ARTE- Pagina 44

“FOTOcamere”Libertà e identità sociale negli scatti esposti alla “metroquadro”

Fino al 23 giugno

Inaugurata il 5 maggio scorso, nella settimana tradizionalmente dedicata dalle Gallerie torinesi alla fotografia ( in bell’evidenza soprattutto la quarta edizione di “The Phair” a “Torino Esposizioni” e l’“Art Night”  di “TAG – Turin Art Galleries”), proseguirà fino a venerdì 23 giugno prossimo la “Collettiva a tre” ospitata da Marco Sassone nella Galleria “ metroquadro” di corso San Maurizio, a Torino. In parete gli scatti di tre artisti di caratura internazionale, per i quali la fotografia non è mai “racconto” di immediata e superficiale espressione visiva, ma continua sperimentazione e ricerca di tecniche e cifre stilistiche assolutamente personali, cui affidare “viaggi di anima e corpo” come pagine urlate e scavo profondo nell’intimità di pensieri e idee su cui dare forma al “castello” delle proprie vite. Steve Sabella, Erwin Olaf e Christophe Von Hohenberg, i “magnifici” tre in mostra.


Il primo, Steve Sabella (classe ’75, dal 2010 residente a Berlino) è un palestinese della Città Vecchia di Gerusalemme ed è stato (come inviato del “Programma di Sviluppo” delle Nazioni Unite) uno dei pochi fotografi  provvisti di libertà d’accesso completo alla Cisgiordania, alla Striscia di Gaza e a Gerusalemme, durante la “Seconda Intifada” (2000-2005), che aveva drasticamente limitato la mobilità dei Palestinesi. Oggi l’artista “sebbene abbia ancora il privilegio– è stato scritto – di poter tornare in Palestina, ha scelto l’esilio, che l’arte gli insegna a cogliere nelle sue conseguenze distruttive”, ma anche incitandolo a “mantenere il sentiero e a formare un ponte”. L’arte, la fotografia sono per lui il“ponte”. Su cui è pur lecito sperimentare e giocare, fino ad approdare all’installazione o ai collage, composti da sottili trame compositive meditate in camera oscura o attraverso l’avventura senza rete del mezzo digitale e, in parte, segnate dalla continua stratificazione di immagini fotografiche, come in “Metamorphosis” (2012) o in “On Earth”(2018), fortemente improntate al mezzo pittorico “usando la macchina come un pittore usa il suo pennello”.

Residente ad Amsterdam dagli inizi degli anni ’80, con studio fotografico ricavato all’interno di una vecchia chiesa sconsacrata, Erwin Olaf(classe ’59) è invece olandese di Hilversum. “Vero genio della moderna fotografia di ritratto”, i suoi scatti suscitano da sempre “grandi consensi o forti rifiuti”, in quanto scatti che raccontano, in piena e nitida libertà, la volontà di superare qualsivoglia disinibizione e di frantumare senza vincolo alcuno tutti i tabù e gli insopportabili schemi dettati dalla doppiezza morale. I lavori esposti in mostra – “Hope”, “Grief”, “Rain” e “Hotel” – affrontano direttamente ed esplicitamente questioni come il sesso, il desiderio, la bellezza, la libertà e la frivolezza del tempo. Olaf ama in modo particolare la dimensione privata, gli interni silenti in cui mettere in posa i protagonisti di creazioni sospese, attori d’anima e di forte tratto poetico. E ciò gli permette qualsiasi trasgressione. Anche perché, afferma lui stesso, “la trasgressione di un artista sta nel conoscere le regole del gioco e rifiutarle”.

Le fotografie dello statunitense Christophe Von Hohenberg (classe ’52, oggi residente fra New York e Caraibi) ci riportano invece al 1° aprile 1987, giorno della commemorazione funebre di Andy Warhol a New York e giorno in cui Christophe ricevette il suo primo incarico da “Vanity Fair” per fotografare “minigonne a lutto nella Cattedrale di St. Patrick”. Più di 200 furono le fotografie in bianco e nero da lui scattate quel pomeriggio alle più celebri personalità che avevano frequentato la “Factory” di Warhol e lo “Studio 54”, ma nessuna di loro aveva indossato minigonne e le foto vennero dimenticate. Fino al 2007, anno del ventesimo anniversario della scomparsa di Warhol, quando gli scatti furono ripescati e raccolti in una pubblicazione curata dallo scrittore Charlie Scheips, dal titolo “Andy Warhol: The Day the Factory Died”, attraverso la quale Von Hohenberg si aggiudicò diversi Premi, consolidando così la sua carriera e la sua celebrità.

E proprio una selezione di quelle fotografie troviamo oggi esposte alla “metroquadro”. Scatti che  “ci permettono di assistere all’estremo saluto a una star del mondo dell’arte e di riconoscere le più eccentriche personalità dell’underground newyorkese (Debbie Harry, Yoko Ono, Raquel Welch, Bianca Jagger e altre ancora) presenti per esprimere il loro cordoglio ma  inconsapevolmente anche al funerale di un’epoca, la loro”.

Gianni Milani

“FOTOcamere”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino

Fino al 23 giugno

Orari: giov. sab. 16/19

Nelle foto:

–       Steve Sabella: “Metamorphosis”, 2012

–       Erwin Olaf: “Hotel –Feline Prtraits”

–       Christophe Von Hohenberg: “Andy Warhol: The Day the Factory Died – Bianca Jagger”, 2010

Malinpensa by Telaccia, in mostra Gianalberto Righetti: “Quattro alberi”

 Opera fotografica ispirata alla magica poesia di Emily Dickinson

 

Si intitola ‘Quattro alberi’ la mostra fotografica personale dell’artista Gianalberto Righetti, ospitata dal 16 al 27 maggio prossimo alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia.

La rappresentazione fotografica dell’artista Gianalberto Righetti vive di un processo dialettico particolarmente espressivo, che comunica una carica emotiva e una coerenza interpretativa ricca di sensibilità intimistica, che va oltre la resa formale. Il gioco di luci, di colori, di linee e di forme costituisce una dimensione altamente suggestiva e dirompente.

L’evoluzione dinamica della natura, che muta al mutare del soggetto, sviluppa una profonda analisi e un pensiero capace di sorprendere il fruitore con una potenza introspettiva e con un linguaggio vibrante di simbolismo.

La tematica che ci propone l’artista Gianalberto Righetti, ispirata dalla poesia di Emily Dickinson, si rivolge al rapporto tra l’uomo e l’ambiente, in cui gli alberi sono assoluti protagonisti e occupano un ampio spazio di indagine sull’ energia e di chiarezza evocativa e lirica, raggiungendo risultati notevoli sia dal punto di vista estetico sia da quello contenutistico. Le sue sono opere che raggiungono l’anima, suscitando immediate sensazioni perché la veridicità fotografica, l’autenticità poetica e l’aspetto scenografico evidenziano un percorso autonomo, in cui l’artista presentato in mostra ne conosce l’importanza espressiva.

“Natura è tutto ciò che vediamo – affermava la poetessa Emily Dickinson – il colle, il pomeriggio, lo scoiattolo, l’eclissi, il calabrone, o meglio la natura è il paradiso”.

Una gamma incantevole di alberi e di taglia compositivi dalla magistrale capacità tecnica e dal sapiente dinamismo cromatico regalano un’atmosfera ben definita dove i mille riflessi dei valori tonali si specchiano in un’immagine di assoluta potenza narrativa con immediatezza visuale all’insegna di una vera padronanza del mezzo fotografico utilizzato.

