(con la formula dell’umana felicità)

Malato, ma non troppo  

Claudio Cuccia, cardiologo, direttore del dipartimento Cardiovascalare della Fondazione Poliambulanza di Brescia, è autore di una nuova raccolta di riflessioni, semiserie e molto ironiche sulla vita dell’ammalato in ospedale e negli altri centri di cura. Uno spaccato della vita quotidiana negli ospedali, con tutti gli affanni che il paziente subisce e sui quali, scarsamente, può incidere. Di primo acchito, alla lettura delle prime righe ho pensato che l’editore avesse commesso un errore di assemblaggio di testi che non c’entravano nulla con il libro che andavo a leggere. Citazioni di Sant’Agostino, altri autori significativi e frasi latine mi inducevano in tale abbaglio. Quasi subito mi accorgevo dell’errore: non c’erano stati collage e confusioni di narrazioni. Pertanto sono entrato nella parte e mi sono immedesimato nel lettore paziente e mi sono divertito con la nozione di tempo e di tutte le sue declinazioni, perché a seconda di dove sei, il tempo arriva perfino a fermarsi e tutti hanno un modo proprio di definirlo e misurarlo. Per alcuni il tempo scorre lento, per altri va veloce e c’è chi infine sostiene che il tempo si sia fermato. Fino ad arrivare ai fisici per i quali il tempo non esiste e chiuso lì senza poter obiettare perché loro sanno!!. Non ci avevo mai pensato, ma il tempo è una variabile personale, indipendente e in ospedale lo è ancor più. Con l’aggiunta che il tempo non vi apparterrà e…fatevene una ragione. A dirla quasi tutta, “Malato, ma non troppo” finisce per essere una satira coinvolgente, che ci fa sorridere come tutte le satire; ci lascia un po’ di amaro in bocca e ci fa esser pazienti che si prendono un po’ in giro, perché il significato della parola paziente equivale a chi sopporta con rassegnazione, ma anche con filosofia e un pizzico di felicità perché al malato basta poco per illudersi. Il libro, con la formula della felicità, è da leggere per prendersi un po’ in giro e ironizzare su questi dispensatori di verità e sentenze, spesso, dell’ovvio.

 

Tommaso Lo Russo