Il puntaspilli- Pagina 7

Delitto e castigo

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

Il rispettato economista Rudi Dornbusch è famoso per avere detto che i cicli di crescita economica non muoiono di vecchiaia ma sono “assassinati” dalla Federal Reserve (la banca centrale americana). 

 

Si tratterebbe dell’eccessivo castigo (ben oltre la legittima difesa) di chi vuole rimettere in riga, dopo una fase di eccessi (troppa domanda di beni e servizi), l’economia che, sfuggita di mano, genera incontrollati e pericolosi aumenti dei prezzi.

 

E’ quanto stanno incominciando a temere gli analisti ora che anche la governatrice della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, dopo il suo omologo statunitense Jerome Powell, ha lasciato intendere che la politica monetaria, fatta di abbondanti acquisti di titoli e di tassi di interesse a zero, ha i giorni (mesi) contati.

 

I mercati finanziari non hanno tardato a reagire e la correzione subita dalle borse è stata sinora in linea con quanto storicamente è successo ogni qualvolta i tassi di interesse si sono mossi al rialzo ma senza provocare alcuna recessione.

 

Se questo si confermerà il caso. il calo del 15% subito dai mercati azionari potrebbe avere già in buona parte incorporato il cambiamento, dopo molti anni, di atteggiamento dei governatori delle banche centrali.

 

La correzione potrebbe essere solo un anticipo di quanto ci attende se, invece, dovessimo avviarci (anche a causa di una politica monetaria, fatta di tassi ufficiali in forte salita) ad un ciclo economico recessivo: in questi casi la discesa è stata mediamente superiore al 30%.

Per ora lo scenario principale rimane quello di un riassestamento delle elevate, valutazioni raggiunte dalle borse e dalle obbligazioni (frutto dei tassi vicini o addirittura inferiori allo zero).

 

Quello che è certo è che l’inflazione è uno “spettro” che si aggira anche in Europa (e non solo negli USA) es una BCE meno generosa rende la situazione italiana particolarmente delicata.

 

E’ noto che il nostro debito pubblico rapportato al PIL (il Prodotto interno lordo, la produzione nazionale) si colloca ai vertici mondiali (secondo solo a quello del Giappone) e una buona parte dei titoli obbligazionari emessi per finanziarlo (il 30%, era solo il 5% nel 2015) è nella cassaforte della BCE che con i suoi acquisti ha contribuito a mantenerne il costo sotto controllo.

A partire da marzo però la Banca europea comprerà quantità inferiori di BTP e diminuirà così anche la capacità (e la volontà) di mantenere i tassi di interesse di mercato vicini ai minimi storici.

 

Dopo il sospiro di sollievo tirato dopo l’elezione del capo dello Stato (dovuto alla ridotta incertezza sul futuro immediato) lo spread (il rendimento aggiuntivo richiesto per investire nei nostri titoli rispetto a quelli tedeschi) è tornato a salire, seppur di poco, reagendo al nuovo corso della politica monetaria.

 

Si tratta di un segnale da non ignorare: l’inflazione per sé potrebbe anche consentire di ridurre il valore reale del nostro debito (l’aumento del costo della vita erode il potere di acquisto dei redditi ma anche quello delle somme dovute) ma solo se riusciremo a mantenerne ad un livello inferiore i tassi che saremo chiamati a pagare.

 

E’ una sfida ardua che da un lato ci trova a combattere contro un nemico infido e che non possiamo controllare, l’inflazione, che in buona parte è frutto di variabili esterne come il prezzo delle materie prime, e dall’altro deve esserci di monito per quella che sarà la condotta di questo e dei prossimi futuri governi.

 

L’inflazione si può combattere e sconfiggere, la storia lo ha dimostrato, ma quello che non ci possiamo permettere è la perdita di credibilità nei confronti degli impegni presi con il PNRR.

 

Il ghiaccio sul quale stiamo pattinando è sottile e occorrerà muoverci con grande attenzione per evitare una dolorosissima rottura.

 

La situazione potrebbe migliorare con l’inizio del prossimo trimestre, finita la stagione fredda, quando i prezzi delle risorse energetiche dovrebbero stabilizzarsi e con loro il livello dell’inflazione (e la pandemia tornare a ritirarsi).

 

Sarà proprio nella riunione di marzo che nell’Eurotower di Francoforte la BCE deciderà i prossimi passi, sulla base dei dati che saranno stati pubblicati nel frattempo.

 

La responsabilità sulle spalle dei governatori delle banche centrali è pesante e ci vorrà tutta la loro attenzione per evitare di raffreddare troppo la crescita, alzando troppo i tassi proprio quando le pressioni inflazionistiche (dopo la forte accelerazione) potrebbero essere già in una fase di riduzione.

 

Il potenziale assassino può ancora decidere di non sparare al cuore della ripresa economica.

 

Proprio come Raskolnikov nel romanzo di Dostoevskij, esiste il rischio di compiere un delitto peggiore (l’uccisione della sorella della vittima designata/della ripresa economica) di quello inizialmente architettato (l’uccisione della vicina usuraia/dell’inflazione) e di doverne poi scontare il castigo.

 

Solo con l’arrivo della bella stagione saremo in grado di comprendere meglio l’evoluzione della situazione.

 

Potremmo allora davvero concludere, per citare José Saramago, che la forza della primavera non sarebbe niente se non avesse dormito l’inverno.

 

InCollato

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

La conferma del Presidente Mattarella mette fine alle incertezze legate alla permanenza dell’attuale governo alla guida del Paese per il prossimo anno, almeno fino alla prossima tornata elettorale (le elezioni parlamentari della primavera del 2023).

Si può tornare a pensare all’economia del nostro Paese e all’implementazione di quanto occorre per potere ricevere (e poi ben utilizzare) le risorse che ci spettano nell’ambito del Next Generation Plan.

Quest’anno saranno circa 40 i miliardi di euro messi sul piatto (pari al 2,2% del Pil italiano) e pronti per essere investiti.

Si tratta di una consistente tranche di un massiccio piano (il PNRR) che comprende 68,9 miliardi di aiuti a fondo perduto e 122,6 di prestiti agevolati (da restituire nei prossimi anni).

Dopo avere ricevuto i primi 24,9 miliardi nel 2021 i prossimi fondi sono subordinati al raggiungimento di una serie di obiettivi concordati con la commissione europea.

