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Il Carnevale scalpita. A fine settimana, il via anche a Chieri e a Saluzzo

Venerdì 19 e sabato 20 gennaio

Chieri (Torino)

A Chieri, saranno Gianduja e Giacometta della “Famija Turineisa” a lanciare il primo appuntamento del Carnevale (organizzato dalla “Pro Chieri” con il sostegno della Città), in programma per venerdì 19 gennaio, alle 20, allorché nella “Sala del Consiglio Comunale” (alla presenza delle Autorità cittadine e di una buona cinquantina di Gruppi mascherati provenienti da numerose località della Regione) si svolgerà la cerimonia di investitura dei personaggi della tradizione, la Bela Tëssiòira e il suo Mangiagrop, con la riconferma di Nicole Sharon Bonventre, chierese, 29 anni, segretaria e assistente di poltrona presso uno studio dentistico, e Carlo Carpignano, 28 anni, operatore edile. Ad accompagnarli, Daniela Piazza e, damigella d’eccezione, Elisabeth, figlia di Nicole Sharon.

Sabato 20 gennaio, si entrerà nel vivo della festa, con partenza alle 15 da Piazza Europa e arrivo in piazza Dante, della sfilata dei “Carri Allegorici”. In testa, i carri realizzati a Chieri, quello della Parrocchia “San Luigi Gonzaga” e “Santa Maria Maddalena” con “Barbie” e quello del “Duomo” con “Candy Crush”, accompagnati dal gruppo a piedi della Parrocchia di “San Giorgio”. A seguire i carri provenienti da tutto il Piemonte.

Infine, domenica 21 gennaio, alle 11, messa in “Duomo” con il tradizionale omaggio dei personaggi del “Carnevale chierese” alla “Madonna delle Grazie”.

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Saluzzo (Cuneo)

Anche a Saluzzo è ormai tutto pronto per la “Gran Baldoira” del Marchesato e non solo. A dirigere le danze la “Fondazione Amleto Bertoni” e la “Città di Saluzzo”. Il primo immancabile appuntamento del “96° Carnevale Città di Saluzzo” e “6° delle Due Province” (“9° Carnevale di Barge” e “7° Carnevale degli Oratori Saluzzo”) sarà sempre per sabato 20 gennaio, alle 17, presso il Palazzo Comunale(via Macallè, 9), dove si svolgerà la presentazione ufficiale, con annessa “consegna delle chiavi” della città, della nuova “Castellana”, Silvia Ghione, accompagnata dall’immancabile “Ciaferlin”, Aurelio Seimandi, dalle “Damigelle” Viola Blaganò e Giulia Ciccone e dai “Ciaferlinot” Luca Dedominici e Matteo Borghino. Sempre sabato 20, dalle 22, presso il “Pala CRS” (via Don Giacomo Soleri, 16) si terrà il tradizionale “Saluzzo in Sound – Veglione in Maschera Supertino” con Dj Matteo Dianti e le maschere degli “Amis del Carlevè”.

I biglietti sono acquistabili in prevendita su “xceed.me”  al prezzo di 10 euro (documento obbligatorio), oppure in cassa a 15 euro. Confermatissima anche quest’anno la liason col “70° Carnevale della Città di Rivoli”, dove, sabato 27 gennaio, dalle 15, presso la parrocchia “San Paolo” è in programma l’investitura del “Conte Verde” e della “Contessa”. A seguire corteo e rinfresco.

Per ulteriori info sugli appuntamenti: info@fondazionebertoni.it

“Il 2024 – sottolinea Carlotta Giordano, presidente ‘Fondazione Amleto Bertoni’ – è l’anno della consacrazione della nostra ‘grande’ sfilata, riconosciuta come ‘Storica’ dal ‘Ministero della Cultura’. La ‘Fondazione’ ha lavorato per far arrivare a tutti un po’ di allegria e spensieratezza. Oggi, con oltre 10 carri e una grandissima festa  di piazza, siamo sicuri che il percorso intrapreso sia andato nella direzione giusta: quella della condivisione e della gioia di concedersi, insieme, un momento di felicità. Il Carnevale ci permette di evadere dal grigio che a volte avvolge la quotidianità: impariamo dalle maschere a colorare le nostre giornate”.

Per ammirare le grandi sfilate dei “carri” e dei “gruppi in maschera” lungo le strade, occorrerà aspettare ancora qualche giorno. Sabato 3 febbraio, alle 20, é in programma la sfilata notturna del “9° Carnevale del Comune di Barge”. Il giorno seguente, domenica 4 febbraio,dalle 14, sarà invece tempo della grande sfilata del “96° Carnevale Città di Saluzzo”. La domenica successiva, 11 febbraio, alle 14, sempre a Saluzzo sarà il turno del “7° Carnevale degli Oratori”; in contemporanea, a Rivoli, partirà la grande sfilata del “70° Carnevale”. Lunedì 12 febbraio, infine, spazio al “Ballo dei bambini”alle 15 e, alle 20, alla “Polentata” con “Gran Ballo” serale, entrambi pressi il “Pala Crs” di Saluzzo.

g. m.

