ARTE- Pagina 37

Pinacoteca Agnelli, sulla pista 500 del Lingotto le nuove opere di arte pubblica

A 28 metri di altezza, circondati da 3000 piante di oltre 300 specie diverse, la pista 500 del Lingotto ospita, dallo scorso giovedì 2 maggio, le nuove installazioni “Site – Specific” di Felix Gonzalez – Torres(Cuba 1957 – Usa 1996), Finnegan Shannon (Usa 1989) e RirkritTiravanija (Argentina 1961), dopo aver accolto negli anni sculture e installazioni audio ambientali, opere luminose sonore, interventi video e di cinema di Shirin Aliabadi, Thomas Bayrle, Julius Von Bismarck, VALIE EXPORT, Liam Gillick, Sylvie Fleury, NanGolding, Marco Giordano e Shilpa Gupta, tra gli altri.

Il progetto di riconversione dell’iconica pista del Lingotto conduce il pubblico, dal 2022, a riflettere sul significato di “spazio pubblico” attraverso le opere di artisti internazionali che si si confrontano con la realtà della fabbrica e i paesaggi urbani circostanti, e ne esplorano le implicazioni sociali, culturali e politiche. Quest’anno, la pinacoteca Agnelli, collabora con EXPOSED Torino Photo Festival e Salone del Libro. Il progetto è curato da Sarah Cosulic e Lucrezia Calabrò Visconti, e accoglie un’opera del 1991 di Felix Gonzalez – Torres denominata “Untitled”. Si tratta di una fotografia stampata sul Billboard della pista 500 e su sei cartelloni pubblicitari diffusi per Torino. L’intervento rientra nella collaborazione tra la pinacoteca Agnelli e la rassegna diffusa con 29 mostre e 23 sedi diverse dal titolo “EXPOSED. Torino Photo Festival”, giunto alla sua prima edizione, che si sviluppa dal 2 maggio al 2 giugno 2024. L’opera fotografica ritrae un letto matrimoniale disfatto, scelto dall’artista come simbolo di un’epoca segnata dalla pandemia da HIV e dal confine tra spazio pubblico e privato, affrontando tematiche che sono tabù come la morte, il dolore e la perdita. L’artista Finnegan Shannon presenta l’opera “Do you want us here or not”, un intervento composto da una serie di panchine che egli va a collocare sul tetto del Lingotto, lungo il percorso della pista 500. Si tratta di una riflessione sul valore sociale dell’accessibilità agli spazi, in particolare a persone con disabilità. Rirkrit Tiravanijapresenta quattro tavoli da ping pong collocati su uno dei terrazzini della pista, che riportano quattro lingue diverse appartenenti alle numerose comunità non italiane che vivono a Torino; l’installazione può essere fruibile come gioco dal pubblico, ma diventa in realtà uno spazio di negoziazione delle identità che sfida il concetto di appartenenza nazionale.

“La riflessione sull’inclusività negli spazi museali, e sulla pista 500, è stata una delle forme trainanti della programmazione della pinacoteca Agnelli fin dall’inizio del suo corso. Ciò si riflettere nel modo in cui è stata progettata e nell’accessibilità dei contenuti che vengono prodotti – spiegano le due curatrice della mostra Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti”.

La pista 500 del Lingotto, in attesa della 36esima edizione del Salone del Libro, in programma da giovedì 9 a lunedi 13 maggio prossimi, per il secondo anno accoglie l’iniziativa intitolata “Sul tetto del Salone”, ospitando incontri e riservando ingressi ridotti al museo per i lettori e le lettrici del Salone, con l’opportunità di accedere gratuitamente al FIAT Cafè 500.

 

Mara Martellotta

Duplice mostra al museo MIIT

In corso Cairoli 4: “Gregg Simpson. Dancers in the garden” e “Immagini …immaginarie”

 

Al Museo MIIT , in corso Cairoli 4, doppio evento e doppia inaugurazione delle mostre intitolate a “Gregg Simpson. Dancers in the garden” e “Immagini… immaginarie” venerdì 10 maggio dalle ore 18, visitabili fino al 22 maggio.

“Immagini… immaginarie” pone a confronto una trentina di artisti contemporanei internazionali che si confrontano sul tema dell’immaginazione, della favola, della follia e dell’espressività interiore. Gli artisti, provenienti da diverse parti del mondo, prendono spunto dal tema annuale del Salone del Libro di Torino per indagare, tramite la loro sensibilità, sensazioni e emozioni interiori, utilizzando tecniche differenti, dalla pittura alla scultura alla fotografia. Tecniche che si fondono in un percorso suggestivo e coinvolgente.

Il Museo MIIT di Torino presenta anche la personale dell’artista Gregg Simpson “Dancers in the garden”, che inaugura sempre venerdì 10 maggio dalle ore 18.

La mostra prosegue il percorso itinerante ed espositivo di Gregg Simpson che, in questi mesi, ha toccato molte città in Italia e all’estero, tra cui Roma, Milano, Nizza e appunto Torino, presentando “Dancers in the garden”, che unisce due serie di opere: “Dream garden”, che si ispira alle luci e alla natura dei paesaggi italiani e della Provenza, con le loro sfumature delicate, i colori tenui, l’armonia del tutto e “Flamenco Abstraction” , che si ispira, invece, alla musica e al ballo, in particolare a uno spettacolo di flamenco cui l’artista aveva assistito a Siviglia.