I primi 51 obiettivi fissati nel PNRR sono stati raggiunti prima di Natale e nel prossimo mese si dovrebbero rendere disponibili, pronti per essere investiti, altri 24,1 miliardi di euro.

Quest’anno gli obiettivi da raggiungere raddoppiano a 102: 66 di questi saranno costituiti da riforme che dovranno essere approvate dal Parlamento.

E’ davvero difficile sottovalutare l’importanza di mantenere una guida solida e credibile in presenza di variabili esterne (le pressioni provenienti dalle rinate pressioni inflazionistiche e da una graduale normalizzazione, dopo anni molto generosi, delle politiche monetarie in tutto il mondo ed il mutevole riassetto degli equilibri geopolitici tra Stati Uniti, Cina e Russia) ed interne (la gestione della pandemia e della coesione del governo) assai difficili da prevedere ed amministrare.

I mercati finanziari stanno attraversando, con qualche sussulto ed una malcelata preoccupazione, la transizione da una lunga epoca di tassi di interesse bassissimi, banche centrali benevole e totale assenza di inflazione (e modesta crescita economica) ad una fase di accelerazione economica (dopo la brevissima ma violenta recessione del 2020) messa però a rischio da un fortissimo aumento dei prezzi delle materie prime (e dei prezzi al consumo di prodotti e servizi).

La stabilità è la migliore ricetta (qualunque sia il giudizio sul governo in carica) per fronteggiare una simile situazione; per poterla affrontare nel modo migliore, il Presidente Mattarella ha accettato di rimanere “incollato” al colle dal quale si apprestava a traslocare.

Con 759 voti su 983 votanti (pari al 77%) il riconfermato capo dello Stato diventa così il secondo più votato della nostra storia repubblicana (dopo Sandro Pertini eletto con 832 voti) e c’è da auspicarsi che un simile plebiscito possa essere di buon auspicio.

I prossimi sette anni potrebbero davvero traghettare il nostro Paese in una nuova era caratterizzata da una forte spinta alla sua modernizzazione (attraverso gli investimenti previsti nel PNRR per la digitalizzazione, le riforme in cantiere e le infrastrutture che ne miglioreranno la logistica).

Il rischio, se non sapremo fare tesoro di queste enormi potenzialità, è di non avere una seconda occasione per fare ricredere coloro che sono da sempre scettici sul Bel Paese e che condividono quanto scriveva Indro Montanelli: “Strano Paese il nostro: punisce i venditori di sigarette ma premia i venditori di fumo”.

Va pensiero

IL PUNTASPILLI    di Luca Martina 

 

Le ultime settimane hanno dato molto da pensare agli investitori dei mercati azionari. 

 

Dopo un brillante 2021, riflesso di una crescita economica che, dopo il forte rallentamento dell’anno precedente, non si vedeva da molto tempo, il nuovo anno, il terzo D.C., Dopo (l’inizio del) Covid, non è iniziato sotto i migliori auspici.

 

Le discese delle borse hanno “bruciato”, per ora, solo una parte della salita che avevano messo a segno ma in alcuni casi, per i settori ed i titoli che più avevano corso, si è trattato di una discesa già molto “dolorosa”.

 

Si tratta per lo più di società del settore tecnologico, che, in quanto beneficiarie per la loro attività dell’economia al tempo del Covid, erano state premiate dagli acquisti di clienti ed investitori.

 

Le azioni più rappresentative, le “FAANG” (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google/Alphabet), sono scese in un mese del 15% circa.

 

Peggio, molto peggio, si sono comportati i titoli più amati (e “sexy”) dagli investitori, appartenenti ai settori più innovativi e con la crescita futura più interessante (ma che presentano ancora, per lo più, bilanci in fortissimo passivo).

 

Si tratta delle società selezionate ed acquistate dalla celebre analista Cathie Wood per il fondo, da 16 miliardi di dollari, Ark Innovation Fund, da lei gestito: dopo avere perso il 23% nel 2021 (un anno positivo per i mercati azionari…) ha subito un ulteriore fortissimo calo del 25% a gennaio.

 

Per non parlare, poi, di un altro protagonista assoluto degli ultimi anni,  popolarissimo tra i giovani investitori di tutto il mondo, il Bitcoin, che ormai si è più che dimezzato (a circa 31.000 dollari) rispetto ai massimi di fine ottobre.

 

La soglia del dolore si è invece limitata a perdite del 10% circa per tutti i principali mercati borsistici mondiali.

 

Quanto basta, comunque, per instillare nella mente dei risparmiatori il pensiero ossessivo di dovere evitare ulteriori sofferenze e di iniziare a liquidare le posizioni presenti nei propri portafogli.

 

Il pessimismo è, dunque, tornato a regnare e, se la storia ci deve insegnare qualcosa, si tratta del momento peggiore per obbedire supinamente ai nostri istinti.

 

Proprio su questo tema gli americani Daniel Kahneman e Vernon Smith hanno ricevuto il premio Nobel per l’economia del 2002.

 

Kahneman, uno psicologo ed economista, è ritenuto uno dei padri dell’economia comportamentale, la disciplina che studia gli effetti provocati sulle decisioni dalle reazioni psicologiche ed emotive e dai fattori sociali e culturali.

 

Già nel 1979, insieme allo psicologo israeliano Amos Tversky, Kahneman aveva elaborato la cosiddetta “teoria del prospetto” ed una delle sue conclusioni era che gli esseri umani attribuiscono un maggior effetto negativo alle perdite rispetto ai guadagni (anche quando questi sono stati superiori alle perdite successivamente subite).

 

Ma è nel suo libro di maggior successo, “Pensieri lenti e veloci”, che viene spiegato dal premio Nobel come le emozioni influenzino i comportamenti degli investitori rendendoli assai poco razionali.

La paura generata dalla discesa del valore del proprio patrimonio produce, infatti, una risposta immediata nel nostro cervello, in una regione chiamata amigdala, generando i “pensieri veloci” (istintivi, che non vengono, faticosamente, elaborati).

 

Si tratta di due piccole ghiandole che, rilasciando degli “ormoni dello stress”, attivano una parte del sistema nervoso (il sistema nervoso simpatico) coinvolto in quelle funzioni definite di «attacco o fuga» e spingono alla liquidazione (nel panico) dei propri investimenti.