La descrizione degli alberi, imponenti nell’atto della loro tensione espressiva, si movimenta di un’essenza intima e di un’eleganza dei volumi; dimostra un valore artistico di tipo concettuale e intellettuale che si pone in relazione ad un impianto personale e originale sia di ideazione sia di realizzazione.

È per l’artista Righetti di estrema importanza convertire l’immagine in sentimento; nel silenzio della natura i suoi alberi parlano di una propria verità interiore dove la memoria tra spazio e tempo e i ricordi del vissuto si stabilizzano nelle opere con un descrittivismo attento e originale.

L’immobilità, lo spazio, la solitudine e l’essenza del reale evocate dall’immagine dei “Quattro alberi” – spiega l’artista Gianalberto Righetti – fanno eco ai versi della poesia della Dickinson e mi regalano una forte energia creativa. Da sempre volgo lo sguardo e l’obiettivo della mia fotocamera agli alberi e all’ambiente in cui sono immersi e io con loro. Radicato nel campo, nel bosco o nella grande foresta, l’albero apre uno spazio di esistenza reale sia per sé stesso sia per ciò che lo circonda e con cui interagisce. Crea un suo mondo in cui si pone in connessione con l’uomo che osserva la natura, gli esseri che passano o stazionano nei suoi pressi, tutte cose di cui è testimone.

Nel realizzare questo tipo di relazione l’albero è cosa viva e, pur radicato e stabile, alimenta uno slancio generatore di vita”.

“In questa esposizione personale – aggiunge l’artista – il mio intendimento è quello di restituire questa essenza dinamica dell’albero evidenziandone la connessione con le cose. A tal fine ho definito i titoli delle opere connotandone, oltre al luogo e anno di scatto, ciò di cui l’albero è testimone, nel tentativo di creare un’opera significativa di questo poetico messaggio”.

Mara Martellotta

 

Galleria d’arte Malinpensa by Telaccia, corso Inghilterra 51. 10138 Torino

Tel 5628220

Sito web www.latelaccia.it

Artisti lettoni in Accademia

Tra le molte mostre che offre la capitale sabauda in questo periodo, c’è n’è una frutto dello scambio   tra Accademie. Nell’ipogeo dell’Accademia Albertina di Torino – via Accademia Albertina 6 orario 10-18 eccetto il mercoledì,giorno di chiusura- si possono ammirare le opere allestite dagli studenti dell’Art Academy di Latvia  – Riga ” Circle of Arts”.

Accompagnati da docenti e ambasciatrice,nel salone d’onore della storico istituto di Belle Arti torinese è stato presentato il frutto di uno scambio culturale che va al di là del confronto scolastico, ma un vero scambio artistico che si realizzerà quando gli allievi italiani andranno ad esporre nella capitale Lettone.Progetto fortemente voluto dal  direttore Salvo Bitonti e dalla presidente Paola Gribaudo dell’ ‘Accademia Albertina di Torino.

Ai cittadini non resta che andare ad ammirare  l ‘ esposizione di   opere originali, per soggetti, fantasia e colori.
GABRIELLA DAGHERO

Al Miit Molinaro e “Leggerezze”

Il MIIT, Museo Italia Arte, ospita dal 16 maggio al primo giugno 2023 due mostre, di cui una personale di Bruno Molinaro e un’esposizione intitolata “Leggerezze – Acquerelli, che passione!” a cura di Elio Rabbione.

 

Un omaggio al maestro Sergio Unia si accompagnerà a una mostra di acquerelli, promossa dal Museo MIIT, Museo Internazionale di Italia Arte, che si inaugurerà martedì 16 maggio alle ore 17.

L’esposizione si articola, in realtà, in due mostre di Bruno Molinaro e in quella dal titolo “Leggerezze- acquerelli, che passione!”. Si tratta di due momenti di arte da vivere con attenzione e trasporto, abbandonandosi alle ricche e profonde emozioni che quelle visioni comportano. La mostra antologica dedicata al Maestro Bruno Molinari è intitolata “Attraverso il tempo. Grafica e dipinti degli anni Sessanta”. L’esposizione presenta una trentina di opere pittoriche e una scelta di opere grafiche che narrano il suo percorso stilistico dagli anni Sessanta a oggi. Si tratta di un operare continuo che ha reso la ricerca, il segno e il colore le sue peculiarità artistico creative. Fin da giovane egli utilizzava il cavalletto da viaggio e la “scatola d’artista” con pennelli e colori vivendo la sua stagione dell’ ‘en plein air’ ricercando e trovando punti e momenti ricchi di interesse e emozioni da trasferire sulla tela. Ancora oggi il Maestro Molinaro è un uomo curioso e non pago. Il suo studio è ricco di vita, di attività con dipinti e disegni, acquerelli e incisioni, ma anche progetti di restauro che ne hanno accompagnato la ricerca e la passione. Il Maestro mostra una personalità che ha lasciato il segno nella pittura italiana e non solo della seconda metà del Novecento.

Nato a Ragogna, in provincia di Udine, Molinaro ha frequentato i corsi delle scuole del nudo dell’Accademia Albertina, e è diventato protagonista di un unico stile pittorico molto raffinato di matrice impressionista. Ha esposto in Italia e nelle principali metropoli mondiali, tra cui Hong Kong, Los Angeles, Rio de Janeiro, Tokyo, Istanbul, Vancouver, Toronto, in Messico, Tunisia e Seychelles, ricevendo numerosi riconoscimenti. Nel 2019 è stato nominato membro della commissione artistica della Promotrice delle Belle Arti.

‘La sua arte – spiega il Direttore di Italia Arte Guido Folco – è destinata a rimanere un simbolo di una ricerca condotta tra l’impressione del bello di natura, caro al paesaggio e alla pittura di soggetto, tipica della nostra tradizione, e l’espressività di un’anima irrequieta e perennemente in viaggio’.

L’esposizione collettiva intitolata “Leggerezze. Acquerelli, che passione!” è curata da Elio Rabbione e presenta una selezione di opere realizzate ad acquerello da artisti contemporanei. Si tratta di una disciplina tra le più affascinanti nella storia dell’arte, che ha caratterizzato anche l’arte orientale fin dall’antichità, per poi ricevere uno sviluppo in Europa tra Settecento e Ottocento. Nell’ambito della mostra sarà presente anche un omaggio del noto scultore Sergio Unia, che presenterà alcune opere del modellato plastico, classico e romantico.

Mara Martellotta

 

Torino tra architettura e pittura. Filippo Juvarra

/

Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)

1) Filippo Juvarra

Stiamo lentamente avanzando verso la primavera, le giornate si fanno poco a poco più luminose e più tiepide e la natura che ci circonda presto inizierà a sgranchirsi, intorpidita dal lungo sonno invernale. Non rimane che incrociare le dita e sperare che l’arrivo della bella stagione porti con sé anche la possibilità di fare qualche passeggiata in più, anche se muniti ovviamente di mascherina, outfit ormai egualmente essenziale e indispensabile. Nella speranza che questi pensieri possano trasformarsi in realtà, mi piace immaginare di poter organizzare un’uscita didattica con i miei studenti alla scoperta delle bellezze barocche di Torino; ribadisco infatti il concetto che l’arte vada insegnata nel modo più concreto possibile, invitando i ragazzi a guardare le architetture dal vivo -nel limite del possibile ovviamente- e non solo sulle pagine dei libri o attraverso la LIM, convincendoli a toccare colori e materiali, e se anche se ci si sporca un po’ non è un problema. È così che mi piacerebbe poter spiegare alle mie classi il “Barocco”, portando i ragazzi a passeggiare per le vie del centro, fermandoci a commentare e a chiacchierare tra piazza Castello e Piazza Vittorio, desidererei poterli condurre alla Palazzina di Caccia di Stupinigi o alla Basilica di Superga, rendendo loro lo studio un’esperienza concreta e trasformando delle nozioni prettamente storico-artistiche in un autentico ricordo di vita.

