ARTE- Pagina 33

A Bardonecchia la mostra “I sussurri del colore”di Elena Giannuzzo

Volti, bolle, schizzi di natura e, soprattutto tanto colore. È stata inaugurata, oggi, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, nell’ambito della rassegna “Scena Arte 1312”, la mostra di pittura “I sussurri del colore”, che presenta le opere della torinese Elena Giannuzzo.

La mostra racconta, attraverso opere di varie dimensioni – dai piccoli formati di 10×15 cm fino alle grandi tele di 120×120 cm – il percorso di una ricerca, un viaggio attraverso il colore alla scoperta di “qualcosa “.

Si parte dall’essenzialità del nero e del blu, per poi aprirsi gradualmente a una gamma cromatica sempre più ampia e a spazi più vasti. “Il colore – spiega l’artista – diventa così strumento di esplorazione, fino a sfiorare il figurativo: volti accennati emergono sulla tela, evocando uno sguardo femminile che interroga la coscienza”. Questo percorso trova il suo culmine in “Ernestina”, una sorta di autoritratto intimo che racchiude il senso profondo della ricerca.

La mostra sarà visitabile fino al prossimo 5 marzo.

 

Camera, in mostra ‘Henri Cartier Bresson e l’Italia’ e il torinese Riccardo Moncalvo

 

Dopo il successo delle mostre dedicate a due grandi maestri della fotografia italiana e internazionale come Tina Modotti e Mimmo Jodice,  Camera inaugura il periodo espositivo 2025 con le mostre dedicate a ‘Henri Cartier Bresson  e l’Italia’ e “Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990”. 

La mostra su Henri Bresson, ‘l’occhio del secolo’, è  curata da Clément Chéroux e Walter Guadagnini in collaborazione con la Fondation Henri Cartier Bresson e propone un racconto dedicato al legame tra il fotografo francese e l’Italia, uno dei Paesi da lui più frequentati e amati. L’esposizione è scandita cronologicamente dai viaggi del fotografo attraverso il territorio, da Nord a Sud , dall’effervescenza che il paesaggio, soprattutto umano, è stata in grado di trasmettergli e dalla ricchezza delle testimonianze documentali, tra giornali, riviste e libri, capaci di raccontare le tappe del rapporto del maestro con l’Italia.

L’esposizione,  promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, presenta160 immagini che si focalizzano su alcuni temi e periodi centrali della carriera del fotoreporter a partire dagli anni Trenta. È  proprio nel corso di questo primo viaggio che il fotografo, ancora giovanissimo, acquisisce nuove consapevolezze sulla sua carriera e definisce la cifra stilistica che lo renderà riconoscibile  in tutto il mondo.

Nato nel 1908 da una famiglia benestante, dopo aver studiato pittura con André Lhote si introduce nel circolo surrealista parigino e nel 1932 visita per la prima volta l’Italia. Nonostante sia all’inizio della sua carriera, è in quel periodo che definisce alcune tematiche che caratterizzeranno tutta la sua successiva produzione artistica, come la straordinaria gestione dello spazio immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l’istante, in particolare all’interno di alcuni paesaggi urbani si nota un processo di geometrizzazione del reale che è testimonianza di un suo uso mentale della macchina fotografica. 

Dopo aver fondato con Robert Capa, David Chim Seymour, George Rodger e William Vandivert l’agenzia Magnum Photos nel 1947, il fotografo torna in Italia nel 1951, in un Paese profondamente cambiato , reduce dalla sconfitta della seconda guerra mondiale e in corso di ricostruzione. In qualità di fotoreporter realizza servizi per diverse testate internazionali concentrandosi soprattutto su Roma e sul Sud Italia, due luoghi che presentano caratteristiche sociali e visive ben riconoscibili. Questi scatti documentano il disagio e le criticità del contesto sociale meridionale e le novità introdotte dalla riforma agraria.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta  Cartier Bresson lavora a numerosi servizi sulle città di Roma, Napoli e Venezia, nei quali ai può apprezzare la sua capacità  di interpretare la vita quotidiana delle città e dei loro abitanti, dall’altro la sua abilità di ritrattista anche degli intellettuali del tempo, come Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Giorgio De Chirico.

L’ultimo periodo italiano risale agli anni Settanta, poco prima di allontanarsi dalla fotografia professionale, quando il fotografo si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina e sull’industrializzazione,  in particolare del Sud Italia.

La mostra si chiude idealmente con il ritorno a Matera per raccontare, negli stessi luoghi fotografati vent’anni prima, la nuova realtà che avanza con la modernità,  rimanendo comunque imprescindibilmente legata alla realtà locale.

La Project Room di Camera, fino al 6 aprile prossimo, ospita l’esposizione dedicata a ‘Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990’ a cura di Barbara Bergaglio. L’importante fotografo torinese inizia ad approcciarsi al mezzo fotografico appena tredicenne, seguendo le orme paterne. Moncalvo lavora sin da subito a fianco delle massime istituzioni culturali torinesi, il Museo Egizio, l’Armeria Reale, ma anche  a fianco di realtà industriali come Fiat, Pininfarina e Recchi.

Si tratta di attività commissionate, che permettono di instaurare un forte legame con il territorio rendendolo testimone di cambiamenti urbani e sociali. Il fotografo torinese sviluppa, così,  un “linguaggio autonomo” con una particolare sensibilità per la modernità, che lo porta negli scatti tra fine anni Trenta e fine anni Quaranta ad accostarsi al linguaggio della Nuova Visione.

A questa attività Moncalvo affianca quella della ritrattistica che lo vede immortalare momenti privati e pubblici di tante famiglie torinesi dell’aristocrazia e della grande borghesia.