 

Questo non deve naturalmente farci sottovalutare i rischi che, come risparmiatori, ci troviamo quotidianamente ad affrontare: dalla pandemia ancora da debellare, alla ripartenza dell’inflazione; dalla presenza di banchieri centrali meno compiacenti, ai tassi di interesse nuovamente in salita (con conseguenze negative sul prezzo delle obbligazioni e, potenzialmente, degli immobili).

 

Ma essere consapevoli delle nostre emozioni, elaborandole con il “pensiero lento” (frutto di faticose riflessioni e pazienti elaborazioni delle informazioni), anche quando amministriamo i nostri risparmi, può aiutarci a ridurre gli errori che siamo portati a fare quando, disperati ed in balia degli eventi, decidiamo di liquidare indiscriminatamente le nostre posizioni (o ad investire, senza badare ai pericoli, quando tutto sembra andare bene).

 

 

Per concludere: Karl Kraus, lo scrittore e umorista corrosivo ceco, scriveva che “La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe anche il pensiero…”.

 

Va’, pensiero…molto meglio se lento!

Io e il Presidente

IL PUNTASPILLI     di Luca Martina 

Sette sono gli anni, “di studio matto e disperatissimo”, che Giacomo Leopardi trascorse a imparare, senza l’aiuto di alcun maestro, il greco, l’ebraico, il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco, a studiare i classici e a scrivere alcuni dei suoi immortali componimenti.

Lo stesso periodo di tempo fu trascorso dall’alpinista austriaco Heinrich Harrer in Tibet dove, dopo una serie di vicissitudini, incontra il Dalai Lama, l’attuale Tenzin Gyatso, allora tredicenne, stringe con lui una intensa amicizia, ne diventa il tutore e gli impartisce lezioni di inglese, geografia e scienze.

Nel 1950 l’avanzata cinese obbligherà il “Maestro Oceanico (di saggezza)” (questo il significato di “Dalai Lama”) all’esilio in India e Harrer a lasciare il Paese.

 

Tra il 1756 e il 1763 fu combattuta tra le principali potenze europee la “guerra dei sette anni”.

Churchill, nella sua “Storia dei popoli di lingua inglese”, la definì “la prima vera guerra mondiale” in quanto venne combattuta anche nei territori coloniali in America, Asia ed Africa.

Fu proprio l’Inghilterra a trionfare, conquistando, tra gli altri possedimenti, il Canada, mentre segnò il declino del colonialismo francese.

Omero narra che la ninfa Calipso, innamoratasi di Ulisse lo trattenne sull’isola di Ogigia, dov’era naufragato, offrendogli invano l’immortalità, per ben sette anni.

Le lacrime di Odisseo, che desideroso di tornare ad Itaca, alla fine convinsero Athena a intercedere presso Zeus che a sua volta inviò Ermes da Calipso, che, seppur a malincuore, acconsentì infine a liberare Ulisse.

 

Ci si augura che il mandato che attende il nostro prossimo Presidente sia meno travagliato di quelli sopra descritti.

Come ci ricorda Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale: “Il primo compito di un presidente è quello di assicurare al Paese un governo e quindi una maggioranza parlamentare che lo sostenga.”

Molto dipenderà dall’interpretazione che il prossimo Capo dello Stato vorrà dare alla sua figura ricordando che, per utilizzare una metafora coniata da Giuliano Amato, le sue competenze si ampliano o si restringono “a fisarmonica”.

E’ difficile sottovalutare l’importanza che l’esercizio di questo ruolo avrà nei prossimi anni e, come ammoniva lo zio di Peter Parker (lo Spiderman dei fumetti, creato dallo scrittore Stan Lee e dal disegnatore Steve Ditko), “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.  

Ciò del quale abbiamo bisogno oggi più che mai non è un super-eroe bensì un personaggio carismatico ed autorevole, con una visione chiara del presente e lo sguardo puntato sul futuro, capace di farsi ascoltare e rispettare anche al di fuori del nostro Paese.

A me piacerebbe che il nuovo, uomo o (e sarebbe tempo) donna, che salirà al Colle, sapesse incarnare alcune delle caratteristiche migliori dei nostri Presidenti del passato.

Enrico De Nicola, il “presidente galantuomo”, ad esempio, teneva separati i conti personali da quelli pubblici, pagandosi i francobolli, l’inchiostro e la carta per la corrispondenza privata.

Lasciò nel suo ufficio presidenziale a Palazzo Giustiniani, sede del senato, preferito al troppo fastoso Quirinale, il portasigarette d’oro ricevuto in dono da Eva Peròn e respinse al mittente il televisore, uno dei primi in circolazione, omaggio della Rai, rispondendo che l’avrebbe mandato a ritirare una volta pagato in rate mensili.

Pertini secondo Saragat “era della stoffa di cui sono fatti gli eroi” e quando lasciò il suo studio al Quirinale tornò indietro a spegnere la luce.

Proverbiale è stata poi l’attenzione al bilancio pubblico ed alla gestione attenta e scrupolosa della cosa pubblica di Luigi Einaudi.

Paradigmatico è l’episodio raccontato, qualche anno dopo, da Ennio Flaiano, invitato con altre persone a cena al Quirinale, sul Corriere della Sera che ritengo valga la pena di essere riletto:

“Ma eccoci alla frutta. Il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa: c’era di tutto, eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti, delle pere molto grandi. Luigi Einaudi guardò un po’ sorpreso tanta botanica, poi sospirò: «Io» – disse «prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che ne vuole dividere una con me?».  

Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo: era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico. Durante la sua lunga carriera mai aveva sentito una proposta simile, ad una cena servita da lui, in quelle sale.  

Tuttavia lo battei di volata: «Io Presidente», dissi alzando una mano per farmi vedere, come a scuola. Il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise la metà su un piatto, e me lo posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista. Un tumulto di disprezzo doveva agitare il suo animo non troppo grande, in quel corpo immenso. «Stai a vedere» – pensai – «che adesso me la sbuccia, come ai bambini». 

Non fece nulla, seguitò il suo giro. Ma il salto del trapezio era riuscito e la conversazione riprese più vivace di prima: mentre il maggiordomo, snob come sanno esserlo soltanto certi camerieri e i cani da guardia, spariva dietro un paravento.  

Qui finiscono i miei ricordi sul presidente Einaudi. Non ebbi più occasione di vederlo, qualche anno dopo saliva alla presidenza un altro e il resto è noto. Cominciava per l’Italia la repubblica delle pere indivise.” 