Sono consapevole di quanto sia utopico il mio pensiero, non solo per la drammatica situazione pandemica che pone ovvi divieti e limitazioni alle nostre abitudini quotidiane, ma anche perché il tempo scolastico pare trascorrere a ritmi insostenibili, le lezioni si susseguono e le ore non sono mai abbastanza per stare al passo con i programmi ministeriali. Non mi dilungo poi su quanto sia diventato complicato a livello burocratico organizzare attività sia dentro che fuori le aule.
Facciamo un gioco, facciamo finta che quanto appena premesso non sia del tutto vero, e fingiamo di poter organizzare un tour della Torino barocca. Prima di tutto occorre mettere in evidenza la personalità che più di tutte ha contribuito alla trasformazione dell’aspetto del capoluogo piemontese, si tratta di Filippo Juvarra, nato a Messina in una famiglia di orafi e cesellatori, è stato scenografo, disegnatore e architetto, la sua formazione è stata decisamente “pratica”, volta a migliorare le qualità tecniche artigianali.
Filippo Juvarra, (1678-1736), arriva a Torino nei primi anni del Settecento. Quando l’architetto messinese mette piede nel territorio si trova circondato da cantieri, lavori di ammodernamento e di ristrutturazione urbanistica, tutti interventi volti a rendere la città esteticamente degna del ruolo di capitale che le era stato decretato da Emanuele Filiberto nel 1563. In questo senso era risultato essenziale il contributo di Guarino Guarini, al servizio dei Savoia a partire dalla seconda metà del Seicento; all’architetto si deve infatti l’edificazione di vari edifici, tra cui la chiesa di San Lorenzo e la realizzazione della Cappella della Sacra Sindone.

E’ tuttavia con Juvarra che la città acquista effettivamente un nuovo aspetto, degno delle idee innovative che investono il Settecento.
Nel 1714 Vittorio Amedeo II di Savoia chiama a suo servizio l’artchitetto siciliano e lo nomina “primo architetto del re”, grazie a questo titolo Juvarra ottiene immediata visibilità all’interno dell’ambiente artistico e la sua ben più che meritata fama viene riconosciuta in poco tempo anche in territori stranieri. Egli infatti intraprende molti viaggi durante la sua vita, lavorando in Austria, Portogallo, Londra, Parigi e Madrid, città in cui morì improvvisamente nel 1736.
La sua formazione avviene prevalentemente a Roma, dove frequenta lo studio di Carlo Fontana e ha l’occasione di studiare dal vivo le opere classiche, rinascimentali e barocche, soffermandosi soprattutto sugli esempi di Michelangelo, come attestano i numerosi schizzi sui quali era solito appuntare le sue osservazioni. A Roma Juvarra esordisce anche in qualità di scenografo, come attestano i fondali che egli realizza per il teatrino del cardinale Ottoboni, al cui circolo arcadico era strettamente legato. I fogli juvarriani del periodo romano evidenziano i suoi molteplici interessi: progetti per architetture e apparati effimeri, capricci scenografici e vedute equiparabili a quelle del Vanvitelli, con cui in effetti Juvarra era entrato in contatto.
Juvarra esercita la sua opera come architetto soprattutto in Piemonte, più precisamente a Torino e dintorni. Egli non solo progetta chiese e residenze reali ma si occupa anche di riorganizzare interi quartieri periferici; lavora sullo spazio urbano e si conforma ai dettami dell’urbanistica torinese, riuscendo tuttavia a creare nuovi punti focali, quali i “Quartieri Militari” nei pressi di porta Susa, la facciata principale di Palazzo Madama (che di conseguenza rinnova anche l’aspetto di Piazza Castello), le chiese di San Filippo Neri, Sant’Agnese del Carmine, e, soprattutto, la Basilica di Superga, che si erge sulla collina e determina un nuovo confine visivo della città. Decisamente degni di nota sono anche i suoi interventi extraurbani, come dimostrano i nuclei architettonici nei pressi di Venaria, Rivoli e Stupinigi.

Tutte le sue costruzioni si inseriscono nell’ambiente in modo armonioso e studiato, ogni cantiere viene soprinteso con rigorosissimo controllo dallo steso architetto messinese; per ogni progetto egli recupera sapientemente il proprio ricco bagaglio culturale, riuscendo di volta in volta a riplasmare e innovare i modelli di riferimento in senso moderno e suggestivo, secondo una razionalità e una sensibilità del tutto settecentesche.
Continuiamo il gioco e immaginiamo di poterci fisicamente spostare per il territorio alla ricerca delle realizzazioni architettoniche di Juvarra. Partiamo da Palazzo Madama: per la ristrutturazione di tale edificio Juvarra parte da modelli francesi, (fronte posteriore di Versailles), e romani, (palazzo Barberini), e arriva però a una soluzione originale: conferisce unità alla parete grazie all’utilizzo di un unico ordine corinzio sopra l’alto basamento a bugnato piatto e sottolinea la zona centrale dell’ingresso con colonne aggettanti e lesene plasticamente decorate. Il palazzo, classicheggiante nella netta spartizione degli elementi, risulta settecentesco nelle ampie finestre attraverso le quali una ricca luce illumina adeguatamente i vani interni. Nella realizzazione dello scalone d’onore, opera unica nel suo genere, Juvarra fa invece affidamento alla sua esperienza teatrale: lo spazio che la gradinata marmorea occupa è uno spazio scenografico. La struttura si presenta di grande impatto visivo ma al contempo è calibrata e misurata, le decorazioni, segnate da delicati stucchi a forma di conchiglie e ghirlande floreali, aderiscono alla scalinata e si amalgamano all’architettura, rendendo più incisivo l’effetto della luce che trapassa le vetrate.

Immaginiamo ora di prendere un pullman e di allontanarci dei rumori della città. La nostra direzione è la verdeggiante collina torinese, dove ci aspetta uno dei simboli della città subalpina. La Basilica di Superga, edificata tra il 1717 e il 1731, svolge una duplice funzione, essa è sia mausoleo della famiglia Savoia, sia edificio celebrativo dedicato alla vittoria ottenuta contro l’esercito francese nel 1706. L’edificio svetta su un’altura, la posizione è tipica dei santuari tardobarocchi, soprattutto di area tedesca. L’impianto centralizzato con pronao ricorda il Pantheon, la cupola inquadrata da campanili borrominiani, invece, si ispira a Michelangelo. Nonostante i modelli di riferimento, sono del tutto assenti quelle tensioni tipiche del Buonarroti o dell’arte barocca: il nucleo centrale ottagonale si dilata nello spazio definito dal perimetro circolare del cilindro esterno, perno di tutto l’edificio; da qui si protendono con uguale lunghezza il pronao arioso e le due ali simmetriche su cui si innestano i campanili. Quest’ultima parte è in realtà la facciata del monastero addossato alla chiesa che su uno dei lati corti fa corpo con essa. L’edificio si estende nello spazio e asseconda l’andamento della collina, e diventa un nuovo e interessante punto di osservazione per chi si trova a guardare verso le alture torinesi.
Impossibile non ricordare la tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949, alle ore 17.03, quando l’aereo su cui viaggiava il Grande Torino si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica, provocando trentuno vittime. Certi luoghi assorbono tristezza e per quanto siano architettonicamente belli, rimangono velati di malinconia e accoramento. Sempre rimanendo sul nostro iniziale filone dell’ipotetico tour scolastico, immagino che mi sarei allontanata dalla Basilica riferendo ai miei allievi una certa superstizione: meglio non visitare la chiesa in compagnia della propria metà, pare infatti che porti sfortuna alla coppietta innamorata.
Saliamo sul nostro pullman e dirigiamoci ora verso un’altra meta.