“Dream Garden” fa respirare l’aria fascinosa del Sud della Francia e dell’Italia, attraverso un grand tour contemporaneo in cui le forme della natura e le luci abbacinanti dell’atmosfera solare si fondono immergendo lo spettatore in tramonti sensuali o in albe infuocate tra il verde dei pini marittimi e i colori sgargianti delle ginestre e delle lavanda. Non si tratta di paesaggi tradizionali o di vedute realistiche. Gregg Simpson interpreta il vero a ritmo di musica e di danza, come recita il titolo della mostra, trasformando i volumi, sintetizzando le forme, rendendo essenziale e geometrica la sua visione del mondo, viva e palpitante di cromatismi accesi.

“Ho realizzato le tele nel mio studio di Bowen Island, nella Columbia Britannica, sulla costa occidentale del Canada – afferma l’artista – e ho creato le opere su carta viaggiando in Umbria, Tarquinia e Provenza”.

L’altra sezione della mostra e della serie ispirata al flamenco e alle danzatrici spagnole si ricollega perfettamente alla prima, in quanto l’artista trova similitudini tra la natura infuocata del Mediterraneo e le tessiture sgargianti dei vestiti tradizionali del flamenco.

“Ho iniziato questa serie dopo aver assistito ad uno spettacolo di flamenco nel Museo del Flamenco di Siviglia, in Spagna. Volevo ricreare – spiega Gregg Simpson – i movimenti vorticosi e cinetici delle ballerine. I modelli energetici di questa serie si fondono bene con i soggetti ispirati al paesaggio della serie “Dream Gardens”, combinando forme figurative e organiche nelle due serie. Così mi propongo di creare un nuovo ambiente in cui le forme umane sono completate e valorizzate dal paesaggio”.

MARA MARTELLOTTA

Gregg Simpson “Dancers in the Garden”

Inaugurazione venerdì 10 maggio 2024 dalle ore 18.

Dal 10 al 22 maggio.

Orario da martedì a sabato 15.30-19.30

Info 0118129776

www.museomiit.it

“Expanded With” in “EXPOSED Torino Foto Festival”

Anche il “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea” omaggia la prima edizione del “Festival” che si terrà sotto la Mole per tutto il mese di maggio

Fino al 25 agosto

Rivoli (Torino)

Un labirintico tappeto di uova. Anzi tre. E quattro gambe (presumibilmente) femminili che coraggiosamente ne sfidano il passaggio, facendo ben attenzione a non trasformare i suddetti tappeti in enormi frittate. Il primo pare essersela, più o meno (più meno che più), cavata. Sugli altri due stendiamo un pietoso velo.

L’uovo scelto “come perfetta metafora della coesistenza di vita e di morte diventa anche simbolo di speranza e rinnovamento”. A raccontarlo in un possente trittico fotografico in bianco e nero, dal titolo “Entrevidas” (“Tra le vite” – della serie “Fotopoemação”1981-2010) è Anna Maria Maioli (“Leone d’Oro” alla carriera alla “Biennale di Venezia” di quest’anno), in quella che può considerarsi la sua prima performance, avvenuta a Rio de Janeiro nel 1981 e presentata come installazione, nello stesso anno, a San Paolo del Brasile. Dietro ci sta tutta l’incertezza dell’allora situazione politica brasiliana, determinata dalla scarsa fiducia di gran parte della popolazione rispetto alla promessa di un ritorno alla democrazia da parte del presidente brasiliano, João Figueiredo. La Maiolino, calabrese di Scalea, trasferitasi da bambina con la famiglia prima in Venezuela e poi in Brasile (dove vivrà gli anni del regime militare che segneranno profondamente tutta la sua attività artistica articolatasi ecletticamente attraverso la performance, l’installazione e la fotografia) decide di riempire lo spazio di uova, invitando poi gli spettatori a “camminare tra le uova, trovandosi così in una situazione che richiede cautela e concentrazione e potendo direttamente esperire questo senso di indefinita precarietà”. “Precarietà” neppur tanto “indefinita”, ma ben chiara agli occhi di chi osserva l’opera, sicuramente fra quelle più interessanti scelte dalla curatrice Marcella Beccaria per la mostra collettiva “Expanded With”, pensata, insieme ad Elena Volpato(conservatore e curatore presso la “GAM” torinese), in occasione di “Exposed”, il Festival Internazionale della Fotografia di Torino.

 

 

Allestita al piano terra, piano ammezzato e terzo piano della “Manica Lunga”, la mostra raccoglie, fino al 25 agosto, opere di 23 artiste e artisti, attivi in più Paesi, nelle quali il “medium fotografico” è il punto di partenza per indagare in “campo allargato” – citando gli scritti della teorica dell’arte americana Rosalind Krauss – diversi tipi di relazione con il paesaggio. Dalle “azioni performative” degli anni 60-70, la mostra comprende opere di pionieri della “Land Art” (Dennis Oppenheimer, su tutti), dell’“Arte Povera” (Giulio Paolini e Mario Merz, fra gli italiani) e della “Body Art” (suggestiva quella “silhouette di fuochi d’artificio” della cubana Ana Mendieta), includendo inoltre l’uso della fotografia come strumento concettuale, per arrivare a ulteriori esperienze più contemporanee. E che dire, allora, di quell’inquietante ma pure ironico e divertente “LeonArdo”, fra i “tableaux vivants” (intrisi di passato e presente, occidente e oriente) del bolognese di Grizzano Morandi, Luigi Ontani?