Nelle foto:

–       Chieri: “La Bela Tëssiòira” e “Mangiagrop”, con il sindaco, Alessandro Sicchiero, e l’assessora alla Cultura, Antonella Giordano

–       Chieri: Locandina “Carnevale”

–       Saluzzo: al centro Silvia Ghione (Castellana) e Aurelio Seimandi (Ciaferlin), con Giulia Ciccone (Damigella) e Luca Dedominici (Ciaferlinot)

Pugaciòff, "luposki della steppaff”

Nella sua prima storia, “Il lupo della steppa” (“Cucciolo” n.10/1959), verrà presentato a Cucciolo e Beppe, che lo “adotteranno” come cane da guardia, da un buffo ometto, cosacco del Don, chiamato Ivan Ilià.In seguito assunse le fattezze di un animale antropomorfo ed eretto (come, del resto, fecero Cucciolo e Beppe), acquisendo anche il “dono” della parola, esprimendosi con un russo maccheronico esilarante ( il pane era il paneff, l’acqua acquoski, macchina macchinawsky, e così via…)

Pugaciòff, il “luposki della steppaff“, è un personaggio dei fumetti ideato nel 1959 da Giorgio Rebuffi che lo inserì, come comprimario, nelle storie di Cucciolo e Beppe, pubblicate dalle Edizioni Alpe. Gianpaolo Bombara, vicepresidente dell’associazione culturale ComixCommunity, sul sito di Rebuffi (morto a 86 anni,nel 2014 ) raccontò che alla guida della grande insurrezione cosacca sul finire del Settecento, c’era un rivoluzionario cosacco del Don, Emel’jan Ivanovič Pugačëv (talvolta italianizzato in Emiliano Pugaciòf ), dal cui nome, probabilmente,  Rebuffi si era ispirato per il suo personaggio. All’inizio, e per parecchio tempo, Pugaciòff si presentò come un vero e proprio canide a quattro zampe, capace di esprimersi solo attraverso la rappresentazione dei propri pensieri. Infatti, nella sua prima storia, “Il lupo della steppa” (“Cucciolo” n.10/1959), verrà presentato a Cucciolo e Beppe, che lo “adotteranno” come cane da guardia, da un buffo ometto, cosacco del Don, chiamato Ivan Ilià.In seguito assunse le fattezze di un animale antropomorfo ed eretto (come, del resto, fecero Cucciolo e Beppe), acquisendo anche il “dono” della parola, esprimendosi con un russo maccheronico esilarante ( il pane era il paneff, l’acqua acquoski, macchina macchinawsky, e così via…). Il “luposki della steppaff” era un personaggio dal carattere deciso, irascibile, sovversivo e “divorato” da una fame atavica. Il suo bersaglio preferito (e unico scopo della vita, al punto di volerselo mangiare, crudo o cotto) era il grasso malfattore Bombarda, antagonista storico di Cucciolo, Beppe e Tiramolla.

Il povero Bombarda– con il suo degno socio Salsiccia –, terrorizzato dal luposky, prese poi le sue contromisure, piazzando nella piscina del suo giardino una guardia del corpo efficacissima, lo squalo Geraldo. Il successo del lupo fu clamoroso, in Italia e all’estero.Tra il 1959 e il 1970 furono pubblicate un centinaio di storie sull’ albo “Cucciolo” e sugli “Almanacchi e Strenne di Cucciolo”, pubblicate da Edizioni Alpe. In seguito alla chiusura della casa editrice, a metà anni ottanta, altre storie videro la luce per conto della Vittorio Pavesio Production, sul Tiramolla di A. Vallardi Editore ed altri. Luciano Tamagnini, capo redattore della rivista “Fumetto”, presentando il volume “Pugaciòff & dintorni”, scrisse così del “luposki” : “..forse è proprio perché Pugaciòff non rinuncia ad essere se’ stesso che ancora oggi è fresco e vivace. […] E allora “Attenti al lupo”, cioè attenti a non dimenticarlo perché è uno dei più bei personaggi dell’immaginario italico e perderlo sarebbe come perdere un po’ di noi stessi”. Parole sante, anzi – per dirla come il lupo della steppa –  “parolaski santeff”.

Marco Travaglini

Al via i carnevali in tutto il Piemonte

Al via il Carnevale 2024, che è  iniziato ad Agliè domenica 14 gennaio scorso. Domenica, infatti, archiviate le festività  natalizie,  visto che la Pasqua anticipata nel 2024 cadrà a fine marzo, ad Agliè è  già  stato tempo di carnevale. In Alto Canavese il primo appuntamento con maschere e coriandoli è  stato con lo storico Carluvà d’Ajè, organizzato dall’associazione carnevale Alladiese, con il patrocinio del Comune, giunto alla sua 42esima edizione. Alle 14.30 di domenica, nel salone Franco Paglia, è andato in scena il carnevale dei bambini, animato dal mago Raffaele. Giovedì 18 sarà  la volta della presentazione dei conti di San Martino 2024, che saranno accolti dalle note dei pifferi di Arnad. Molti gli appuntamenti previsti, quali la cena carnevalesca, agape self service, servizio bar, musica con il duo Cinzia e Eric, serata latino americana con Antonella e le star band. Organizzatore e cerimoniere Armando Scavarda. Domenica 21 momento clou dei festeggiamenti.  Alle 11.15 nella chiesa parrocchiale verrà  celebrata la messa alla quale parteciperanno i Conti di San Martino e il gruppo storico in costume. Al termine della fusione religiosa, benedizione e distribuzione dei fagioli grassi. Nel pomeriggio pifferi e tamburi di Arnad daranno il la’ alla sfilataallegorica con la partecipazione dei conti, del gruppo storico, delle bande musicali, delle majorette e sbandieratori  e dei carri allegorici. Il tutto terminerà nel salone Paglia con il rogo dell’Oloch.

Secondo la tradizione,  se Agliè  rappresenta il primo carnevale, San Giusto costituirà l’ultimo, tra i due i carnevali di San Benigno Canavese, quello di Carmagnola e quello di Susa.