Nella Palazzina di Caccia di Stupinigi (1729-1733), troviamo un oscillamento tra la tradizione francese e la pianta italiana a forma di stella. Qui ritorna il motivo della rotonda, ma da essa fuoriescono quattro bracci a formare una croce di sant’Andrea, schema su cui Juvarra medita fin dagli anni giovanili. Il nucleo centrale e centralizzato costituisce il punto focale di un disegno vasto e articolato: esso è preceduto da una corte d’onore dal perimetro mistilineo, che si innesta nell’ambiente naturale e per gradi conduce fino al palazzetto vero e proprio; lungo il perimetro della corte d’accesso si dispongono le costruzioni dedicate ai servizi. L’impianto del grande salone richiama precedenti illustri, ma il tutto è trasfigurato in senso rococò, grazie ai ricchi stucchi, alle elaborate pitture, agli arredi e al particolare cadere della luce sui dettagli preziosi delle decorazioni artistiche e artigianali. La muratura esterna è scandita da una successione di lesene piatte nettamente profilate. Tutta la struttura della Palazzina risulta raffinata e in studiato rapporto dialettico con la natura che la circonda; le numerose finestre che si trovano su tutto il perimetro contribuiscono a dare un senso di generale leggerezza, controbilanciando l’impatto visivo dato dalle dimensioni imponenti dell’edificio.
Siamo alla fine del nostro gioco immaginato e ci manca ancora una meta per terminare la lezione sul Barocco.

Le chiese juvarriane presentano soluzioni architettoniche originali, soprattutto la chiesa del Carmine (1732-1735), dove le alte gallerie aperte sopra le cappelle si rifanno ad uno stile nordico e medievale. In queso edificio (che si trova in via del Carmine angolo via Bligny) l’impianto tradizionale a navata unica con cappelle lungo i lati è rinnovato dalla riduzione del muro delimitante la navata a una ossatura essenziale di alti pilastri di ribattutta e dalla sapiente modulazione della luce che, piovendo dall’alto fra i pilastri, si diffonde nella navata e nelle cappelle. Lo storico dell’arte Cesare Brandi così descrive l’elaborata chiesa del Carmine: “L’invenzione appare così una felice contaminazione coll’architettura del teatro e aggiunge un segreto senso di festa e di leggerezza all’ardita struttura della chiesa che solo nella volta, appunto a somiglianza di un teatro, ha una superficie unita, e quasi un velario teso sugli arredi delle grandi pilastrate.”
Ecco, il tour fantastico è terminato, e così anche l’articolo che concretamente sto scrivendo: come nelle favole realtà e immaginazione si mescolano, si sovrappongono e si uniscono, in una sorta di “kuklos” che alla fine fa quadrare tutto.
D’altronde sognare è gratis. Per ora.

Alessia Cagnotto

“Lustro e lusso dalla Spagna islamica”

Dal X al XVI secolo, il “MAO” di Torino fa luce sullo straordinario “sincretismo culturale” fra mondo islamico ed Europa attraverso l’area mediterranea

Fino al 28 maggio 2023

Autentica chicca, fra le non molte opere esposte, un frammento della bordura di un tappeto, datato fine XV o inizi XVI secolo, appartenente alla Collezione Istituto “Valencia de Don Juan” di Madrid e proveniente da un esemplare del gruppo di tappeti ‘Mudejar’ a stemmi araldici realizzati in terra iberica in epoca medievale al termine del dominio musulmano. Sulla sinistra dell’opera (in visione solo fino al 12 febbraio) si individua la fascia a fondo blu con elementi pseudo-cufici – secondo lo stile calligrafico della lingua araba – molto stilizzati con riquadri, contenenti alternativamente un albero o un vaso fiorito affiancato da uccellini stilizzati e figure di animali. In alto, la raffigurazione, purtroppo tagliata nella parte superiore, di un “uomo” con il corpo rosso maculato, ricoperto di pelliccia, che tiene in una mano una specie di scudo e nell’altra, nascosta, probabilmente una spada o una lancia. Nella parte destra sono invece presenti dei motivi floreali geometrici e stilizzati, sempre su fondo blu, disposti entro una griglia di losanghe tratteggiata in rosso. L’opera, nella sua interezza, doveva essere per davvero da “mille e una notte”.

Come suggerisce la sua presenza nell’esposizione “Lustro e lusso dalla Spagna islamica. Frontiere liquide e mondi in connessione”, curata da Filiz Çakır Phillip (specialista in “Arte Islamica”, già curatrice dell’“Aga Khan Museum” a Toronto e membro dell’“Association of Art Museum Curators & AAMC Foundation” di New York) con cui il “MAO- Museo d’Arte Orientale” di Torino intende presentare negli spazi della “Galleria” dedicata all’arte dei Paesi Islamici dell’Asia una mirata selezione di opere provenienti da collezioni pubbliche e private (dall’ “Instituto Valencia de Don Juan” di Madrid, dalla “Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica” di Genova, da “Palazzo Madama” e dalla galleria “Moshe Tabibnia” di Milano), poste in dialogo con quelle presenti nelle collezioni permanenti del “Museo” di via San Domenico. Assemblati in saggio rigore documentaristico, troviamo così esposti pregiati tappeti e frammenti tessili e ceramiche ispano-moresche di provenienze diverse datati tra il X e il XVI secolo, capaci di trasportare il visitatore in territori ancor oggi poco esplorati, mettendo in evidenza la relazione tra il mondo ispanico europeo e quello islamico nel contesto del Mediterraneo. Due mondi accomunati da uno strettissimo “sincretismo culturale” che, proprio nell’area mediterranea, trova una sua sintesi ideale, “una storia secolare – spiegano dal Museo – di trasformazioni e contaminazioni artistiche, linguistiche e di conoscenza scritta nelle trame dei tessuti e sulla superficie lucente delle ceramiche”. Poiché il “Mare Nostrum” non è e non è mai stato “solo un mare e solo Europa, ma invece una possibilità dall’identità mutevole”. Dire “Mediterraneo” è dire “contaminazione”. Così è accaduto con la lingua araba e così, soprattutto, è accaduto con le arti figurative: “diverse raffigurazioni e tecniche della produzione di tappeti, tessuti e vasellame, custodite come segreti preziosi nei territori del Medio Oriente e del Nord Africa, sono approdate nella penisola iberica insieme ai conquistatori, quasi un ‘effetto collaterale’ della secolare dominazione, dando origine a una straordinaria ‘produzione autoctona ibridata’”. Realtà ben sottolineate dalla mostra, dove degni di particolare attenzione sono ancora due frammenti di un tappeto a ghirlande (provenienti dalla “Fondazione Bruschettini” e risalenti agli inizi del XVI secolo), che compongono una ghirlanda circolare, caratteristica del gruppo di tappeti di Alcaraz definito ‘rinascimentale’ e un capitello in marmo scolpito in rilievo del periodo “omayyade” (seconda metà del X secolo) ascrivibile a Cordoba, capitale di Al-Andalus (Spagna islamica), con decorazioni profonde, decise e delicate, dove le foglie d’acanto sono una reminiscenza dell’eredità classico-ellenica in combinazione con il repertorio di artisti e artigiani del califfato.

