ARTE- Pagina 33

Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 1. Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Ogni periodo storico è caratterizzato da un proprio particolare sentire, da scoperte e personaggi che ne delineano i tratti distintivi e, soprattutto, da forme artistico-letterarie-culturali che lo identificano. In questa serie di articoli voglio approfondire una peculiare corrente artistica, permeata di linee curve, con ornamenti di vetri e di pietre, uno stile che non solo interessò tutte le arti, dall’architettura, all’illustrazione, all’artigianato, all’oreficeria, ma divenne quasi un “modo di vivere”: il Liberty. Verso la fine del secolo XIX e l’inizio del XX nasce in Belgio un importante movimento, chiamato Art Nouveau che, opponendosi a tutte le accademie neoclassiche e neobarocche, applica la produzione industriale a forme d’arte, interpreta la linea con dinamismo espressivo, propone partiti decorativi che rompono con la fissità e danno movimento a pavimenti, scale, ringhiere, soffitti, modellano e curvano le pareti esterne, procurando vivacità e colore all’insieme. Tale movimento, che unifica in quei decenni lo slancio architettonico di tutta Europa, giunge in Italia con il nome di Liberty o Floreale, stile che ama applicare all’architettura ricercate forme decorative, spesso desunte dalla natura vegetale.  L’Art Nouveau influenza le arti figurative, l’architettura, le arti applicate, la decorazione di interni, gioielleria, mobilio, tessuti, oggettistica, illuminazione, arte funeraria, e assume nomi diversi, ma dal significato affine, a seconda dei luoghi in cui essa si manifesta: Style Guimard, Style 1900, Scuola di Nancy, in Francia; Stile Liberty, dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Lasemby Liberty, o Stile Floreale, in Italia; Modern Style in Gran Bretagna; Jugendstil (“Stile giovane”) in Germania; Nieuwe Kunst nei Paesi Bassi; Styl Mlodej Polski (“Stile di Giovane Polonia”) in Polonia; Style Sapin in Svizzera; Sezessionist (Stile di Secessione”) in Austria; Modern in Russia; Arte Modernista, Modernismo in Spagna. Alla base del movimento vi è l’ideologia estetica anglosassone dell’Arts and Crafts di William Morris, fervido sostenitore della libera creatività dell’artigiano come unica alternativa alla meccanizzazione: una sorta di reazione alla veloce industrializzazione del tardo Ottocento. Arts and Crafts si volge alla riforma delle arti applicate portando avanti un’istanza sociale e morale che persegue il risorgere della produzione artigiana e l’attento studio del gotico come l’arte più dotata di spirito organico, volta a delineare planimetrie e forme “descrittive”, elementi nei quali l’indirizzo critico vuole vedere i germogli del rinnovamento architettonico.

L’Art Nouveau apre la strada all’architettura moderna e al design. Determinante per la diffusione di quest’arte è sicuramente l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, tuttavia anche altri canali ne segnano l’importanza: ad esempio la pubblicazione di nuove riviste, come L’art pour tous, e l’istituzione di scuole e laboratori artigianali. La massima diffusione del nuovo stile è comunque da rapportarsi all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902, in cui vengono presentati progetti di designer provenienti dai maggiori paesi europei, tra cui gli oggetti e le stampe dei famosi magazzini londinesi del noto mercante britannico Arthur Lasemby Liberty. La nuova linea artistica, in rottura con la tradizione, è presente nelle grandi capitali europee, come Praga, con la grande figura di Moucha, Parigi in cui Guimard progetta le stazioni per la metropolitana, Berlino, dove nel 1898 i giovani artisti si dissociano dagli stili ufficiali delle accademie d’arte, intorno alla figura di Munch, Vienna, dove gli artisti della secessione danno un nuovo aspetto alla città.  Una delle caratteristiche più importanti dello stile, che presenta affinità con i pittori preraffaelliti e simbolisti, è l’ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata, con tratto “a frusta”, e semplici figure sembrano prendere vita naturalmente in forme simili a piante o fiori. Si stagliano in primo piano le forme organiche, le linee curve, con ornamenti a preferenza vegetale o floreale. Tra i materiali, vengono adoperati soprattutto il vetro e il ferro battuto. In gioielleria si creano alti livelli di virtuosismo nella smaltatura e nell’introduzione di nuovi materiali, come opali e pietre dure, nascono monili in oro finemente lavorato e smaltato; i diamanti vengono accostati ad altri materiali, come il vetro, l’avorio e il corno. Solo in Italia, a differenza degli altri territori prima chiamati in causa, il Liberty non si contrappone al passato o alla tradizione accademica dell’insegnamento e dell’esercizio delle arti, con la conseguenza che qui, sulla nostra penisola, non si consolidò mai una scuola di riferimento identificabile con il movimento Liberty, al contrario ci furono singole personalità artistiche che si dedicarono ad approfondire i caratteri dello stile floreale ed epicentri per la diffusione del gusto dell’arte nuova, tra questi poli di profusione ci fu proprio Torino. Nei prossimi articoli considereremo nel dettaglio alcuni palazzi e quartieri della città sabauda particolarmente suggestivi e rilevanti dal punto di vista decorativo e architettonico, che testimoniano la meravigliosa trasformazione della nostra città, ancora oggi conosciuta come capitale del Liberty italiano.

