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“Il Tempo sospeso”: la scrittura si sposa alla pittura

Il libro di Mara Martellotta con le opere pittoriche di Andrea Granchi verrà presentato al Centro Pannunzio lunedì 31

 

Al Centro Pannunzio, in via Maria Vittoria 35/h, a Torino, verrà presentato lunedì 31 gennaio prossimo, alle 17.30, il libro dal titolo “Il tempo sospeso”, scritto dalla giornalista torinese Mara Martellotta insieme all’artista fiorentino Andrea Granchi.

L’arte pittorica e la scrittura, un binomio che potrebbe sembrare apparentemente lontano, mostrano, invece, un sottile fil rouge nel potere salvifico che entrambe possiedono di fronte ad eventi epocali come è stata ed è la pandemia da Covid 19. Alla luce di ciò, il volume intitolato “Il Tempo Sospeso”, edito da Gian Giacomo Della Porta Editore, accosta le riflessioni elaborate in questi due ultimi anni dalla giornalista Mara Martellotta alle opere pittoriche dell’artista fiorentino Andrea Granchi, nato a Firenze nel ’47, già docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze, vincitore del premio Stibbert per la pittura nel ‘71 e proveniente da una famiglia di antica tradizione artistica e nel campo del restauro.

La contemporaneità dei temi trattati, quali il cambiamento della società e dei rapporti interpersonali, la comparsa di nuove angosce e dubbi, hanno trovato un perfetto parallelismo sia nella scrittura dell’autrice, sia nella pittura di Andrea Granchi, indicando e tracciando una possibile via di ancoraggio e salvezza, in questo “tempo sospeso”, nell’arte.

“Agli scritti di Mara Martellotta – spiega il professor Pier Franco Quaglieni, che ha scritto la prefazione del libro e che parteciperà  alla presentazione – ci rivelano che nel grande naufragio c’è gente che ha salvato la sua anima attraverso la cultura, l’arte e la fiducia in una vita animata da valori che sembrano appannati. Questi scritti sono destinati a testimoniare il coraggio e l’intelligenza di chi ha saputo passare attraverso il fuoco senza bruciarsi, come diceva il mio amico Mario Soldati”.

Il prof. Quaglieni

La presentazione del libro sarà corredata dalla visione di slide delle opere pittoriche di Andrea Granchi e dalla voce recitante dell’attrice Ottavia Della Porta. Sarà  presente come relatore anche il giornalista torinese Andrea Donna.

Buonerba presenta “Cronaca di un amore non corrisposto”

Per il ciclo di incontri “Il venerdì dello scrittore”, si terrà  presso la Biblioteca Civica Arduino di Moncalieri, venerdì 28 gennaio prossimo alle 18, la presentazione del romanzo intitolato “Cronaca di un amore non corrisposto”, di cui è autore lo scrittore e giornalista Carlo Buonerba.

A moderare l’incontro il giornalista Carlo Saccomando; vi parteciperanno il sindaco di Moncalieri Poalo Montagna, l’assessore alla Cultura del Comune di Moncalieri Laura Pompeo, e la giornalista Clara Vercelli, ideatrice e conduttrice del programma “Area goal”. Hanno partecipato all’organizzazione dell’evento il Comitato Insieme a voi, che sarà rappresentato dalla presidente avv. Antonella Savino e dal vice Toni Avignone.

“Cronaca di un amore non corrisposto” rappresenta una narrazione autobiografica condotta dal protagonista Federico Spes, ingegnere nel campo delle telecomunicazioni e insegnante in un liceo in provincia di Milano. L’opera non vuole essere un romanzo di formazione, ma semplicemente l’autentica cronaca di un amore, appartenendo a un genere letterario di cui abbiamo esempi nella produzione di noti scrittori, quali Gabriel Garcia Marquez (“Cronaca di una morte annunciata”). La cronaca qui si esprime sotto forma diaristica e si arricchisce di toni nuovi, non soltanto perché  a scriverla è un bravo e collaudato giornalista, ma anche perché riguarda un tema, quello amoroso, di fronte al quale il lettore non può  certo rimanere indifferente. La forma diaristica del libro riesce ad abbracciare anche una dimensione intimistica, delineando un sentimento amoroso che, per quanto impossibile, non condurrà  il protagonista ad arrendersi, ma  proseguire nella sua missione.

Mara Martellotta 

Ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti, previa presentazione del Green Pass rinforzato e mascherina, telefonando al numero 0116401600

L’Agenda poetica e l’importanza della parola

“La parola ha la virtù di stroncare la paura, di rimuovere la sofferenza, di infondere gioia, d’intensificare la commozione” (Gorgia) “Bisogna assomigliare alle parole che si dicono” (Stefano Benni) Oscar: La parola è tutto, è l’unica cosa che distingue le bestie dagli uomini. Elle: ma distingue anche le bestie tra gli uomini (dal film “Accadde una notte”), si legge nell’introduzione di Bruno Mohorovich, curatore dell’opera.

È al tema “LA PAROLA / LE PAROLE” edita dalla Bertoni editore /poesiaedizioni, (https://www.bertonieditore.com/shop/it/) che abbiamo voluto dedicare l’Agenda poetica 2022, raccogliendo le poesie di 160 autori, ha riferito.

Le parole hanno un senso profondo nella nostra vita, anche quelle che pronunciamo distrattamente. Le parole nel modo in cui escono dalla nostra bocca, dicono anche del nostro stato d’animo e si capiscono moltissime cose dell’umore di una persona solamente ascoltando come vengono dette le parole. Due persone possono, con una profonda convinzione, dire la stessa cosa ma con parole diverse, e discutere all’infinito senza sospettare che il loro pensiero è esattamente lo stesso. Oppure inversamente, possono usare le stesse parole e immaginare di essere d’accordo ecomprendersi, mentre in realtà dicono cose assolutamente diverse e non si comprendono affatto.

E continuando a leggere l’introduzione di Bruno Mohorovich, a cui lasciamo spazio di seguito, si colgono e si comprendono altri aspetti importanti sulle poesie riportate nell’agenda e sul tema della parola (con un accenno ai limiti del mondo social/global).