Il riconoscimento internazionale arriva negli anni Cinquanta, quando viene selezionato dall’Agfa- Gevaert per apprendere il nuovo metodo di stampa a colori: da lì seguirà l’adozione delle pellicole negativo/positivo, della ferraniacolor arrivando nel 1958 a essere il primo in Italia autorizzato da Kodak all’uso delle sue pellicole.

La mostra di Camera raccoglie cinquanta stampe vintage, in bianco e nero e a colori, provenienti dall’Archivio Riccardo Moncalvo e altri materiali originali provenienti da collezioni private, che ripercorrono quasi sessanta anni di carriera.

In occasione dei Giochi Mondiali invernali Special Olympics Torino n. 2025 una sezione della  mostra sarà ospitata a Sestrieres: venti scatti iconici di Riccardo Moncalvo racconteranno le evoluzioni del campione di sci alpino Leo Gasperl.

Camera, Centro Italiano per la Fotografia 

Via delle Rosine 18

Henri Cartier Bresson e l’Italia dal 14 febbraio al 2 giugno 2025

Riccardo Moncalvo Fotografie 1932-1990  dal 14 febbraio al 6 aprile 2025

Mara   Martellotta

Un San Valentino speciale alle Gallerie d’Italia

 

Venerdì 14 febbraio alle Gallerie d’Italia di Torino, Milano, Vicenza e Napoli e alla Casa Museo Antiquariato Ivan Bruschi ad Arezzo, in occasione di San Valentino, vi sarà una speciale promozione di ingresso ridotto 2×1per visitare le collezioni permanenti e le mostre.

Alle Gallerie d’Italia di Torino è in corso la mostra dal titolo “Mitch Epstein. American nature”, la più importante retrospettiva del fotografo americano. L’esposizione, curata da Brian Wallis, presenta per la prima volta riunite le serie fotografiche più significative degli ultimi vent’anni, nelle quali il fotografo esplora i conflitti tra la società americana e la natura selvaggia nel contesto del cambiamento climatico globale.

Venerdì 14 febbraio, dalle 17 alle 18, si terrà la visita guidata San Valentino, una visita speciale tra le collezioni permanenti, attraverso le Sale del piano Nobile e dell’archivio Publifoto , dove pennello e obiettivo fotografico ritraggono le vicende amorose che hanno contraddistinto la storia dei loro protagonisti , celebrando l’universalità di un sentimento che sfida lo scorrere del tempo.

Il costo, escluso il biglietto, è di 5 euro a persona, prenotazione obbligatoria alla mail torino@gallerieditalia.com

 

Mara Martellotta

“Enigmi e magie, colori e fantasie”, Gissi  alla Galleria Malinpensa by La Telaccia

Informazione promozionale

La galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia  ospita dal 13 febbraio al 26 febbraio prossimi la personale di Massimiliano Gissi intitolata “Enigmi e magie, colori e fantasie” nei suoi spazi di corso Inghilterra 51, a Torino.

L’atmosfera fantasiosa che si respira ininterrottamente nelle opere di Massimiliano Gissi, indica una rappresentazione brillante e decisa che viene sempre abbinata a una notevole comunicazione sia simbolica sia visiva, dando così l’avvio a un percorso ricco di autenticità immaginativa. Attraverso il ciclo dei materiali che, per l’artista, è di fondamentale importanza nel suo iter, le sue creazioni prendono vita con un estro e un’energia costante, avvalendosi di un’azione dinamica del colore e di un’elaborazione sempre attenta ai dettagli.

Si tratta di un’arte che acquisisce un fascino sorprendente, trapassa la realtà in perfetta simbiosi con un movimento formale di evidente suggestione e personalità interiore. La stesura materica, di notevole spessore, e la sicurezza del tratto, brillante e deciso, evidenziano una partecipazione artistica sia di serio impegno tecnico che di stile altamente espressivo.

È un’arte, quella di Massimiliano Gissi, vissuta con un’interpretazione originale e personale in cui emozioni e sentimenti innescano nel fruitore sensazioni uniche. Il modo paziente di operare e di costruire i suoi personaggi è segnato da un’accurata analisi dei materiali e da una perizia tecnica non comune, capace di determinarne una variegata successione di immagini costantemente cariche di sensazioni. Ritmicamente ben disposti e coordinati fra loro, i personaggi e le sculture di Gissi vivono in un gioco magico in cui la passione e lo spessore lirico si amalgamano perfettamente ai colori, segni e simboli dalla straordinaria vitalità compositiva.

Elementi figurali, intrisi di dinamiche vibranti, dalla precisa attinenza fantasiosa, attraversano un percorso di qualità e competenza che riesce a farci sognare. L’artista esalta la sensazione tattile dei materiali con una fonte inesauribile di creatività e originalità, ottenendo uno spazio vitale di evidente maestria e rara suggestione. In scena opere nuove, tra cui anche l’installazione del teatrino, dove diversi personaggi si raccontano in una dimensione favolistica assolutamente unica, che prende vita dalla sensibilità e dai sentimenti di Massimiliano Gissi.

L’equilibrio strutturale, lo scambio timbrico e la pregnanza formale introducono il visitatore nella libertà di una interpretazione notevole che, guidata da un’espressione inconfondibile, ne determina un’evoluzione sia nella pittura sia nella scultura di totale armonia compositiva.

È un discorso sempre in continuo rinnovamento, quello di Gissi, perché alla base della sua ricerca vi è un sentimento di festa contraddistinto da coriandoli, pennellate e commedia dell’arte.