 

Alessia Cagnotto

Ritratto d’artista: Anna Rota Milani

Non capita tutti i giorni di scrivere gli appunti di un’intervista su un foglio, di non piccole dimensioni sul quale l’artista effettua i suoi schizzi per poi trasformarli in opera finita. E’ quello che è successo allo scrivente nell’atelier dell’artista Anna Rota Milani a Zoalengo, frazione di Gabiano, in provincia di Alessandria. Essendo stata decisa l’intervista sui due piedi non avevo carta e Anna dicendomi ‘Non c’è problema’ mi ha passato uno di questi fogli giganti. Una premessa, però, è doverosa: conosco Anna Rota Milani da alcuni anni quando avevo recensito il suo libro ‘Gino e i Rota’ nel quale raccontava la storia della sua famiglia incentrandola, soprattutto, sulla figura del padre, i cui insegnamenti ed esempio le hanno consentito di farsi largo, prima come impiegata, come poi imprenditore in un settore non facile per una donna come quello dell’edilizia negli anni Settanta ed Ottanta. Da allora è nata un’amicizia improntata sulla reciproca stima, una di quelle amicizie che ti arricchiscono anche quando Anna, senza tanti se e ma, ti suggerisce di “fare le presentazioni in televisione almeno in camicia e non con una polo”: Fatta questa lunga ma indispensabile premessa il dialogo con Anna è stato incentrato sulla sua attività di pittrice, nell’atelier che è la casa avita, dei genitori, dei nonni, dei bisnonni, a cui è molto legata perché pur vivendo a Torino, quando ha un attimo di tempo viene a Gabiano (rectius a Zoalengo).

Come è nata Anna Rota Milani pittrice?

Faccio una premessa: mi piacevano i quadri, i tappeti ma a scuola non avevo mai disegnato. Lavorando nel settore dell’edilizia facevo i rilievi ma non avevano niente a che vedere con la pittura. Però il 31 maggio del 2007 sono entrata in camera operatoria e il 1 giugno andavo in pensione. L’operazione andò bene ma fui costretta per alcuni giorni ad un riposo ultraforzato che mi consentiva soltanto di pensare. Certo se avesse avuto un esito negativo avrebbero detto che avevo lavorato sino all’ultimo … Nel riflettere pensai che cosa avrei fatto, che mi sarebbe piaciuto, una volta rimessa in forze. Prima tutto il tempo era dedicato a famiglia e lavoro.

E’ hai pensato la pittura ?

Si, una ventina d’anni prima ero stata a Parigi al Museo d’Orsay ed ero stata colpita dagli Impressionisti. Così ho deciso di imparare a disegnare al fine della pittura e ad ottobre di quell’anno mi sono iscritta ad un corso serale di disegno, che era compatibile con i numerosi impegni familiari. Così è iniziata l’avventura.

Chi sono stati i tuoi maestri

Gianni Ferrino di Racconigi che era un pittore impressionista, scomparso qualche anno fa, che mi insegnò tutto quello che sapeva. Un altro maestro è stato Pippo Ciarlo di Torino, ed altri.

Hai qualche modello ?

No, non programmo i miei lavori: guardo, annoto, scatto delle foto. Se vedo un particolare lo uso come asse portante del dipinto. Tante volte mi sveglio al mattino e so poi cosa dovrò fare. Non ho modelli pittorici, non copio, sfido me stessa.

Oltre al tuo atelier di Zoalengo, visitabile previa prenotazione telefonica, dove sono esposti i tuoi quadri?

All’Antico Mulino – Ecomuseo delle Terre d’Acqua di Fontanetto Po, alla Canonica di Corteranzo di Murisengo, alla Casa San Sebastiano di Castel San Pietro di Camino, alla Locanda del Borgo di Murisengo e a Torino presso il Mit – Museo Internazionale Italia Arte. Un mio quadro è oggi negli Stati Uniti, sei sono in Svizzera, altri in giro per l’Italia. E sei, tengo a dirlo sono nel Municipio di Gabiano.

Massimo Iaretti

Hai qualche prossima esposizione in programma ?