<<Parliamo tanto, cercando di farci capire, comprendere; parliamo per dare conforto e per esprimere i nostri sentimenti; usiamo a seconda dei casi parole semplici e difficili, contorte e complesse; definiamo il carattere delle persone, facciamo del bene e del male, concretizziamo idee; spesso non facciamo attenzione a quello che diciamo creando anche dei danni, inimicizie e dolore.

La parola ha in sé un grande potere perché ci aiuta non solo a capire chi abbiamo davanti ma a comprendere noi stessi; ci aiuta a intendere una nuova parte di mondo, oltre che noi stessi e la nostra vera natura: una comprensione che nasce dal nostro confrontarci col silenzio che nasce dalla parola e di questa il silenzio si avvale.

E quello di cui abbiamo bisogno, è della parola non parlata ma parlante che “è parola autentica perché è l’unica che riesce a ritrovare la possibilità dell’esperienza, l’unica ad avere la capacità di dire l’esperienza”, soprattutto in questi tempi in cui viviamo un’epoca, caratterizzata da futilità, volgarità e siamo tutti invasi e pervasi dal mondo social/global dove le parole hanno libera circolazione, dove chi scrive non sempre lo fa con le giuste motivazioni nel rispetto di una libertà di critica, di pensiero ma si lascia andare – protetto dallo schermo – anche a bieche e discutibili affermazioni.

Nulla infatti, crea conflitto come la parola, complice – ribadisco – l’ambiente digitale che è divenuto parte integrante della nostra esistenza, e dove ognuno può colpire emotivamente maneggiando e rivoltando le fragilità umane, ingannare, diffondere errate informazioni, confermare la propria ed altrui inadeguatezza nell’ impossibilità e incapacità di relazionarsi, dimentichi che sono le parole che fanno accedere le cose.

Non sarebbe stata necessaria questa prefazione, forse, data la “popolarità” del termine affrontato, ma è stata la lettura di un articolo di Eugenio Scalfari ad avermi stimolato ad una ulteriore riflessione: abbiamo mai pensato a cosa sarebbe stata la nostra vita senza le parole?

Il giornalista scrive: “Una volta le parole divennero solide, il freddo le aveva intirizzite e ingombrarono il cielo, un cielo fitto di parole rigide e secche, parole di ghiaccio, parole di bastone, parole ritorte col filo di ferro, parole scritte ma senza più suono né eco”.

Senza parole non potremmo più descrivere i nostri bisogni, i nostri desideri e le nostre ragioni; senza parole – che portano in sé una pluralità di significati ed assumono connotazioni diverse a seconda di chi le proferisce – e senza la loro esistenza verrebbero a mancare tutte le variazioni ch’essa offre nella lettura dispiegante senso e comprensione quali l’allusione, l’ironia, i sogni, le illusioni, le speranze e…la memoria e il pensiero.

Come potremmo, senza parole, padroni solo dei nostri gesti, sentir cambiare il nostro stato d’animo dopo aver ascoltato un discorso o anche semplicemente una notizia? O rimanere affascinati dalle belle parole di qualcuno? O ancora, grazie a un discorso venirne influenzati e cambiare opinione? Parlare è fondamentale e imprescindibile, giacché vuol dire – e faccio mio il pensiero del filosofo Maurice MerleauPonty – lasciarsi trasportare dal movimento del discorso, tessuto di detti e non detti, di linguaggio e di silenzio. Parlare è recuperare la parola viva.

Virginia Wolf ha scritto che “le parole che cerchiamo pendono accanto all’albero: con l’aurora le troviamo, dolci sotto le fronde”.

Chi meglio di un poeta può far uso della parola e trasmettere il suo sentito? Chi meglio di un poeta sa dare alla parola il senso compiuto di quello che vuole dire, di come interpreta la vita e quanto gli sta intorno?

Scriviamo sempre, scriviamo tanto, alla carta affidiamo le nostre emozioni e rendiamo la parola nostra compagna fedele; essa è una finestra da aprire dalla quale lasciamo entrare la sua potenza evocativa, la sua freschezza, la sua positività, il suo dischiudersi delle possibilità che si aprono “come gemme all’annunciarsi della primavera” (Gerard Marley Hopkins).

Gli autori di questa agenda antologica hanno incarnato la parola, l’hanno celebrata in quanto tale (“Dammi parole, parlami con meno rumore / Cura gli angoli e denudale da vesti…”; “Abito / le parole, / ovunque sorgano/ come il sole…”; “Lego parole / che fatico / a tenere a mente…”) o l’hanno decantata quando il loro linguaggio poetico ha guardato all’esterno con i suoni i colori e le complessità che gli sono propri (“Vorrei dettare al vento / parole di bellezza / affinché ne diffonda / i profumi e i sapori…”; “[…] / Scolpisco forme di sabbia / fragili come veli…”; “Le nostre ombre al tramonto, / oscurano suoni titubanti,/ che tradiscono parole…”; “..e poi ci sono parole nascoste / in angoli bui, / che riesumi a stento,…”).

I loro versi, hanno affidato ai lettori i quali, sottraendosi al ruolo di meri ascoltatori, si ritrovano nelle parole del poeta che così assolve alla sua funzione che è quella di entrare nel cuore dell’uomo.

Le parole di questa variegata raccolta non sono, ovviamente, identiche le une alle altre ma lasciano trasparire l’infinita gamma della realtà simili “a conchiglie dentro le quali risuona il vasto mare dell’infinità”.

E i significati intrinseci a queste composizioni fanno leva sui sentimenti ed emozioni, ma i significati sono prima di tutto al servizio della ragione e la ragione libera, non rende schiavi.

A conferma che la bellezza della poesia ci concede di volare oltre i confini del nostro animo ed è con la sua parola che si libera l’armonia della fantasia e ci sentiamo, così, liberi>>.