Massimiliano Gissi, nato nel 1976 a Torino, ha sempre avuto una passione per il colore e il disegno, e si è diplomato a pieni voti nel 1997 all’Istituto Europeo di Design. Tra i suoi maestri gli artisti Alex Ognianoff, Gian Cravero e Marco D’Aponte, che lo hanno aiutato a crescere nelle tecniche pittoriche. In seguito ha messo in pratica le sue qualità nei settori più disparati, dalla grafica computerizzata alla colorazione digitale, all’animazione presso la Lanterna Magica di Torino, al restauro di Belle Arti, operando su arredi del Duomo di Torino e della Venaria Reale. Affascinato da esoterismo e misteri, ha deciso di approfondire queste tematiche dal punto di vista pittorico. Artista visionario, avverte il colore in maniera molto personale. Le tonalità dolci dei suoi accostamenti virano bruscamente dai colori caldi ai freddi, e viceversa. Per lui il disegno base deve essere essenziale, il resto lo deve trasmettere il colore. In particolare predilige la tecnica dell’acquerello.

Galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia

Massimiliano Gissi – “Enigmi e magie, colori e fantasie” – dal 13 al 26 febbraio

Orario: 10.30-12.30 / 16-19. Chiuso lunedì e festivi

Corso Inghilterra 51, Torino

Telefono: 011 5628220

Mara Martellotta

Le bellezze di un paese, le grandi firme da Boccasile a Dudovich

Visitate l’Italia!”, sino al 25 agosto a Palazzo Madama

La definisce “mostra di primavera” Giovanni Villa, direttore di Palazzo Madama e cocuratore con Dario Cimorelli, quella ospitata nella sala del Senato, “Visitate l’Italia! – Promozione e pubblicità turistica 1900 /1950”, con tanto di punto esclamativo che somigliava parecchio a un ordine gettato in faccia a un intero paese, l’allestimento è di Emilio Alberti e Mauro Zocchetta: ma siamo pronti a scommettere che attraverserà con vivissimo successo, perché vivace e inusitata, con la curiosità che accompagna la nascita di quello che fu un importante mezzo di comunicazione, l’intera estate – sino al 25 agosto. Un significativo Grand Tour, fantasiosamente moderno, idealmente vicino a quello che intraprendevano i giovanotti inglesi o germanici del Sette e Ottocento – tappe d’obbligo lungo lo stivale, toccando quei punti di gioia e di bellezza che una vita non poteva non aver affrontato – per affacciarsi al cuore dell’Europa e a quelle sospirate – per arte e storia e costumi e popolo, tra aneddotica e sguardo sociale – “porte d’Italia” con cui Edmondo De Amicis, nel 1884, virava i propri orizzonti, dopo aver guardato a terre lontane, da Parigi al Marocco, da Londra alle Americhe, come già aveva fatto l’abate Stoppani otto anni prima, con “Il Bel Paese”, pronto a formare e preparare “giovani camminatori ammirati dalle varietà del paesaggio italiano”. Inviti ad assorbire, a riscaldare, tappa dopo tappa, lo straordinario patrimonio dell’Italia, nonché momenti per offrire tutta “l’importanza dello sviluppo turistico nell’economia generale del Paese”, come ancora sottolineava alla presentazione il presidente della Fondazione Torino Musei, Massimo Broccio.

Un lungo percorso, un cammino dove si sono avvicendate vedute artistiche e pubblicità che con bei visi e corpi pieni di fascino, con costumi che coprivano sino al collo, ahi ahi il moto censorio!, ma che prima o poi avrebbero esibito spavalde nudità di ninfe e più in là coloratissime tute con tanto di sci ai piedi: “Prima del documentario filmico, dei cinegiornali e della televisione – spiega ancora Villa – e molto prima della diffusione del fotogiornalismo, e però dopo la grande stagione ottocentesca dell’illustrazione incisa, il manifesto propone un’immagine del paese esplicitamente rivolta a suggerire e motivare l’avventura turistica, o più semplicemente una piacevole vacanza”. Facendo prendere una diversa strada all’arte, si consoliderà la necessità di raccontare delle storie o spunti velocissimi, il particolare per il tutto (sarà necessario mettere soltanto in primissimo piano il capitello dorico di un suo tempio per spingere il desideroso visitatore ad un viaggio a Paestum: di Virgilio Retrosi, allievo di Duilio Cambellotti, 1950) e di lasciar immaginare delle favole (una tra le tante signorine grandifirme in versione vacanze, toccherà il cuore di Gino Boccasile, nel 1948, dare vita alla “ragazza in verde” sulle nevi del “Sestrières”, con tanto di esse finale, intenta a levarsi, abbronzatissima, la giacca, mentre tra biancore e vette fanno da sfondo le architetture razionaliste delle torri di Bonadé Bottino (la località alpina è vista anche nel ’32 da Umberto Romano, con un trionfo di colori aranciati qua e là disseminati lungo tutto l’orizzonte).

Un lungo percorso, composto da più che 150 manifesti, tre le realtà di importanti prestatori, Wolfsoniana (Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova), la Civica Raccolta delle Stampe ”Achille Bertarelli” (Castello Sforzesco, Milano) e Museo nazionale Collezione Salce di Treviso. Materiale fragile di perenne tutela, prezioso, “un mondo di carta” lo si è definito che è anche “filtro d’eccezione attraverso cui leggere lo sviluppo di una intera società”, uno sguardo che abbraccia itinerari e città e ambienti, oggetti della quotidianità, panorami generali e il gusto per il particolare, scritte folgoranti che incamerano le migliori qualità di questa o quella località (per Recoaro, “stazione climatica di primo ordine, la più rinomata e frequentata d’Italia”, si infittiscono gli strilli con il megafono dell’idroterapia e dell’elettroterapia e della ginnastica medica con tanto di salutari svolgimenti, secondo un anonimo illustratore del 1910), la ricerca doverosa di mercati stranieri e il risveglio di nuovi interessi – “Connais-tu la douce terre?” si chiede ai futuri visitatori d’oltralpe, sfoggiando un’intera rete stradale che accomuna un antico tempio e un trio d’agrumi che restringono il pensiero alla sola Sicilia; “la plus belle plage du monde” viene reclamizzato il Lido veneziano – spazio di sole di allegria, affatto memore degli occhi languidi di Gustav von Aschenback davanti a Tadzio, con una struggente atmosfera creata dalle musiche mahleriane -, un’immagine affollata di mesdames in abiti candidi e larghi cappelli che nemmeno Silvana Mangano e di messieurs in calzoni bianchi e giacca blu più cravatta e paglietta a riparare, sberleffo antico all’influencer partenopea di oggi e schiaffo sonoro a noi che oggi ci amareggiamo per Roccaraso straffollata, un’opera firmata Elio Ettore Ximenes, in nove righe di testo d’oltralpe che sono il trionfo delle lampanti bellezze del luogo: “stazione climatica e balneare di primavera estate autunno, clima senza variazioni di temperatura né venti violenti, brezza di mare leggera e tonificante, massimo 28°” e via di questo passo.