Non vado nelle gallerie per scelta. Dopo l’estate sarò al Mit prima con ‘Le nevi’ poi con ‘I fiori’ . Poi sarò a Bra nell’ambito del Wab – Women Art Bra, quinta biennale della creatività femminile che si terrà dal 5 al 27 ottobre prossimi.

Infine, per Te cos’è la pittura ?

Ti rispondo con le parole del grande Philippe Daverio: “Il dipinto è cosa vera che esce dalla psiche dell’artista e che offre a chi la guarda un triplice percorso visivo … La pittura, come la musica, non richiede traduzioni ma conoscenza delle tradizioni. La musica esige però di essere suonata e quindi interpretata. La PITTURA E’ ”

Per contatti www.annarotamilani.it

MASSIMO IARETTI

“Il Giardino magico” di Anja a Bardonecchia. Quadri allegri con tanti o-minuscoli

La pittrice bavarese Anja Langst esporrà dal primo al 30 agosto prossimi a Bardonecchia, nel suo laboratorio “Anja’s Atelier”, in piazza Europa 18, i suoi quadri ricchi di colori e sorprese. Attenzione! I personaggi vogliono uscire dalle tele! La mostra si intitola “Il Giardino magico”.

Anja festeggia così l’anniversario dell’apertura della sua scuola a Bardonecchia, nata negli anni ‘93/94; trenta anni di corsi di decorazione: pittura su seta e stoffa, pasta di sale, decoupage, cartapesta, acquerello, pittura acrilica, pittura a olio, tecniche in rilievo.

La pittrice commemora anche la scomparsa, avvenuta un anno fa, di suo marito Benny Naselli, fumettista, caricaturista e ritrattista – molto popolare a Bardonecchia per i suoi ritratti in pubblico e lezioni di disegno.

In Germania Anja ha studiato psicopedagogia a Augsburg, ha lavorato come assistente di Emilio Vedova alla Giudecca a Venezia e si è poi trasferita nel ’72 a Torino, dove si è iscritta al corso di decorazione di Enrico Paolucci all’Accademia Albertina di Belle Arti.

Al Bureau International du Travail ha trovato un lavoro come illustratrice di manuali didattici e ha continuato questo lavoro anche a Ginevra. Qui ha disegnato vignette per il quotidiano “La Suisse”, partecipato a tante mostre sull’umorismo: le donne-umoriste sono una specie rara!

Nell ’84 è tornata in Italia per seguire la figlia sciatrice a Bardonecchia, e ha collaborato con le “Editions Soleil” per illustrare tanti libri in chiave umoristica e testi di medicina alternativa fino al ’93, quando ha aperto il suo laboratorio.

Il suo magico giardino fantasioso è pieno di vegetali, fioriture ingigantite e personaggi ridimensionati per mostrare la Grandezza della Natura e la piccolezza dell’Umanità che qui si perde e sogghigna dietro il denso fogliame, là fuori spesso si perde, distrugge, annienta…

Questo mondo della Fantasia, di Sogni, di Creatività è quasi da vedere con la lente di ingrandimento per scoprire esserini visibili e nascosti, omini-formichine, fate fantastiche e spazza-anime…

Qui regna il Colore, la Pazienza, il Sorriso!

MARA MARTELLOTTA

Mostra “ Il Giardino magico” Mostra di quadri di Anja

Con il ricordo di Benny

presso “Anja’s Atelier” piazza Europa 18, interno cortile Bardonecchia

apertura 1 – 31 agosto 2024

10.00 – 12.00 e dalle 15.00 -19.00 chiuso il lunedì

Inaugurazione sabato 3 agosto 2024 ore 17.00

Patrocinio Comune di Bardonecchia

Il mausoleo della Bela Rosin, il Pantheon torinese

Un piccolo gioiello neoclassico alle porte della citta’.

Situato a Mirafiori sud a Torino, al confine con il comune di Nichelino, il Mausoleo della Bela Rosin, dedicato dai figli alla madre Rosa Vercellana, amante e poi moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, e’ un mini pantheon situato al centro di un bel parco di trentamila metri quadrati.

Progettato dall’ architetto Angello Demezzo tra il 1886 e il 1888, consiste in una pianta circolare, con un diametro di 16 metri, e un frontone che riporta il motto “Dio, Patria e famiglia”; questa struttura possiede 16 colonne, 8 nella parte esterna (il proneo) e 8 che delimitano le nicchie dove una volta erano contenute le salme di Rosa e dei suoi figli che ora riposano altrove, l’ingresso e’ in ferro battuto ed e’ caratterizzato dalle insegne dei Conti Mirafiori.