Tornando al settennato, la Genesi racconta, forse per la prima volta nella storia, l’alternarsi di un ciclo economico positivo (sette anni di vacche grasse) e recessivo (i successivi sette anni di vacche magre).

Al faraone appaiono, in un sogno angoscioso, sette vacche grasse e di bello aspetto che vengono prima affiancate e poi divorate da altre sette vacche brutte e magre.

Il sovrano dell’Egitto chiede aiuto a Giuseppe, il penultimo dei dodici figli di Giacobbe, che detenuto in carcere aveva fama di interpretare i sogni dei carcerati.

Giuseppe, novello economista, raccomanda di conservare la produzione in eccesso per gli anni di carestia attraverso uno dei primi prelievi fiscali documentati dell’antichità (un quinto dei prodotti: il 20%).

Anche noi potremmo avere di fronte diversi anni positivi (grazie, nell’ambito del piano di rilancio economico europeo “Next Generation”, al PNRR) che dovranno essere ben amministrati per potere affrontare serenamente la fase successiva che, come avviene ciclicamente in economia, sarà inevitabilmente meno propizia.

Io sogno un Paese che, anche grazie ad un grande capo dello Stato, sia capace di gestire l’abbondanza per affrontare al meglio le sfide che ci presenterà il futuro, ricco di opportunità ma anche di pericolosissime insidie (a partire dall’enorme debito pubblico).

Sperando che le pere troppo grandi si possano dividere con saggezza e non siano invece lasciate, avanzate, a marcire nei piatti sporchi…

La roulette russa

IL PUNTASPILLI di Luca Martina  

La fortissima salita dei prezzi del gas, alla quale abbiamo assistito negli ultimi 12 mesi, è stata dovuta in buona parte alla ripresa dell’economia, iniziata già a partire dalla metà del 2020.  

I colli di bottiglia dovuti ad una subitanea ripresa della domanda di beni e servizi, senza che fosse possibile soddisfarla prontamente a causa delle fabbriche ancora a regime ridotto (dopo le chiusure e le riduzioni di personale)  ed alla mancanza di scorte nei magazzini (non ricostituite durante la prima fase della crisi), hanno causato l’aumento parabolico dei prezzi di molte materie prime (diventate merce scarsa e richiestissima) e, successivamente, si sono tradotti anche in elevati incrementi dei prezzi al consumo e, dulcis in fundo, in inflazione.

Ma a questo ha anche contribuito la elevata instabilità politica di molti dei Paesi produttori e, almeno nella prima fase, le condizioni atmosferiche che hanno ridotto la produzione di energia idroelettrica.

Occorre ricordare qui come il mercato del gas naturale sia molto “regionale”: i Paesi europei si riforniscono prevalentemente dalla Russia mentre il mercato americano è in buona parte autosufficiente.

Il nostro Paese, ad esempio, nel 2019 ha importato il 46% del gas consumato dalla Russia (tramite un gasdotto che attraversa il territorio ucraino) mentre il 19% proveniva dall’ Algeria ed il rimanente da Qatar, Norvegia e Libia.

E’ così accaduto che il prezzo del gas sia rimasto sostanzialmente stabile negli Stati Uniti a differenza di quanto avvenuto in Europa ed in Asia.

  Il riacuirsi della crisi tra la Russia e l’Ucraina è stata la classica benzina (o gas…) gettata sul fuoco.

Il conflitto tra i due Paesi è iniziato quasi otto anni fa, nel febbraio del 2014, con l’occupazione russa della Repubblica di Crimea (che apparteneva per legge all’Ucraina) e il sempre maggiore avvicinamento, con la potenziale adesione alla NATO, di Kiev ai Paesi occidentali (che secondo Putin, dopo la rivoluzione del 2014, controllerebbero il Paese) ha provocato la reazione russa (con un massiccio schieramento di truppe ai confini) degli ultimi mesi.

Putin ha disposto inoltre prima la cessazione delle esportazioni di carbone all’ex repubblica sovietica e, successivamente, l’utilizzo del nuovo (appena terminato) gasdotto “Nord stream 2” che consentirà di tagliare fuori l’Ucraina (riducendone così le entrate percepite per questo “passaggio”) dal percorso del gas esportato.

Questo gasdotto sarà in grado di portare nel cuore dell’Europa il gas russo attraverso il mar Baltico ed è stato a lungo avversato sia dagli Stati Uniti che dalla Commissione europea (che deve ancora concedere i permessi necessari, anche se la Germania, con il suo nuovo governo, potrebbe presto sfilarsi) per questioni ambientali e di sicurezza.

Il presidente russo ha reagito con sempre maggiore insofferenza alle critiche, provenienti dai governi occidentali, al suo atteggiamento nei confronti di Kiev ed ha utilizzato senza grandi scrupoli le forniture energetiche per rendere più “malleabili” i paesi importatori.

Uno degli effetti collaterali di questa situazione è stata la creazione di forti tensioni, particolarmente evidenti nei Paesi dove il prezzo del gas, dapprima calmierato, è stato lasciato libero di salire, provocando un forte scontento tra la popolazione.

Ciò è quanto avvenuto in Kazakistan dove le proteste popolari si sono sommate alle richieste di maggiori libertà democratiche (il presidente in carica Tokajev è filorusso ed ha sempre risposto a queste istanze con estrema durezza).

Il Kazakistan e l’Ucraina rappresentano due dei più importanti stati-cuscinetto che hanno storicamente consentito alla Russia di approvvigionarsi di materie prime e di tenere lontani da Mosca, il cuore del Paese, i propri nemici.

Impensabile quindi che l’ex impero zarista si rassegni a rinunciare completamente al controllo (diretto o indiretto) dei territori che la “proteggono”, ad ovest dagli altri Paesi europei della sfera atlantica ed a sud dalla Cina e dalle repubbliche islamiche.

Non sembra perciò realistica, per il prossimo futuro, una totale cessazione delle tensioni e tanto meno la creazione di stati pienamente democratici nell’ambito dei Paesi appartenenti alla Comunità degli stati Indipendenti (la CIS).

Il rischio che la situazione sfugga di mano esiste ma la realpolitik dovrebbe condurre ad una stabilizzazione che consentirà una riduzione delle pressioni sul prezzo del gas ed un suo graduale ritorno a livelli più simili a quelli praticati oltreoceano dai produttori statunitensi.