“Expanded With” è parte di “Expanded”, una mostra in tre capitoli pensata per valorizzare il nucleo fotografico della “Collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT” in comodato al “Castello di Rivoli” e a “GAM- Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino”. Proponendo un unico percorso coerente, la mostra è quindi articolata nelle sedi del “Castello di Rivoli”, della “GAM” e delle “OGR” Torino, e presenta la fotografia da tre angolature speciali, “Expanded With” al “Castello di Rivoli”, “Expanded Without” presso le “OGR” e “Expanded – I Paesaggi dell’arte” presso “GAM” a Torino.

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In concomitanza con “Expanded With”, nella “Sala 18” al secondo piano del Museo sarà inoltre possibile visitare (fino all’8 settembre) la mostra “Paolo Pellion di Persano. La semplice storia di un fotografo”, a cura di Marcella Beccaria e Andrea Viliani, che riunisce per la prima volta un importante corpus di fotografie dell’artista (Castagneto Po, Torino 1947-2017), tra cui molti inediti, restituendo uno straordinario racconto dal quale emerge la vitalità artistica di Torino (a partire dai fermenti sociali anni ’70) e del suo territorio, oltreché la lunga relazione di Pellion con lo stesso “Castello di Rivoli”, di cui documenta l’inaugurazione nel 1984 e che segue con continuità fino al 2012 e oltre.

Gianni Milani

“Expanded With”

“Castello di Rivoli”, piazzale Mafalda di Savoia 2, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 25 agosto

Orari: dal merc. al ven. 10/17; sab. dom. e festivi 11/18

Nelle foto: Anna Maria Maiolino, “Entrevidas”, 1981-2010; Ana Mendieta, “Senza titolo- Anima, silhoutte di fuochi d’artificio”, 1976; Luigi Ontani, “LeoNardo”, 1970. Paolo Pellion: “Marisa Merz”, 1973

TAIT Gallery, il nuovo spazio per l’arte

Ha aperto a Torino, in via San Quintino 1 bis, la TAIT Gallery, la nuova galleria d’arte la cui esposizione sarà visitabile fino all’inizio di settembre

 

Ha aperto a Torino, a due passi dalla stazione Porta Nuova, in via San Quintino 1 bis, la galleria d’arte TAIT Gallery, un nuovo spazio di 310 mq che sarà la sede della società TAIT Group, progetto voluto dai due soci Lorenzo Palumbo e Simone Loiudice, ma anche uno spazio innovativo e contemporaneo.

Lo spazio espositivo si presenta nel panorama artistico internazionale come uno spazio di scambio e confronto e, tra gli obiettivi, ha quello della ricerca di dialogo e collaborazione con altre gallerie ed enti del settore, al fine di variare la proposta degli artisti. Si tratta di un progetto innovativo basato sullo studio meticoloso del panorama artistico contemporaneo, ricercando non soltanto artisti affermati ma, soprattutto, giovani emergenti talentuosi, italiani e stranieri.

“La TAIT Group sostiene un importante dialogo di collaborazione con il settore in cui si ramifica – affermano i due soci Lorenzo Palumbo e Simone Loiudice – la TAIT Gallery, la TAIT Real Estate, la TAIT Investments e T-Affordable. La sezione TAIT Gallery è il principale pilastro dell’attività, in rappresentanza di una nuova realtà nell’ambito dell’intermediazione artistica che si impegna nel mettere in contatto acquirenti, artisti e gli appassionati dell’arte nelle sue espressioni più variegate. La priorità del nostro gruppo è il soddisfacimento dei clienti al fine di trovare la soluzione migliore per le loro esigenze. Attraverso il lavoro dei nostri collaboratori, la TAIT Group si afferma nel panorama italiano e internazionale come punto di riferimento per artisti e figure di spicco nell’ambito artistico. Si tratta di un’innovativa realtà diversificata che espande i propri interessi in molteplici ambiti, dal far emergere piccole realtà artistiche attraverso l’organizzazione di eventi e fiere, fino ad arrivare all’intermediazione immobiliare. Lo spirito della TAIT Group si fonda sull’impegno e sul miglioramento di prospettive future ampliando i propri campi di interesse e di intervento. La direzione artistica del gruppo è affidata al giovane curatore Matteo Scavetta, che da anni ha esperienza nell’organizzazione e gestione di eventi e mostre. Per l’inaugurazione è stata proposta una selezione di opere di artisti di punta: Ciro Palumbo, Andrea Marchesini e IrosMarpicati, artisti con un loro percorso chiaro e riconosciuto.

Viene presentato giovedi 9 maggio al Museo del Cinema, alle ore 18, il catalogo ragionato delle opere di Ciro Palumbo, edito da Arkeion Edizioni, in presenza dell’artista. La presentazione sarà curata dalla Dottoressa Anna Caterina Bellati e dal Dottor Roberto Capitanio. Durante la serata si presenterà il programma eventi relativi alla mostra antologica “Navigando l’ignoto”, fruibile dal 7 al 30 giugno 2024 negli spazi della Promotrice delle Belle Arti di Torino. Saranno disponibili copie del catalogo ragionato Arkeion– archivio Ciro Palumbo, con sede a Torino in piazzetta Madonna degli Angeli 2.