Il mausoleo, purtroppo, negli anni e’ stato teatro di episodi spiacevoli fino al suo recente restauro che gli ha restituito il suo valore e il suo pregio. Nel 1970 dopo essere stato acquistato dal Comune di Torino e aperto al pubblico e’ stato profanato dalle attivita’ illecite di tombaroli in cerca di gioielli e oggetti preziosi, motivo per cui le salme della Rosin e dei suoi figli sono state trasferite al Cimitero Monumentale di Torino; dopo qualche anno fu ancora deturpato e utilizzato, o almeno cosi’ si dice, per riti satanici. Diverse furono le proposte perche’ questo luogo storico potesse essere riqualificato: realizzare una moschea o il planetario, nessuna di queste fu realizzata soprattutto a causa dei costi diristrutturazione necessari per una  nuova destinazione d’uso. Nei primi anni del 2000 finalmente si attuo’ l’ambito restauro che ha mantenuto le prerogative originarie, come lo stile neoclassico, con qualche rifacimento strutturale indispensabile come la ricostruzione del tetto e la realizzazione di un trompe-l’oeil sul soffitto a cassettoni; all’esterno invece fu effettuato il taglio degli alberi del viale d’ingresso.

Dal 2005, data della inaugurazione del nuovo corso, il Mausoleo della Bela Rosin e’ gestito dalle Biblioteche Civiche Torinesi ed e’diventato un punto di servizio bibliotecario, durante l’estate, poi, il parco diventa un giardino di lettura, attrezzato con gazebo e panchine per permettere ai visitatori di leggere sul posto libri disposti su carretti colorati o  prenderli con il prestito gratuito.Inoltre si  organizzano eventi, mostre, concerti e spettacoli come “Pazze Regine” ispirato alla storia d’amore tra Rosa e Vittorio Emanuele II.

La sua posizione non centrale e il non essere inserito, molto spesso,  nei circuiti turistici penalizza un po’ questo ulteriore gioiello di Torino che si sta cercando gia’ da  anni di rimettere al centro dell’attenzione attraverso varie iniziative e avvenimenti interessanti. Il Mausoleo della Bela Rosin rimane, comunque,  un monumento di  importanza  sia storica che architettonica, un altro tesoro della preziosa dote di questa citta’.

MARIA LA BARBERA

 

Per informazioni

https://bct.comune.torino.it/sedi-orari/mausoleo-della-bela-rosin

mausoleo.belarosin@comune.torino.it

CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale

Un affascinante viaggio storico documentato al “Forte di Bard” attraverso i reportages fotografici del francese Marc Riboud e del britannico Martin Parr

Fino al 17 novembre

Bard (Aosta)

La Cina di ieri e la Cina di oggi. Due mondi totalmente diversi e diversificati. Una lunga cavalcata fra stravolgimenti storici e mutazioni politiche, economico-sociali e umane trascorse lasciando segni profondi e drammatici nel “Paese” o “Fiore di mezzo” ( “Zhongguo” o “Zhonghua”) come i Cinesi chiamano la loro Terra. Dalla Cina anni Sessanta, contrassegnata dalla “Grande Rivoluzione Culturale” di Mao Zedong, alla Cina fine anni ’70 di Deng Xiaoping. Fino ad oggi. Fino alla Cina del “Terzo Millennio”, superpotenza globale, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e Paese più popoloso al mondo nonché il quarto per estensione territoriale. Ebbene, proprio alla vasta pagina storica che contempla ciò che fu la Cina di avantieri, di ieri e ciò che è la Cina odierna, alle sue trasformazioni sociali ed economiche ed alle sue tante contraddizioni, è dedicata la mostra “China. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”, progetto fotografico inedito curato dal fotografo inglese Martin Parr, promosso dal “Forte di Bard” e dall’“Agenzia Magnum Photos” e allestito nelle “Sale delle Cantine” del “Forte” valdostano fino a domenica 17 novembre.

Più di 70  sono le fotografie, in bianco e nero e a colori, presentate in rassegna, a firma di Marc Riboud  e dell’inglese Martin Parr, due fra i nomi di maggior prestigio dell’“Agenzia” fondata nel 1947 a Parigi da mostri sacri quali Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, tanto per citarne alcuni.

Era il 1956, quando Marc Riboud (Saint-Genis-Laval, 1923 – Parigi, 2016) mise per la prima volta piede in Cina, proprio quando la futura “Repubblica Popolare Cinese” stava per cambiare volto sotto la guida di Mao, emergendo sulle ceneri del conflitto tra “comunisti” e “nazionalisti” perpetratosi per vent’anni e trovandosi così a gestire una società profondamente divisa e ferita. Riboud (che in Cina fece ancora ritorno nel ’65, quando stava per essere lanciata la “Grande Rivoluzione Culturale”, negli anni ’70 e tante altre volte ancora fino al suo ultimo soggiorno a Shanghai nel 2010) sottolineava come i Cinesi non fossero per niente intimiditi dall’obiettivo fotografico e come, proprio grazie a questo, riuscisse a immortalare un aspetto della Cina poco conosciuto in Occidente: quello della vita quotidiana. Suo riconosciuto maestro Robert Capa che gli insegnò ad “affrontare gli sguardi sempre più da vicino” per riuscire a realizzare scatti il più possibile “perfetti”.

