La rappresentazione della morte ai tempi di Facebook

L’aldiqua

Da sei mesi a questa parte la signora Cristina Giordano era solita aggiornare il profilo Facebook del figlio Luca Borgoni, deceduto la scorsa estate sul Cervino. Le foto e i post pubblicati a nome suo erano un modo per tenerlo ancora in vita e conservare un contatto con gli amici. Qualche giorno addietro, il social network le ha bloccato l’accesso: la pagina è diventata commemorativa, così come prescrive il regolamento, dunque non può più essere modificata. Per ovviare a tale procedura, il titolare dell’account in vita dovrebbe nominare un contatto erede, cosa cui Luca non aveva provveduto a fare. La vicenda ha naturalmente commosso e suscitato commenti di varia natura. Sia pure in sintesi, si può utilizzare un approccio psicologico per comprendere meglio le dinamiche interiori e suggerire qualche elemento di riflessione.L’idea della morte come fine definitiva e totale della vita non trova spazio consapevole nella mente umana. Il nostro Io ha una capacità limitata di rappresentarsi la propria dissoluzione. Anche se la intendiamo come un evento razionalmente comprensibile, possiamo pensare alla morte in termini razionali, ma non siamo in grado di concepirla sul piano emotivo. Posto di fronte a questo evento tanto ineluttabile quanto inconcepibile, l’essere umano può mettere in atto un duplice meccanismo di difesa. Il primo consiste nel credere di poter continuare a vivere senza mai morire veramente. È la posizione delle dottrine che sostengono l’immortalità dell’anima, destinata a un nuovo e superiore ciclo di vita. Freud sostiene che tale idea di immortalità rappresenti una difesa estrema dal lutto: solo così l’Io riesce a mettere sotto controllo l’angoscia che comporta la fine dell’esistenza – personale o dei propri cari.Un secondo meccanismo consiste nel rifiutare l’esistenza di un mondo ultraterreno, propugnando il dissolvimento dell’uomo nel nulla eterno di foscoliana memoria. Una negazione paradossale, in quanto la mente umana, essendo una struttura finita, non può rappresentarsi nulla che sia infinito.

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L’uomo del Duemila ha la stessa incapacità di concettualizzare la morte che aveva l’uomo del Pleistocene. Le incisioni rupestri delle grotte di Lascaux o di Altamira, che avevano un ruolo centrale nelle pratiche religiose, erano probabilmente un modo per stabilire un contatto con la vita ultraterrena. Ritroviamo questo tipo di pensiero figurativo presso gli Egizi: i defunti giunti nell’aldilà avrebbero potuto essere confortati dalle riproduzioni degli oggetti a loro più cari e usuali. Ma la necessità di immaginare e visualizzare un’esistenza dopo la morte appartiene a tutti i popoli e culture antiche. L’uomo del Duemila non ha più a disposizione le pareti scabre di una caverna o di una piramide. Nel corso del XX secolo, inoltre, si è osservata una progressiva rimozione della morte dalla coscienza collettiva. L’aldilà raffigurato dalle civiltà passate ha perduto nella cultura “occidentale” attuale ogni connotato religioso e filosofico. Il rapporto con la morte sta cambiando in termini di peso, di significato, e i social media fungono in questo senso da cartina al tornasole. Le moderne tecnologie telematiche offrono oggi un affascinante muro virtuale, immateriale, senza limiti apparenti. L’esposizione pubblica del dolore e del lutto privato è diventata, ormai, una tendenza consolidata. Recente è stato il caso di Antonella Clerici che ha condiviso in Rete la notizia della morte del proprio cane, ottenendo una partecipazione considerevole di followers con gran dispendio di emoticon e faccine piangenti. Gli esempi di questo genere di esibizionismo, tipico dei personaggi pubblici più seguiti, non mancano. Drammatiche sono invece le immagini dei bambini uccisi dalla guerra in Siria, quella del piccolo Aylan annegato su una spiaggia turca, dei migranti morti in mare, delle esecuzioni messe in scena da Daesh. Tralascio qui il discorso riguardante il dark web, che propone video estremi e ripugnanti, realtà di portata più limitata. In ogni caso, la novità dell’età contemporanea sta proprio nello sdoganamento della morte come rappresentazione pubblica, nella collettivizzazione dell’esperienza del lutto e della sofferenza, nel segno del cosiddetto spirito social. Queste immagini, tuttavia, colpiscono l’emotività popolare solleticando un voyeurismo fine a se stesso e, solo raramente, scuotono le coscienze. Commentato e condiviso il post, versata la lacrimuccia d’ordinanza, si chiude la pagina e si prosegue la giornata. La partecipazione e i sentimenti di solidarietà appaiono tanto solerti quanto superficiali. Prevale un’opera di rimozione massiccia e, pare, piuttosto efficace. La Rete induce una percezione della morte che finisce per svuotarsi del suo senso più profondo.

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Dobbiamo evitare di cadere nella tentazione di esprimere un giudizio sul comportamento della signora Cristina che, mediante Facebook, non vuole lasciare andare Luca. La morte di un figlio è la tragedia più grande che possa accadere a un essere umano: l’elaborazione del lutto percorre strade impervie e difficoltose, talora inadeguate, sovente incomprensibili. In altri termini, si fa quel che si può. Lo sguardo degli sconosciuti è allora desiderato e inseguito per ottenere attenzione sulla propria condizione, per ricevere una testimonianza di vicinanza, un cenno di conforto che possa alleviare in qualche modo una sofferenza altrimenti indicibile. Tale comportamento, però, è anche la prova che la morte non è più un tabù da nascondere o metabolizzare nell’ambito della sfera privata, bensì un fatto pubblico: un evento condiviso non solo insieme ai propri cari, ma con utenti anonimi senza voce né corpo. Intesa e fruita in questo modo, la Rete diventa un aldiqua volto a consolare e rassicurare chi resta, garantendo un simulacro di immortalità a chi non c’è più. Non potendosi risolvere, il mistero angosciante della morte si dissolve per divenire una fantasia di sopravvivenza magica. Sotto i nostri occhi sta avvenendo un cambiamento di mentalità le cui linee evolutive sono ancora troppo difficili da delineare. Posta di fronte alla morte, la mente umana sta predisponendo nuovi meccanismi di difesa – o semplicemente aggiornando quelli consolidati.Restano da fare due brevi considerazioni. Facebook non va anzitutto considerato ingenuamente come uno spazio bianco neutro: La Facebook Inc. è un’azienda quotata in Borsa, un Grande Editore che, traendo guadagno principalmente dalla pubblicità, imposta di conseguenza le proprie strategie commerciali. La seconda riflessione riguarda proprio l’idea della morte cui accennavo sopra, che non andrebbe rimossa, ma pensata come parte della vita, di cui rappresenta non il termine, bensì il compimento. Il considerare la morte come condizione per vivere una vita piena e ricca di senso appartiene a tutta la cultura filosofica, da Seneca a Montaigne, da Spinoza ad Heidegger. Abbiamo a disposizione un tempo limitato, ogni esperienza e ogni persona amata sono preziose proprio in virtù della propria fuggevolezza.

 

Paolo Maria Iraldi