Vito Piepoli

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Paulina Bren “Barbizon Hotel” -Neri Pozza- euro 19,00
Le giovanissime Grace Kelly, Rita Hayworth, Sylvia Plath, Joan Didion, Nora Ephron, agli inizi delle loro carriere a New York vissero al Barbizon Hotel; «il posto dove andavano le ragazze che arrivavano da tutto il paese per dare una possibilità ai loro sogni».
Già solo questi nomi annunciano quanto sia interessante, emozionante e splendido questo libro dell’americana Paulina Bren, docente del famoso Vassar College. Si legge come un romanzo e racconta nascita, importanza, e declino del Barbizon Hotel di New York; “per donne sole”, porto sicuro, protetto e rigorosamente precluso agli uomini. Ma soprattutto racconta le storie delle sue ospiti.

L’hotel fu costruito nel 1927, epoca in cui le donne -che avevano ottenuto il diritto al voto nel 1920- iniziavano ad essere più indipendenti. Ma per una ragazza sola era ancora sconveniente affittare un appartamento, ed è allora che nell ‘Upper East Side apre il Barbizon. Raggiungerà l’apice della sua fama tra gli anni Quaranta e Cinquanta, quando l’agenzia Ford Models iniziò ad affittare stanze per le sue modelle, tra le quali Carmen dell’Orefice, diventata mitica top model.

Dove potevano alloggiare giovani di buona famiglia che dalla provincia planavano nella Big Apple sognando di costruirsi un futuro professionale nel mondo del cinema, dell’editoria, della letteratura e dell’arte? O semplicemente volevano intraprendere carriere alternative al ruolo di mogli, madri o al massimo insegnanti?
Di hotel per donne sole ce n’erano, ma nessuno mai eguagliò la fama del Barbizon, garanzia di sistemazione appropriata e sicura.
Tanto per dire, Grace Kelly arrivo nel 1947 dopo aver convinto il ricco padre che le concesse di frequentare l’American Academy of Dramatic Art, solo a patto che risiedesse al Barbizon.

Alcune di loro ce la faranno diventando famose attrici, scrittrici e firme di punta del giornalismo. Altre troveranno comunque la loro strada, come le studentesse della rinomata scuola per segretarie di Katie Gibbs. Tutte avranno grandi sogno di futuro; alcune anche solo quello di trovare il marito giusto nella Grande Mela.
Interessanti le storie delle giovani che avevano vinto un mese di stage presso la blasonata rivista “Mademoiselle” che sarà palestra e trampolino di lancio per giovani colte, preparate e ambiziose che volevano sfondare nel mondo del lavoro. Praticante nella redazione fu anche Ali MacGraw, che abitò al Barbizon nell’estate del 1958, conquistò la copertina e diventò l’indimenticabile protagonista di “Love Story”

Un vero monumento il Barbizon. Situato tra la Lexington e la 63esima strada, architettura neogotica, 23 piani, 700 stanze. Alcune ampie e con bagno in camera; la maggioranza piccole (circa 2 metri per 3) arredate tutte allo stesso identico modo con copriletto e tende a fiori e abbinati. Aveva anche piscina, bagno turco, palestra, solarium e un roof garden; luoghi di aggregazione in cui le ospiti si conoscevano e in molti casi diventavano amiche. Tutte dovevano rispettare rigorosamente un dress code che prevedeva gonne longuette e bandiva i pantaloni.
Mentre le più gettonate la sera uscivano con cavalieri, quelle che lo erano meno si adattavano a trascorrere tranquille serate insieme al Barbizon, diventata la loro casa comune. Poi c’era la lobby al primo piano con un palcoscenico e 300 posti a sedere per le attività di intrattenimento e culturali che l’hotel organizzava. L’unica area consentita agli uomini; le uniche eccezioni erano medici e manutentori ai quali era concesso superare quel confine.
E’ sul finire degli anni Sessanta che la funzione dell’hotel inizia ad essere anacronistica. Nel 1981 apre le porte agli uomini trasformandosi in un hotel come gli altri.
Dopo vari cambi di proprietà, nel 2005 è stato ristrutturato, diviso in appartamenti in vendita a 13 milioni di dollari l’uno e trasformato in un condominio di lusso, il Barbizon 63.

Una chicca nostalgica. Nello storico Hotel avevano vissuto anche donne adulte; tra le quali Molly Brown, sopravvissuta alla tragedia del Titanic e appartenente all’alta società, che morì nel 1932 nella sua stanza al Barbizon.
Lei era la più famosa, ma alla fine degli anni Novanta “le Donne” erano rimaste in 29, chiamate “The perms”, le permanenti, ed erano un mistero ancorato agli anni d’oro del Barbizon. Sopravvissute a tutti i cambiamenti, non si erano mai spostate; dal quarto all’undicesimo piano al fondo del corridoio c’era una porta che celava dove vivevano «…una macchina del tempo, con corridoi stretti, bagni in comune e stanze minuscole».
Fino al 2006 lì hanno vissuto 14 donne che pagavano un affitto calmierato in base agli accordi precedenti con l’hotel. Mandarle via era impossibile perché tutelate dalla legge. Ne sono rimaste 5 che hanno accettato di vivere al quarto piano del Barbizon/63, in piccoli appartamenti rifatti e in stile con il resto.