 

Mara Martellotta

Torino e le sue donne: Carol Rama

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Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Con la locuzione sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nellespressione sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto sesso forte, uno stereotipo che ne ha sancito lesclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna Darco, Elisabetta I dInghilterra, Emmeline Pankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nellelenco anche Coco Chanel, lorfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel sesso debole” che non si è addomesticato, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. 
Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario letimologia della parola donnadomna, forma sincopata dal latino domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  (ac)

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5 Carol Rama
Torino è anche arte. Molte sono le Gallerie, le Fondazioni e i Musei che promuovono larte in tutte le sue sfaccettature, dalla scultura allarte figurativa fino al cinema, sia che si tratti di arte classica, medievale, o contemporanea.  La storia di oggi è una storia darte, che ha per protagonista una delle donne che larte lha creata, lha vissuta e allarte si è completamente dedicata.  Carol Rama nasce a Torino nel 1918, inizia a dipingere ancora adolescente, senza alcuna formazione accademica ma sostenuta nella sua passione da alcuni incontri fondamentali, primo fra tutti Felice Casorati. Molti sono gli amici intellettuali da cui trae informazioni, conoscenze e stimoli: Edoardo Sanguineti, Massimo Mila, Albino Galvano, Carlo Mollino, Paolo Fossati, Carlo Monzino, Luciano Berio, Eugenio Montale e ancora Luciano Anselmino, grazie al quale entra in contatto con Andy Warhol e Man Ray. Della pittura fa una pratica ininterrotta, è il filtro attraverso cui elabora oggetti, situazioni, persone della quotidianità per convertirli in qualcosa di artistico. Carol è sempre aggiornata sulle varie tendenze darte, ma mantiene grande autonomia di lavoro, sviluppando nel corso del ventesimo secolo un percorso tutto personale, attraverso luso di materiali, temi e stili diversi. Negli acquerelli degli anni Trenta e Quaranta, la rudezza e la scabrosità dei soggetti è decantata nelleleganza compositiva del quadro. Si tratta di lavori eseguiti a cavallo dei suoi ventanni, con noncuranza verso i ben pensanti e le mode artistiche del momento, produzioni che denotano grande maturità tecnica e di ideazione. Negli anni che precedono lo scoppio della guerra, lartista si accosta anche alla pittura a olio, con dense paste di colore e soggetti spesso non tradizionali. La sperimentazione continua: agli stessi anni Quaranta risale linteresse per lincisione che si concretizzerà nella splendida serie delle Parche, (linteresse per tale tecnica rispunta verso la fine degli anni Novanta). Dopo una esperienza astrattista negli anni Cinquanta allinterno del gruppo torinese del MAC (Movimento Arte Concreta), Carol attua negli anni Sessanta una svolta decisiva: su macchie di colore di derivazione informale applica oggetti duso quali strumenti medicali, trucioli metallici, occhi di bambola. Loggetto 
è inserito con tutta la sua fisicità nel dipinto, diventa colore e forma del quadro, pur rimanendo cosa. Negli anni Settanta, sostenuta da colui che sarà il suo gallerista per i decenni successivi, Giancarlo Salzano, un nuovo materiale entra a far parte della sua composizione pittorica, si tratta di camere daria segnate dalluso e di guarnizioni in gomma, utilizzate in sostituzione del colore e incollate su tele monocrome. Questi lavori conservano tutta lincisività dellessere materia (gomma come pelle e carne) e sono un rimando allattività aziendale del padre (specie luso della gomma richiama il lavoro paterno). Nel 1979 Carol espone per la prima volta alla Galleria Martano di Torino gli acquerelli realizzati una quarantina di anni prima, poi scelti lanno seguente da Lea Vergine per la mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, Laltra metà dellavanguardia. A partire dagli anni Ottanta, lartista ritorna alla figurazione e realizza mirabili quadri in cui dipinge figure e animali fantastici su carte prestampate. La conoscenza internazionale di Carol è dovuta alle mostre pubbliche, come la sala personale alla quarantacinquesima Biennale di Venezia nel 1993, a cura di Achille Bonito Oliva, allestita dallamico Corrado Levi, e lantologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998, a cura di Maria Cristina Mundici. Il grande riconoscimento pubblico sul suolo Italiano le arriva nel 2003, quando le viene conferito il Leone doro alla carriera in occasione della cinquantesima Biennale di Venezia. Nel 2004 anche la sua città natale le dedica una ampia antologica presso la Fondazione Sandretto-Rebaudengo a cura di Guido Curto. Nel gennaio 2010, rappresentata da Corrado Levi, riceve il prestigioso Premio Presidente della Repubblica” da Giorgio Napolitano. Nel 2014 inaugura al Museo dArte Contemporanea (MACBA)  di Barcellona una importante mostra monografica a cura di Teresa Grandas, Beatriz Preciado e Anne Dressen, poi allestita anche a Torino nell’ ottobre 2016 alla GAM. Il consenso internazionale è ulteriormente consolidato nel 2017 dallampia personale tenutasi al New Museum di New York. Il suo ultimo lavoro conosciuto è del 2007 e chiude una intensa carriera durata oltre settantanni. Muore nella sua casa-studio torinese, il 24 settembre 2015.