Spiega Dario Cimorelli che non s’è mai avuto in precedenza un panorama che così appieno ritraesse il discorso pubblicitario immerso nei primi cinquant’anni dello scorso secolo, una visione parziale tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta soltanto. “Visitate l’Italia!” è pronta ad accompagnare chi vorrà visitare la mostra in un abbraccio unico, a iniziare dalla ragazza domatrice di un grande pesce vermiglio, capace d’ospitare nella sua forma ricurva i festeggiamenti e quanto di gradevole passasse nella stagione balneare del 1922 a Rimini, opera di Marcello Dudovich, della Collezione Salce, anticipando nelle forme e nei colori i sogni felliniani, tra le tabaccaie e la caduta della neve con la visione visionaria e fanciullesca del pavone e un “gradisca, prinzip”, quando la città romagnola veniva definita “l’Ostenda d’Italia” nel capolavoro di Mario Borgoni. Nella vicina Cesatico, con Franzoni, già ad inizio secolo (1905) si sfoggiavano “i bagni di mare le centinaia di ville sulla spiaggia aree fabbricabili gratuite”, chissà se con buona pace di ogni piano regolatore: e pensare che sta pure appeso, lui, in mostra, il quadretto da bucolica virgiliana che reclamizza (siamo all’ultimo anno dell’Ottocento), vero ritorno ad un tranquillo impressionismo, il “Monte Rosa da Macugnaga”, con tanto di verde incontaminato, di grange e mucche al pascolo, di chiesetta e cime immacolate, tutto tra una (invidiabile? invochiamo i differenti punti di vista, ieri e oggi) tranquillità che certo andava a braccetto con il quietissimo vivere.

Città – Torino “capitale”, con le immagini di Adalberto Campagnoli, piazza Carlo Felice con lo zampillo della sua fontana e via Roma illuminatissima di insegne che nessuno ricorda più (1939) o una cappelliera che snoda il nastro azzurro del fiume con tanto di Mole e Valentino, di Porte Palatine e di Torre Littoria, chiaramente con accompagnamento d’obbligo di auto e ciminiera; e poi Amalfi e la Salerno di Vincenzo Alicandri del ’26, Ercolano scoperta del grande macigno che la seppellisce (Dudovich, 1928) e Pompei con un invitante ante litteram “visitate Pompei di notte” (Giuseppe Riccobaldi, 1938), Firenze dove svetta il Brunelleschi e Padova con il Gattamelata (ancora Dudovich, 1928 circa), e Bologna e Ravenna, e Ferrara e Mantova, Palermo e la cattedrale e le Puglie con il castello di Federico. Mentre, con spirito turistico/patriottico Amos Scorzon rivolge la propria attenzione a spingere dieci anni dopo la fine del conflitto alla visita dei “campi di battaglia, Sabotino e Basso Isonzo”, si spingono i prossimi villeggianti verso le terme – Montecatini, Porretta, Chianciano, San Pellegrino, Acqui -, verso i laghi – la Punta di Balbianello e il lago Como, Bellagio con il suo Grand Hotel, il lago Maggiore e l’isola dei Pescatori, Gardone tra bellezze femminili e frutti e rosacei fiori -, verso la scoperta delle isole maggiori e del Tirreno – si guarda con futuro piacere alle perle di Alassio e Bordighera, con i colori di Carlo Pellegrini (1905, una coppia per noi antichissima, con calesse e cocchiere sullo sfondo di una via Aurelia del tutto solitaria) e di Filippo Romoli (ancora Bordighera, ma del 1948, un moderno paio d’occhiali da sole posati su di un libro e una sedia a sdraio a rigoni gialli e rossi), Finale Ligure vista da Aurelio Craffonara, nel ’29, attraverso il pertugio della Caprazoppa.