Il ricorso alla forza rimane improbabile anche se è purtroppo impossibile sapere se, come in una pericolosa roulette russa, la pistola puntata alla tempia sia carica o no.

La Russia, un po’ come la Cina, rivendica sempre di più un ruolo di primo piano nello scacchiere geopolitico mondiale e questo è uno degli effetti del cambiamento di rotta, con un crescente disimpegno a livello internazionale, operato dagli Stati Uniti: iniziato dalla presidenza di Barack Obama, proseguito poi, con ancora maggiore decisione, da Donald Trump e non certo smentito, sinora, da Joe Biden.

Chi è causa del suo male…

L’anno che verrà

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

L’anno che abbiamo davanti pone ai risparmiatori l’usuale dilemma: dove investire il proprio denaro per cercare di preservarlo dal ritorno dell’inflazione?  

Come scrivevo la settimana scorsa (“La strana coppia”, https://iltorinese.it/2021/12/28/la-strana-coppia-tassi-di-interesse-e-inflazione/ ) i titoli obbligazionari emessi dai governi (i nostri BTP e CCT) non rappresentano più una scelta in grado di proteggere il valore reale dei nostri risparmi in quanto il rendimento offerto anche dai titoli con scadenza più lontana è ben al di sotto non solo del tasso di inflazione attuale ema anche di quello che potremmo vedere nei prossimi anni.

La scelta più ovvia (a patto di affrontarne consapevolmente i rischi) parrebbe allora quella di investire, tramite i mercati azionari, nelle aziende che beneficeranno, con i loro fatturati e utili, della futura crescita economica.

Questo non deve però farci dimenticare che l’allocazione del proprio patrimonio dovrebbe essere il frutto, in primo luogo, della propria propensione al rischio (una componente da valutare in anticipo, da soli ma anche con l’aiuto di un consulente che sia in grado di farlo senza essere direttamente coinvolto emotivamente).

Ci sono poi tutte le incertezze (pericoli e opportunità) legate al quadro circostante.

Possiamo allora cercare di identificare una serie di fattori che influenzeranno l’andamento dei mercati finanziari (azioni e obbligazioni) nel corso del prossimo anno.

L’inflazione è certamente l’argomento che da alcuni mesi più fa discutere: la sua crescita desta preoccupazione e continuerà a farlo sino a quando non assisteremo ad una sua discesa dai livelli attuali.

La tesi prevalente è che ciò possa iniziare ad avvenire nella seconda parte del prossimo anno e questa è una delle ragioni che ha limitato, per ora, la salita dei tassi di interesse a lungo termine (gli investitori scontano già la possibilità che tra qualche anno l’inflazione tornerà su livelli meno preoccupanti).

Questa evoluzione potrebbe rendere meno decisa (e aggressiva) la linea di azione delle banche centrali (a cominciare dalla Federal Reserve statunutense) il cui principale obiettivo è la stabilità dei prezzi (ovvero un limitato, intorno al 2%, livello di inflazione).

La generosità dei “signori della moneta” è stata una dei fattori principali che ha consentito la salita dei mercati finanziari dell’ultimo decennio e il cambiamento di rotta seppur inevitabile (e atteso) porta sempre con sé i rischi legati ad una “inversione a u” effettuata a grande velocità.

Meglio allora avere la possibilità di effettuare una simile manovra con maggiore calma e gradualità ed in condizioni di sicurezza, così da non innervosire i mercati finanziari e consentire un riallineamento senza traumi (né per i titoli obbligazionari né per quelli azionari) delle aspettative degli investitori.

Nel frattempo dovrebbero nel corso del 2022 materializzarsi gli interventi che tutti i governi del mondo hanno approntato nei mesi scorsi, consentendo così un consolidamento della ripresa economica seguita allo shock provocato dalla pandemia nei primi trimestri del 2020.

Naturalmente ad un anno che tutti ci auguriamo finalmente sereno dovrà necessariamente contribuire un miglioramento delle preoccupazioni legate alla pandemia.

La graduale riduzione della gravità delle infezioni e l’arrivo di farmaci per poterle curare potrebbero contribuire a diminuire l’incertezza che è ancora uno dei sentimenti prevalenti sul nostro futuro immediato.

In questo scenario, indubbiamente ottimista, la crescita degli utili aziendali sosterrebbe ancora l’andamento delle borse pur non preservandole, viste anche le elevate valutazioni ed il livello di ottimismo, da periodiche (seppur temporanee) correzioni.

Una maggiore prudenza su una delle variabili menzionate (inflazione, azione delle banche centrali, andamento economico e diffusione della pandemia) dovrebbe, al contrario, indurre ad investimenti a basso rischio e tendenzialmente non azionari, come le obbligazioni a breve termine (con rendimenti negativi) o la liquidità sul conto corrente.

Per noi italiani esiste inoltre un ulteriore elemento di incertezza legato alla durata del governo in carica.

Una “promozione” dell’attuale primo ministro alla presidenza della Repubblica rappresenterebbe una discontinuità che non sarebbe (almeno nel breve termine) apprezzata dagli investitori, come testimonia l’aumento dello “spread” (la differenza di rendimento, riflesso del maggior rischio associato, tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi) nelle ultime settimane.

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà. Noi ci stiamo preparando e questa è (forse) la novità…

La strana coppia (tassi di interesse e inflazione)

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

 

I risparmiatori sono sempre più sconcertati dalla mancata protezione fornita ai loro risparmi dai titoli di Stato.  

 

Non parliamo solamente del nostro mercato, di BTP e CCT, ma di tutte le obbligazioni emesse dai principali Paesi sviluppati.

 

Il tasso di interesse, il rendimento dei titoli obbligazionari, dovrebbe garantire che i capitali concessi in prestito (nient’altro che questo, infatti, si tratta quando si acquistano dei titoli di Stato) possano essere rimborsati mantenendo invariato il loro potere di acquisto.

 

La remunerazione ricevuta dagli obbligazionisti dovrebbe perciò essere tale da ricompensarli per la perdita di spesa generata dagli aumenti dei prezzi che ci si aspetta si verifichino (l’“inflazione attesa”) dal momento del prestito a quello del suo rimborso.

 

Questo non sembra proprio essere quanto sta avvenendo di questi tempi e, per citare Warren Buffet (il celebre investitore statunitense): investire è semplice ma non è facile.

 

L’inflazione, “rara avis” sino all’inizio dell’anno, è da qualche mese in rapidissima salita.