E non finisce qui. La rassegna, infatti, non è che “il primo esito – tengono a precisare dal ‘MAO’ – di un più ampio progetto di collaborazione con la ‘Fondazione Bruschettini’ e altre collezioni pubbliche e private che culminerà nell’ottobre 2023 con l’apertura di una grande mostra strutturata come un viaggio nel tempo dal periodo ‘Tang’ (VII secolo d.C.) ai giorni nostri; inoltre vuole gettare le basi per un ‘consorzio di musei’ del Mediterraneo per avviare uno scambio di mezzi e conoscenze volto a facilitare la circolazione di opere e progetti vari”.

Gianni Milani

Lustro e lusso dalla Spagna islamica”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436931 o www.maotorino.it

Fino al 28 maggio

Orari: mart. – dom. 10/18

Nelle foto:

–       Allestimento “Galleria Islam”, ph. Perottino

–       Frammenti tappeto a ghirlande, inizi XVI sec., “Fondazione Bruschettini”

–       Capitello, seconda metà X sec., “Fondazione Bruschettini”, Ph. Alessandro Muner

 

Notte europea dei Musei, sabato tariffe ridotte e orario prolungato

13 MAGGIO 

ORARIO PROLUNGATO E TARIFFE SPECIALI ALLA GAM, MAO E PALAZZO MADAMA

 

Apertura straordinaria fino alle 23 e ingresso a 1€ dalle 18 alle 23 

ultimo ingresso alle 22. Visite guidate, performance e workshop in orario serale

 

 

GAMMAO e Palazzo Madama aderiscono come di consueto alla Notte Europea dei Musei organizzata dal Ministero della Cultura francese e patrocinata dall’UNESCO, dal Consiglio d’Europa e dall’ICOM.

La storica manifestazione è nata con l’intento di valorizzare l’identità culturale europea e coinvolge i musei di tutta Europa.

Sabato 13 maggio i musei saranno straordinariamente aperti fino alle ore 23 (ultimo ingresso ore 22) e, a partire dalle 18, si potranno visitare con la tariffa speciale di 1€ le collezioni permanenti e la maggior parte delle mostre in corso, e si potrà assistere dalle 20.30 alla performance Sonic Blossom di Lee Minwei al MAO.

La tariffa speciale di 1€ sarà applicata anche ai possessori di Abbonamento Musei. La Fondazione Torino Musei e Theatrum Sabaudiae propongono inoltre in ogni museo una serie di visite guidate alle collezioni e alle mostre temporanee, oltre a workshop serali.

Cosa si può visitare

 

Alla GAM | Oltre alle collezioni permanenti del ‘900 Il primato dell’opera, saranno visitabili con il biglietto unico a 1€ le mostre Ottocento Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del Novecento, Alberto Moravia Non so perché non ho fatto il pittore e Giuseppe Gabellone Km2,6 in VideotecaGAM.

Aggiungendo 1€ si potrà visitare anche la mostra Viaggio al termine della statuaria. Scultura italiana 1940-1980 dalle Collezioni GAM.

Al MAO | Accesso con biglietto unico a 1€ alle gallerie delle collezioni permanenti, alle mostre in corso Lustro e lusso dalla Spagna islamica e Hidden flowers | Jacopo Miliani (t-space X MAO).

Tra le ore 20:30 e le 22:00 si potrà assistere e partecipare alla performance Sonic Blossom di Lee Minwei.

Aggiungendo 1€ sarà possibile visitare la mostra Buddha10 Reloaded.

A PALAZZO MADAMA | Con il biglietto a 1€ il pubblico potrà accedere alle collezioni permanenti e La porta della Città. Un racconto di 2.000 anni.

Aggiungendo 1€ si potrà visitare la mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario.

Le visite guidate, performance e workshop serali

GAM

dalle 20.00 alle 20.45 – dalle 21.00 alle 21.45

LETTERE DALLA NOTTE

In occasione della Notte Europea dei Musei la GAM propone un workshop in orario serale. L’attività si svolge a flusso continuo, scandita da poche pause di un quarto d’ora durante la quale si sperimenterà la tecnica del collage. A partire da diverse immagini che riproducono opere della GAM esposte in museo e visitabili durante la serata, il pubblico è invitato a ritagliare, comporre e ibridare le diverse parti delle opere per creare una personale cartolina da portare via. Questa potrà essere spedita, conservata o donata, come testimonianza della creazione di un messaggio ‘proibito’, da custodire o donare. Il tema sarà quello della notte: da intendere in maniera figurata, ma anche come simbolo. Le opere scelte rimandano infatti a un immaginario di divertimento, di libertà e di mistero, di oscuro e inconscio, realizzate da artisti attratti da tematiche spigolose, misteriose… notturne.

Costo del workshop: 5 € (+ biglietto di ingresso 1 €)

Info e prenotazioni: 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

MAO

ore 18:30

BUDDHA10 RELOADED

L’incontro con straordinarie statue buddhiste delle collezioni del MAO, alcune delle quali mai esposte al pubblico, messe in dialogo e in contrasto con alcuni esemplari provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma e dal Museo d’Arte Orientale E. Chiossone di Genova e con significative opere di artisti contemporanei, diventa l’occasione per riflettere su temi come l’originaria collocazione e funzione delle opere, le modalità di importazione in occidente, le logiche e procedure di restauro, le complesse relazioni fra vero e falso. Questi e altri interrogativi saranno al centro della visita guidata che si propone come momento di condivisione e riflessione su questioni che si celano dietro a soggetti dalla natura e funzione essenzialmente sacra.

Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietto di ingresso 1 €)

Info e prenotazioni: t. 011 5211788, prenotazioniftm@arteintorino.com

ore 20:30 – 22:00

SONIC BLOSSOM di LEE MINGWEI

Commissionata per l’inaugurazione del National Museum of Modern and Contemporary Art, Corea, nel 2013, e dopo essere stata presentata nelle più prestigiose istituzioni internazionali quali il Centre Pompidou di Parigi e il Metropolitan Museum of Art di New York, la performance partecipativa dell’artista taiwanese-americano LEE Mingwei arriva per la prima volta in Italia al MAO. Nelle sale del museo si avvicendano 7 cantanti della Scuola di musica vocale da camera di Erik Battaglia del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, selezionati e formati da Lee Mingwei in collaborazione con lo stesso professor Battaglia.

Fra tutti i visitatori che incontreranno, ne sceglieranno uno a cui offrire in dono un Lied di Schubert; se questa persona accetterà l’offerta, sarà condotta nel Salone Mazzonis al primo piano e avrà inizio la performance. Tutte le informazioni

 

ore 21:00

VISITA ALLE GALLERIE DEDICATE A CINA E GIAPPONE

L’itinerario attraverso le opere esposte si trasforma in un viaggio verso l’Asia Orientale. Il percorso parte dagli oggetti d’arte della Cina antica, caratterizzati da vasellame neolitico, bronzi rituali, lacche e terrecotte – databili dal Periodo Neolitico al X secolo d.C. – per proseguire nella suggestiva galleria dedicata al Giappone, che presenta statue lignee di ispirazione buddhista, eccezionali paraventi, armature dei samurai e dipinti su rotolo verticale e xilografie policrome note come ukiyo-e, ‘immagini del mondo fluttuante’.

Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietto di ingresso 1 €)

Info e prenotazioni: t. 011 5211788, prenotazioniftm@arteintorino.com

Palazzo Madama

ore 18:30 e ore 21:00

DA PORTA ROMANA … A CASTELLO… A MUSEO

È la Notte Europea dei Musei: un’occasione per vivere l’arte e la storia in un orario diverso. Tarda serata e fuori il buio: momento perfetto per visitare le collezioni di Palazzo Madama.