Ogni cosa apprezzata e ricercata considerando “il progresso economico, la forte e innovativa espansione dell’edilizia urbana e ancor più il grandioso sviluppo della rete ferroviaria”, un’epoca speciale, dove le persone – comuni – a poco prendono a muoversi e a scoprire laddove prima era appannaggio dell’aristocrazia e della grande borghesia”. Finita la guerra, c’è voglia di costruire (e di ricostruire), si inneggia come s’era inneggiato una trentina d’anni prima ai mezzi di comunicazione celebrati dal credo futurista, si viaggia, ci si sposta, si visita e s’apprende, “nasce un nuovo modo di rapportarsi con il territorio e il tempo libero”, si fanno vistosi passi in avanti come già s’era fatto nel 1905 quando le Ferrovie erano diventate ente pubblico e soprattutto nel 1919 con la nascita dell’ENIT, l’Ente Nazionale per l’incremento delle industrie turistiche, non soltanto viaggi e percorsi e passeggiate ma altresì aperture d’uffici e mostre, redazionali nei giornali, la stampa di opuscoli e cartine e guide, e immagini e parole accattivanti fortemente volute dal Touring Club Italiano. Piacere e sviluppo. Forse qualcuno dei nostri padri o nonni ancora come i villeggianti alla base delle Dolomiti, gli occhi strabuzzati, nel manifesto di Sandro Bidasio degli Imberti, del ‘49: ma anche qui la parola d’ordine suona “visitate”, all’insegna di una autentica rinascita dell’intero paese.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Marcello Dudovich, “Rimini. Stagione balneare 1922 (giugno – settembre), 1922, Milano prop. Art. Grafiche Baroni &C., Treviso, Museo Naz. Coll. Salce; Agostino Luigi Sacchi, “Portofino Kulm. Panorama verso Ponente”, 1905 circa, Treviso, Museo Naz. Coll. Salce; Mario Borgoni, “Amalfi”, 1927 circa, Napoli Richter&C., Milano, Castello Sforzesco, Civica Raccolta “Achille Bertarelli”; Gino Boccasile, “Val d’Aosta. Sport invernali”, 1940, Milano Stabilimento Pezzini, Treviso Museo Naz. Coll. Salce; Crea – Centro Grafico Pubblicitario, “Torino”, 1949, Torino Gros Monti&C., Treviso Museo Naz. Coll. Salce; Sandro Bidasio degli Imberti detto Sabi, “Dolomiti”, 1949, Castelfranco Veneto Grafiche Trevisan, Treviso Museo Naz. Coll. Salce.

“Ritratti urbani”. In mostra alla “BI-Box Art Space” di Biella

Le opere pittoriche di Beatrice Scaramal e le “foto-reportages” di Damiano Andreotti

Da venerdì 31 gennaio a sabato 1° marzo

Biella

Oltre ogni stereotipo, oltre ogni “cliché”. Ritratti di donne e uomini (sono queste/i, donne e uomini?) che infrangono spazi di vita e palesano il buio. Il buio di un oggi che non osa e fatica a immaginare un domani. Che in più casi trasmette sofferenza e dolorosa rassegnazione. Un buio dove anche i segnali d’aiuto paiono inesorabilmente infrangersi  contro i muri, sempre più alti sempre più invalicabili, dell’indifferenza e della non pietà umana. Dove allo sbaglio sono negati il perdono e il riscatto. Sono trenta i “Ritratti urbani” posti in mostra, da venerdì 31 gennaio a sabato 1° marzo, alla “BI-Box Art Space” di via Italia, a Biella: dipinti in acrilico su tela firmati da Beatrice Scamal e fotografie dal “sapore di reportages” di Damiano Andreotti. Opere che non stanno, pur riconoscendolo, al gioco dei “grandi”, al dèjà vu, alla didascalica ripetizione di passi nel tempo ripetuti, ma che, totalmente in proprio, intendono raccontare, attraverso volti che ti trafiggono, storie di anime, funamboliche giravolte di sogni e speranze destinate spesso a fare i conti – i drammatici conti – con la realtà di spietate disillusioni. E allora, nei ritratti della Scaramal, ecco il colore liberarsi dalle regole scolastiche, farsi pienamente autonomo e aggredire, con gialli improvvisati, turchesi e mai imbarazzanti o provocatori rossi, lineamenti del volto che mantengono la netta e nitida fisicità del segno.

Biellese di origini, ma residente oggi a Torino (dove già nell’ottobre dell’anno appena trascorso aveva esposto i sui “Ritratti” all’“Antro” di San Salvario), Beatrice scopre appieno la sua “chiamata alle arti” durante gli anni del “lockdown” trascorsi a Firenze. Le opere oggi in mostra a Biella  nascono agli inizi del 2024 dai dialoghi tra la pittrice e alcune delle persone ospiti del “Drop In” di via Santa Caterina da Siena ad Alessandria, “porta aperta sulla strada” che accoglie e aiuta adulti e persone in difficoltà. “Ho sempre trovato stimolante – racconta l’artista – confrontarmi con persone provenienti da realtà diverse e lontane dalla mia. Al ‘Drop-In’ ho avuto l’opportunità di parlare con alcuni ragazzi che hanno affrontato situazioni difficili o problematiche legate alle dipendenze. È stata un’esperienza straordinaria e arricchente, alcuni dipinti di questa serie rappresentano le persone che frequentano il ‘Drop-In’, ma anche alcuni amici con cui ho deciso di ampliare il progetto. L’idea ora è quella di raccogliere più esperienze possibili, favorendo lo scambio culturale, abbattendo gli stereotipi e mettendo in luce tematiche che ci uniscono, anche se proveniamo da realtà lontane”. Il grande, prossimo obiettivo: “Raccogliere più testimonianze e storie possibili e raccontarle non solo attraverso la pittura ma anche nelle pagine di un libro”.

Sulla stessa linea dei “Ritratti” di Beatrice Scaramal, unite fra loro da un robusto e suggestivo fil rouge, si leggono i “Volti dal parchetto” del fotografo, anche lui biellese, Damiano Andreotti (dal 2019, nel team di fotografi di “Mondadori Portfolio”), progetto promosso dalle Associazioni di volontariato, cooperative ed enti ecclesiali del “Tavolo Carcere” di Biella, con il Patrocinio della “Garante per i diritti delle persone private della libertà personale” del Comune di Biella. Macchina fotografica a tracolla, quello di Andreotti è un “viaggio – reportage” alla scoperta di storie e di persone. Di volti come specchio di anime e di vite. “Il viaggio del fotografo – sottolinea Andreotti – è parte integrante del suo lavoro: è fondamentale raggiungere i soggetti nei luoghi a loro più familiari, le loro città, le loro case, per metterli a proprio agio; in questo caso il luogo è indicativo della loro condizione, che rende la loro quotidianità fisicamente e psicologicamente lontana dall’ordinario.

