bene comune”.
Giorgio Merlo