La parte più  consistente dei Carnevali sarà concentrata nel Canavese, a Ivrea e Chivasso. A Ivrea già  sabato 6 gennaio si è  avuto il ritrovo dei Pifferi e Tamburi, con la marcia di apertura del carnevale nelle vie del centro cittadino, seguita dall’investitura ufficiale del Generale 2024, nell’androne del palazzo Municipale. Dopo il saluto dei Credendari al magnifico Podestà , il corteo del gruppo storico dei Credendari è  partito verso la cappella dei Tre Re al monte Stella.

Domenica 28 gennaio sarà  la terzultima domenica di carnevale e, dopo la distribuzione dei fagioli grassi presso le Fagiolate diBellavista e San Giovanni, vi sarà  la visita del Generale, dello Stato maggiore, dei pifferi e dei Tamburi alle fagiolate e la successiva presa in consegna del libro dei verbali in piazza Freguglia, il libro dei verbali sul quale dovranno essere annotati tutti gli accadimenti del Carnevale. Seguirà una cerimonia militaredella consegna all’alfiere dello Stato Maggiore all’inizio di ogni campagna  e il banchetto inaugurale del generale e del brillante Stato Maggiore. Seguirà l’alzata degli Abbà. Il corteo, preceduto dall’ufficiale addetto alle bandiere, si reca presso l’abitazione dei piccoli priori dei rioni di San Grato, San Maurizio, Sant’Ulderico, San Lorenzo e San Salvatore. Gli aiutanti in campo sollevano l’Abbà dal balcone mostrandolo alla folla al suono di pifferi  e tamburi, mentre il Generale saluta militarmente.

Giovedì  grasso, 8 febbraio, il sindaco affida simbolicamente i poteri civili della piazza al generale, imponendogli la fascia bianca e rossa, indossata dalla spalla destra al fianco sinistro, annodandola sul medesimo dopo un giro orizzontale sui fianchi. Tutti i cittadini presenti in piazza devono indossare un berretto frigio che dalla domenica sarà indispensabile per non essere fatti oggetto del getto d’arance. Seguirà  la visita del Generale e dello Stato Maggiore alla Fagiolata di via Palma.

Sabato 10, sabato di carnevale alle 11, dopo la visita del generale, del sostituto gran Cancelliere e dello Stato maggiore alle autorità militari,  vi sarà  la parata di scorta della mugnaia con presentazione del gruppo alla cittadinanza in piazza Ottinetti e alle 12 la presentazione della scorta d’onore della Mugnaia al generale in piazza di città.  Dopo la parata nelle vie del centro storico la scorta d’onore della Mugnaia, deposta la bandiera del primo battaglione Cacciatori della repubblica cisalpina ed assunta quella della scorta, confluirà sotto il comando del generale.

Alle 21 si terrà  la presentazione della vezzosa Mugnaia dalla loggia esterna del palazzo Municipale.  La mugnaia, dopo aver indossato il tradizionale abito bianco, si trasferirà dall’ufficio del Sindaco alla sala Dorata, dove le viene appuntata sulla sciarpa verde la spilla con Pala e Pich su coccarda rossa, omaggio del generale. Al suono del Campanone, il sostituto darà lettura di nomina e all’atto della proclamazione la mugnaia uscirà sul balcone centrale del palazzo per ricevere l’abbraccio della città. Seguirà  la marcia del corteo storico, fiaccolata goliardica e sfilata della squadra degli aranceri a piedi in Lungo Dora in onore della Vezzosa Mugnaia. Seguiranno alle 22.30 una spettacolo pirotecnico sul Lungo Dora in onore della Vezzosa Mugnaia e il ballo in piazza di Città.

Domenica 11 febbraio, dopo il giuramento di fedeltà  del magnifico podestà  e la visita della Mugnaia alla Fagiolata benefica del Castellazzo, il podestà  al Castellazzo scalzerà la pietra per la preda in Dora dai ruderi con l’antico martello di rame.

Alle 13 vi sarà l’inquadramento dei carri da getto in corso Massimo D’Azeglio per verifiche e controlli; verranno controllati tutti i cavalli, il loro stato fisico, la correttezza delle ferrature agli arti e poi i controlli passano ai carri, che devono avere pronta la documentazione di bordo. Alle 14 inizia la marcia del corteo storico, cui seguirà la battaglia delle arance. Le nove squadre a piedi daranno vita alla battaglia delle arance con i tiratori sulle paroliere e i Tiri a quattro,  suddivisi su due percorsi, interno ( piazza Ottinetti e piazza di Città) ed esterno ( Borghetto, piazza del Rondolino, passando da Lungo dora e piazza Freguglia).

Lunedì 12 febbraio il generale, preceduto dagli alfieri e dai pifferi e dai tamburi, scortato dallo stato maggiore, accompagnerà una coppia di sposi dell’anno in ogni rione sul luogo dove sarà innalzato lo scarlo. Il sostituto gran cancelliere,  su di uno sgabello a forma di tamburo, darà lettura del verbale della cerimonia e gli sposi daranno ciascuno un colpo sul terreno nel punto destinato allo scarlo.

Martedì 13 febbraio  si terrà  la battaglia delle arance, preceduta dalla marcia del corteo storico e sfilata dei gruppi storici ospiti. Alle 17.45 verranno premiate le squadre di arancieri e dei carri da getto in piazza di Città e alle 20 partirà il corteo storico per l’abbruciamento degli scarlo nelle parrocchie di San Maurizio, Sant’Ulderico e San Lorenzo. Si terrà  anche l’abbruciamento dello scarlo della parrocchia San Salvatore alla presenza della Vezzosa Mugnaia in piazza di Città.

Il mercoledì delle ceneri si terrà la tradizionale distribuzione di polenta e merluzzo promossa dal comitato della  Croazia polenta e merluzzo in piazza Lamarmora.