Li si estrapola dal contesto per lasciarli soli davanti a un fondo nero; in questo modo gli unici protagonisti dello scatto diventano la faccia, le mani e le storie che portano con sé”. Storie che hanno spesso conosciuto e fatto i conti con l’inferno. Di cui ancora oggi portano impressi nel corpo e nell’anima i larghi segni di brucianti ferite. Mai più, forse, rimarginabili.

Gianni Milani

“Ritratti urbani”

“BI-Box Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 349/7252121 o www.bi-boxartspace.com

Dal 31 gennaio al 1° marzo

Orari: giov. e ven. 15/19,30; sab. 10/12,30 e 15/19,30

 

Nelle foto: alcune immagini pittoriche di Beatrice Scaramal (“Ritratti urbani”) e alcune fotografie (“Volti dal parchetto”) di Damiano Andreotti

L’amore in ogni aspetto della vita, parola di Manuel Giacometti

Love is Key” sino al 30 marzo al Forte di Gavi

Venerdì 14 febbraio, giorno degli innamorati, s’inaugura alle 14,30 al Forte di Gavi “Love is Key – Innamorati al Forte di Gavi” (chissà dove andrà messo l’accento? per un amore già consolidato e per un invito a lasciarsi andare e iniziare una relazione?), mostra organizzata dalle Residenze reali sabaude, una personale dell’artista trevigiano Manuel Giacometti: pressoché cinquantenne, un incontro con i graffiti che gli consente di appassionarsi al mondo dell’arte, un percorso di concorsi e collettive, la scelta di eventi di Street Art nazionali ed esteri. Di lui dicono che “utilizza lo spray su qualsiasi tipo di superficie, realizzando opere dai tratti unici e distintivi che rendono ogni immagine un’esperienza capace di suscitare emozioni profonde nello spettatore.” Un serie di murales, una “sorta di soap opera artistica” vanno a formare, dando efficace vita e comunicabilità a “Love is Key”, un cuore rosso con la scritta bianca ormai riconoscibilissimo, inno ad un amore che è fondamentale in ogni aspetto della vita, forma d’arte che si è estesa anche a tele numerate, a gioielli e sculture.

Protagonisti delle opere di Giacometti sono “un bambino e una bambina che si trasformano in forma, dimensione e posizione”, per l’occasione inseriti all’interno della valorizzazione del territorio e della sua imponente fortezza, un contesto unico e affascinante che accomuna arte, storia ed emozioni. In occasione della mostra, dopo le parole di saluto, verrà inaugurata l’opera di live painting realizzata dall’artista nella struttura del forte e si proseguirà con la consegna del Premio Talento da parte del Lions Club di Gavi, per concludere con la visita guidata dallo stesso Giacometti. La mostra sarà visitabile sino a domenica 30 marzo (per consultazione del calendario, https://shorturl.at/09rlm).

e.rb.

Mondi… dell’altro mondo in mostra a “Palazzo Mazzetti” di Asti

Le opere del grande olandese Maurits Cornelis Escher, l’artista delle geometrie e dei mondi impossibili

Fino all’11 maggio 2025

Asti

Mondi e figure impossibili. A osservarle è, subito, “shock visivo”, da cui uscire indenni solo superando il concetto puramente artistico di immagini uniche, frutto di aliene visionarietà, per imbrigliare e tenere ben strette le corde di quell’“impossibile” su cui trovano modo di esistere “invenzioni fantasiose e paradossi magici, dal forte rigore scientifico”, architetture e cruciverba filosofico-matematici su cui sarà bene, ma non facile, riflettere “coniugando l’arte con l’universo infinito dei numeri, la scienza con la natura, la realtà con l’immaginazione”. Artista indubbiamente geniale, incisore e grafico fra i più interessanti e singolari del Novecento, all’olandese Maurits Cornelis (Mauk) Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972), il settecentesco “Palazzo Mazzetti” (sede del “Museo Civico” dal 1940) di Asti, dedica una corposa retrospettiva in cui ben si riflettono i caratteri di un “fare arte”  (incisioni su legno, soprattutto, litografie e “mezzetinte”) che hanno reso Escher artista iconico per gli amanti dell’arte, ma anche per scienziati, matematici e fisici, fortemente attratti da quelle sue “tassellature” del piano e dello spazio e da quelle “distorsioni geometriche” e “poliedriche” appartenenti, in egual misura, a un ragionare scientifico e, insieme, artistico.

 “Mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti”, affermava del resto lo stesso Escher, aggiungendo ironicamente: “Non una volta mi diedero a scuola una sufficienza in matematica … La cosa buffa è che, a quanto pare, io utilizzo teorie matematiche senza saperlo”. Sarà! Ma nella magia di “Relatività”, litografia del ’53, tutto sarebbe buio assoluto in quell’incessante saliscendi di figure umane – imprigionate in un interno fantascientifico – e molto simili a dannati e affaticati peccatori inseriti in un dantesco (non ben precisato) girone infernale, se l’occhio non riuscisse a fondere l’“unitarietà” del mondo architettonico ed umano rappresentato, con la percezione di più mondi distinti, rappresentati dall’artista a sfida della “concettualità” da secoli “sedimentata nella psiche umana”.

Ad Asti, attraverso l’esposizione di oltre 100 opere, approfondimenti didattici, video e “sale immersive”, la mostra, realizzata dalla “Fondazione Asti Musei” e curata da Federico Giudiceandrea, racconta l’intero percorso artistico di Escher, dagli inizi – sotto la guida magistrale del grafico Samuel Jessurum de Mesquita – ai viaggi in Italia (tantissimi e fondamentali, a cavallo delle due guerre, così come lo studio dell’“Alhambra” a Granada e di quelle sue “piastrellature moresche”, fascinose e capaci di composizioni moltiplicabili all’infinito), fino alle varie tecniche artistiche che lo videro impegnato per tutta la vita e che lo hanno reso un artista dalla cifra stilistica davvero unica e inconfondibile.