 

Negli Stati Uniti si è passati dall’1,5% di gennaio al 6,8% di novembre e nel nostro Paese è salita dallo zero al 4% circa.

 

Questa risalita è stata a più riprese (e secondo chi scrive) correttamente attribuita in buona parte ai colli di bottiglia generatisi dopo la ripartenza della crescita economica (domanda di beni e servizi), che ha superato la capacità di fornire prontamente quanto veniva richiesto (le imprese avevano ridotto le scorte di magazzino durante il primo anno di pandemia e la ripartenza del processo produttivo ha richiesto più tempo).

I fattori che hanno provocato il surriscaldamento dei prezzi dovrebbero mitigarsi a partire dalla prossima primavera e questo dovrebbe essere sufficiente a “raffreddare” la temperatura, ora al calor bianco.

 

Rimane però il fatto che i rendimenti delle emissioni governative sono aumentati da inizio anno (provocando una discesa dei prezzi dei titoli) ma solo in minima misura rispetto non solo all’attuale tasso di inflazione (“temporaneamente” molto elevato) ma anche ad un livello più “normale” del 2-2,5%.

 

Oltreoceano, infatti, il titolo governativo decennale rende oggi l’1,49% mentre il nostro BTP con uguale scadenza frutta solo l’1,1% (e il titolo a 5 anni lo 0,34%).

 

Le spiegazioni fornite a questo apparente paradosso sono di tre tipi.

 

Da un lato ci sono coloro che accusano le banche centrali di avere falsato irrimediabilmente il funzionamento dei mercati attraverso i loro massicci e reiterati interventi di acquisto di titoli (il cui rendimento risulta così molto più basso di quanto dovrebbe essere).

 

C’è poi chi ritiene gli investitori obbligazionari estremamente razionali (in contrapposizione alla presunta irrazionalità di quelli azionari) ed informati; in quest’ottica i (bassissimi) tassi di interesse rifletterebbero qualcosa di molto negativo: una recessione sarebbe nuovamente alle porte e con questa la fine dell’inflazione (la diminuzione della domanda di beni e servizi porterebbe alla discesa dei loro prezzi, dopo la salita di quest’anno).

 

In verità risulta difficile negare, almeno in parte, le ragioni di questi primi due gruppi ma cionondimeno ci sembra che la realtà sia ben più complessa.

 

I mercati del reddito fisso sono sempre più dominati da quattro diverse categorie di operatori (che superano in importanza gli investitori tradizionali):

 

  • Gli speculatori che agiscono sulla base di algoritmi, noncuranti del livello assoluto dei tassi di interesse (e che “giocano” sul differenziale tra tassi a lungo e tassi a breve, la “pendenza” della curva);
  • Gli investitori “ufficiali”, le banche centrali ed i governi, che intervengono per perseguire i loro obiettivi di politica monetaria (per sostenere o rallentare l’economia) o per stabilizzare la propria valuta nazionale;
  • I grandi fondi pensione, le compagnie assicurative e le banche che acquistano titoli obbligazionari per allocare parte delle proprie attività a basso rischio (come dettato dagli organi regolamentari);
  • Gli investitori privati che perseguono il profitto tramite i mercati azionari e che utilizzano le obbligazioni governative per abbassare il rischio complessivo dei loro portafogli.

 

La presenza di questi attori sul mercato rende meno “inspiegabile” l’attuale livello dei tassi di interesse (destinato comunque a salire se l’economia mondiale non deraglierà dal percorso di crescita dettato dagli investimenti in corso di implementazione in tutto il mondo).

 

Rimane, comunque, per noi poveri investitori la difficoltà di trovare degli investimenti che proteggano il nostro cammino dal deprezzamento generato dall’aumento dei prezzi al consumo.

 

La risposta negli ultimi anni è stata fornita dal volo compiuto dai mercati azionari i quali però presuppongono una capacità di rischiare e di pazientare (allungare l’orizzonte temporale dei propri investimenti rimane l’unico metodo verificato per ridurre la probabilità di perdere) non sempre correttamente valutata ex ante (la “voglia” di rischiare tende ad essere elevata quando i risultati sono positivi per poi annullarsi in caso di perdite).

 

Prepariamoci ad un altro anno molto interessante al quale ben si addice, a mo’ di augurio, la frase di Martin Luther King: “Se non puoi volare, corri, se non puoi correre, cammina, se non riesci a camminare, allora striscia, ma qualunque cosa tu faccia, devi andare avanti.”

 

Auguri a voi ed ai vostri patrimoni.

Principesse, Draghi e cavalieri

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

L’autorevole settimanale britannico “The Economist” ha incoronato nel suo ultimo numero l’Italia quale Paese dell’anno.  

 

A noi italiani è venuto immediatamente da pensare agli allori sportivi (dai titoli olimpici e paraolimpici agli europei di calcio, pallavolo femminile e maschile e del football americano, dalla finale di Berrettini  Wimbledon, il tempio del tennis, ai successi del nuoto, del ciclismo e della ginnastica ritmica), musicali (con il trionfo del gruppo dei Måneskin all’Eurovision e a quello di un violinista italiano al Premio Paganini) e gastronomici (con la vittoria della Coupe du Monde de la Pâtisserie 2021).

 

Nulla di tutto ciò.

 

Il titolo ci è stato attribuito (parole e musica del giornale britannico, raramente tenero nei nostri confronti) perché “ha acquisito un primo ministro rispetttato e competente e con lui ha raggiunto un alto tasso di vaccinazione contro il Covid nella popolazione, tra i più elevati d’Europa, e la sua economia si sta riprendendo più rapidamente rispetto ai paesi limitrofi».

 

Il Belpaese aspettava da molto tempo, come una Principessa nella torre più alta e remota del castello, uno stuolo di cavalieri (uno non sarebbe certo sufficiente) che lo liberassero dalle pastoie di una politica (e di una burocrazia) che da molti decenni ne ha arrestato lo sviluppo economico.

 

La crisi politica che si era scatenata all’inizio del 2020, in piena crisi pandemica, sembrava avere confermato il nostro atavico vizio ad autoinfliggerci dolori in aggiunta a quelli già riservatici dalle difficili condizioni esterne.

 

L’ inaccessibile torre rischiava davvero di crollare rovinosamente.

 

Cavalieri coraggiosi ed abili non se ne era riusciti a radunare ed in loro assenza era scoccata l’ora dei Draghi.