 

Alessia Cagnotto

L’artista Maurizio D’Andrea, fondatore del “Movimento Artistico Introversico Radicale”

Informazione promozionale

L’artista internazionale Maurizio D’Andrea è nativo di Napoli e sin dalla sua giovane età ha dimostrato un vivo interesse per la psicologia, dedicandosi allo studio delle teorie di Jung e di Freud, riuscendo ad immergersi nelle profondità dell’inconscio e degli archetipi collettivi, plasmando la sua visione artistica.

L’avventura pittorica inizia molto presto, a soli sedici anni, dando vita a paesaggi mentali che altro non sono che il riflesso dell’interno della sua mente, permeata profondamente dall’inconscio. Molti sono stati gli strumenti artistici sperimentati da D’Andrea, quali pennelli, spatole, rulli e stracci, tutti capaci di esprimere la complessità dei suoi pensieri. Le sue opere sono caratterizzate da colori audaci e gesti pittorici intensi, talora descritti come nevrotici, segno di uno studio approfondito, da parte di D’Andrea, della pittura di Jackson Pollock, sulla quale si è concentrato sui suoi gesti liberi, e di Emilio Vedova, noto pittore astrattista italiano. L’arte del maestro Maurizio D’Andrea può essere classificata nell’ambito dell’astrattismo lirico-informale, in cui emozioni e sensazioni sono comunicate attraverso l’uso della forma, del colore e dei gesti. Le sue opere rappresentano un’immersione nell’inconscio e nell’esplorazione della mente umana.

 

“Il mio ‘viaggio artistico’- svela D’Andrea- scava nelle profondità nascoste della mente, un viaggio ispirato al lavoro pionieristico di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Questi visionari hanno illuminato il concetto di inconscio, un regno in cui risiedono strati di pensiero, desideri e esperienze umane condivise, capaci di manifestarsi attraverso simboli, miti e immagini ricorrenti. Nella mia arte utilizzo l’astrazione e ne faccio uno strumento di trasformazione. L’astrazione pura, nella sua essenza, cerca di distillare il nucleo di un oggetto o di un’idea, eliminando la rappresentazione diretta della realtà. Attraverso questa astrazione cerco di aggirare la superficie e di immergermi nell’inconscio, dove si trovano gli archetipi universali.

Archetipi che emergono nelle mie opere come forme e simboli ripetuti, forgiando un linguaggio visivo capace di trascendere le barriere linguistiche e culturali. Il mio viaggio creativo è plasmato da un ricco arazzo di influenze. Tra queste figura l’espressionismo astratto americano, in particolare la New York School, che ha lasciato un segno indelebile nella mia comprensione dell’arte astratta e della pittura gestuale: Jackson Pollock, Mark Rothko e Robert Motherwell hanno guidato la mia esplorazione della spontaneità, dell’espressione emotiva attraverso il colore e la trasmissione dei significati profondi attraversi i dipinti. Ciò che mi motiva è la ricerca dell’universale, ispirata al concetto di Platone della forma universale.

Cerco di catturare queste forme universali nella mia arte rivelando le profonde connessioni tra esperienze umane condivise. A Torino, culla dell’innovazione e della creatività artistica, ho fondato il “Movimento Artistico, Introversico Radicale”, che sostiene la purezza nell’interiorità dell’arte, incoraggiando la collaborazione, la sperimentazione e la liberazione dell’espressione creativa dai vincoli commerciali. Esso mira a coinvolgere gli spettatori in una relazione individuale e viscerale con l’arte, in cui l’artista, l’opera d’arte e lo spettatore si impegnano in un dialogo profondo.

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Il mio viaggio si estende oltre la pittura tradizionale per includere l’arte digitale, dove continuo a esplorare le profondità della mente umana. I miei lavori digitali approfondiscono vortici interiori, proiezioni mentali e spazialità geometriche. Attraverso il mio software “Artetc” creo fusione e sovrapposizione spaziale di forme, linee e archi, sbloccando le nuove dimensioni dell’espressione artistica. Ai miei occhi, il successo come artista si verifica quando il mio lavoro trascende l’espressione personale e diventa una fonte di connessione, contemplazione e ispirazione per gli altri. Si tratta di comunicare in modo efficace emozioni e concetti complessi attraverso l’arte, lasciando un impatto duraturo sugli individui e sulla società nel suo insieme.

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L’arte è uno specchio che riflette l’anima della società, un potente mezzo per l’espressione culturale, il commento sociale e l’esplorazione delle esperienze umane. Sfida le convenzioni, provoca discussioni e arricchisce le nostre vite promuovendo la creatività, il pensiero critico e le connessioni emotive. Preserva la nostra storia, documenta la nostra cultura e lascia un‘eredità senza tempo. Il mio obiettivo è condividere la mia arte con un pubblico globale, consentendo a persone provenienti da culture differenti di connettersi con il mio lavoro e di trovare un significato personale. Voglio trasmettere il linguaggio dell’inconscio e dimostrare che l’arte astratta può trascendere le barriere culturali e linguistiche, toccando le corde dell’umanità”.

