Diceva in tempi non sospetti Carlo Donat-Cattin che la “questione morale si può affrontare in due modi: o con i moralisti o con i moralizzatori”. La battuta, come sempre, era di rara intelligenza e di grande coraggio. Soprattutto perche’ e’ stata pronunciata all’inizio degli anni ’80 quando era di dominio pubblico che solo e soltanto la sinistra aveva il monopolio esclusivo della moralità in politica e, di conseguenza, nella società. Il resto, tutto il testo, era inesorabilmente e fatalisticamente esposto al vento della corruzione, del malcostume italiano e del del decadimento etico. Per fermarsi alle parole dello statista piemontese, il moralista e’ colui che individua il male, si scaglia contro con parole veementi e denunce implacabili e, alla fine, individua se stesso e la sua parte politica come la soluzione ottimale per risolvere il problema. Il moralizzatore, al contrario, una volta centrato il problema, individua nella politica – cioè nella normativa e nella legge – lo strumento più adatto per risolvere la questione. Ben sapendo che il comportamento umano lo puoi sempre e solo disciplinare e correggere attraverso le leggi della tua coscienza . Cioè attraverso i valori, i principi e l’etica che ti accompagnano. Ora, lo scandalo che ha investito recentemente la magistratura italiana – nello specifico il suo organo supremo, il CSM, – ci conferma, per l’ennesima volta, almeno 3 cose. Innanzitutto nessuno in Italia può rivendicare di avere il monopolio esclusivo della moralità, della correttezza e della trasparenza. E quindi neanche la sinistra o chi sventola, sempre più goffamente, la bandiera del moralismo, della verginità e della purezza a prescindere. Non c’è alcuna superiorità morale da parte di chicchessia. Anzi, come ricordava anni fa proprio DonatCattin, chi se ne impossessa di norma e ‘ peggio degli altri. Perché si comporta come con tutti gli altri ma pretende, al contempo, di essere superiore agli altri. O meglio, di essere più corretto e più trasparente degli altri. In secondo luogo non c’è attività umana dove si possa tranquillamente sostenere che si è immuni da qualsiasi tentazione. Anche quando la magistratura, o alcuni suoi settori, viene coinvolta da questa tentazione, emerge la sensazione se non la certezza, che la cosiddetta “questione morale” attraversa orizzontalmente la società italiana. Perché, appunto, tocca orizzontalmente la società italiana. Certo, pur senza fare di tutta l’erba un fascio e senza mai generalizzare. Ma le cosiddette “mele marce” sono presenti, purtroppo, dappertutto. In terzo luogo, l’unico antidoto che può contrastare questa ricorrente e latente tentazione, resta quello di saper unire in modo armonico e fecondo la “cultura del progetto”, cioè la propria attività – qualunque essa sia – con la “cultura del comportamento”, cioè con una rettitudine morale ed etica. Secondo l’antico insegnamento cattolico democratico e popolare. Il che, come ovvio, non deve essere sbandierato, descritto o raccontato ma solo e soltanto vissuto e praticato. Frutto della propria etica, dei propri convincimenti e dei propri valori di riferimento. Ecco perché la celebre distinzione tra “moralisti” e “moralizzatori” continua ad essere feconda, e conserva una bruciante attualità. Per la semplice ragione che la questione morale la si affronta ogni giorno. Senza arroganza politica, senza superiorità morale e, soprattutto, senza esclusivismi etici. Ma solo e soltanto con l’esempio, la testimonianza e la fedeltà coraggiosa e coerente ai principi e ai valori che ci ispirano. Laici o cattolici poco importa.
Giorgio Merlo