Il sito fu in origine porta romana, poi divenne fortezza medievale e castello dei principi d’Acaia, proseguendo quale residenza delle due Madame Reali e divenendo successivamente la sede del primo Senato Subalpino. Dal 1934 assume un nuovo ruolo: si inaugura la sede del Museo Civico d’Arte Antica con un patrimonio che vanta oltre 70.000 opere.

La visita rivela ogni aspetto senza nulla tralasciare, scandendo ogni passaggio che, nei secoli, in questo luogo si è verificato. Architettura, arte e apparati decorativi: venti secoli di storia da respirare in orario inconsueto.

Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietti di ingresso 1 €)

Info e prenotazioni 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Hidden flowers. Installazione di Jacopo Miliani per t-space X MAO

12 maggio – 25 giugno 2023

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

 

Invitato per il quinto appuntamento di t-space X MAOJacopo Miliani propone negli spazi del museo un’installazione dal titolo Hidden Flowers.

Il progetto esposto è lo sviluppo di una ricerca condotta a Tokyo nel 2017 da Miliani insieme alla semiologa e curatrice Sara Giannini. Oggetto di questa indagine sono le storie intorno ad alcuni magazine omoerotici destinati alle comunità gay giapponesi degli anni 70-80-90.

La ricerca, per lo più condotta nei bar del quartiere di Shinjuku-ni-chome di Tokyo, ha prodotto il volume Whispering Catastrophe in cui il tema della censura visiva degli organi genitali maschili – ancora vigente in Giappone – si apre a una personale riflessione anti-identitaria che guarda verso una cultura altra per decostruire quella di appartenenza. Tale pratica trova un corrispettivo rovesciato nelle opere di autori come Yukio Mishima o del traduttore/editore Tastuhiko Shibusawa che guardano all’Italia, alla Grecia e alla Francia per ricontestualizzare in Giappone alcuni immaginari della cultura omosessuale occidentali.

La pubblicazione Whispering Catastrophe si compone inoltre di una raccolta di fotografie provenienti da magazine destinati a uomini che amano uomini. Sulle pagine di queste riviste la sovrapposizione di immagini – necessaria a rispettare la censura prevista dal codice morale e legale giapponese – si apre alla costruzione di un complesso linguaggio visivo con cui Miliani e Giannini interagiscono, mettendo in crisi la propria identità culturale e cercando di interpretare un codice che non gli appartiene.

La mostra riecheggia gli spazi bui dei bar di Tokyo, che sono stati i principali luoghi di ricerca per il progetto editoriale. Le storie e le immagini esposte sono proposte come residui, frammenti e voci sussurrate al fine di indurre lo spettatore verso un’esperienza simile a quella di trovarsi in un luogo straniero e occulto che, come le immagini censurate, procura in chi lo attraversa una misteriosa seduzione, necessaria a stimolare un’interpretazione che può essere tanto fallace quanto creativa.

Il progetto è completato venerdì 19 maggio alle 19 da una talk ospitata da ADD Editore nell’ambito degli eventi legati al Salone del Libro di Torino: negli spazi dell’ Edicola 51  di via Carlo Alberto Sara Giannini e Jacopo Miliani incontreranno Asuka Ozumi, docente ed esperta di cultura giapponese. Partendo dalla censura visiva in Giappone che, coprendo e mascherando il corpo maschile, induce una deviazione dello sguardo di chi osserva, il progetto Hidden Flowers vede in questa restrizione la possibilità di un’indagine sulla sessualità in continua trasformazione.

BIO Jacopo Miliani è un artista visivo, la cui pratica affronta la performance come metodologia espansa che mira a indagare le connessioni tra linguaggio e corpo. È il fondatore di un progetto editoriale indipendente incentrato su sessualità e linguaggio: Self Pleasure Publishing. Il suo lavoro è stato presentato in mostre personali e collettive presso GAMeC, Bergamo; Centro Pecci, Prato; Galeria Rosa Santos, Valencia; Palais de Tokyo, Parigi; David Roberts Art Foundation, Londra; Kunsthalle Lissabon, Lisbona; ICA studio, Londra; Studio Dabbeni, Lugano; Museo Madre, Napoli. Nel 2021 ha realizzato il film La discoteca, un progetto a cura di NOSprodcution, vincitore dell’Italian Council (VIII edizione, 2020).

 

Si ringrazia per la collaborazione: ADD edizioni, Asuka Ozumi, Sara Giannini, Ramona Ponzini, OuUnPo.

“Of Loom / Oltre il telaio” Sergio Agosti al Museo del Tessile

Una suggestiva retrospettiva – omaggio all’avventura artistica collegata alla “Fiber Art” di Sergio Agosti

Da venerdì 12 maggio a martedì 30 maggio

Chieri (Torino)

A novant’anni dalla nascita, a Carpaneto Piacentino (1933) e a venti dalla morte a Chieri (Torino, 2003),  Sergio Agosti, fra i nomi più prestigiosi e indimenticati dell’arte concettuale novecentesca nonché indiscusso pioniere dell’arte tessile, sarà ricordato a Chieri, dove visse per anni fino alla scomparsa, con una suggestiva personale ospitata, da venerdì 12fino a martedì 30 maggio, presso il “Museo del Tessile” ( “Sala della Porta del Tessile”, in via Santa Chiara 10), curata da Silvana Notache, insieme a Melanie Zefferino, cura anche il catalogo della rassegna dal titolo “Sergio Agosti. Off Loom / Oltre il telaio”. Pittore, scultore, incisore, Agosti è stato un artista poliedrico e raffinato che, nella sua ricerca di matrice concettuale ha sgusciato (senza mai troppo abbandonare l’originaria esperienza figurale) da “un espressionismo naturalista – per dirla con Aldo Passoni – ad un astrattizzazione dell’oggetto condotta con l’ausilio di varie tecniche”: dall’ olio e dall’ encausto, alla stratificazione dei cartoni vegetali e al collage anche con l’utilizzo di carte di riso giapponesi,  all’acquaforte, alla litografia e alla calcografia per la realizzazione di “libri d’artista”, fino ad arrivare ai “Mandala” (disegni concentrici mistico-religiosi dalle antiche origini indiane) creati con pigmenti in polvere e minerali su supporti cartacei.

 

Artista di “segni a volte pericolanti e sghembi – scriveva nel ’75 Enrico Paulucci, in occasione di una sua personale a Rapallo –come alla ricerca della luce, talvolta tratteggiati e incrociati nella ricerca di piani e di spazi; talvolta spinti verso cieli più astratti: ma sempre essenziali, al di là di una  mera ricerca descrittiva, impregnati di una loro delicata vita, di una loro viva ragione…”. A partire dagli anni ’70, l’artista di origini piacentine sviluppa un inedito ciclo di opere in cui impiega l’elemento tessile, sperimentando materiali diversi assemblati fra loro (pietre cucite con morbidi fili di lana, ad esempio, in “Ambiguità del segno”), anticipando in Italia le più innovative esperienze internazionali legate alla “Fiber Art”. Esperienze di cui sono chiara espressione i 12 lavori presentati in mostra a Chieri, facenti parte della “Collezione civica Trame d’Autore”, a cui si aggiungono alcuni prestiti della famiglia. Formatosi all’Istituto d’Arte “Felice Gazzola” di Piacenza, Agosti debutta giovanissimo, appena ventiduenne, frequentando il mondo artistico emiliano e lombardo e inaugurando con la sua prima mostra personale un’attività espositiva ininterrotta negli anni, in Italia e all’estero. Nel 1961 si trasferisce a Torino e successivamente a Chieri, dove vivrà fino alla morte, avvenuta nel 2003, e dove nel 1972 riceverà il prestigioso Premio “Navetta d’Oro”.