L’artista sta dando un contributo notevole all’astrattismo internazionale contemporaneo. I suoi studi mirano ad arricchire e sostenere il linguaggio astratto e le sue molteplici astrazioni, con focus sulla psiche. Ha esposto in mostre collettive e private a New York, Tokyo, Parigi, Madrid, Bruxelles, Berlino, Barcellona, Amsterdam, Zurigo, Londra, Berna e in altre città.

Il primo agosto sarà a Vienna con una mostra personale nella famosa galleria Steiner. Maurizio D’Andrea è presente sui social con il profilo Facebook e il profilo Instagram, nei quali è possibile trovare anche le immagini delle sue opere d’arte.

 

Mara Martellotta

The Phair, conclusa la V edizione della fiera dedicata alla fotografia

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Si è conclusa oggi la quinta edizione di The Phair | Photo Art Fair con grande partecipazione di pubblico da tutta Italia. Da venerdì 3 a domenica 5 maggio, gallerie italiane e internazionali hanno animato la Sala Fucine delle OGR Torino, portando oltre 100 artisti italiani e internazionali. Dalla Germania, Francia, Montenegro, Svizzera e Principato di Monaco e da tutta Italia, le gallerie che hanno partecipato a The Phair hanno proposto una ricca e raffinata selezione di progetti.Grande successo hanno riscosso le novità di questa edizione, prima tra tutte il cambio di location che ha visto coinvolta per la prima volta la Sala Fucine di OGR, area iconica delle ex Officine per la riparazione dei treni.

Particolare interesse ha suscitato il progetto Orizzonti Urbani. Visioni e prospettive di otto artiste del territorio, con cui The Phair ha voluto mettere al centro otto artiste donne che lavorano sul video e sull’immagine sul territorio: Maura Banfo, Roberta Bruno, Monica Carocci, Eva Frapiccini, Marzia Migliora, Marilena Noro, Elisa Sighicelli e Grazia Toderi.

Uno spazio di riflessione sulla fotografia è stato creato grazie agli incontri organizzati in collaborazione con La Stampa, incentrati sulle rivoluzioni e innovazioni che il mezzo fotografico ha portato in quattro diversi ambiti: cronaca giudiziariamodaarchitettura e turismo.

Sostenitrice della fiera sin dagli esordi, per la prima volta la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT ha acquistato un’opera nel corso della quinta edizione di The Phair. Si tratta di un’opera di Vincenzo Agnetti dal titolo Photo-graffia, 1980, della Galleria Montrasio Arte (Monza, Milano, Piacenza), selezionata dalla direttrice della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino Chiara Bertola.
Oltre alla nuova acquisizione, la Fondazione è stata promotrice del Guest Program organizzato da The Phair in sinergia con TAG – Torino Art Galleries, grazie al quale sono state realizzate visite guidate riservate ai Guest alle gallerie associate di TAG – Torino Art Galleries che hanno partecipato a The Phair tenute dalla PresidenteElisabetta Chiono.

Altra significativa novità di questa edizione è stata l’assegnazione del Premio Spada Partners, che nasce quest’anno dall’iniziativa esclusiva, promossa dallo Studio Spada Partners in collaborazione con The Phair, volta a sostenere un artista – senza limiti di nazionalità o età – attraverso l’acquisizione di un’opera che fornisca la più interessante e completa fotografia dei tempi in cui viviamo. La giuria, riconoscendo la qualità della selezione dei lavori proposti dalle gallerie di The Phair, ha deciso di premiare due sguardi differenti: Francesco Impellizzeri (1958), con l’opera Ombra Sonora (2012) presentata dalla galleria JUS Museum di Napoli,  e Erika Pellicci (1992) con l’opera When the Party is over (2023), presentata dalla galleria ME Vannucci di Pistoia.

Sono stati oltre 2 milioni gli account raggiunti tramite i canali social, Facebook e Instagram, di The Phair, con una percentuale del 43% di utenti tra i 18 e i 24 anni e del 27% tra i 25 e i 34 anni, confermandosi dunque una fiera di grande richiamo anche per le generazioni più giovani.

FOTO PAOLO SBALZER

Exposed Gam, i tanti volti della fotografia

 

 

La Gam, Galleria Civica d’arte Moderna e Contemporanea di Torino, presenta l’esposizione curata da Paola Volpato, dedicata ad alcuni fotografi che hanno saputo restituire i molteplici aspetti dell’arte e ritrarre nel senso più ampio i suoi paesaggi composti di opere e architetture, del volto degli artisti e dei loro momenti di lavoro nello studio e nel paesaggio naturale.

Grazie al sostegno di Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, la Gam ha potuto rinnovare il proprio I pegno collezionistico acquisendo 22 fotografie di Gianfranco Gorgoni, realizzate tra il 1970 e il 1974. Le foto sono dedicate alle diverse fase di realizzazione dell’opera Spiritual Jetty di Robert Smithson, di opere di Michael Haizer, oltre che di alcuni ritratti di artisti come Bruce Neuman, Dan Flavin, Agnese Martin ed Elisworth Kelly.