Tra tassellature, metamorfosi, strutture spaziali e geometriche fino alle opere che dagli anni ’50 ne hanno accresciuto la popolarità tanto da poter parlare oggi di una vera e propria “Eschermania” (con rimbalzi ispirativi che saltellano dal cinema alla fumettistica, dalla letteratura alla musica, con cover che vanno da “Le Cosmicomiche” di Calvino alla celebre “On the Run” dei Pink Floyd) in mostra vengono presentati i lavori più noti dell’artista olandese come “Mano con sfera riflettente” (1935, dove l’artista ricorre all’aiuto di specchi convessi per raddoppiare la “realtà ambigua e illusoria” del dipinto con “autoritratto”), “Vincolo d’unione” (1956, con volti nascosti o pronti ad unirsi fra ingombranti e bizzarre “bucce” serpentine), “Metamorfosi II” (1939, in cui la parola “metamorphose” si trasfigura in figure geometriche, api, insetti e perfino in una scacchiera, per poi ritornare al punto di partenza) e quel mirabile “Giorno e Notte” (1938, dove una “tassellazione bidimensionale” raffigurante anatre bianche e nere in volo“degenera in una fantastica visione dall’alto dei campi coltivati olandesi”). Paradossi visionari, irripetibili e straordinari “di un artista – commenta Antonio Lepore, presidente della ‘Fondazione Asti Musei’ – che ha saputo esplorare con la propria genialità e con il supporto esclusivamente della propria maestria grafica e delle proprie competenze matematiche quegli universi impossibili che oggi appaiono più vicini grazie agli algoritmi e all‘intelligenza artificiale, icone ammalianti delle infinite possibilità di interazione tra arte e scienza”.

Gianni Milani

“ESCHER”

Palazzo Mazzetti, corso Vittorio Alfieri 357, Asti; tel. 0141/530403 o www.museidiasti.com

Fino all’11 maggio 2025

Orari: lun. – dom. 10/19

Nelle foto: Mauritis Cornelis Escher “Relatività”, litografia, 1953; “Mano con sfera riflettente”, litografia, 1935; “Vincolo d’unione”, litografia, 1956; “Giorno e notte”, xilografia, 1938

All’ “Environment Park” di via Livorno “Cristallo di Luce” di Diego Scroppo

Una nuova “Luce” per “Luci d’Artista”

Giovedì 13 febbraio, ore 18

E’ stato definito “progetto visionario” per la sua capacità di coniugare mirabilmente materiali come vetro, acciaio ed alluminio, al servizio di una suggestiva rievocazione delle “imponenti forme del paesaggio alpino che caratterizza la ‘landscape’ torinese”. Ad innalzarlo oltre la semplice fisicità del reale, un piccolo (ma neppure tanto) particolare, una “pianta d’ulivo”, simbolo di “resilienza” e “adattamento”, collocata al suo interno quale invito alla riflessione sul rapporto fra uomo e natura.

Parliamo della grandiosa installazione d’arte pubblica “Cristallo di Luce” creata dall’artista torinese Diego Scroppo e curata dall’Associazione “The Sharing”, nata a Torino nel 2003 da un’originale idea di Chiara Garibaldi e oggi punto di riferimento internazionale per la creazione di contenuti artistici legati all’arte digitale. L’opera di Scroppo verrà presentata ufficialmente, alla presenza delle Istituzioni e dei sostenitori del progetto, giovedì 13 febbraio , alle 18, presso l’“Envi Park” (via Livorno, 60), il “Parco Tecnologico” di Torino, che diverrà la sua sede permanente e casa ideale, in quanto luogo della città dove, da oltre vent’anni, si lavora per supportare “Pubbliche Amministrazioni” e imprese nei loro percorsi di sostenibilità ed innovazione culturale. Non solo. “Cristallo di Luce” entrerà, infatti, a pieno titolo, a fare parte della sezione “Luminarie” della rassegna torinese “Luci d’Artista”, consolidando, ancora una volta, lo stretto legame tra “arte contemporanea” e “sostenibilità urbana”. L’appuntamento rientra nel progetto “Accademia della Luce”, un percorso di iniziative e attività che integrano e accompagnano le “installazioni luminose” sul territorio cittadino sin dal 2018, sottolineando quanto la comunione tra il Cristallo” e “Luci d’Artista” avvenga pienamente all’insegna dell’intento condiviso dalla Città e da “The Sharing” di “mettere sempre di più le opere d’arte in diretta relazione con gli spazi cittadini e i propri abitanti”. Afferma lo stesso Scroppo: “Parte della mia arte è stata privatizzata, tolta al pubblico. Ma l’arte deve sempre essere pubblica; paradossalmente non appartiene nemmeno all’autore”. L’arte, dunque, come “gesto condiviso”. E sempre prodotto sotto il segno della più ampia “sostenibilità”.

Dotata di “tecnologia fotovoltaica”, “Cristallo di Luce”, nello specifico, ha infatti una profonda “anima sostenibile”: è in grado di autoalimentarsi e di generare energia, fornendo circa 900 kWh all’anno, sufficienti per ricaricare in una giornata 4 e-bike, 45 laptop a ricarica completa e 200 smartphone. Con questo progetto, “The Sharing” incontra alcuni importanti punti del Sustainable Development Goals (SDG-ONU): il miglioramento dell’efficienza globale nel consumo di risorse e nel tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale, la riduzione entro il 2030 dell’impatto ambientale negativo pro-capite delle città e l’implementazione di strumenti per lo sviluppo sostenibile del turismo.