Sylvia Plath
Tra le giovani residenti del Barbizon c’era anche Sylvia Plath che vi giunse nel 1953, dopo aver vinto il concorso come praticante presso la rivista “Mademoiselle”. Era il primo magazine rivolto a giovani lettrici; diretto con piglio sicuro e visione geniale dalla leggendaria Betsy Talbot Blackwell, che pubblicava racconti di autori della levatura di Truman Capote.
Sylvia arriva con la carica dei suoi 20 anni, bella e piena di talento.
Al Barbizon alloggiava al quindicesimo piano in una «…graziosissima stanzetta con moquette, muri beige chiaro, copriletto verde scuro con increspature a forma di rosa, tende intonate, scrivania, cassettone…..». Traendo spunto proprio dai suoi giorni newyorkesi scrisse il romanzo semi-autobiografico “La campana di vetro” -Mondadori- euro 12,00
Protagonista e suo alter ego è Esther Greenwood, una ragazza che come lei lavora in una rivista femminile. Il Barbizon diventa Amazon ed è lì che la giovane risiede. Una studentessa molto brillante che però soffre di depressione durante il tirocinio presso una rivista di moda newyorkese.
La penna caustica della poetessa e scrittrice Sylvia Plath smitizza il luogo. Descrive come Esther si sentisse ingabbiata nell’albergo e durante un black down interiore finisse per scaraventare tutti i suoi vestiti dal tetto: cosa che la Plath aveva davvero fatto dopo una crisi depressiva e circa un decennio prima di scrivere il romanzo.
E’ decisamente graffiante nel descrivere le ospiti del Barbizon /Amazon oltre le aspiranti star e artiste. L’annoiavano in modo particolare le segretarie di dirigenti che si aggiravano per New York nella speranza di accalappiare ricchi uomini d’affari. Con sommo fastidio le vedeva «..sbadigliare e laccarsi le unghie nel solarium, cercando di mantenere l’abbronzatura delle Bermuda..» giusto per sottolineare che non c’erano solo aspiranti star o scrittrici.

Il libro uscì poco meno di un mese dal suo suicidio. Tormentata e divisa tra le spire della condizione femminile dell’epoca -in cui sulle donne incombeva ancora la tradizione che le voleva mogli e madri- e d’altro canto una profonda aspirazione a trovare la sua strada e il senso del suo esistere nella poesia, Sylvia non riuscì a reggere il peso della vita. Ad aggiungere dolore c’era anche il fallimento del suo matrimonio con lo scrittore Ted Hughes. E’ così che stanca di vivere, una mattina si sveglia, prepara la colazione per i due figli e spalanca la finestra della camera in cui dormono; poi sigilla per bene la cucina e infila la testa nel forno a gas. Aveva solo 30 anni.

 

Joan Didion
La letteratura mondiale ha perso una delle sue voci migliori con la recente scomparsa della scrittrice, giornalista e sceneggiatrice Joan Didion, a 87 anni il 23 dicembre 2021.
Da non perdere su Netflix è il magnifico e intenso documentario “Joan Didion il centro non reggerà” girato dal nipote Griffin Dunne; fondamentale excursus intimo e profondo sulla straordinaria carriera, le battaglie e le drammatiche vicissitudini personali della grande scrittrice.
Era nata a Sacramento,in California nel 1934 ed era transitata al Barbizon Hotel quando aveva 20 anni. Giovane, bellissima e talentuosa planò a New York in una pausa dagli studi al Berkeley College, giusto poco prima di iniziare la carriera che l’ha vista diventare una grande celebrità del mondo letterario, vincitrice nel 2005 del National Book award per la saggistica con il libro “L’anno del pensiero magico” -Il Saggiatore- E’ forse il libro più famoso dell’autrice che sminuzzza e analizza con una profondità di pensiero l’immenso dolore nel 2003 per l’improvvisa morte di infarto del marito, lo scrittore John Gregory Dunne col quale era sposata da 40 anni. Tragedia seguita a ruota dal lungo periodo di malattia e morte della figlia adottiva, Quintana, per coma cerebrale a soli 39 anni. Pagine struggenti in cui dialoga con la morte, il vuoto, la malattia, e mette a nudo i nervi più dolenti del suo lutto.

Durante il secondo anno di studi vinse un concorso di saggistica sponsorizzato dalla rivista di moda “Vogue” e divenne assistente alla ricerca. Lavorò lì per due anni passando da copywriter a redattrice, e in quel periodo scrisse il suo primo romanzo

“Run River” -Il Saggiatore- euro 20,00.

Ambientata in una California rurale e bruciata dal sole si narra la saga di una famiglia di discendenti di cercatori d’oro e pionieri e il loro declino.
“Da dove vengo” -Il Saggiatore- euro 24,00. E’ un libro altamente autobiografico in cui racconta non solo la storia dei suoi antenati e della famiglia, ma anche quella della California, tra pionieri, sogni, frontiera e latifondi.

“Verso Betlemme” -Il Saggiatore- euro 15,00.

E’ un ‘eterogenea raccolta di articoli e saggi scritti e pubblicati tra 1961 e 1968, in cui scandaglia a fondo il clima sociale degli Stati Uniti, in particolare della California negli anni 60.
E’ una miscellanea di reportage, analisi profonde e memorie personali.
L’ultimo capitolo “Bei tempi addio” è il resoconto del suo arrivo a New York, per la prima volta a 20 anni e in estate. Una magnifica dichiarazione di amore per La Grande Mela, così carica di promesse per una giovane piena di sogni: «….ero davvero innamorata della città, la amavo come si ama la prima persona che ti tocca e come non amerai più nessun altro…..Capii che ero venuta dall’Ovest e avevo trovato un miraggio..».

 

Terry Newman “Legendary authors and the clothes they wore” -Harper Design- USA & 29,99
Questo è un libro fotografico molto interessante perché colleziona una serie di autori famosi e il loro modo di vestirsi. Uno sguardo nei loro armadi e nei loro stili.
Ritroviamo così una giovane bellissima Joan Didion in copertina, con una lunga tunica e infradito ai piedi. Ma ci sono altre due istantanee di grande intensità: lei magnifica donna nel pieno del fulgore nel 1977, e un’altra dell’anno prima che la ritrae all’esterno della casa a Malibu insieme al marito Gregory Dunne e alla figlia ancora bambina Quintana.
C’è anche una giovanissima Sylvia Plath in due foto, una del 1950 mentre lavora alla macchina da scrivere e l’altra del 1957.
In tutto sono 49 i mostri sacri del mondo delle lettere riuniti nel libro, ognuno con uno scritto in inglese che è breve biografia. Tra i nomi inclusi: Samuel Beckett, George Sand, Gertrund Stein, Virginia Woolf, Proust, Susan Sontag, Hemingway per arrivare a Donna Tartt, Nancy Mitford e Tom Wolfe.