 

In mostra troviamo esposta anche la sua prima fotografiadella Cina:1956, una donna, vestita di nero e abbracciata a una tristezza senza confini, sul treno diretto a Canton. Nei suoi numerosi viaggi in Cina, il cui ultimo data 2010, Riboud visita gran parte del Paese, scattando suggestive immagini della vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero. Un mondo silente. Chiuso a speranze e a migliori prospettive, ancora lontane a venire.

Data, invece, al 1985 il primo viaggio cinese di Martin Parr (Epsom, 1952), testimone dunque di una Cina più moderna, profondamente attratta dal “consumismo”, dal lusso di marca occidentale e dalle piacevolezze del “tempo libero”. “Una Cina – sottolineava nel ‘97 – che oggi assomiglia molto a Chicago”. Dodici scatti, in mostra, del suo primo reportage cristallizzano attimi di un mondo completamente diverso, da quello presentatosi a Riboud: triste memoria l’economia comunista mentre spiagge affollate, auto di lusso, ostentazione quasi provocatoria testimoniano un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. In parete anche scatti dedicati alla vita di alcuni settori economici, come le industrie tessili o di gioielli, così come il mondo del tempo libero, tra esercizi di “Tai Chi” e pause pranzo al “Mc Donald”. Il tutto attraverso scatti in cui Parr gioca a mescolare “realtà” e “artificio”, grazie ad effetti come flash sparati in faccia anche in pieno giorno, giochi di luce e tecniche particolari. Sue e solo sue.

“Un fotografo che viene da un altro pianeta”, diceva di lui Cartier-Bresson. Certo, un fotografo fra i meno “politicamente corretti”, killer di tutte le regole della fotografia moderna, cui s’avvicina con le armi più improbabili di “cinico” sperimentatore ed innovatore.

Gianni Milani

“CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 17 novembre

Orari: mart. – ve, 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle Foto/”Magnum Photos”: Martin Parr “American Dream Park”, Shanghai, 1997; Marc Riboud “In the train …”, 1956 e “An antique shop window”, Beijng, 1965; Martin Parr “Happy Valley Racecourse”, Hong Kong, 2013

Bar Stories on Camera, la mostra a Torino dal 25 luglio

Sulla parete di un muro inzaccherato e nostalgico di una fredda Bologna di qualche anno fa c’era una frase che recitava “il bar non ti regala ricordi, ma i ricordi ti portano sempre al bar”.

Perchè il bar è sempre stato molto più di un semplice luogo in cui incontrarsi e scambiare qualche idea davanti ad un bicchiere, ma un posto dove si condividono momento di vita che diventano ricordi indelebili, dove si fanno incontri che possono determinare la svolta di una vita, dove si imbandiscono discorsi che sono in grado di fare la differenza nel percorso della nostra esistenza.

Ed è per questo che CAMERA –Centro Italiano per la Fotografia di Torino (Via delle Rosine, n. 18) ha deciso di celebrare questo iconico luogo, a volte vecchio e trasandato, altre volte iper moderno e futuristico portando in scena mostra “Bar Stories on Camera” in esposizione dal 25 luglio fino al 6 ottobre 2024, realizzata in collaborazione con Galleria Campari e Magnum Photo.

Un lungo racconto attraverso immagini del mondo del bar e della cultura della convivialità a partire dagli anni Trenta fino all’inizio degli anni Duemila.

La mostra è divisa in 3 settori diversi e ben distinti: Sharing Moments, Bar Campari e The Icons.

La prima sezione dedicata alla rappresentazione delle atmosfere di luoghi ritratti in tutto il mondo, dove baristi, bartender e musicisti diventano i protagonisti di situazioni di svago e momenti di condivisione: dal rito del caffè all’aperitivo, illuminati dalle luci delle insegne e delle bottigliere.

Nella sezione Bar Campari si ripercorrono le insegne, le vetrine brandizzate e gli allestimenti in locali e in spiaggia, simbolo chiave dell’Italia del Dopoguerra. Queste immagini permettono di ripercorrere la storia degli iconici poster e manifesti pubblicitari della nota azienda, che sono stati in grado di segnare un’epoca in quanto ad innovazione ed originalità. L’ultima sezione-The Icons– mostra la bellezza delle star del cinema– da Marilyn Monroe a Ernest Hemingway– catturati lontano in momenti intimi in cui si concedono un momento di relax nell’atmosfera chiassosa e glamour dell’aperitivo italiano.

