Brothers in Arms

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

Il prolungarsi del conflitto in corso sta generando timori e paure di un suo possibile allargamento su scala europea o addirittura (se dovesse essere coinvolto uno dei Paesi appartenente alla Nato) mondiale.

E’ difficile sottovalutare la gravità della situazione ma ritengo che possa essere di aiuto cercare di comprendere, esaminando la spesa militare delle parti in campo, quanto questo timori siano fondati.

 

La parte di gran lunga più importante della spesa militare mondiale è sostenuta dagli Stati Uniti che nel 2020 hanno investito (dati 2020 forniti dal SIPRI, Stockolm International Peace Research Institute) 778 miliardi di dollari, pari al 39% dell’intero pianeta.

 

Al secondo posto figura la Cina, che ha destinato a questo settore investimenti pari circa ad un terzo degli americani.

 

La Russia, infine, ha speso meno di un quarto degli “amici” cinesi: quanto basta per avere ragione dell’Ucraina, uno dei Paesi più poveri d’Europa, ma non certo per potere sostenere una lunga e dispendiosa campagna di riconquista dei territori della ex Unione Sovietica, la cui dissoluzione è stata, secondo le parole pronunciate nel 2005 da Vladimir Putin, “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”.

 

Il dispendio di mezzi (materiali, finanziari ed umani) con il quale la Russia finirà probabilmente abbattere la coraggiosa resistenza ucraina non lascerà a Putin spazio per altre avventure per un po’ di tempo e non sarà certo la Cina ad intervenire in suo aiuto, prestando il fianco ad azioni che potrebbero destabilizzare l’equilibrio interno che Xi Jin Ping sta cercando di consolidare (con una ridotta attenzione all’Europa e lo sguardo rivolto agli Stati Uniti).

 

La pressoché perfetta complementarità tra la Russia (ricchissima di materie prime e povera di strutture produttive su vasta scala) e la Cina (povera di materie prime ma strutturata come un enorme stabilimento produttivo) ha la potenzialità di sfociare in un matrimonio di interesse ma non certo al costo di trascinare il gigante asiatico nella lista dei cattivi (dalla quale sta cercando faticosamente di uscire da molti anni).

 

Le dolorose vicende devono però renderci consapevoli della necessità di un sistema difensivo europeo che sia in grado di esercitare un potere dissuasivo convincente di fronte a chi avesse in animo, un giorno, di affacciarsi con intenzioni bellicose ai nostri confini.

 

Sarebbe forse il caso di provare a riannodare i fili della CED (la Comunità Europea di Difesa) che nel 1952 la Francia presentò, in collaborazione con l’Italia di Alcide De Gasperi, e che venne sottoscritta dai sei Paesi “fondatori” della EU: Italia, Francia, Germania dell’Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo.

 

L’ambizioso progetto, innescato nel 1950, con il “Piano Pleven” (dal nome dell’allora primo ministro francese), dal padre fondatore dell’Unione Europea Jean Monnet, su pressioni statunitensi, per una collaborazione militare tra stati europei in contrapposizione alla crescente potenza sovietica, finì per essere bocciato proprio dal Parlamento transalpino nel 1954 e venne così definitivamente abbandonato.

 

Il recente annuncio della Germania di volere incrementare la spesa militare dall’attuale 1,4% a più del 2% (il livello richiesto dalla NATO ai Paesi aderenti) tradisce ancora una volta la mancanza di un’azione concordata con i partner europei e dovrebbe farci riflettere sulla insufficiente coesione di azioni ed obiettivi di comune interesse.

 

Gli investimenti militari tedeschi sono così destinati a crescere dagli attuali (dati 2021) 57.5 miliardi di dollari ad 83,5 nel 2024, portando la Germania ad occupare il terzo posto della classifica, dopo americani e cinesi.

 

Occorre sempre ricordare come gli investimenti nel settore della difesa hanno importanti ricadute economiche (gli investimenti producono ricchezza e occupazione) e tecnologiche (è spesso in ambito militare che vengono sviluppate importanti innovazioni, internet ne è un esempio, che trovano poi diffuse applicazioni in ambito civile) e la Grande Germania, giocando d’anticipo con la sua azione isolata, potrebbe scavare un fosso ancora più profondo con gli altri Paesi dell’Unione.

 

Passata la fase più acuta e guerreggiata della crisi attuale sarà fondamentale per il nostro Paese presentarsi nuovamente al centro del progetto europeo che ha contribuito a fondare e sostenere, con il fondamentale appoggio della Francia, un’azione concertata che renda il nostro continente più sicuro e all’avanguardia, pronto per affrontare le sfide di un futuro sempre più incerto e difficile da prevedere.

 

Solo così potremo provare a eludere il rompicapo costituito, e non certo da oggi, dalla Russia che, come scriveva Winston Churchill “è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma”.

Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE

1 Comment

  1. chiaro e condivisibile ma impopolare.
    L’ impoverimento crescente induce l’ opinione pubblica a rinchiudersi in uno spazio miope.

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