 

 

Storie d’amore e libertà ai tempi della Cortina di ferro

Informazione promozionale / LIBRI

C’è un lui e c’è una lei, perché questo è un intreccio d’amore che si esalta nella fusione di due anime talmente distanti da risultare combaciabili. La passione è il loro filo conduttore, passione che si travasa dall’impegno sociale al sesso e viceversa.

 

DALLA KELETI ALL’ASTORIA  Il ciliegio di Csala

L’atmosfera è quella di un universo lontano – seppure geograficamente vicino – e il ritmo è incalzante, come quello della giovinezza – per qualcuno reale, per altri riacquistata nella maturità.
Romanzo storico, perché i fatti e il loro preciso contorno sono quelli della Cortina di ferro con le sue violente contraddizioni fuori dal tempo e dall’Europa del XX secolo. Siamo nell’Ungheria sul finire del 1956, nei tre mesi paradossalmente più caldi dell’anno, dove si incontrano i due popoli che l’autrice oggi frequenta nella sua esistenza reale: veneto e magiaro, per cui nulla dei profumi, dei sapori, dei luoghi è inventato e tutto si amalgama con vicende in qualche modo conosciute o comunque narrate da chi le ha vissute. C’è un lui e c’è una lei, perché questo è un intreccio d’amore che si esalta nella fusione di due anime talmente distanti da risultare combaciabili. La passione è il loro filo conduttore, passione che si travasa dall’impegno sociale al sesso e viceversa.

Ritmo incalzante, spezzato a tratti dall’immersione nel calendario politico dell’anno del Turbine (nome in codice dell’occupazione sovietica dell’Ungheria), con protagonisti lontani eppure vicini: il premier Nagy, Andropov capo del Cremlino, Nenni con le sue proteste e Togliatti e Ingrao che borbottano per i 110 intellettuali comunisti italiani critici verso il colpo di mano di Mosca.
Chi parla nel linguaggio secco ed essenziale in questa sorta di diario emozionante, è l’italiano che viene dalla drammatica esperienza di minatore in Belgio; chi lo avvince e ossessiona è l’irrequieta creatura “rocciosa come un uccellino”. La danza erotica si concede delle pause o avviene piuttosto viceversa; e si respirano l’incanto dei riflessi del Balaton, il profumo del pan di zenzero e del carbone fumante, la scodella di latte di capra da bere in fretta prima che il treno riparta, le marce militari alla radio di stato, le parole proibite sussurrate in biblioteca o nelle sontuose terme Szekenyi o nei caffè letterari che tanto ricordano gli incontri clandestini del nostro Risorgimento.

Un nuovo senso della vita riappare improvvisamente con gli occhi e il cuore di una ragazzina di vent’anni. Ci sono i vicini che ascoltano, ci sono le spie, l’Armata Rossa che staziona in città già prima della rivoluzione gentile e i soldati ungheresi che si strappano dai berretti la stella rossa per solidarizzare con i fratelli smaniosi di libertà. Eppure non è raro incontrare un cervo che si aggira tra le case, perché lì la natura mostra ancora i suoi segni. E c’è un segreto, il terribile segreto. Non voluta, dalle macerie di quel sogno di indipendenza, vedrete emergere quell’immagine che Eugène Delacroix dipinse nel suo La libertà che guida il popolo: la donna, personificazione dello spirito nazionale, che sulle barricate offre indomita al nemico il petto scamiciato. E poi c’è il ciliegio, il ciliegio di Csala.

L’AUTRICE

Sabrina Tonin nasce nel 1957 in un paesino da sempre dedito a commerci con i Paesi dell’Est, che diventano una sua seconda Patria. Lavora e vive infatti tra il Veneto e Budapest. Dopo il liceo si diploma alla Scuola Politecnica di Milano sotto la guida di Bruno Munari. Appassionata di letteratura, pittura, architettura e musica lirica, ama la scrittura che pratica per diletto personale fino al 2020, quando decide di partecipare a numerosi Concorsi letterari, ottenendo riconoscimenti anche internazionali. Nell’anno trascorso dal suo debutto vengono pubblicati quattro romanzi, Dalla Keleti all’Astoria è il suo primo lavoro, che lega la sua Patria natia a quella adottiva.

Pagina fb:

https://www.facebook.com/sabrinatoninart

Il libro è acquistabile ai seguenti link:
https://www.ilfilodiariannaedizioni.eu/?product=dalla-keleti-allastoria-il-ciliegio-di-csala

https://www.amazon.it/Dalla-Keleti-allAstoria-ciliegio-Csala/dp/B09KNGJ9X9/ref=sr_1_1?crid=2YIT2XR4P3EM1&keywords=dalla+keleti+all+astoria&qid=1642931431&s=books&sprefix=dalla+keleti+a%2Cstripbooks%2C78&sr=1-1

https://www.mondadoristore.it/Dalla-Keleti-all-Astoria-Sabrina-Tonin/eai979128003466/?utm_source=googleshopping&utm_medium=listing&utm_campaign=cpc&gclid=CjwKCAiAlrSPBhBaEiwAuLSDUHtqiZwpGGx9kdPsk0RnFUOKbuqraZLHiUN7dImsOvSjBy-2NwqVnxoCP5sQAvD_BwE&gclsrc=aw.ds

“Il fascino dell’imperfezione. Dialoghi con Domenico Quirico”