Si chiama  “Carnevalone” quello di Chivasso, per l’imponente  sfilata che si tiene lungo le vie della città.  La bela Toleraquest’anno è  Simona Isnardi, figlia dell’Abbà del carnevale edizione 2016 Carlo Isnardi e già dama del cavaliere, mentre  l’Abbà è  Marcello Sesia, già alfiere del Carnevale 2000 con la bela Tolera Silvia Pontinia.

A Torino un carnevale storico e molto particolare è  quello del quartiere Borgo dora, dove vi è  il mercato del balon. La maschera storica si chiama Rusnenta, nome che in piemontese significa arruginita. Con il Danseur del Pilon ci saranno anche Gianduja e Giacometta de la Famiija Turineisa.

La Rusnenta è,  infatti, lo storico nome che si dà al Carnevale del balon, giunto alla sua sesta edizione, organizzato dall’associazione torinese del balon di Porta Palazzo in collaborazione con la FamijaTurineisa. Clou dell’evento sarà  nel cortile del Maglio, dove verrà premiato il gruppo mascherato più bello.

A Torino si terrà anche una sfilata al Parco della Pellerina, cui possono aderire gruppi mascherati, scuole di ballo, formazioni in costume,  carri allegorici.

Sfilata di apertura  il 20 febbraio in centro alle 15 e il 21 carnevale dei bambini al Valentino.

 

Mara Martellotta

Sant’Antonio Abate e la benedizione degli animali

Domenica 21 gennaio 2024, in occasione della festività di Sant’Antonio Abate si terrà la XVI edizione della “Benedizione degli animali, dei prodotti della terra e dei mezzi agricoli” presso la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

La manifestazione verrà realizzata con il concorso della Fondazione Ordine Mauriziano ed in collaborazione con i Comuni di Buttigliera Alta e di Rosta, la Coldiretti e le Pro Loco.

Programma:

– ore 10,30, raduno presso la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso,

– ore 11,00, Santa Messa officiata dal Parroco di Buttigliera Alta e Rosta Don Franco Gonella.

Nel corso della celebrazione si procederà alla benedizione dei pani e dei prodotti agricoli, come da tradizione (Non sarà consentito portare animali all’interno della Chiesa).

– ore 12,00 c. benedizione degli animali, dei prodotti della terra e degli attrezzi agricoli, all’esterno.

Rivoli, il 6 la Festa della Befana

Pomeriggio di divertimento in piazza San Rocco. A causa del previsto maltempo la festa della Befana è spostata al 6 gennaio

Ultimi giorni anche per visitare il Villaggio di Babbo Natale di Rivoli

Mentre la città festeggia fino a domenica 7 gennaio la ventesima edizione de Il Villaggio di Babbo Natale, Rivoli si prepara ad accogliere una grande festa in onore della Befana. Inizialmente in programma per venerdì 5 gennaio, visto il previsto maltempo, si svolgerà sabato 6 gennaio.

Sabato 6 gennaio, quindi, in piazza San Rocco, dalle 16,30, sono in programma animazione e merenda alla Casa della Befana con la presenza di alcune befane in moto. Poco dopo, alle 17, è prevista la tradizionale accensione del falò.

           Sono anche gli ultimi giorni per divertirsi al Villaggio di Babbo Natale di Rivoli in piazza Martiri e piazza Portici, con la casa di Babbo Natale, la pista di pattinaggio, le casette per la merenda e tanto altro, aperto fino a domenica 7 gennaio. Nei giorni feriali apertura 15-19, sabato e domenica anche 10-13.

           La festa della Befana, a cura dell’associazione commercianti e artigiani San Rocco, è infatti inserita nel calendario de Il Villaggio di Babbo Natale di Rivoli organizzato da TurismOvest, con il contributo della Città di Rivoli e la collaborazione di numerose realtà del territorio.

Ad Alpignano una spettacolare festa della Befana

 

Il 6 gennaio alle ore 16.30 al Palazzetto dello sport in via Migliarone 26 

Sarà un grande evento dedicato alle famiglie e soprattutto ai bambini che si divertiranno con lo spettacolo gratuito “Christmas Family Circus” proposto da Fem Spettacoli. L’evento è organizzato dal Comune di Alpignano e dalla Pro Loco di Alpignano.

Verranno proposti numeri di giocoleria, equilibrismo e acrobatica aerea, comicità e.… le “Luci itineranti”, trampolieri luminosi e una maschera danzante che incanteranno il pubblico
con performance di danze e coreografie a tempo di musica.

All’inizio della festa sarà regalato a tutti i bambini lo zucchero filato! La Pro Loco accoglierà il pubblico con uno stand dove si potranno trovare popcorn, vin brulè, kinderpunch, bevande e caffè.

Inoltre, ci sarà l’attesa l’estrazione dei biglietti della lotteria della Befana con ricchi premi offerti dalla Pro Loco e dalla Associazione Artigiani e Commercianti di Alpignano; il primo
premio è una bicicletta a pedalata assistita della Bianchi. I biglietti saranno in vendita fino al momento dell’estrazione.

Verranno anche premiati i partecipanti al tradizionale concorso dei presepi promosso dagli Amici dell’Ecomuseo Cruto e un premio sarà anche assegnato alla letterina di Natale più
originale tra quelle che i bambini hanno imbucato da Babbo Natale durante il Villaggio
allestito in via Arno’ 33.

Sarà anche l’occasione per annunciare ai cittadini di Alpignano a quale iniziativa benefica verranno donati i 30.000 tappi di plastica raccolti per allestire l’albero di Natale di piazza
Caduti, albero abbattuto dalla tempesta di vento del 22 dicembre scorso.

