Se i tratti originari del Pd sono cambiati in profondità dopo l’avvento di Renzi alla segreteria nazionale, è abbastanza evidente che tutte le varie componenti che affollano attualmente il partito devono cambiare il loro modo d’essere. Certo, tutti i segretari sono pro tempore al vertice nel partito. Ma sarebbe curioso se la presenza nel partito rimanesse uguale a quella che si è vissuta sino alle stagioni che hanno preceduto l’arrivo di Renzi alla segreteria
Che il Pd – o il Pdr, per dirla con Ilvo Diamanti – sia profondamente cambiato rispetto a quello delle origini è come sostenere che, di norma, d’inverno fa freddo. Una riflessione, appunto, scontata e quindi una non notizia. Ma quello che francamente stupisce è il comportamento di coloro, Bersani ad esempio, che annunciano periodicamente che “questo Pd” non è più quello di un tempo e che, pertanto, lasciano intravedere che la “scissione” è sempre dietro l’angolo. Minaccia che, altrettanto puntualmente, viene di norma smentita dopo qualche giorno con una intervista o con l’ennesima dichiarazione a qualche tv compiacente. Ora, se da un lato la sinistra politica e sociale del Pd – area comunque indispensabile e necessaria per conservare i tratti di centro sinistra del Pd – deve ricalibrare meglio e con maggior incisività la propria iniziativa politica, è altrettanto indubbio che la presenza nel Pd, in “questo” Pd, non può essere continuamente messa in discussione.
Mi spiego meglio. Se i tratti originari del Pd sono cambiati in profondità dopo l’avvento di Renzi alla segreteria nazionale, è abbastanza evidente che tutte le varie componenti che affollano attualmente il partito devono cambiare il loro modo d’essere. Certo, tutti i segretari sono pro tempore al vertice nel partito. Ma sarebbe curioso se la presenza nel partito rimanesse uguale a quella che si è vissuta sino alle stagioni che hanno preceduto l’arrivo di Renzi alla segreteria. E questo lo dico non perché un segretario può stravolgere il profilo, il progetto e l’immagine del partito a suo piacimento. Ma per la semplice ragione che si rischia di correre il pericolo concreto di apparire come quelli che invocano il “tempo passato” e che, come unica risposta all’esistente, minacciano di continuo la “scissione” perché non si riconoscono più nel partito che hanno anche contribuito a fondare. Ecco perché, pur senza disperdere i valori originari del più grande partito del centro sinistra italiano, si devono però anche evitare quei comportamenti e quelle tentazioni che hanno come unico risultato l’indebolimento delle stesse ragioni che si intendono portare avanti legittimamente nel confronto interno al partito.
E allora sono almeno 3 i fronti decisivi che meritano di essere sostenuti con forza e determinazione. Lealmente e senza complessi di inferiorità e senza annunciare sfracelli ad ogni tornante.Innanzitutto confermare nei fatti e nelle proposte concrete che il Pd è un soggetto politico di “centrosinistra”. A prescindere dal fatto che ormai è archiviato il vecchio bipolarismo tra il centro sinistra e il centro destra. Ma la connotazione di partito di “centro sinistra” non può rispondere solo ad un’indicazione sistemica o politologica ma, semmai, al profilo politico e culturale di un partito. E che trova la sua conferma nel progetto che ispira le varie scelte programmatiche.
In secondo luogo va confermata la natura democratica del partito. Natura democratica che si traduce, semplicemente e senza tanta enfasi, nella valorizzazione della democrazia interna al partito. Una caratteristica, questa, che previene e precede qualsiasi degenerazione cesaristica ispirata all’”uomo solo al comando”. Del resto, la democrazia interna ai partiti è l’unica condizione per garantire circolarità della classe dirigente, partecipazione alla politica dei ceti popolari e un dibattito che non si riduca alla cortigianeria e all’esaltazione acritica del leader di turno.
In ultimo, salvaguardare e conservare la natura “plurale” del Pd. Un partito nato attraverso il contributo determinante delle principali culture politiche che hanno fondato la democrazia italiana, non può sacrificarle sull’altare di nessun nuovismo. Un pluralismo che resta un dato costitutivo della stessa “diversità” del Pd. Ma questa natura plurale va sostanziata non con gli slogan o con la semplice testimonianza ma attraverso l’iniziativa politica e l’elaborazione programmatica incessante e continuativa.
Insomma, 3 elementi costitutivi e discriminanti per la stessa esistenza del Pd. E cioè, un partito di centro sinistra, profondamente democratico al suo interno e realmente pluralista nella sua composizione e nella sua truttura interna. Ma per poter riaffermare con forza e convinzione questi elementi, non servono le recriminazioni, le lamentele, i rancori e le noiosissime minacce di abbandono. Poi ritrattate come da copione. Servono, semmai, coraggio, determinazione e voglia di battersi sapendo che su questi temi si possono trovare convergenze con tutti. Almeno con tutti quelli che vogliono un Pd fedele alle origini ma al passo con i tempi che Renzi ha indicato.
Giorgio Merlo
(Foto: il Torinese)