Una mostra iconica e celebrativa di un luogo culto per gli italiani, in grado di rendere omaggio alla storia del nostro Paese in modo insolito e inusuale.

 

Valeria Rombolà

Sauze di Cesana, San Restituto tra storia e fede

C’è un segno lasciato dai Re di Francia dentro la bella chiesa di San Restituto a Sauze di Cesana, paese di 240 anime dell’Alta Valle di Susa, sulla strada che sale a Sestriere: un’impronta importante, regale, l’emblema della potenza della monarchia d’Oltralpe. È il Giglio, il simbolo araldico dei sovrani di Francia. Queste terre facevano parte del Delfinato già dalla metà del Trecento e, anche qui, su queste montagne scorreva il sangue scaturito dalle guerre di religione, cruenti e brutali, che tra Cinquecento e Seicento, seminarono morte e odio tra i cristiani.
A quel tempo cattolici e protestanti se le davano di “santa” ragione massacrandosi un po’ in tutta l’Europa. “Ci è difficile immaginare, spiegano i volontari dell’Associazione Amici di San Restituto che si prendono cura della chiesa e aprono le porte ai visitatori, come dovesse essere l’aspetto complessivo della chiesa dopo i violenti scontri del 1574 con i protestanti che si svolsero attorno e dentro l’edificio religioso”. La chiesa, a 1600 metri di altezza, passava di continuo dalle mani dei protestanti a quelle dei cattolici e viceversa.
“I disordini dovevano averla ridotta proprio male tanto che i beni più preziosi furono prontamente messi al riparo”. A cavallo delle Alpi i Re di Francia transitavano sovente da queste parti con i loro eserciti diretti nel cuore della penisola. Non si sa con certezza se qualche sovrano d’Oltralpe sia entrato in questa chiesa ma i segni della presenza francese sono diversi. Per poter ospitare i nuovi convertiti che volevano essere battezzati, Re Luigi XIV decise, verso la fine del Seicento, di ingrandire la chiesa e per tale ragione venne restaurato il fonte battesimale, una grande vasca di pietra quattrocentesca sormontata da una struttura triangolare con ante in legno su cui è scolpito il Giglio di Francia che si può vedere anche sulla parte superiore di un arco dell’ingresso laterale del portico.
La festa di San Restituto, santo patrono della chiesa, (martirizzato al tempo dell’imperatore Diocleziano, (284-305 d.C.) perché testimoniava la propria fede) si tiene l’ultima domenica di maggio ma altrettanto significativa e molto attesa è la festa dell’Assunta il 15 agosto con la Madonna portata in processione da giovane donne vestite di bianco, preceduta, la sera del 14, dalla fiaccolata per le vie del paese sullo sfondo della chiesa sapientemente illuminata insieme al suo piccolo cimitero sulle cui tombe il nome Restituto compare frequentemente. Per oltre un secolo, tra ‘600 e ‘700, i parrocchiani vennero seppelliti sotto il pavimento di legno della chiesa e solo alla fine del Settecento fu allestito il camposanto esterno.
La prima testimonianza di questa chiesa risale al 1065 con la Bolla dell’arcivescovo di Torino Cuniberto. Un tempo era una chiesa-fortezza, circondata da mura massicce e serviva da rifugio per la popolazione in caso di guerre o scorrerie. Nella seconda metà del Cinquecento vennero compiute importanti opere di restauro. All’interno non si trovano molte decorazioni pittoriche. Sulle pareti spicca un affresco che illustra il battesimo di Gesù, secentesco, si vedono tracce di dipinti di inizio Cinquecento, due grandi quadri dell’Annunciazione di fronte al battistero, la Madonna del Rosario, la statua di San Restituto a cavallo e una cornice del ‘700 con ex-voto. “Mettersi in cammino verso la chiesa-santuario di San Restituto, sostengono con orgoglio i responsabili dell’Associazione, rappresenta metaforicamente, oggi come ieri, il viaggio di ogni uomo, la ricerca di felicità e la possibilità di accogliere il dono di salvezza che viene dall’alto.
Significa in sostanza scoprire il senso religioso della vita che conforta e rassicura”. Ad agosto la chiesa, che ospita alcuni concerti serali, è aperta mercoledì e sabato dalle 16.00 alle 18.00, la settimana di ferragosto è aperta tutti i giorni con lo stesso orario. Per ulteriori informazioni: amicisanrestituto@gmail.com oppure telefonare 347-5960960
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Testo e foto di Filippo Re
nelle fotografie:
la chiesa di San Restituto a Sauze di Cesana
interno chiesa
facciata di San Restituto
Fonte battesimale con Giglio di Francia
San Restituto a cavallo