Presentazione del libro di Tiziana Bonomo al “FuoriLuogo” di Asti

Sabato 22 gennaio, ore 17,30

Asti

Interviste. Racconti. Documenti. Titolo: “Il fascino dell’imperfezione. Dialoghi con Domenico Quirico”. Al centro dell’intervista-narrazione quel grande professionista della cronaca giornalistica che tutti conosciamo: Domenico Quirico, astigiano, classe ’51, narratore acuto per “La Stampa” della “Primavera araba”, di guerre, rivoluzioni, migrazioni, rapito in Libia (per due giorni) nell’agosto del 2011 e il 9 aprile del 2013 in Siria per cinque terribili lunghi mesi, fino all’8 settembre. Cinque capitoli (“La lettura”, “L’accoglienza”, “L’Europa”, La vita”, “La fede”) “spalmati” con profonda sensibilità e il calore di una vivida tenuta emozionale in 280 pagine – e oltre settanta immagini – edite da “Jaca Book”, il primo libro di Tiziana Bonomo (torinese, alle spalle un lavoro  nel campo del marketing e nella comunicazione di grandi aziende internazionali, nonché nel 2016 vulcanica ideatrice e fondatrice di “ArtPhotò”, con cui promuove e sperimenta progetti legati alla fotografia di documentazione e di impegno sociale) “cerca di svelare – si legge nella prefazione – la percezione originale di un narratore del nostro tempo, restituendo la sua testimonianza vissuta in drammatica presa diretta sugli avvenimenti storici più rilevanti degli ultimi trent’anni”. Presentato nei giorni scorsi alla Biblioteca Civica “Nicolò e Paola Francone” di Chieri, l’opera prima (ne auspichiamo davvero altre) della Bonomo sarà presentata sabato 22 gennaio (ore 17,30) presso la “Casa della Cultura – FuoriLuogo” di via Govone 15 ad Asti. A moderare l’incontro, Davide Ruffinengo. Folgorata sulla via di Damasco dalla lettura di “Esodo. Storia del nuovo millennio”, in cui Quirico racconta dei viaggi fatti in compagnia dei migranti nei principali luoghi del Pianeta da cui essi partono e “in cui sostano e si riversano”, Tiziana Bonomo inizia un’opera di positivo stalkeraggio nei confronti del giornalista le cui parole “mi avevano fortemente commossa”. “Pazientemente – racconta – ho letto tutti i suoi libri, raccolto tutti i suoi articoli, le interviste televisive, gli incontri e le lezioni magistrali”. Il tutto per tre anni. Letture intervallate da numerosi incontri. Domande e domande. Riflessioni. Interrogativi. La voglia di capire, per bocca di chi li aveva vissuti e ne aveva scritto con coraggio e  limpida verità i grandi fatti della Storia. “Così ben presto – ancora Tiziana – la qualità delle nostre conversazioni ha fatto nascere in me l’ambizione di farlo conoscere a fondo attraverso un libro”. Idea accettata da Quirico, il cui consenso “mi ha spinto a proporre le interviste in maniera diretta, con il fascino della sua parola e con le imperfezioni (di qui il titolo del libro) che la generano”.

“L’opera di Tiziana Bonomo – sottolinea Riccardo Crisci, presidente di ‘FuoriLuogo’- è semplicemente importante, non ci sono altri termini per definirla. Testimonia ed al tempo restituisce il valore del lavoro del giornalista Domenico Quirico, riuscendo sapientemente a trasmetterne tutta la portata. Grazie alla moderazione di Davide Ruffinengo, dal palco si offrirà la possibilità di conoscere più da vicino innumerevoli sfumature del nostro mondo contemporaneo. Sarà un pomeriggio intenso e che lascerà infiniti spunti di riflessione”.

All’incontro, con l’autrice sarà presente anche Domenico Quirico. Prenotazione fino ad esaurimento posti a: eventi@fuoriluogoasti.com

Accesso consentito solo con esibizione del “ Super Green Pass”.

g.m.

Nella  foto:   Tiziana Bonomo

 

Gabriele Galantara. Satira, editoria e grafica

Venerdì 21 GENNAIO alle ore 17,30 al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Dino Aloi e lo storico Pier Franco Quaglieni in dialogo con l’autrice, presenteranno il libro di Emanuela Morganti “Gabriele Galantara. Satira, editoria e grafica (1892 – 1937)”, Pacini Editori. Un ritratto a tutto tondo di un artista poliedrico, la cui sterminata produzione figurativa spazia dall’illustrazione alla caricatura, dalla grafica propagandistico – pubblicitaria all’editoria, famoso per essere stato il fondatore, con Guido Podrecca, del settimanale satirico “L’Asino”.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Chiara Gamberale “Il ventre paterno” – Feltrinelli- euro 18,00
L’inizio di questo 15esimo romanzo della scrittrice romana vi affonda immediatamente una lama nel cuore. A parlare è il piccolo Rocco di 9 anni la cui famiglia in paese è chiamata i “Senzaniente”. Conosciamo subito la sua disperata povertà, quando il bimbo implora la bottegaia di dargli un po’ di latte per la madre che ha appena partorito il fratellino e ha i seni secchi. Non otterrà nulla e la mamma morirà di stenti e fame 3 giorni dopo.
Quel bimbo poi ha avuto il suo riscatto: ha sgobbato duramente ed è diventato ricco proprietario di un supermercato, ma la ferita di quella miseria se la porterà dentro per sempre.
22 anni dopo sarebbe diventato il padre della protagonista di questa storia, la 39enne Adele e il legame tra i due è strategico nella storia. Perché anche dal grembo paterno impariamo a chiedere e ricevere amore.
Rocco ha cresciuto i figli nel culto del dovere ed è stato inflessibile in questo dictat che è anche il suo modo di esplicitare l’affetto. La primogenita Adele è legatissima a quel padre che è stato il suo primo grande amore. Lei, venuta al mondo al posto dell’agognato maschio, ha assorbito tutte le alte aspettative paterne ed è cresciuta trovando forza in quell’amore che l’ha fatta sentire unica e con un posto speciale nel mondo affettivo di Rocco.

E’ diventata una donna indipendente, anche se si sta barcamenando in una fase lavorativa incerta. Negli anni 90 aveva partecipato a un reality insieme ad altre ragazze ricoverate come lei per gravi disturbi alimentari; la notorietà le aveva garantito la conduzione di un programma televisivo intitolato con un gioco di lettere
“L’adelescenza”.
Ora alla soglia dei 40 anni la fase adolescenziale sembra abbondantemente superata e il programma sta per passare in mani più giovani.