L’evento del 6 gennaio come detto è finanziato dal Comune di Alpignano e organizzato dalla Pro Loco in collaborazione con il Comune medesimo.

Appuntamento sabato alle 16.00 al Palazzetto dello sport in via Migliarone, 26.
L’ingresso è GRATUITO fino ad esaurimento posti.

Sponsor della manifestazione sono Smat Torino e NovaCoop.

… Quando un buon “Aglianico del Vulture” si trasforma in un bel “Nebbiolo d’Alba”

“Facce da scuola” / 9

Quarant’anni fa, a Vallette … I “migliori” anni della mia scuola

Gianni Milani

Inizi ’80. Era di domenica. Penso settembre – ottobre. Tempo di vendemmia, su quelle colline di Langa che ci accoglievano in tutta la loro stupefacente, magica bellezza. Con tutta la combriccola “vallettara” s’era arrivati a Mango, cuore di Granda, paese di superbo Moscato e “del partigiano Johnny” di fenogliana memoria. Insegnanti in “fantozziana” gita fuori porta. Appresso come sempre c’eravamo portati anche il “saggio”, ma “buontempone” più di tutti noi, don Ruggero, magistrale docente di Religione, punto saldo di riferimento per tutta la “Levi”, ragazze e ragazzi, e tutti noi colleghi compresi. Inizi anni ’80, dicevamo. A Mango s’era prenotato in un Ristorante di cui non ricordo il nome, dal panorama mozzafiato su un mare di colline da cui non avresti mai staccato gli occhi, a pochi metri dal possente Castello (secolo XIII) dei Marchesi di Busca. Gruppone da dieci, uno più uno meno. Insegnanti e un bidello (pardon, “assistente di palestra”, come rettificava lui). Lo scopo, ovviamente, mangiare e bere bene. Ma anche divertirsi e soprattutto, quella domenica, giocare un tiro mancino al povero Francesco, il Francesco Sarracino, insegnante di Educazione Artistica e ottimo pittore (a casa conservo una sua rigorosissima incisione dedicata ai danni terribili, a cose e a persone, causati dal terremoto dell’Irpinia del novembre dell’’80), da poco arrivato a Torino, con tutto l’ingombrante carico di nostalgia per la sua Basilicata e, in specifico, per la sua Rionero in Vulture. A Torino … e in Vallette, poi!. Lui così attento, scrupoloso e rispettoso. Di tutto e di tutti. E, soprattutto, di quell’Istituzione “Scuola”, così importante per lui, uomo integro del Sud, e così poco rispettata – pur se in fondo amata – dai nostri ragazzotti di via delle Magnolie. Schcreanzati (con tanto di h alla pronuncia), lo si sentiva gridare per ogni “sgarro” ai principi di una scuola che deve educare – comiziava a dito alzato – ed esigere il massimo rispetto da parte di tutti. E lì, invece! Ottimo insegnante. Bravo giovane. Lo prendemmo tutti a ben volere, nel nostro gruppo di colleghi “giocherelloni” a tempo perso, per strappargli, ogni tanto almeno, qualche risata e fargli per un po’ posare a terra quella cupa “saudade” per il suo paesello. Scoppiò perfino (dietro, sempre alla nostra regia) una bella “simpatia” fra lui e una giovane collega, anche lei arrivata dal Sud. Aveva un solo difetto, il Sarracino. Tutto in Piemonte e a Torino era per lui “brutto, sporco e cattivo”. L’inferno. In Basilicata, invece, regnava il paradiso! Non parliamo della cucina. Quello era proprio il suo tasto dolente. Ogni giorno era una lamentosa, ridicola, insopportabile litania. Quella piemontese? Ma per carità! Vuoi mettere il “Piatto del Brigante” o i “Ravioli con la ricotta” o i “Cavatelli con cime di rape”? Quanto mi mancano! Atroché “Bagna cauda” o “Agnolotti” o “Brasato”. E i nostri “Mustacciuoli” e i “Calzoncelli”, non c’è “Bunet” che tenga! Non c’è proprio paragone! Ragazzi, non se ne poteva più. Non si poteva toccare il tema “cucina” che, subito, esplodeva il “rosario” dei migliori piatti lucani.