 

La testata londinese ha inteso premiare il Paese che ha attuato, grazie all’ex governatore della BCE, il miglioramento più significativo nel corso del 2021

Il nostro cammino rimane però molto lungo e difficile.

 

L’enorme debito accumulato non potrà certamente essere incenerito ma trasformarlo (con il tempo) da “cattivo” (non rimborsabile) a “buono” (Draghi dixit) sarebbe un enorme risultato.

Solo allora la nostra storia potrebbe avere un lieto fine e potremo così essere certi che non si tratta solamente di una favola e di una missione impossibile.

Dannati mercati

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

Il 2021 va volgendo ormai alla fine e così anche le celebrazioni dell’anno dantesco, in occasione dei 700 anni dalla morte del poeta.  

Seguo professionalmente i mercati finanziari da quasi trent’anni ed ho avuto modo di assistere a molti “peccati” (sanzionabili dell’inferno o di una pausa in purgatorio) ma anche a qualche comportamento virtuoso (meritevole del paradiso) e, proprio in occasione di questa ricorrenza “poetica”, mi sono chiesto come ne avrebbe scritto Dante nella sua Commedia.  

L’introduzione avrebbe potuto, utilizzando immodestamente la metrica dell’Alighieri, essere così:  

 

“Ahi come il poeta raccontar mi tocca

Con le ossa ancor dolenti

Parole dure fuor di mia bocca

 

Ai poveri investitor: infelici genti

Non per voler ottenebrare

Le loro ben confuse menti

 

Ma per provarle a rischiarare

Con un verso incatenato

Mi son fatto impelagare

 

Nella selva oscura del mercato

A narrar senza pudor li fatti

Che i borselli han devastato

 

Lasciandoci, sfiniti dalla pugna, al suol disfatti.”

All’ Inferno, poi, Dante incontrerebbe oggi gli Speculatori e gli Avidi, puniti, immagino, nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, insieme agli indovini, fraudolenti in quanto ebbero la folle pretesa di antivedere il futuro che in quanto tale è noto solo a Dio.  

Sono coloro che investono cercando e creando le opportunità più redditizie con una condotta senza scrupoli e senza rispetto degli interessi altrui.  

Trattano gli investimenti, insomma, come se fosse un gioco di azzardo (zara: dall’arabo az-zahr = dado).  

In questo modo danneggiano sé stessi e gli altri perdendo denaro e facendolo perdere.  

Corrono, certi della propria buona sorte, lungo un apparentemente facile cammino in discesa, sempre intenti a raccogliere e a accumulare trofei (come gatti a caccia di topi).  

Non sanno che tutte le esagerazioni sono nocive e possono portare alla morte.  

Pensano solo alla bisca e si prendono gioco del volere di Dio.  

Non guardano la strada che stanno percorrendo ed alla fine precipitano, perdendo tutto quanto avevano raccolto.  

E la bestia (termine utilizzato da Dante come massimo insulto nei confronti degli umani) impara così la lezione: è più semplice accumulare che conservare.  

 

 

“A perdicollo correan disfatti,

Speculatori, avidi per conquistar trofei e riempir la giara,

La masnada sciolta, come a buscar li topi i gatti

 

Lungo la ripida china raccogliean monete, cosa più cara

Senza badar a tutto ciò che, esagerando, ammazza

Misura e cognizione assenti, ripetendo il gioco de la zara

 

Attenti solo alla fatal biscazza

Facendosi gabbo del divin volere

Finita la strada, dolente, nell’ orrido stramazza.

 

E la lezion alfin la bestia apprende: peggio gli averi accumular che mantenere.”

 

 

 

Proseguendo la scalata, guidato da Virgilio, nel Purgatorio Dante farebbe la conoscenza dei risparmiatori che si disinteressano colpevolmente della gestione del proprio denaro.    

Costoro affidano i patrimoni a truffatori e disonesti (l’allusione dei versi al  Guasco si riferisce agli ecclesiastici francesi conterranei di Clemente V, scandalosamente favoreggiati dal papa, che avevano fama di gente avida e malfida).   

Proprio come chi affida le chiavi della propria cantina ad un ubriaco.  

Possono solo sperare che li salvino le preghiere dei figli che sono rimasti, soli, a rispondere dei loro debiti e delle loro cattive scelte di investimento.  

 

“Virgilio mi indicò, di fronte, la montagna,

Donde come pecorelle al pasco,

Pasturavan, biascicando lamentosa lagna,

 

Gli stolti che han lasciato al Guasco,

Distratti e senza discernimenti,

Sì come chi affida agli ebbri della cantina il fiasco,

 

Il proprio denaro, a disonesti e incompetenti,

E dalla infelice progenie divien la redenzione.

Quei che sopportan il fardello tristi e scontenti.

 

Infin la pena arriverà, lentamente, a consunzione.”

 

Arrivato al Paradiso ecco che il Poeta incontra, tra gli Spiriti pazienti nel  VII Cielo (quello di Saturno), gli Investitori Pazienti.  

Essi si muovono in modo ordinato, le loro borse sono assicurate alla cintura e chiuse con la ceralacca in quanto il loro denaro è investito senza fretta e si tratta di investimenti stabili nel tempo: non ci sono continue entrate ed uscite (per operazioni speculative).  

Costoro non perdono mai la calma e meritano il Paradiso in quanto il loro obiettivo è quello di preservare, con il proprio, anche il bene del nostro pianeta datoci in custodia da Dio e lo fanno dal mattino a quando il giorno si spezza e diventa notte.  

Essi sono intenti a seminare bene il denaro nei modi che piacciono al Creatore rendendolo così fruttifero e fertile come il giardino dell’Eden.  

Dante, ammirato, vorrebbe lui stesso dare a questi il suo denaro da gestire.  

Solo così i beni affidati alla fortuna, che altro non è che una delle intelligenze angeliche e ha il compito di governare e amministrare i beni del mondo in accordo con la volontà imperscrutabile di Dio, possono preservarsi e seguire il cammino da Lui voluto e dettato.  

 

 

“Schiere ordinate di anime pazienti

Cinte di cuoio e d’osso sigillate borse a ceralacca

Gli occhi all’orizzonte fisi e attenti

 

Di chi non difetta calma quando altrui l’attacca

Accesi d’amor per lo bel pianeta

Dal mattino all’ora che il dì si fiacca

 

Ben seminando sì lucida e sì tonda moneta

Nel Suo fertile giardino

Fiducioso e ammirato vorria loro prestar la sua, il poeta

 

I ben che son commessi a la fortuna seguan lo divin cammino.”