Dopo gli studi alla torinese “Accademia Albertina di Belle Arti”, Scroppo, validissimo erede di una ben solida “tradizione monumentale”, mantiene un modo singolare di “fare arte” attraverso “uno stile – si è scritto – modernissino e arcaico al tempo stesso, al pari delle forme che immagina e dei materiali che usa”. Sono visioni che l’artista elabora, imponendosi di osservare il “reale” senza mai restarne del tutto soggiogato; le sue “creature” volano alto, portandoci non poche volte al confronto con certe atmosfere onirico – surrealiste in cui d’improvviso “cose” e “oggetti” si fanno originale pretesto alla messa in piena libertà di sogni, memorie ed emozioni che faticano a rapportarsi con la stessa monumentalità dei progetti. Per la realizzazione del suo Cristallo di Luce”, Scroppo si è ispirato agli antichi obelischi egizi, richiamando la loro “funzione simbolica e spirituale”. Con i suoi sette metri di altezza, “il ‘Cristallo’ incarna un dialogo tra luce e ombra, tradizione e innovazione, rappresentando un microcosmo delle tensioni e delle bellezze del nostro pianeta”. La base, che riproduce l’ombra tridimensionale del monolite, ospita i pannelli fotovoltaici, creando un “paradosso visivo”: è, infatti, nell’oscurità che la luce viene catturata e trasformata in energia.

Dopo la presentazione ufficiale dell’opera, la serata del prossimo giovedì 13 febbraio, sarà arricchita dalla “performance sonora” interattiva Suoni nella luce”ideata da “Diego Scroppo e Sintetica” e curata da “The Sharing”, che permetterà al pubblico di interagire appieno con l’opera.

Per infowww.toshareproject.it

g.m.

Nelle foto: “Cristallo di Luce” e Diego Scroppo

Yto Barrada, Deadhead: sculture, film e tessuti

Fondazione Merz a Torino presenta, da giovedì 20 febbraio a domenica 18 maggio 2025 la mostra dedicata all’artista Yto Barrada intitolata Deadhead, a cura di Davide Quadrio con Giulia Turconi e realizzata in collaborazione con il MAO, Museo di Arte Orientale di Torino.

Il titolo della mostra Deadhead rimanda alla pratica agricola di rimuovere foglie e fiori appassiti da una pianta per stimolare la sua crescita. Riprendendo la metafora di un ritorno all’essenziale per liberare nuove energie, l’esposizione accoglie le opere più rappresentative della ricerca artistica  di Yto Barrada, tra cui film, sculture, installazioni, tessuti e stampe, alcune delle quali appositamente realizzate per l’occasione.

Tra ech8, rimandi e sperimentazioni, Yto Barrada trae ispirazione dalla teoria del coloredell’artista, collezionista e filantropa Emily Noyes Vanderpoel, descritta nel libro Color Problems, a Practical Manual for Lay Student of Color ( New York, 1902). Il volume, pensato per un pubblico femminile,  specialmente sarte, fioriste e decoratrici, mostrava le rivoluzionarie tavole di analisi del colore dell’autrice, dove le immagini degli oggetti sono trasformate e tradotte in griglie geometriche. Attraverso una disposizione sistematica del colore, definita “la musica della luce” Vanderpoel ha creato dei campi relazionali in cui ogni tinta, sfumatura e ombra sono in perfetta relazione con tutte le altre.

Yto Barrada reinterpreta in maniera analoga la storia, attraverso gesti contemporanei legati alla natura degli oggetti esposti. Nella serie Color Analysis, presentata in anteprima al MAO, all’interno della mostra “Trad u/i zioni d’Eurasia 2023/2024”, l’artista propone griglie di velluto tinte a mano in cui applica la tecnica di Vanderpoel, per trasformare immagini che trae dalla collezione personale di Vanderpoel dalle opere selezionate, dalle opere selezionate della collezione d’arte islamica del MAO e da un disegno di Marisa Merz. I pigmenti naturali impiegati nell’opera sono realizzati in “The Mothership”, un progetto artistico ideato da Barrada come un ecocampus femminista per la coltivazione, la produzione e l’apprendimento delle tinture naturali e delle traduzioni indigene radicali perdute, nel suo giardino a Tangeri, in Marocco. La mostra sarà arricchita dalla pubblicazione di un catalogo edito da Hopfulmonster per la Fondazione Merz. La mostra “DEADHEAD” consolida il dialogo tra la Fondazione Merz e il MAO, dove il lavoro di Yto Barrada è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva “Trad u/i zioni d’Eurasia 2023/2024”.

Yto Barrada è la quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize – Premio Internazionale Biennale ideato con la finalità di celebrare Mario Merz e individuare talenti nell’ambito artistico e musicale attraverso la commissione di un progetto espositivo e di un progetto musicale Alessandro inedito all’artista selezionato per le due categorie di concorso. La stessa edizione ha visto l’assegnazione  per il Premio della Musica a Fusun Köksal, il cui concerto si terrà mercoledì 2 luglio negli spazi della Fondazione Merz.

Il percorso del Mario Merz Prize prosegue con la quinta edizione che, per la sezione arte, ha visto la selezione di 5 finalisti che saranno protagonisti di una mostra collettiva negli spazi della Fondazione, nel giugno 2025. Si tratta di Elena Bellantoni (Italia), Mohamed Bourouissa (Francia-Algeria), Anna Franceschini (Italia), Voluspa Jarpa (Cile) e Agnes Questionmark (Italia).

Yto Barrada è stata recentemente selezionata per rappresentare la Francia alla Biennale di Venezia 2026.

Mara Martellotta