A un primo sguardo Adele pare sapere cosa vuole dalla vita e non avere problemi nell’andare a prenderselo. Anelava ad essere madre e lo è diventata con l’inseminazione artificiale; ora è genitrice single della piccola Frida…ma non tutto fila liscio.
A poco più di 2 anni la piccola sembra inciampare nelle parole e Adele si rivolge al neuropsichiatra infantile Nicola Attanasio. Grande affabulatore, sposato e con figli, narcisista che si ammanta di parole scarnificate di significato.

Eppure fa breccia nella corazza di Adele e i 2 diventano amanti. Lui non sembra intenzionato a lasciare la famiglia. Adele finisce per essere una sorta di postulante che implora brandelli di amore, scampoli di tempo ritagliati grazie a bugie e sotterfugi.
Una storia che diventa dolore per Adele che ancora si dibatte nel conflitto adolescenziale tra l’Adele grassa e quella magra: conflitto interiore tutt’ora irrisolto che la vede oscillare tra le due versioni di se stessa a seconda di situazioni e stati d’animo.

Un’empasse che riporta a galla anche i non detti della famiglia di origine di Adele, che le aveva inflitto una delle violenze più subdole possibili. Quella sottile e quotidiana della madre Teresa e del padre Rocco che pur non stando bene insieme ci erano rimasti nonostante l’incombere dell’amante di lui, Rita.
Insomma un romanzo che concentra più piani narrativi e temporali e mette a nudo i buchi dell’anima che possono frenare la felicità delle persone, svela come sia più capace di amore il silenzioso Rocco del verboso Nicola e parla di una maledizione che da economica si fa esistenziale.

 

Dominique Fortier “E tutt’intorno il mare” -Alter Ego- euro 16,00
La 49enne canadese Dominique Fortier è scrittrice, editor e traduttrice, vive a Montreal, nel Quebec, ed ha vinto il prestigioso premio del governatore generale per la narrativa in lingua francese. E’ l’autrice del profondo “Le città di carta” in cui raccontava la vita della poetessa Emily Dickinson attraverso i luoghi, le passeggiate e le poesie. Soprattutto è un’autrice di raffinata sensibilità che vanta uno stile unico, efficace, che va dritto al cuore.
“E tutt’intorno il mare” è un piccolo gioiello che omaggia i libri e l’importanza delle parole, in cui si intrecciano due storie in epoche e clima diversi, a 600 anni di distanza una dall’altra.
Una è quella del pittore Éloi, l’altra quella di una madre che ama giocare con le parole e non rinuncia alla scrittura.

La maestosa abbazia di Mont-Saint- Michel (edificata nel 708 per volere del vescovo Oberto sull’isolotto del Mont-Tombe e da allora luogo di preghiera) lambita dall’affascinante fenomeno delle basse e alte maree che la rendono unica, fa da fil rouge tra la vita dell’autrice e quella di un pittore del 400.
E’ Éloi Leroux, ritrattista innamorato pazzo della giovane nobildonna Anna che deve ritrarre per il marito. Tra i due sarà amore e passione segreta, solo che la fanciulla muore stroncata dalla febbre…e per Éloi si spegne la luce.
Disperato, viene accolto dal cugino Robert, frate superiore dell’Abbazia che vanta una delle biblioteche più prestigiose dell’epoca. In quel luogo di pace profonda il giovane che neanche sapeva leggere, impara a conoscere i volumi, la vita monastica, un erbario tra i più ricchi d’Europa, la laboriosità minuziosa dei frati amanuensi, e cresce in bravura come miniatore.

Circa 600 anni dopo, la scrittrice divenuta madre fatica a conciliare il nuovo ruolo con la passione per la scrittura e si interroga sull’attrazione per quel luogo: «Per molto tempo ho cercato di capire perché il Mont-Saint- Michel mi avesse fatto un’impressione così forte. Certo è maestoso, superbo, grandioso; ma perché mai, nella mia testa, la scoperta che ne feci era legata al bisogno, o più esattamente alla possibilità di scrivere?».
Ed ecco pagine in cui si mischiano invenzione letteraria e riflessioni personalissime, argomento storico e considerazioni sulle ricerche per il libro, sulla scrittura dopo la maternità.
La Fortier architetta un gioco sottile e abile; accosta i due percorsi del romanzo, legati entrambi a una rivoluzione, cercando sottili coincidenze tra loro. L’invenzione e la diffusione del libro a metà del XV secolo, e il cambiamento fondamentale nella vita di chi diventa genitore. Ecco dove si incontrano le due anime profonde di questo libro; passato e presente soffusi di immensa poesia.

 

Mariana Enriquez “La nostra parte di notte” -Marsilio- euro 22,00

E’ un corposo libro ambientato in un’Argentina sospesa tra la dittatura di Videla e occultismo, ricca di atmosfere gotiche e fantastiche. Inizia con il viaggio che fanno nello sterminato paese sudamericano un padre e un figlio, entrambi con sorprendenti doti da medium.

Il padre si chiama Juan Peterson ed è il medium di una società segreta devota al Culto dell’Ombra; ma anche parecchio vicina a un circolo di affari legato alla dittatura. Sia lui che il bambino sono in grado di convocare gli spiriti davanti alla società votata all’Oscurità, che rincorre la vita eterna anche praticando rituali di sangue, compreso il sacrificio umano. A quella apparteneva Rosario, la moglie defunta di Juan e madre di Gaspar.
Juan è bellissimo, ha occhi di un verde magnetico e doti eccezionali che lo mettono in contatto con l’al di là; ma non ne è per niente contento, anzi è stremato dalla sua vita al limite e preoccupato che la stessa sorte possa toccare al suo piccolo. Così seguiamo le vicende dei due in fuga, da Buenos Aires alle cascate di Iguazú, al confine brasiliano.