Come grafico pubblicitario, lavorò anche (dal 1966 al 1989) presso l’“Ufficio Pubblicità” della “Ferrero” a Pino Torinese. Folgorante, per lui instancabile sperimentatore di sempre nuove cifre stilistiche e narrative, l’inciampo (anni ’70) nell’elemento tessile. Inizia da qui una copiosa produzione di lavori “che si distinguono per connotazioni di avanguardia – precisa Silvana Notasul versante del movimento internazionale della ‘Fiber Art’, che proprio in quegli anni trova una sua precisa identità, e che a Chieri, troverà a partire dal 1998 un riferimento importante grazie alle ‘Biennali Chieresi’ che hanno visto l’approdo di artisti da tutto il mondo”. Alla chierese “Porta del Tessile”, già Cappella quattrocentesca del Convento di “Santa Chiara”, a sua firma si possono così ammirare eleganti “Arazzi” non convenzionali, gli “Assemblage”, i “Teatrini”, le “Pietre cucite”, i lavori realizzati con la tela “Bandera Chierese” (tipico tessuto locale in uso dal Settecento), sculture e installazioni che “rappresentano un veicolo importante – conclude la curatrice – per parlare al grande pubblico, come agli esperti, delle molteplici possibilità espressive dell’antica tradizione tessile chierese, che Sergio Agosti ha mirabilmente declinato in arte di matrice concettuale”.

Gianni Milani

“Off Loom / Oltre il telaio”

“Museo del Tessile”, via Santa Chiara 10, Chieri (Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org

Fino al 30 maggio

Orari: mart. 10/12 e sab. 14/18

Nelle foto:

–       Sergio Agosti: “Teatrino”, 1999

–       Sergio Agosti: “Ambiguità del segno”

–       Silvana Nota

Riflessioni su Venere: dea, capolavoro, influencer

Come non discuterne?


La bella e ondosa chioma bionda è tornata a far parlare di sé dopo secoli, un tempo allegoria del rinnovamento culturale del Rinascimento, oggi forse personificazione del nostro tempo caratterizzato da una generale mancanza di logos, passando da simbolo indiscusso di bellezza e sensualità, ad una moderna sciattaicona svuotata di ogni significato, una sorta di contemporanea versione alla Andy Warhol, ma priva del senso di critica e denuncia sociale che caratterizzava le opere della Pop Art.
Quante parole e quante contestazioni intorno alla vicenda della Venere influencer, eppure penso che abbiamo ben poco di cui lamentarci, giacché, a mio modestissimo parere, questa odierna rivisitazione ce la meritiamo tutta.