Le immagini di Gorgoni, la sua forza ipnotica dei suoi scatti in volo sopra lo Spiral Jetty, entrando a far parte della collezione, hanno permesso, come in un virtuoso spin off, di rileggere lo sguardo fotografico sull’arte attraverso la continua emersione di un desiderio di vertigine. Un desiderio presente fin dai primi scatti fatti dai fotografi, come Nadar, e poco più tardi Mario Gabinio, salendo su palloni aeronautici per catturare dall’alto la bellezza della loro città e accogliere all’interno della griglia prospettica la vitale deformazione della convessità del mondo e tutte le rappresentazioni del mondo in una volta sola.

La più vertiginosa immagine della storia della fotografia è uno scatto dell’immaginario di uno dei più importanti fotografi del Novecento, Luigi Ghirri, davanti a una delle prime immagini della Terra vista dalla Luna, scorgendo al suo interno tutte le immagini della sua storia artistica, una dentro l’altra, telescopicamente inabissate, graffiti, affreschi, dipinti, scritture, fotografie, libri e film-scrisse- contemporaneamente la rappresentazione del mondo e tutte le rappresentazioni del mondo in una volta sola.

Mentre Gorgoni occupa il centro dell’esposizione, in un continuo motore circolare di avvitamento nello spazio, le opere di Ghirri sono dislocate in diversi momenti, assegnando i molteplici aspetti della vertigine che la fotografia crea ponendosi in relazione con l’arte e facendosi rappresentazione delle rappresentazioni artistiche. Ogniqualvolta la fotografia colloca il proprio cavalletto di fronte all’arte, la fotografia è vertigine del doppio, perché è visione che fronteggia una visione. Non si tratta del combattimento per un’immagine, ma del raddoppiamento del suo potere, dell’abbraccio di uno sguardo che si pone di fronte allo spazio di interminati significati contenuto nell’opera d’arte e, producendo una rappresentazione, si fa infinito lui stesso.

Le opere in mostra sono tutte parte di una lunga storia collezionistica che, nel corso dei tempi, ha arricchito le opere del museo, tra i vari pezzi il dagherrotipo della Chiesa della Gran Madre di Dio realizzato da Federico Enrico Jesi nel 1839 e pezzi provenienti dall’Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei, da cui provengono le stampe di Mario Gabinio, prodotte tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Le raccolte della Gam si accrebbero intorno agli anni Duemila, sotto la direzione di Pier Giovanni Castagnoli e grazie ai fondi della Città di Torino, con i quali il museo poté anche commissionare un’ampia ricognizione e reinterpretazione dei valori paesistici della Città, tra cui in mostra alcuni scatti di Gabriele Basilico, Olivo Barbieri e Armin Linke. Negli stessi anni le collezioni di fotografia hanno conosciuto un’importante addizione grazie alla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. Tra queste, in esposizione, oltre alle opere di Ghirri, numerose fotografie di Ugo Mulas, Mimmo Jodice, Aurelio Amendola e Claudio Abate.

 

Mara Martellotta

 

Fear eats the soul” il messaggio della bandiera di Tiravanija

Esposta al MAO fino al primo settembre 2024

 

Sulla facciata del MAO sventola dal 2 maggio al 1 settembre 2024una bandiera bianca che non è un segno di resa o simbolo di rassegnazione, ma è una bandiera opera dell’artista di origini thailandesi Rirkit Tiravanija, nato a Buenos Aires nel 1961. Si tratta di un manifesto e di una dichiarazione di intenti che lancia un messaggio chiaro e inequivocabile. La frase “Fear eats the soul” è scritta a caratteri cubitali neri su tessuto immacolato, e invita al coraggio, la presa di posizione, alla reazione di fronte alla paralisi causata dal terrore che corrode l’anima. Rirkit Tiravanija è noto per le sue opere che coinvolgono lo spettatore, stimolando una riflessione intorno a dinamiche sociali e politiche della contemporaneità e per la sua pratica artistica che pone al centro le relazioni umane e lo scambio culturale. Egli ha fatto della bandiera un oggetto feticcio, un simbolo che ritorna con grande frequenza nella sua ricerca sin dagli anni Novanta. “Fear eats the soul” esposta al MAO dal 2 maggio al primo settembre, è ispirata al film di Rainer Werner Fassbinder “La paura mangia l’anima” del 1973 e, come altre opere dell’artista, veicola l’attenzione sulle situazioni di conflitto e di guerra, su episodi di razzismo e xenofobia, sulla mancanza dell’accettazione dell’altro e della diversità, creando un clima di paura e reciproca diffidenza.

Anche il centro della città di Torino sarà coinvolto nel progetto dell’artista. Dal 2 al 31 maggio, 14 banner, con altrettante frasi di Tiravanija, saranno esposte sotto i portici di via Po, liberamente accessibili alla cittadinanza “Freedom cannot be simulated, Less or more courage, I do not know what are we yelling about, Tomorrow is the question”. Gli stendardi invitano a porsi domande sulle questioni attuali, quali la crisi ambientale, il ruolo del lavoro nella nostra società, il conflitto fra individui, la violenza esercitata dai più forti sui più deboli e in generale sul futuro che ci attende. In un momento storico così turbolento, in cui i conflitti aprono questioni etiche fondamentali, con queste installazioni il MAO sceglie di dare un segnale che va in direzione opposta a quella delle dinamiche delle contrapposizioni duali per favorire invece il dialogo.