E man mano che procediamo nelle pagine ricostruiamo la vita dei protagonisti e di un corollario di personaggi.
Rosario, prima donna argentina laureata a Oxford, diventata antropologa, apparteneva a una delle dinastie più potenti dell’Argentina, i Reyes Bradford di origini britanniche; legati alla dittatura e praticanti culti esoterici per mantenere il potere. Si scopre che lo zio medico di Rosario aveva ripetutamente salvato la vita a Juan, fin da bambino afflitto da una grave malformazione cardiaca; più che altro aveva capito i suoi straordinari poteri e controllando il piccolo avrebbe potuto usarli per i suoi fini.

Mariana Enriquez, una delle voci più interessanti della letteratura portena, ci conduce in una grande saga fantastica, tra poteri misteriosi, foreste, campi disseminati di corpi e prigioni clandestine. Narrazione visionaria e sensuale, tra realismo magico e la realtà storica di un periodo drammatico della storia del paese sudamericano.
D’altra parte l’infanzia della scrittrice -nata a Buenos Aires nel 1973- è coincisa con la dittatura; e anche se lei era piccola, è inevitabile che la drammatica storia dei desaparecidos e della dittatura si affacci nelle sue strepitose pagine.

 

Paula Hawkins “Un fuoco che brucia lento” -Piemme- euro 19,90

La scrittrice nata in Zimbabwe, trapiantata a Londra dove è stata a lungo giornalista; dopo il bestseller internazionale “La ragazza del treno”, ora ci catapulta in una fitta rete di inganni, vendette e efferati omicidi.
Tutto ha inizio a Londra, su Regent’s Canal dove su una casa galleggiante viene scoperto il cadavere di un ragazzo brutalmente assassinato.
E’ Daniel Sutherland, rampollo caduto in disgrazia e finito a vivere su una casa galleggiante. I sospetti si concentrano su 3 donne.
Una è la vicina Miriam che scopre il cadavere, dà l’allarme ma tiene per se informazioni importanti.
Laura è invece la ragazza con cui la vittima ha trascorso l’ultima notte; ha un passato difficile, da bambina ha subito un pesante trauma, è in gravi difficoltà emotive ed economiche e vive isolata e senza affetti.
Poi c’è la zia di Daniel, Carla, anche lei gravata da un dolore mai metabolizzato.
Le tre donne non si conoscono ed appartengono a differenti strati sociali, ma hanno un fondamentale tratto comune: hanno subito un grave dolore che ne ha stravolto le vite, e covano in silenzio un rancore pronto ad esplodere.
Le loro storie si incrociano per caso e il lettore viene condotto nelle loro vite private, sospese tra passato e presente, tra molteplici scheletri negli armadi che movimentano parecchio la trama.

La Hawkins imbastisce una trama in cui si avvicendano continui colpi di scena, salta fuori un gigantesco castello di bugie, segreti, verità indicibili e sogni di vendetta.
E su tutto aleggia una domanda: per quanto tempo si riesce a mantenere un segreto difficile prima che venga smascherato e la brama vendicativa esploda?
L’autrice ha dichiarato che voleva esplorare come nessuna tragedia si verifichi indipendentemente dal resto: un incidente accaduto nell’infanzia può avere conseguenze decenni dopo, fidarsi della persona sbagliata può dirottare completamente una vita, e poi anche le persone più buone possono essere capaci di azioni orribili.

A Quaglieni il premio “Penna d’oro”

Al prof. Pier Franco Quaglieni, storico, giornalista e scrittore, che vive tra Torino e la Liguria, è stato conferito il Premio “Penna d’oro” sezione scrittori per il libro “Passione  per la libertà“ ed. Buendia Book.

Il Premio  che gli verrà consegnato a Roma, al centro culturale italiano “Carlo Antoni”,  ha la  seguente motivazione:  “Storico  eminente del Risorgimento e dell’età contemporanea, è noto per le sue posizioni  controcorrente, di cui ha dato prova come docente libero da pregiudizi ideologici, giornalista mai asservito a  schieramenti precostituiti, storico che si richiama alla grande  lezione di  Benedetto Croce e di Rosario Romeo“. E’ un chierico che non ha tradito anche nei due anni di pandemia dove costante e’ il suo richiamo al senso di responsabilità di tutti. Quaglieni è un patriota di altri tempi, un piemontese orgoglioso delle sue radici storiche e famigliari  che ama la Liguria ed è aldamente ancorato alla contemporaneità, un  raro maestro di libertà e di civismo“.

Quando le storie escono dai libri

Sabato 15 gennaio 2022 i più bei teatri di Moncalieri – le Fonderie Limone e il Matteotti – si rivolgono al pubblico dei più piccoli, ospitando Quando le storie escono dai libri.

Una rassegna in due tempi patrocinata dall’Assessorato alla Cultura della città insieme a Ministero del lavoro, Regione Piemonte e Fondazione CRT e curata dall’associazione culturale Bravo chi legge. Collaborano Pro Loco Moncalieri e Coordinamento Genitori Democratici.

Il primo appuntamento, tenutosi sabato 8 gennaio alle Fonderie Limone, è con il teatro disegnato di Gek Tessaro, che porta in scena per la regia di Lella Marazzini I bestiolini, ovvero la danza sgangherata dei molesti ma tenerissimi abitanti dei prati. La narrazione è allegra e giocosa, tenera talvolta, semplice tanto da essere adatta ad un pubblico anche di piccolissimi (dai 3 anni in su), ma ricca al contempo di spunti di riflessione. Sabato 15 gennaio il ritrovo è sempre alle 16, ma al Teatro Matteotti, per guardare insieme Il richiamo della foresta, pellicola del 2020 con Harrison Ford, tratta dall’omonimo classico di Jack London.

Entrambi gli appuntamenti sono ad ingresso gratuito e con prenotazione obbligatoria.

Due occasioni imperdibili per un piacevole pomeriggio in famiglia – commenta soddisfatta l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Nella prima la magia nasce dall’originale arte di Gek Tessaro, che dà vita a un gigantesco libro che si anima, si colora e si racconta. Nella seconda invece a parlare è l’immortale magia del grande schermo, con un classico che da più di un secolo affascina grandi e piccoli di ogni continente