Lasciate che mi spieghi.
Sul finire del 1400 precisamente tra il 1485 e il 1486- Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, meglio noto come Sandro Botticelli (1445-1510), dona al mondo una delle opere più strabilianti della storia dellarte: un mare leggermente increspato, piccole onde che si susseguono secondo un ritmo simmetrico quasi una decorazione da carta da parati-  mentre sullacqua si riflette un cielo terso. Dal lato sinistro del quadro si sporge Zefiro, ha le guance gonfie, soffia per far giungere lavvenente Venere sulla riva, mentre la bella Clori si lascia avvolgere dal dio in un eterno abbraccio aggraziato. Dallaltro lato della tela, una fanciulla, probabilmente una delle Ore o delle Grazie- porge con gesto gentile alla dea una veste, indumento che è di per séun tripudio di decorazioni naturalistiche, le pieghe della stoffa sono riccamente ricamate con primule, rose e rami di mirto, pianta sacra alla stessa Venere e raffigurata anche nellaltrettanto celebre dipinto dello stesso autore, la Primavera.
Al centro della composizione, lo strabiliante artista, allievo di Filippo Lippi, pone Venere.  La splendida figura si staglia nuda allinterno di una conchiglia aperta, che la porta sulla marina, con un atteggiamento di timida riservatezza che tuttavia non la salvaguarda dal trasudare elegante sensualità. Lautore, che apprende le lezioni del Verrocchio e del Pollaiolo, è anche profondo conoscitore dellarte classica, motivo per cui i tratti di Venere/Afrodite  si fanno preziosi e leggiadri, ma altresì ispirati alla statuaria greca; secondo la tradizione iconografica della Venere pudica, la sempiterna fanciulla con una mano si copre il pube e con laltra il seno, mentre i lunghi capelli le incorniciano il volto e contribuiscono a coprire la nudità del corpo.
Il soggetto raffigurato è ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio (poeta romano I a.C. – I d-C.), tematica già rappresentata nelle Stanze di Agnolo Poliziano e in generale argomento assai apprezzato e conosciuto presso la corte intellettuale della famiglia Medici.
È bene precisare che, nonostante la titolazione Nascita di Venere, il momento ritratto è lapprodo di Afrodite presso lisola di Cipro.
Come la celeberrima Primavera, anche questopera risponde al diffondersi del neoplatonismo presso la corte di Lorenzo il Magnifico, figura essenziale del Rinascimento, uomo colto e dai gusti raffinati, che amava circondarsi di artisti, filosofi ed intellettuali.
Secondo la filosofia neoplatonica lamore è principio vitale e forza del rinnovamento della natura, per tale motivo lopera del Botticelli va letta come celebrazione e allegoria della nascita di una nuova umanità, rappresentata proprio da Venere, la cui nudità diventa pura sublimazione del concetto di bellezza, esimio tentativo, da parte del pittore, di canonizzare i paradigmi estetici del pensiero di Plotino, per il quale la mimesi non è più pensata come copia del reale, ma come copia del modello ideale, ossia come idealizzazione.
Per secoli tale capolavoro si è fatto amare, senza alcuna difficoltà, perché il bello colpisce il cuore e la mente e non può che lasciare lo spettatore senza fiato.
Per secoli, appunto, fino alla nostra attualità, asettica e adiafora, ossia indifferente.
Silenzio che si è quietato giusto fino al 2020, il tempo di un battito dali duna farfalla o di una storia su instagram, quando la più che nota Chiara Ferragni ha solcato i vasariani corridoi degli Uffizi.
E poi di nuovo il nulla.
Ma ecco allimprovviso il riapparire di quella inconfondibile chioma bionda.
È la nostra Venere, solo che ora non rappresenta più lidea botticelliana, bensì la nostra. È tutta moderna, ora la bella Afrodite: alla faccia del body positive o del girl power, si presenta abbigliata da radical chic, non mostra nemmeno un centimetro dellantica perfezione e sembra sorridere inebetita accanto alla sua bicicletta ecosostenibile, mentre presenta al mondo unItalia stereotipata -che poi come sappiamo Italia non è-.
Questa tanto dibattuta Venere mondana è leffigie dellaltrettanto discussa campagna promozionale Open to meraviglia, voluta dal Ministro del Turismo Daniela Santanché e costata ben 9 milioni di euro. Le problematiche paiono essere effettivamente complesse, al punto che il caso è finito in parlamento con laccusa   di grave danno di immagine al Paese. Gli scivoloni in effetti sono molteplici, èinnegabile, e grossolani, per lo più traduzioni errate e locazioni geografiche inesatte. Solo un esempio: sul sito si legge che Palladio interviene, per ledificazione della Basilica Palladiana, sul preesistente Palazzo della Regione, in realtà Palazzo della Ragione, definizione data alledificio poiché lì si esercitava la ratio.
A far discutere sono anche le immagini da cartolina pizza e mandolino, che per altro non sono nemmeno state realizzate sul territorio. E infine questo claim ibrido e maccheronico che richiama quel Verybello voluto nel 2015 dal Ministero dei Beni culturali, espressione per altro ritenuta inadatta e poco internazionale.
Insomma questa trovata pare fare acqua da tutte le parti.
Eppure non sono tali numerosi errori a colpire la mia attenzione.
Mi pare, a guardarla bene, che sul volto della mirabile Afrodite non ci sia più un aggraziato sorriso, ma un ridere sommesso e beffardo, una smorfia celata e trattenuta da photoshop, una presa in giro rivolta a noi, noi osservatori automatici, a noi incapaci di agire attivamente e icon criterio, a noi che come s**** rimaniamo a guardare per dirla parafrasando il titolo di un film di PIF, geniale quanto veritiero.
Quello che penso è che questa Venere influencer ce la meritiamo.
Come la Dea botticelliana era allegoria della ratio rinascimentale, dell uomo misura di tutte le cose e della nuova umanità illuminata, questa contemporanea Venere influencer è perfetta metafora del tempo in cui stiamo vivendo.
La storica bellezza lascia spazio ad un aspetto banalizzato e standardizzato, la simbolica nudità che esaltava la perfezione del corpo è ora censurata con abile e subdolo moralismo, infine lo slogan, così tristemente scarno, riecheggia la pochezza di contenuti inculcata dalla cultura del Social.
Non è dunque lattualizzazione ironica dellicona rinascimentale, bensì una sorta di nemesi: una fanciulla vacua e vaga truccata da capolavoro, personificazione ad hoc di una società dove la leggerezza spadroneggia, i ruoli si sfaldano e nessuno vuole assumersi le proprie responsabilità.
Lo dimostrano le recenti circostanze, in particolar modo i fatti riguardanti la scuola.
Il sistema educativo si sta sgretolando, sta cedendo il luogo in cui i ragazzi vengono istruiti, in cui si concretizzano i verbi latini disco e nosco secondo le accezioni più late dei termini.
Le cose funzionavano bene fino a non troppo tempo fa. La famiglia ricopriva il suo ruolo essenziale per la crescita dei giovani, parimenti la scuola contribuiva alla formazione del futuro cittadino (secondo quanto sostenuto nel documento chiamato Patto di Corresponsabilitàtra Famiglia e Istituzione), rivestendo un ruolo chiave nella crescita dellindividuo, il quale si preparava così ad inserirsi attivamente nella collettività.
Dun tratto i due nuclei non hanno più viaggiato in parallelo, luno ha improvvisamente debordato nellaltro, che a sua volta ha perso senso di fermezza e concretezza. Di nuovo andrei a ricercare le cause in questa violenta e forzata intromissione tecnologica nelle nostre vite.
Scusate poi se mi appello a quello che è propriamente il mio campo: lo abbiamo già dimenticato il casus belli del David di Michelangelo? Una vicenda che come sempre ha acceso gli animi per qualche pomeriggio, poi è passata in sordina: Hope Carrasquilla, preside della Classical School di Tallahassee, in Florida, è costretta a rassegnare le dimissioni per aver mostrato la statua del David di Michelangelo Buonarroti durante una lezione di arte -tra laltro proprio sullarte del Rinascimento italiano- in seguito alle proteste dei genitori degli alunni, i quali hanno accusato la docente di pornografia.
Certo, è successo lontano da noi, nella stessa terra misteriosa dove la Cancel Culture vuole eliminare Dante e Omero dai programmi scolastici perché ritenuti offensivi e razzisti, nello stesso luogo in cui i grandi classici della Disney sono eliminati dalla storia della filmografia e con la stessa ignorante presunzione vengono trattati alcuni capisaldi del cinema internazionale (Via Col vento giusto per citarne uno).
Eppure è la stessa patria che guardiamo con fascinazione e adorazione, è la stessa America che vogliamo tanto imitare, quindi scusate se mi indigno e un po mi spavento.
In più vi confesso, certo non a questi assurdi livelli, ma anche nelle nostre scuole tutte italiane noi docenti dobbiamo entrare in classe in punta di piedi, non tanto per timore dei ragazzi, ma per le eventuali rimostranze che potrebbero giungere da casa.
Lo dico sorridendo, ma pensatemi mentre spiego Storia dellArte, che praticamente è tutta un nudo e quando non si parla di religione si tratta di scene di violenza! Cosa dovrei spiegare? Forse rimangono alcune opere fiamminghe, ma non possiamo soffermarci solo sul genere natura morta che poi per lo più si tratta di scene di vanitas e qualcuno potrebbe comunque sentirsi turbato allidea di sfiorire e non essere immortale-.
A me in primis era capitato qualche anno fa: una mamma mi aveva atteso fuori da scuola, per dirmi che era contraria alla consegna che avevo assegnato alla figlia (un disegno attraverso il quale i ragazzi avrebbero dovuto esprimere ciascuno le proprie emozioni): classe I media, studio delle emozioni, con tanto di spiegazione e restituzione del lavoro da parte mia ad ogni fine ora, completo di confronto attivo tra gli alunni, basato su riflessioni e raffronti. Lezioni a cui per altro lalunna in questione partecipava volentieri, senza ansie né traumi.Ricordo che la vicenda si era poi conclusa senza eccessive difficoltà, qualche delucidazione in più e una spiegazione accurata di quanto avveniva in classe avevano appianato i dubbi della madre che si era dimostrata aperta al dialogo.
Accade qualche giorno fa vicino Napoli. Alcuni genitori, membri dellAssociazione Borromeo, protestano perché la classe dei figli realizza, sotto la supervisione del docente, un film horror, attivitàche, a detta di tali individui, è di cattivo gusto  e senza un finale educativo. Il filmato però tratta tematiche importanti e di grande attualità quali il bullismo, lemarginazione, la violenza in etàadolescenziale, ma anche lamicizia e la rivalsa; inoltre gli alunni vengono preparati studiando testi specifici, quali alcuni romanzi di Stephen King, maestro per eccellenza della letteratura horrorcontemporanea, abilissimo scrittore  e uomo di grande cultura e genialità, insomma non proprio improvvisando su filmati di serie B o libri privi di messaggio come certe saghe dark che poi riscuotono pure troppo successo.
Sono davvero numerosi i casi in cui la scuola, e i componenti di tale comunità educante, devono retrocedere a favore di questa prepotenza diffusa, basata su villania e ignorantaggine.
Ad oggi non mi crea sconcerto lappunto di un signor nessuno, ma temo grandemente il fatto che queste assurde prese di posizione non solo vengano ascoltate, ma abbiano spesso la meglio sulle scelte didattiche e sulle metodologie educative impiegate del docente, che per altro è un professionista dellerudizione, pagato (molto poco) per istruire i ragazzi e prepararli alla vita, non solo allinterrogazione imminente.
Questi sono i veri atteggiamenti che sminuiscono il ruolo del Professore, non i rapporti più o meno stretti che talvolta si instaurano allinterno della classe, non gli strumenti e i metodi che gli insegnanti decidono di adottare, e non è nemmeno colpa dei banchi a rotelle o dei libri di testo digitali.
La colpa è dei padri e delle madri di questa Venere influencer.
Che poi è figlia nostra, di noi adulti, dei miei coetanei, di questa bizzarra generazione che crede di sapere tutto, che non vuole vedere i propri figli crescere perché ciò significherebbe invecchiare, che non basta a se stessa e perciò sproloquia su tutto, che non ha ancora capito i cambiamenti che ormai sono avvenuti e colpevolizza le nuove generazioni.
Questa Venere influencer non ha proprio nulla di sbagliato, al contrario.
Solo che guardarsi allo specchio talvolta può essere doloroso.

ALESSIA CAGNOTTO