E poi, l’Aglianico del Vulture, il “Barolo del Sud”, ma che Barolo! E’ l’“Aglianico” il miglior vino rosso d’Italia, se non del mondo! Uno sfinimento! E noi si esplodeva “alla Carosone”, accerchiandolo con un ‘O sarracino, ‘o sarracino, bellu guaglione, ‘o sarracino, ‘o sarracino, tutt’e ffemmene fa ‘nnammurà … Schcreanzati, (sempre con l’h), gridava e sorrideva lui. Quella domenica, in quel di Mango avevamo studiato per lui un piano niente male. Se domenica andiamo al Ristorante – aveva proposto lui qualche giorno prima – vi porto una mia bottiglia di Aglianico e lì faremo il confronto con i vostri Dolcetti, Barbere o Nebbioli. Voglio proprio vedere! Affare fatto! Ed eccoci al Mango. Interno Ristorante. Gentile, paffuta ristoratrice: Ah, suma bin ciapà. No, bei fioi, pos nen felu … esageruma nen. E il più piemontese del gruppo ma madama a l’è mach ‘na marminela, uno scherzo. Va là va là è solo uno schcherzo, ribadiva in italiano-riminese il Ghinelli, braccia rubate alla Riviera, emigrato a insegnare Lettere alle Vallette di Torino. Ommi, pòvra dòna si rassegnò la simpatica ristoratrice. Che, nel giro di qualche minuto, ritornò con due (dico due) bottiglie di rosso, sistemate come le avevamo raccomandato. Cambio di etichette. All’“Aglianico” del Sarracino aveva sorapposto quella di un “Nebbiolo d’Alba” da favola. E viceversa. Si mangiò alla grande. E tutto strettamente alla piemontese con gran finale di “Bunet” e “Moscato”. Devo ammetterlo – sorrise un po’ sforzato il buon Sarracino – anche se non siamo dalle mie parti si è proprio mangiato e BEVUTO proprio bene!  BEVUTO, sottolineò a voce alta con amichevole ghigno, ripensando al tragicomico inizio pasto. Eh già, ricordate lo scambio di etichette? Un bel brindisi, aveva gridato il calabro cosentino di Paola Franco Molinaro alzando un calice di rosso. Assaggiamo questo Aglianico. In alto i calici. Strepitoso! Gridò il Francesco. E adesso proviamo questo bel Nebbiolo. Calice al naso, buon profumo, gusto … Però, non male. Ma non come l’Aglianico. E lì, scoppiò una risata corale che fece sobbalzare tutti i clienti. Via le etichette! Sarracino sbiancò. Il suo “Aglianico” era diventato “Nebbiolo d’Alba” e il “Nebbiolo” scoprì essere il suo “Aglianico. Quello da noi affidato alla simpatica, paffuta ristoratrice. Povero! Si sedette, stranito e accennò appena Schcreanzati!!! E noi a canticchiare ‘o sarracino, ‘o sarracino, … La giornata finì a tarallucci e vino. E grappini (tanti) di Langa. Che contribuirono forse a riconciliare Francesco con il mondo. La nostra amicizia si sostituì e si affiancò poi, nei giorni e negli anni successivi, ai Grappini, agli Aglianici e ai Nebbioli e il buon Francesco imparò a trovare del “buono” anche in quel piccolo quadrato di territorio subalpino chiamato “Vallette”. Le nostre “Vallette”.

Gianni Milani

La vigilia di Natale e il tesoro del Fontegno

 

L’inverno non era ancora neve ma nell’aria, da giorni, si avvertiva la sua presenza. Da nord, il vento freddo soffiava con più vigore e le nuvole, nel cielo ingrigito, si rincorrevano veloci.

Il bosco era silenzioso. Solo qualche passero infreddolito cinguettava senza molta convinzione. Affacciandosi dal Belvedere, lo sguardo si perdeva sull’intero perimetro del lago d’Orta. E di fronte, più alta e massiccia, la vetta del Mottarone chiudeva all’occhio l’orizzonte. A Natale mancava ormai poco. Eppure, nonostante il clima di festa, l’aria che si respirava quando un abitante di Quarna Sopra incontrava uno di Quarna Sotto, diventava improvvisamente gelida.


I volti diventavano scuri e gli sguardi truci. Non un saluto, non un cenno. Solo indifferenza e, soprattutto, insofferenza. Era una vecchia storia che si trascinava da molto, troppo tempo. Tra Giovanni e Carletto non correva buon sangue. E lo stesso si poteva dire per Berta e Giuditta o per Silvano e Luciana. Insomma, per farla breve: gli abitanti di Quarna Sopra non andavano per niente d’accordo con quelli di Quarna Sotto. E viceversa. Non c’era modo di farli ragionare. Ogni pretesto, anche il più banale, faceva scattare la scintilla del dissidio. Bastava un nonnulla per litigare, discutere, polemizzare. E ci si accusava a vicenda, senza risparmiarsi. Ciò che contava era dividersi, guardandosi di traverso. Non era una novità. Accadeva puntualmente da almeno due secoli. Tutto era nato nella notte della vigilia di Natale del 1809, dalla chiesa parrocchiale di Santo Stefano, a meno di quarantott’ore dalla festa che la celebrava, quand’era sparita la pentola di polvere d’oro custodita nella cripta a fianco dell’altare. Il furto aveva costernato l’intera comunità. Tutti i quarnesi erano rimasti a bocca aperta, attoniti. Era un fatto doppiamente grave. Vuoi per il gesto sacrilego compiuto poco prima della messa di mezzanotte, probabilmente tra il tardo pomeriggio e le prime ore della sera, complice il buio. Vuoi per il valore non solo venale della pentola e del prezioso metallo che, in migliaia e migliaia di pagliuzze dorate, era stato raccolto nei fiumi della zona e dell’alta Val Sesia dai cercatori d’oro che n’avevano pazientemente setacciato i letti in lungo e in largo. Il frutto del lavoro e della devozione d’intere generazioni si era volatilizzato in un battibaleno. Il furto, ovviamente, aveva lasciato una ferita che non era ancora rimarginata. Un pesante atto d’accusa aveva diviso in due, come una mela spaccata a metà, le Quarne visto che le due comunità si rinfacciavano l’accaduto. “Sono stati quelli di sotto”, dicevano quelli di Quarna Sopra. “ Ma, siete matti? Sarete ben stati voi a nasconderla, così da incolparci. Vergognatevi..!”, ribattevano gli abitanti di Quarna Sotto. Un filo d’odio ormai divideva le due comunità che pure, un tempo, erano abbastanza unite. C’erano stati screzi, qualche battibecco e persino delle scazzottate quando gli animi più accesi e le gole più arse si ritrovavano per la bevuta di fine settimana alla locanda della Luna Nuova. La “notte della pentola rubata”, come ormai era ricordata, aveva dato uno scossone tremendo, dividendo le due comunità. Da allora si stava come su di un confine tra paesi in guerra. Una guerra senza armi e senza atti di violenza ma non meno cruenta se si prestava attenzione agli stati d’animo e si pesavano le parole.

