la precarizzazione genera crisi sociale

Occupazione e contratti lavorativi

Quotidianamente, da alcuni anni a questa parte, per l’esattezza a partire dall’insediamento del Governo Letta, veniamo mensilmente, per non dire quotidianamente, bombardati dai mass media dai dati sull’occupazione complessiva e giovanile; in quel periodo per chi non lo ricordasse nacque il famigerato tormentone noto a qualunque politico tesserato PD dal titolo “vediamo una luce in fondo al tunnel” che, molto probabilmente, passerà tristemente ai posteri come la sintesi di un quasi decennio italiano di pesante crisi economica, gestita nel peggiore dei modi da un sistema di potere lontanamente inquadrabile nella forma della rappresentatività. Ebbene di questi progressi annunciati a botta di incrementi di zero virgola in zero in virgola se ne sono visti ben pochi, anzi si è registrato il più alto flusso di emigrazione della nostra contemporaneità a partire dal secondo dopoguerra e, se 500.000 italiani in età di lavoro sono andati all’estero in cerca di miglior fortuna, che dire dei 375.000 pensionati che si sono trasferiti a vivere ovunque nel globo, selezionando con cura villette e appartamentini in paradisi esotici a basso costo? La soluzione di questa catastrofe degna di menzione biblica come sempre non si è incardinata su una sana quanto mai necessaria riforma della macchina istituzionale nel suo complesso, sterminando quelle sacche di clientelismo malsano così presenti trasversalmente da Nord a Sud e in ogni istituzione, bensì nello studio alchemico di nuove forme di contratti di lavoro subordinato o meglio non continuativo.

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Chi non ricorda il mago legislatore o forse meglio apostrofarlo, visti i pessimi risultati, stregone nel tirare fuori dal cilindro i famigerati voucher? Definito come buono di prestazione occasionale, superato i CO.CO.CO., il suo uso e soprattutto il suo abuso non ha da parte degli operatori di mercaro risolto la lotta alle retribuzioni in nero, ma, ancor peggio non ha sanato la grave forma di sfruttamento sociale incardinato nella precarietà, a maggior ragione se giovanile. Oggetto di proteste sociali, ancor a più alta voce da parte di chi, una volta eliminato a furor di popolo in quanto strumento iniquo, si è ritrovato senza una formula retributiva per quei collaboratori, specialmente nelle piccole attività, ne ricordo una in particolare, di vendita al dettaglio di pizzi e corsetteria da donna, in cui si presta qualche ora di servizio quotidiano, pur però non rientrando nel tempo parziale. Chissà cosa studieranno i nostri santoni consulenti del Ministero del Lavoro, quale nuova formula (qualcuno direbbe satiricamente di retribuzione derivata o ancora peggio subordinata), per ricordare le mostruose recenti esplosioni delle bolle speculative finanziarie; una cosa è certa: nessuno, sottolineo nessuno, sta mettendo al centro del discorso il Lavoro e il Lavoratore nel senso più alto del termine. Per superare ogni dubbio partiamo dall’origine o meglio dalla A, B, C: il Lavoro viene inteso quale necessità di prestazione d’opera e, nel momento in cui diviene stabile, quale mansione da parte di una figura professionale. Dunque, se il ruolo del Lavoratore all’interno del sistema produttivo diviene imprescindibile all’organizzazione aziendale nel suo scopo di promuovere un bene tangibile o un servizio, è secondo la natura delle cose che tale operatore goda di un contratto a tempo indeterminato. Questa deve essere la regola numero 1, il resto sono solo alchimie distorsive per precarizzare la mansione e, in tal senso, lucrare oltre il sano principio economico della giusta retribuzione e soprattutto della dovuta contribuzione.

 

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Se è vero come è vero che l’Italia ha, tra i molti mali dai quali è afflitta, anche quello dell’aliquota contributiva più alta a livello europeo, non è un bene studiare surroghe di modalità contrattuali in molti casi a favore delle multinazionali così ben ramificate sul territorio operanti nel settore della grande distribuzione: è mai possibile che il commesso di fiducia si sia estinto? Eppure il numero degli addetti nei grandi magazzini o ipermercati è sempre stabile… Ma il problema ancora più grande sta nel fatto che la precarizzazione genera crisi sociale, nel senso che se il giovane, nel pieno del proprio sviluppo sociale inteso anche quale fabbisogno primario di una casa, una macchina,… non può pianificare un progetto di vita, considerato che se non assunto a tempo indeterminato da due anni non troverà nessuna banca disponibile a effettuargli credito al consumo, figuriamoci un mutuo. Alziamo il livello del discorso per cortesia! Ragioniamo da persone mature e intellettualmente oneste, estirpiamo quella tanto atroce mentalità italica di aggirare gli ostacoli, di inventarsi scappatoie bizzarre, per non dire truffaldine, dalle gambe corte: mettiamo al centro il Lavoro, il bene supremo del Lavoro e certamente non esisteranno più razze e religioni o ideologie varie su questi temi: diamo una speranza non solo a questi Giovani ma al Paese stesso! Finiamola di vivere alla giornata e di tirare a campare, nella pubblica amministrazione sopravvivono delle baronie che, nel privato, sono state eliminate da anni, in quanto non più economicamente sostenibili; lo Stato fa l’esatto contrario: più i costi, spesso ingiustificati e ingiustificabili socialmente, sono alti e più si inaspriscono le tasse con effetti perversi sul gettito, vogliamo scomodare i danni provocati dal superbollo al mercato delle auto? Risultato nessuna auto di lusso e nessun superbollo pagato..

Lo Stato cerchi per una volta di essere forte con i forti, la sua funzione, infatti, dovrebbe essere quella di tutelare i deboli dai forti e non il contrario…

 

Carlo Carpi