Sempre dal 2 maggio, anche la pinacoteca Agnelli ospita un’altra opera di Rirkit Tiravanija, l’installazione “Untitled” (Tomorrow is the question). Il progetto invita le persone a giocare a ping pong sul terrazzino sud della Pista 500. I quattro tavoli riportano la frase “Domani è la domanda” nelle lingue delle maggiori comunità diasporiche presenti a Torino, le comunità rumena, marocchina, cinese e peruviana. Il gioco diventa un’occasione per sperimentare nuove forme di socialità, sfidando il concetto di appartenenza nazionale. L’installazione di Tiravanija riattiva un progetto presentato dall’artista slovacco Julius Koller “JK Ping Pong Club”, presentato a Bratislava nel 1970, in una dichiarazione contro la svolta conservatrice in seguito alla repressione della “Primavera di Praga” nel 1968. Invitando a seguire o meno le regole del fair play del gioco, si apriva uno spazio che incoraggiava alla partecipazione le persone. Allo stesso modo Tiravanija chiede al pubblico di diventare parte attiva, ponendo le relazioni umane e l’interazione al centro del futuro.

 

Mara Martellotta

Liberty misterioso: Villa Scott

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 4. Liberty misterioso: Villa Scott

Talvolta il cinema va in cerca di luoghi suggestivi e unici, per rendere la pellicola ancora più indimenticabile. Uno di questi ambienti da cellulosa si trova nella collina torineseuna villa silenziosaNascosta in un elegante “vedo non vedo” tra il verde degli alberil’abitazione si affaccia indifferente sul panorama torinese che si prostra poco più in  delle sue fondamenta. È Villa Scott, situata in Corso Giovanni Lanza 57, uno dei più fulgidi esempi dello stile floreale a livello nazionale. Il committente, Alfonso Scott, consigliere delegato della Società Torinese Automobili Rapid, nel 1901 acquista un appezzamento di terreno precollinare affidando l’incarico di costruire una villa per la propria famiglia all’ingegnere Fenoglioche allora aveva 36 anni

Fenoglio si impegna nella costruzionedando al  progetto caratteristiche architettoniche di alto pregio, con una chiara apertura al Liberty, e con prospetti caratterizzati da decorazioni floreali in litocemento e in ferro battutoAlla morte di Alfonso Scott, la villa passa alle Suore della Redenzioneche la utilizzano per ospitare un collegio femminilenoto con il nome di Villa Fatima. Fenoglioche lavora al progetto di Villa Scott in collaborazione con il collega Gottardo Gussonirisolve le difficoltà di realizzazione – dato che vi è un dislivello di ben 24 metri tra la villa e il cancello d’ingresso – con una scalinata e con l’inserimento di diversi corpi di fabbricaaccanto al complesso principale lievemente curvilineo della villa. Il volume della costruzione è arricchito da un apparato decorativo che trae vita anche dalla scala esternaL’edificio viene completato nel 1902, anno in cui Fenoglio si dedica anche alla palazzina Fenoglio-La Fleur di corso Francia angolo via Principi d’AcajaNel contesto dell’ampio spazio verde in cui è ubicata Villa Scott, si stagliano netti i due corpi laterali a torrettauno su quattro livelliun altro sutre, ma con un bovindo quadratocollegati da una veranda vetrata sormontata da una terrazza.  La pianta di Villa Scott è amabilmente articolata in un gioco di loggebovindivetrategli elementi litocementizi di finitura murariaripieni e turgidi con misura, quasi rinviano all’ultimo barocco, con radiosi richiami ecletticiLa fantasmagoria floreale, la fitta lavorazione del terrazzinogli ariosi loggia-ti laterali, la decorazione a stucchi e boiseries di color crema e oroil tutto perfettamente in armoniacon l’arredo interno, un mobilio apertamente ispirato a un fioritoLuigi XVI, ne fanno una dimora elegante e raffinata, e piuttosto suggestivatanto che il regista Dario Argento vi ha ambientato uno dei più celebri gialli italianiProfondo rosso, del 1975.

Villa Scott viene infatti scelta per essere la villa del bambino urlante e gioca un ruolo essenziale per lo svolgimento della trama: è tra queste mura che si trova la soluzione del mistero. Tra gli appassionatialcuni indentificano la sfarzosa e terribile residenza del film giallo-horror con l’altrettanto celebre Villa Capriglioanch’essa situata in collina e nascosta tra la vegetazionesede inquietante di vicende 

orrorifichepurtroppo più veritiere rispetto a quelle altrettanto spaventose ma irreali di Villa Scott. 

Occorre ricordare che all’epoca delle riprese la villa era utilizzata come collegio femminile e abitata da suore e fanciulle che ovviamente non potevano rimanere  mentre veniva girato il film. La produzione dovette allora trovare un escamotagepoiché non si poteva abbandonare quella location così perfettamente suggestiva! Si decise dunque di offrire un periodo di villeggiatura a Rimini alle suore e a tutte le ragazze del collegio, le quali non opposero alcuna obiezione e con la loro vacanza inaspettata contribuirono alla realizzazione di una delle pellicole horror più conosciute. Dopo un breve periodo di abbandono, la villa è stata  restaurata e adibita a residenza privata.

Alessia Cagnotto