Da sempre i curati avevano cercato di mitigare i dissapori, tentando di riunire i quarnesi. A onor del vero, con scarsi risultati. Anche il vecchio parroco di Santo Stefano, don Giulio Leoni, testardo e cocciuto, continuava da anni in quest’opera che, per ottenere un risultato positivo, necessitava di un vero e proprio miracolo. Il suo punto di vista ( che era stato, in precedenza, più o meno, lo stesso degli altri parroci ) era piuttosto semplice e al tempo stesso abbastanza chiaro: perché non unire le forze e tentare di venire a capo del misterioso furto? Perché non mettere da parte le polemiche, smettendola di guardarsi in cagnesco, e cercare una intesa? Appelli che regolarmente cadevano nel vuoto. Pareva non vi fossero orecchie disposte ad ascoltarli e animi talmente induriti dalla diffidenza da sembrare rinsecchiti come delle vecchie prugne. Certo che dopo quasi due secoli di tracce utile non ve n’erano, semmai ve ne fossero state, nemmeno una e il caso non poteva essere annoverato tra quelli freddi, come si diceva in gergo, ma andava rubricato tra quelli ormai del tutto ghiacciati. Eppure le preghiere e le invocazioni di don Giulio toccarono il cuore di due ragazzini, Mirco e Maria Rita. Il ragazzo abitava con i suoi genitori a Quarna Sopra, in via dei Gelsomini. Maria Rita, viceversa, era nata e viveva in via alle Motte, a Quarna Sotto. Entrambi frequentavano la quinta elementare alla De Amicis di Omegna, scuola che aveva avuto tra i suoi alunni più celebri il piccolo Gianni Rodari. I due erano molto amici e soffrivano per quel muro invisibile fatto di rancori e incomprensioni che divideva le due Quarne. Don Giulio l’avevano conosciuto frequentando, come lupetti degli scout, l’oratorio del capoluogo cusiano dove il prelato quarnese insegnava catechismo. Ascoltata la storia della pentola trafugata, decisero di provare a fare luce una volta per tutte su quell’evento che aveva sconvolto irrimediabilmente il quieto vivere dei due paesini abbarbicati sul monte Castellaccio. Seguendo i consigli del vecchio prete iniziarono le ricerche e, in pochi giorni, raccogliendo con discrezione testimonianze e racconti dei più anziani d’entrambi i paesi, riuscirono a trovare una piccola, minuscola traccia. Frugando tra le vecchie carte impolverate dell’archivio della parrocchia, misero gli occhi sul testamento di un’anziana contadina che probabilmente nessuno aveva letto visto che non comparivano eredi. Nel documento, vergato con mano incerta da qualche amanuense sotto dettatura di Cesira Nardini, oltre al lascito delle povere cose ( un tavolo, due sedie, alcuni strumenti da lavoro, una gerla e dodici scudi d’argento ) alla parrocchia di Santo Stefano, a cui l’anziana donna era devota, c’era dell’altro. E si trattava di una vera e propria rivelazione. In una parte aggiunta al testamento si narrava del vecchio Osvaldo Strimpellino, una figura conosciutissima. L’Osvaldo era stato, a suo tempo, sergente maggiore dell’esercito di Napoleone, accompagnando l’ex caporale corso in tante campagne e battaglie sui campi d’Europa. In virtù di questa sua esperienza nella Grand’armée, era stato incaricato dalla comunità di Quarna di far rispettare le leggi e di tutelare gli interessi degli abitanti del piccolo paese. A quei tempi di Quarna ce n’era una sola e, si pensava, indivisibile. Cesira Nardini era stata sua moglie. Morto il marito, sentendo ormai vicino anche lo scoccare della sua ora, dettò la memoria per non portarsi il segreto nella tomba. Ma di quale segreto si parlava? Mirco e Maria Rita non ci misero molto a scoprirlo: si trattava proprio della pentola d’oro. Cos’era accaduto?  La sera della vigilia di Natale del 1809 Osvaldo si stava incamminando verso la chiesa per accendere le due fiaccole che avrebbero illuminato il piccolo cortile esterno. Il vespro era già passato e nel buio ormai fitto i riflessi delle torce facevano danzare le ombre lungo i muri, complice una lieve brezza gelata. Dalla strada vecchia si udirono voci che parlottavano sommessamente. Osvaldo incuriosito si avvicinò al muretto e guardò sotto. Una mezza dozzina di loschi figuri, intabarrati in lunghi mantelli neri, stavano accordandosi su come rubare la pentola d’oro. Dall’inflessione della parlata si coglieva che venivano dalla bassa, forse da Gozzano o da Borgomanero. Erano arrivati fin lì a dorso di mulo, salendo da Omegna dopo aver costeggiato le sponde del lago d’Orta per tutta la sua lunghezza. Osvaldo, udite le parole di quei brutti ceffi, non esitò un attimo. Non potendo da solo affrontare quella compagnia di canaglie, decise di agire d’astuzia. Il modo migliore per salvare il tesoro dei quarnesi era metterlo al sicuro, prelevandolo dalla cripta e nascondendolo. E così fece. Poco più tardi, appostatosi nell’ombra, vide i ladri andarsene arrabbiati e senza bottino. Tornando verso casa, con le orecchie che gli fischiavano ancora per le male parole e le imprecazioni di quei loschi figuri, raccontò tutto a sua moglie, facendole giurare di non dire mai nulla. Per sua grande sfortuna Osvaldo cadde in un burrone proprio la sera stessa, scivolando su di una lastra di ghiaccio mentre stava per recarsi dal curato per raccontare anche all’uomo di chiesa l’accaduto. La moglie, per il gran dolore che le fece perdere parte del senno e un poco per ignoranza, non se la sentì di raccontare a nessuno ciò che il marito gli aveva confessato. Solo nel suo testamento decise di raccontare cos’era accaduto. Ma a chi sarebbe interessato tutto ciò? Lo scrivano pensò al delirio di una vecchia che aveva le rotelle fuori posto e per carità scrisse quanto aveva udito senza però prestarvi credito. Così nessuno seppe che la pentola d’oro, causa di tutte quelle polemiche che avevano occupato lo spazio di due secoli, cementando le divisioni tra Quarna Sopra e Quarna Sotto, era stata calata da Osvaldo in fondo al vecchio pozzo della chiesa della Madonna del Fontegno. In quel luogo, a meno di venti metri sotto un braccio d’acqua, lungo il sentiero che da Quarna Sopra scendeva verso Cireggio, la pentola giaceva indisturbata da quasi duecento anni. Con il Natale alle porte la grigia cappa che incombeva sul paese si era spezzata e dal cielo la neve scese lieve, a larghe falde. Si rinnovava l’atmosfera di magia di quei giorni. I bambini giravano su se stessi con  le facce rivolte al cielo e le bocche aperte; ogni fiocco che si depositava  sulle lingue aveva un sapore particolare, emettendo una sorta di lieve crepitio. Era uno dei suoni dell’infanzia, uno dei ricordi di attesa felice che non avrebbero mai dimenticato. Erano quasi le otto di sera del 24 dicembre quando Mirco e Maria Rita, accompagnati da Don Giulio, dal sindaco di Quarna Sopra e dal maresciallo dei carabinieri, raggiunsero il vecchio pozzo. Bastò meno di un’ora per recuperare la vecchia pentola. Tutto l’oro brillò davanti ai loro occhi, illuminato dalle torce elettriche, rivelando il prezioso fardello  che il vecchio Osvaldo aveva calato con una corda in fondo al pozzo. La pentola fu riportata nella chiesa di Santo Stefano pochi minuti prima dello scoccare della mezzanotte. La notizia si sparse in un baleno. Per tutta la notte vi fu un via vai di persone che s’incontravano, parlavano, si davano grandi pacche sulle spalle, abbracciandosi. Si rideva e si piangeva, in quella notte di Natale. E ci s’interrogava sulla stupidità che aveva diviso per tanto, troppo tempo le due comunità. Per fortuna, di fronte alle invidie e all’insensibile testardaggine dei grandi, c’erano stati due bambini curiosi che non si erano arresi.

