Tre storie di attivismo, tra giornalismo e fotografia, raccontate in 150 scatti in mostra
Fino al 2 giugno
Sapete cosa rappresenta ancora oggi un “ombrello giallo” ad Hong Kong? Nulla di bello e gioioso come forse farebbe intendere la solare cromia del parapioggia. Bensì, al contrario, potrebbe riportarci indietro nel tempo di una decina d’anni, quale simbolo di una protesta pacifista, diventata un vero e proprio atto rivoluzionario compiutosi in due tempi, nel settembre del 2014 (per 79 giorni) e nel 2019 (con le condanne al carcere dei leader dei manifestanti, fra cui anche un congruo numero di studenti), e passato alla storia come la “rivoluzione degli ombrelli” (“Umbrella Movement”). I cittadini di Hong Kong, ex-colonia britannica e dal 1997 “regione amministrativa speciale” della Cina, chiedevano a Pechino di rispettare la promessa di mantenere un sistema politico democratico con diritto di voto alle elezioni. Proteste pacifiste di piazza, quelle messe in campo dai manifestanti, cui il governo rispose con una dura repressione attraverso l’uso di cannoni ad acqua, spray al peperoncino e gas lacrimogeni, contro i quali i manifestanti dovettero usare proprio quegli “ombrelli”, divenuti icona mondiale della lotta popolare e vero e proprio simbolo politico della protesta. Protesta coraggiosa e più che legittima contro la tirannia di un’oppressione politica sorda ad ogni richiamo democratico, di cui troviamo cristallizzati i momenti più salienti e significativi negli scatti del torinese Enrico Gili, classe ’73, fotografo giramondo che, proprio in quegli anni si trovava a vivere ad Honh Kong e che seppe documentare “con garbo ed eccezionale sensibilità” la genesi e lo sviluppo dell’“Umbrella Movement”.
Foto scattate in pieno campo di lotta (stampate su carta simile a quella utilizzata dai manifestanti per i loro slogan) e che troviamo oggi esposte, sotto il titolo di “Yellow Movement” e con la curatela di Patrizia Bottallo, nella mostra aperta, fino al prossimo 2 giugno, a Torino negli spazi di “Flashback Habitat”, in corso Giovanni Lanza 75. Titolo “Insurrezioni. Fotografie di una protesta”, la rassegna, sotto la complessiva direzione artistica di Alessandro Bulgini, curiosamente propone “tre modi di fare e raccontare rivoluzioni e proteste in un’unica mostra”. Una vera e propria “tripersonale”, i cui protagonisti sono, accanto ad Enrico Gili ( di cui s’è detto), l’americano – fra i più grandi “street photographer” contemporanei – Chris Suspectcon “Path to Insurrection” (su progetto di Jacopo Buranelli) e il giornalista e attivista Angelo Quattrocchi (Cantù, 1941 – Roma, 2009) con “WOUNDED KNEE Indiani alla riscossa”, mostra curata da Luca Simeoni. In tutto sono ben 150 le foto esposte, con “un allestimento – spiega Bulgini – pensato a stanze alternate per far sì che i tre racconti si contaminino a vicenda andando a formare un racconto più complesso e sfaccettato”.
Così, accanto alle sequenze degli “ombrelli gialli”, ci troviamo con Chris Suspect, al 6 gennaio del 2021, con la rivolta di “Capitol Hill”, quando la furiosa calca dei manifestanti pro Trump fa irruzione a Washington nel “Campdoglio” per tentare di impedire la proclamazione di Joe Biden a Presidente degli States. “Path to Insurrection” racconta la manifestazione, unica nella storia statunitense, in una sorta di “saga a capitoli” con immagini in bianco e nero che paiono riflettere le grandi pellicole hollywoodiane (da Coppola a Stone a Tarantino) in cui si dipana la lunga matassa “di situazioni, ideologie, tentativi politici e rivoluzionari che compone la storia americana”.
E in America restiamo ancora con “WOUNDED KNEE Indiani alla riscossa”, con il racconto, attraverso gli scatti di Angelo Quattrocchi, di quel febbraio del 1973 quando circa 200 nativi americani (Oglala Sioux) della riserva di Wounded Knee – Sud Dakota (già occupata nel 1890) decisero di ribellarsi agli abusi e al non rispetto dei trattati da parte degli Stati Uniti. “Furono settanta giorni di guerra, in cui pochi guerrieri, con qualche vecchio fucile, combatterono contro mille agenti della FBI, la polizia Indiana (fatta di rinnegati), la CIA e i carri armati. Il grande momento (tutti i giornali del mondo ne parlarono) in cui gli indiani, il popolo più bello del mondo e il più oppresso, voltarono pagina e storia, buttandosi alla riscossa. E da allora combattono ancora contro l’uomo bianco, per essere liberi e per essere un popolo”. Parole scritte dallo stesso Quattrocchi nell’omonimo libro (ne ha scritti una ventina) seguito alla realizzazione delle foto: “Wounded Knee: indiani alla riscossa”(Golena Edizioni, 2012).
Gianni Milani
“Insurrezioni. Fotografie di una protesta”
Flashback Habitat – Ecosistema per le Culture Contemporanee, corso Giovanni Lanza 75, Torino; tel. 393/6455301 o www.flashback.to.it
Fino al 2 giugno
Orari: ven. sab. dom. 11/19
Nelle foto: Enrico Gili “Baricades” e “Young woman”, 2014; Chris Suspect “Jaunary 6, 2017-2021; Angelo Quattrocchi “Dennis Banks parla alla stampa”, 1973