Il grande portiere della Juventus e della Nazionale campione del mondo 1982 compie oggi 76 anni

BUON COMPLEANNO DINO

La prima volta che guardai una partita di calcio in televisione Zoff era già là a difendere la porta. Per me era come se l’avesse difesa da sempre. Correva il 1973, mese di giugno, avevo otto anni, finale di Coppa Italia Juventus – Milan. C’erano i nonni quella sera e la mamma mi fece abbassare il volume del televisore, probabilmente infastidita dalla voce stentorea di Nando Martellini. Seguii l’incontro per poco più di un tempo, poi dovetti andare a dormire – presto, come le consuetudini imponevano ai bravi bambini. Per la cronaca: terminati 1 a 1 i tempi regolamentari, la Coppa fu assegnata ai rigori e vinse il Milan. Dino Zoff, dicevo. Ricordo ancora a memoria (giuro!) la formazione della Juventus stagione 1973-74: Zoff, Spinosi, Marchetti; Furino, Morini, Salvadore; Causio, Cuccureddu, Anastasi, Capello, Bettega. Trascorrevo le domeniche accovacciato sul tappeto della mia stanza per ascoltare alla radio Tutto il calcio minuto per minuto. Zoff rappresentava già una specie di archetipo. Prima di lui, con il numero uno sulle spalle, nomi biblici che per i ragazzini del tempo non significavano nulla: Combi, Sentimenti IV, Mattrel, Carmignani. All’epoca aveva sui trent’anni, me lo raffiguravo come un anziano sapiente e infallibile. Quei pochi gol che prendeva potevano essere solo colpa del Fato.

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Altra formazione, la Juventus 1976-77: la prima allenata da Giovanni Trapattoni. Zoff, Gentile, Cuccureddu; Furino, Morini, Scirea; Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega. La Juventus dei 51 punti (su 60 a disposizione), vincente di un’incollatura sul Torino dopo un campionato elettrizzante, aperto fino all’ultima giornata. La Juventus che conquistò contro i baschi dell’Athletic Bilbao il suo primo trofeo internazionale, la Coppa UEFA. Zoff l’eroe eponimo. Il ’78 fu l’anno dello scudetto-bis, del quarto posto dell’Italia ai Mondiali in Argentina (sciorinando però il miglior gioco in assoluto) e dei quarti di finale della Coppa Campioni: quelli in cui Zoff parò tre rigori ai lancieri dell’Ajax. A trentasei anni si trovava al culmine della carriera, sebbene qualcuno cominciasse a malignare sull’età. Vecchio? Aiace Telamonio non poteva essere vecchio. Un mito, piuttosto. Il mito continuò a difendere imperterrito la porta della Juventus e della Nazionale con parate prodigiose. Cominciai ad andare allo stadio e vederlo dal vivo, infondeva nei tifosi un senso di sicurezza come se la porta fosse sprangata. Lui dietro e Scirea subito davanti. Risultato in cassaforte. La formazione della Nazionale Campione del Mondo 1982 è una litania mandata a mente in saecula saeculorum: Zoff, Gentile, Cabrini; Bergomi, Collovati, Scirea. Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Il miracolo di Zoff contro il Brasile (colpo di testa di Oscar bloccato sulla linea) vale come i sei gol di Pablito Rossi capocannoniere. San Dino. E la Juventus 1982-83 è un rosario da sgranare con gli occhi: Zoff, Gentile, Cabrini; Bonini, Brio, Scirea; Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek. La finale di Coppa Campioni persa malamente contro l’Amburgo resta tuttavia un ricordo amaro. Zoff in ginocchio dopo il gol di Magath, il simbolo dell’avvenuta capitolazione, l’ultimo con la maglia bianconera. Un giorno di maggio 1983 dopo Svezia – Italia 2-0, che se non ci fosse stato lui sarebbe terminata con una goleada, Zoff il taciturno convoca una conferenza stampa per prendere congedo.

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All’annuncio, mi sentii improvvisamente orfano. Sembrava impossibile che, un giorno, la formazione della Juventus sarebbe cominciata con un nome diverso dal suo. In quel momento, forse per la prima volta, ebbi la consapevolezza che la vita procede per cicli: ad un certo punto subentra una privazione con la quale dobbiamo fare necessariamente i conti. Tra poco la storia si ripeterà con Gigi Buffon. Gli adolescenti nati quando lui difendeva già la porta della Juventus proveranno un tuffo al cuore nel vedere un altro portiere prendere posizione tra i pali al posto suo. E non per un semplice avvicendamento o sostituzione durante il gioco. Il nome di Dino Zoff rimane scolpito nella memoria, non solamente sportiva. Un atleta fuoriclasse, un vero numero uno, equilibrato, sereno, misurato nello stile. Aveva un gran senso della porta, della posizione, le sue parate erano essenziali, mai inutilmente plateali. Trasmetteva fiducia, ai compagni e ai tifosi accalcati sugli spalti o davanti al televisore. Ma la sua leggenda nasce, ancor più che dal palmarès impareggiabile, dai comportamenti fuori dal campo. Concedeva alla stampa poche parole eppure chiare, schiette, senza farsi coinvolgere dalle polemiche. Un uomo vero, di spessore, dal carattere forte, provvisto di una straordinaria forza morale. Lo sport può insegnarci molto, soprattutto la giusta mentalità per affrontare l’esistenza. Dino Zoff resta in questo senso un esempio tra i più fulgidi.

 

Paolo Maria Iraldi