Un viaggio a Oriente

Venerdì 19 luglio

Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)

Una visita guidata per Abbonamento Musei

 

“Un viaggio a Oriente” è una visita alla scoperta di un mondo lontano. In occasione dei settecento anni dalla nascita di Marco Polo, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi è in programma un’immersione nei racconti dei grandi viaggiatori per arrivare fino in Cina attraverso la via della seta. Dai paesaggi ad acquerello delle carte da parati alle splendide stoffe, dall’esotica Sala da gioco con le sue chinoiserie ai bizzarri animali del serraglio: l’amore dei reali del l’esotismo è evidente a Stupinigi.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Venerdì 19 luglio 2024, ore 15.45

Un viaggio a Oriente

Visita narrata riservata agli abbonati di Abbonamenti Musei

Prezzo attività: 5 euro

Il biglietto di ingresso è gratuito per gli abbonati di Abbonamento Musei

Info: 800 329 329

www.ordinemauriziano.itwww.abbonamentomusei.it

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

“Mutazioni furtive”. L’arte astratta dello svizzero – langarolo René Mayer

Negli spazi suggestivi della “SAB-Spazio Arte Bubbio” della Langa astigiana

Fino al 18 agosto

Bubbio (Asti)

Mettete un artista di buona scuola. Un artista che è anche figlio d’arte. Mettete che quell’artista sia anche un saggio imprenditore. E mettete che nel cuore porti costante e profondo l’amore per le nostre terre di Langa, tanto da farne, soprattutto nei mesi estivi, luogo del suo “buen retiro”. Dove ormeggiare la “nave dei desideri”, in arrivo dalla non lontana, ma assai diversa sua terra elvetica, in cui nasce oltre settant’anni fa. Mettete tutto insieme e il gioco torna. Eccovi a tu per tu con l’arte e l’umanità – umanità vera e capace di regalare buoni insegnamenti a chi sa e vuole ascoltarla – di René Mayer. Imprenditore e artista svizzero capace, rigoroso e meticoloso che, un bel dì, decide di concretizzare il suo amore per la Langa nientemeno che acquistando a Bubbio, nel Sud del Piemonte, un ex impianto di imbottigliamento abbandonato da decenni, trasformandolo nel “suo” luogo prediletto di lavoro. Lavoro a metà artigiano e per intero artistico. Quella che per anni era stata l’ex Cantina sociale di Bubbio, Langa astigiana, sfugge così dal possibile triste destino di trasformarsi nell’ennesimo Centro Commerciale di zona, per diventare “SAB-Spazio Arte Bubbio”, studio immerso nel silenzio produttivo di un paesaggio da favola e luogo espositivo del lungimirante René. Che qui espone oggi, e fino a domenica 18 agosto, una trentina di sue opere, di grandi dimensioni e tra le sue realizzazioni più recenti, appartenenti alla serie dal titolo – lo stesso dato all’esposizione, curata da Luca Beatrice“Mutazioni furtive”. Cifra stilistica decisamente astratta e, sotto sotto, un po’ “Pop” per la reiterazione di oggetti che sono strumento costruttivo dei suoi lavori, i quadri di Mayer giocano sul gusto acceso, quasi parossistico, del colore steso in ampie campiture alla Kandinsky o in minuti effetti “optical” (Vasarely docet) alla cui base è sottesa un’inventiva e un’abilità artigiana non indifferente. Supportata, in gran quantità da un impensabile e unico oggetto reale ripetuto in modo seriale e dalla forma rotonda. Cosa? Le “fiches” in plastica (!) usate nei “casinò” al posto del denaro. Questo il processo esecutivo dei quadri di Mayer. L’artista affronta il legno del telaio, stende il tessuto e prepara la vernice con operazioni artigianali, poi pone il supporto in orizzontale e utilizza l’acrilico mescolato a pigmenti in polvere e realizza le sue opere strato dopo strato, passaggio dopo passaggio.

 

I “gettoni” da gioco vengono gradualmente coperti da un secondo colore, in modo quasi impercettibile e posizionati sulla tela con certosina precisione. Ma cosa simboleggiano quelle “fiches”? “L’irresponsabilità – spiega Mayer – della nostra civiltà. Noi giochiamo con la Terra come se fosse un casinò, ma in questo gioco saremo sempre perdenti”. Al centro della sua riflessione c’è dunque l’“ambiente” e, allora, le impercettibili “Mutazioni furtive” sono quei piccoli comportamenti quotidiani cui non si presta attenzione ma che invece, a metterli in fila ordinati come “fiches”, risultano la concausa di numerosi ed evitabili disastri. L’artista ci chiama dunque all’autoresponsabilità.  “Mayer– spiega Luca Beatriceci presenta un universo luminoso, colorato, piacevole, i suoi lavori appagano chi è alla ricerca di buona pittura. Potrebbe bastare e invece no, sotto sotto (neanche troppo sotto) ci invita a vigilare utilizzando condotte etiche”. E, attenzione! Per riuscirci, prosegue “non c’è bisogno di una tempesta o di un maremoto, bastano piccoli e colorati gettoni da gioco messi in fila per farci venire il dubbio che si può essere meglio di così”.