 

 Marco Travaglini

 

 

La chimica del Natale

Profumi e aromi della festa più attesa dell’anno.

Il Natale ci avvolge con i suoi colori, con le decorazioni, con lo scintillio delle luci. C’è  voglia di festeggiare, di fare i regali e di sentirsi, anche se solo per qualche ora, sospesi dalla quotidiana realtà per entrare in un mondo ideale. Oltre al piacere per la nostra vista, regalato da un tripudio di colori e sfumature oro e argento, il Natale inebria con le sue fragranze e le sue essenze che ci portanodietro nel tempo, a quando eravamo bambini. Esiste, dunque, una chimica natalizia fatta di aromi,  di profumi, di memorie olfattivee gustative che  rendono l’atmosfera ancora più dolce ed evocativa.

Quali sono gli aromi e i sapori tipici di queste festività?

La cannella è la fragranza per eccellenza di questo periodo di celebrazioni. E’ utilizzata nelle preparazioni gastronomiche ma anche negli ornamenti; la possiamo sentire nell’aria entrando nei negozi, sorseggiando un te, un infuso o ancora meglio gustando una cioccolata che ne regala il sapore e nel vin brulé. Non esiste Natale senza questa corteccia essiccata del Cinnamomun che si può trovare in polvere o in piccoli cilindri.

Lo zenzero ci fa pensare al gingerbread e ai biscotti che, oltre ad essere buonissimi per il palato, possono sono utilizzati come allegri pendenti per decorare l’albero. Il suo sapore è piccante,intenso e  come aroma è utilizzato in diversi piatti, soprattutto inquelli di origine orientale. Lo troviamo anche in versione essiccata in piccoli cubetti da gustare per merenda o a fine pasto.

I chiodi di garofano con la loro forma appuntita sono utilizzati moltissimo nelle decorazioni natalizie soprattutto con le arance. In cucina sono preziosi sia all’interno pietanze salate ma anche nella preparazione di dolci tipici come il panpepato. Come nel caso della lavanda, se inseriti in piccoli sacchetti di stoffa e sistemati nei cassetti sono degli ottimi profumatori, una balsamica idea regalo.

L’anice stellato, con la sua sagoma a  otto punte che richiama la Cometa, contiene semi oleosi e rappresa un naturale simbolo natalizio. Il sapore, simile a quello della liquerizia, lo rende versatile e può essere usato in vari piatti sia dolci che salati, ma soprattutto è uno dei protagonisti delle decorazioni insieme all’arancia e alla cannella. Si può trovare sulle tavole bandite a festa, ma anche all’interno di candele e di vivaci ghirlande.

La vaniglia nel latte caldo o  all’interno della crema pasticcera è meraviglia pura. Dolce, aromatica e persino calmante, è un  frutto in bacche contenute all’interno di un’ orchidea tropicale. Utilizzata preminentemente per torte, gelati e liquori, è anche la protagonistadeliziosa di bagnoschiuma vellutati, candele e profumi per la persona e per la casa.

MARIA LA BARBERA