 

 

Spero che i lettori mi vorranno perdonare per avere voluto scherzare con il più importante ed amato dei nostri poeti.  

 

D’altronde, come scriveva Jules Renard: “Siamo sulla Terra per ridere. Non potremo più farlo in purgatorio o all’inferno. E in paradiso, beh, in paradiso sarebbe davvero sconveniente.”  

Senza paura

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

Nelle ultime settimane l’ottimismo degli operatori finanziari sembra essersi dissolto come neve al sole.  

A testimoniarlo ci sono la correzione dei listini borsistici ed i sondaggi che rilevano le opinioni degli investitori sul loro futuro andamento.

La correzione dei prezzi è, per la verità, stata piuttosto modesta sugli indici principali ma ha rappresentato un campanello d’allarme che ha risvegliato bruscamente l’attenzione dei risparmiatori.

La borsa statunitense è scesa meno del 3,5% (il 5,5% il listino tecnologico del Nasdaq) mentre quelle europee hanno perso quasi il doppio.

I motivi del cambiamento di umore sono maturati inizialmente negli Stati Uniti dove il governatore della banca centrale, la Federal Reserve (abbreviata “Fed”), Jerome Powell, ha finalmente (dopo essere stato riconfermato per un altro mandato) riconosciuto come l’impennata dell’inflazione ci metterà del tempo (mesi o trimestri, non settimane…) per rientrare.

A questo Powell ha accompagnato l’annuncio del ritiro degli stimoli monetari (effettuato tramite massicci acquisti di titoli obbligazionari sul mercato) a partire dai prossimi mesi.

Per l’aumento dei tassi ci sarebbe tempo ancora per verificare la tenuta dell’economia alla nuova ondata (particolarmente violenta negli USA dove quest’anno ha prodotto il doppio, 790.000, delle vittime del 2020) e sarebbe rimandato al 2023.

La politica molto indulgente e generosa da parte dell’istituto centrale statunitense ha senza dubbio fornito un aiuto importante alla crescita statunitense degli ultimi 13 anni (a partire dalla “Grande Recessione” del 2007-2008) e la crisi pandemica ha portato ad una sua proroga (era alle viste un cambiamento di rotta già nel 2019) sino ai giorni nostri.

Il timore che senza “l’aiutino” da casa-Fed l’economia possa perdere colpi ha innervosito i mercati finanziari, già maturi per una pausa dopo la galoppata dei mesi precedenti.

Ma le brutte notizie non vengono mai da sole e l’emergere, sul fronte sanitario, della nuova, più contagiosa, variante del virus COVID (la Omicron) ha peggiorato la situazione.

Va detto, però, che sono in campo ancora tutti gli elementi che possono giustificare una visione positiva del futuro.

Negli USA l’approccio sempre pragmatico da parte del governatore, attento alla evoluzione dei dati economici (non solo dell’inflazione ma anche dell’andamento del PIL e dell’occupazione) potrebbe moderare i timori di un rapido ritiro degli interventi monetari.

Dall’altra parte dell’oceano, in Europa, l’inflazione non è ancora considerata tale da giustificare un cambiamento di atteggiamento da parte della BCE.

E’ probabile, inoltre, che si assista nei prossimi mesi ad un moderato rallentamento economico che finisca per rallentare la galoppata dell’inflazione.

Il prezzo del petrolio ha già iniziato a risentire dell’incertezza scendendo in pochi giorni di quasi il 20%, da 86 a 70 dollari al barile e questo dovrebbe contribuire alla stabilizzazione dei prezzi di molti beni e servizi.

I tassi sono, quindi, destinati a rimanere (molto) bassi ancora per un po’ di tempo e questo dovrebbe, alla fine, consentire di rassicurare i mercati e contribuire alla crescita economica.

A ciò si aggiungeranno presto le manovre fiscali (la spesa pubblica) che i governi europei (non diversamente dagli Stati Uniti) stanno approntando.

Sul versante sanitario, sulla gravità della nuova ondata pandemica, è prematuro pronunciarsi e ci vorranno ancora una o due settimane per comprendere meglio la sua portata.

Rimane il fatto che, dopo due anni, stiamo, tristemente, imparando a convivere con la nuova “normalità” e questo dovrebbe aiutarci a ridurne gli effetti (economici e non) negativi.

Tutto ciò non azzera certamente il rischio di una nuova crisi economica (con massicce e prolungate chiusure) e sanitaria ma lo rende meno probabile di quanto si temeva all’esplodere della pandemia.

Per quanto riguarda i mercati finanziari, poi, vale la pena di ricordare come le fasi negative si siano sempre trasformate in opportunità di acquisto per tutti coloro che hanno saputo mantenere la mente fredda, considerandole un evento del tutto atteso (anche se, magari, non nei tempi e nei modi) ed ineluttabile.

Il trasferimento di ricchezza dagli stomaci deboli (incapaci di affrontare lo stress generato dalle perdite finanziarie) a quelli forti (abituati a fronteggiare le oscillazioni negative del loro patrimonio come inevitabili) è uno dei fattori che hanno portato, storicamente, alla crescente divaricazione tra i più ricchi ed i meno abbienti.

E’ un dato di fatto, purtroppo, che la minore disponibilità di risorse finanziarie provoca una maggiore sensibilità alle loro variazioni negative (arrivando sino al panico e con questo alla liquidazione totale) in quanto queste pongono seriamente a rischio la possibilità di mantenere il proprio tenore di vita.

Se, razionalmente, si ritiene che la pandemia possa provocare un rallentamento solo temporaneo varrà la pena di non farsi troppo coinvolgere emotivamente evitando il cortocircuito testa-stomaco che conduce solitamente alle peggiori decisioni.

Un famoso banchiere, il barone di Rotschild, predicava, più di 200 anni fa, di acquistare quando il sangue scorre nelle strade.

Ma se si ha paura, comprensibilmente, del sangue basterà non guardare, evitando così pericolosi sbandamenti.

Ricordando sempre il monito di uno degli investitori di maggior successo dell’ultimo secolo, lo statunitense Warren Buffet: nei mercati finanziari bisogna essere timorosi quando gli altri sono avidi e avidi quando gli altri sono timorosi.

 

Non abbiate paura.