Per chi visiterà la mostra, è utile ricordare che, al “SAB” di Bubbio, i quadri di Mayer sono posti in dialogo armonioso con una serie di sculture astratte dai colori accesi, in alluminio laccato e in plexiglass, installate permanentemente nella parte superiore dello “Spazio”, a firma di Quirin Mayer (Zurigo, 1927 – 2020), padre di René. Padre e figlio.

 

Due prestigiose figure dell’arte contemporanea internazionale e “nomi di casa”, figli prediletti della langarola Bubbio, capace, per altro, di restituire loro tutto l’amore su di essa copiosamente riversato dai due grandi “svizzeri”.

Gianni Milani

“Mutazioni furtive”

“SAB-Spazio Arte Bubbio”, Regione Giarone, Bubbio (Asti); tel. 349/5760288 o www.spazioartebubbio.com

Fino al 18 agosto

Orari:  mart. – dom. 10/12 e 15/18

Nelle foto di Enrico Pestalozzi: Immagini dall’allestimento e Mayer al lavoro

Guercino, mostra prorogata al 15 settembre

Proroga confermata fino al 15 settembre per la grande mostra Guercino. Il mestiere del pittore, in corso ai Musei Reali di Torino nelle Sale Chiablese.

Promossa dai Musei Reali in collaborazione con l’Università di Torino e prodotta da CoopCulture con Villaggio Globale International, la mostra che si sarebbe dovuta chiudere il prossimo 28 luglio resterà aperta un mese e mezzo in più e le oltre 100 opere esposte nel percorso curato da Annamaria Bava e Gelsomina Spione potranno dunque essere ammirate durante l’estate.

Guercino, al centro di una rinnovata attenzione e di nuovi studi, è il protagonista della mostra torinese che, grazie ai tanti capolavori riuniti nell’occasione e al taglio originale dell’esposizione, conduce il pubblico a scoprire tecniche, metodi e consuetudini del mestiere del pittore nel Seicento: un grande affresco del sistema dell’arte nel XVII secolo, sotto la guida del talento di quel “mostro di natura e miracolo da far stupir” che fu Guercino, secondo la definizione che ne diede Ludovico Carracci, impressionato dal suo talento.

A partire dal nucleo appartenente alle collezioni della Galleria Sabauda e della Biblioteca Reale di Torino, le opere riunite nell’occasione – con importati prestiti da musei nazionali e internazionali, fondazioni e collezioni private, inclusi due dipinti inediti e le tele che permettono lo straordinario ricongiungimento dopo 400 anni del ciclo Ludovisi  sono altamente significative per il racconto, sviluppato nelle 10 sezioni tematiche tra confronti, parallelismi, testimonianze intorno alla professione del pittore nel Seicento.

Premiata finora da oltre 40.000 ingressi, con un notevole successo di critica e una grande eco su stampa e tv nazionali e internazionali, la mostra può contare sulla generosa disponibilità alla proroga da parte di oltre 30 musei e collezionisti coinvolti – compresi il Museo del Prado di Madrid e il Monastero di San Lorenzo a El Escorial – la Pinacoteca di Cento e, tra gli altri, la Galleria Estense di Modena, che ha acconsentito al prolungamento del prestito del capolavoro forse più iconico del Guercino, “Venere, Marte e Amore”.

Con la proroga sarà esposta anche un’ interessante tela che arricchirà la mostra e potrà attirare la curiosità di quanti l’hanno già visitata.

Entra infatti nel percorso una veduta settecentesca dell’interno della Basilica di San Pietro, opera di Pietro Francesco Garola, ora in Galleria Sabauda, in cui si riconosce una rara immagine del maestoso dipinto del Guercino raffigurante il Seppellimento di Santa Petronilla, sostituito nel Settecento da una copia in mosaico e attualmente conservato ai Musei Capitolini di Roma. 

Prosegue anche il ricco programma di appuntamenti, visite guidate speciali, approfondimenti tematici, aperture serali e laboratori per singoli, gruppi e famiglie.

La mostra ha il patrocinio della Regione Piemonte, della Città di Torino e della Sir Denis Mahon Foundation ed è sostenuta da BPER e NovaCoop.