ARTE- Pagina 30

‘Le donne nell’arte’ in mostra alla Galleria Malinpensa by La Telaccia 

Informazione promozionale

Si intitola “Le donne nell’arte” la mostra che viene ospitata dal 9 al 20 aprile presso la galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia.

Un omaggio a artiste diverse tra loro, ma tutte capaci di una profonda introspezione psicologica. La prima in mostra è Paola Dalla Pellegrina, nata a San Bonifacio, in provincia di Verona, che prova un’autentica venerazione per la natura in tutte le sue forme e manifestazioni, soprattutto per gli elementi vegetali e per l’acqua. Dagli elementi naturali trae forza ed energia, e il rigoglio verde d’estate la ritempra puntualmente. È capace di fantasticare sulla forma di una radice, di una foglia o di un fiore, di percepire le piante come esseri silenziosi ma palpitanti, di una bellezza commovente, capace di nascondere i significati da interpretare. Per l’artista vedere abbattere un albero le provoca un vero dolore fisico. Le figure femminili cui si ispira sono quelle del maestro Lei Ji Matsumoto, le cui anime ammirava da piccola e su cui si esercitava provando a riprodurle.

“La pittura dell’artista Dalla Pellegrina – spiega l’art director della galleria La Telaccia Monia Malinpensa -risulta caratterizzata da un’ evidente introspezione psicologica, ancorata ai veri valori di ricchezza umana e di contenuto, sempre condotta con potenza creativa e logica strutturale. La vibrante resa stilistica, la personalissima sintesi della forma e la grande comunicatività testimoniano una composizione moderna, a dimostrazione di un risultato figurale di notevole carica interpretativa. Il tratto deciso, il colore vivido e incisivo, e la stesura magistrale della tecnica mista ad acrilico e olio su tela, trovano all’interno dell’opera una narrazione simbolica di immediata sensibilità”.

La seconda artista in mostra è Lucilla Restelli, nata a Rho, in provincia di Milano, dove risiede e lavora, e dove ha frequentato corsi di disegno e pittura presso la scuola degli Artifici dell’Accademia Brera di Milano. Dal 1989 partecipa a concorsi di pittura collezionando numerosi premi e segnalazioni in campo europeo e internazionale. Nella sua lunga carriera ha sempre cercato nuove forme ed espressioni accostandosi, oltre che alla pittura ed esperienza di collage di materiali inusuali, alla lavorazione della ceramica e alla scultura quale il bronzo e l’acciaio. Dal 2010 è entrata a far parte della società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.

“Lo straordinario equilibrio di contenuti e dell’aspetto segnico, che si coglie tra la materia e il colore, attraversa le opere dell’artista Lucilla Restelli, con un’espressività sia visiva sia tecnica in cui rivivono emozioni e sensazioni uniche. Lo spazio prospettico, la magica luce, le suggestive ombre e il deciso tracciato vengono strutturati con una propria identità compositiva e con un rigore tecnico evidente che ci comunica una padronanza dei mezzi non comune. L’indiscussa creatività e l’alto livello formale raggiungono nell’opera alti livelli di spessore artistico e culturale, che coinvolgono il fruitore in un’attenta osservazione ai dettagli”.

Terza artista in mostra è Monica Simoni, nata a Montecatini Terme e che vive e lavora in Toscana. Negli anni ’80 la sua passione per l’arte la dimostra e riesce a apprendere forma dopo diversi mesi passati a New York, dove ha avuto la possibilità di conoscere i maestri dell’astrattismo come Frank Stella e Morris Louis. L’innamoramento per le linee pulite e razionali la ispira a interpretare a modo suo queste intersezioni, che rappresentano la base su cui ha costruito il suo percorso artistico.

“L’artista Monica Simoni – afferma Monia Malinpensa – si serve dell’acrilico su tela con una buona padronanza della tecnica, e realizza opere interpretate con un’abilità operativa e con uno stile ricco di personale espressione costantemente fondato sui valori pittorici e sui contenuti. L’interessante alternanza di trame cromatiche e di soluzioni grafiche è densa di emozionali valenze simboliche, sempre misurate dal senso dell’equilibrio. La geometria netta e il suo linguaggio essenziale rivelano un tratto nitido e rapido, indice di una dimensione dinamica e di un vivido fervore creativo. Intrisa di chiara astrazione, la sua pittura esprime una ricerca artisticamente valida, in un si coglie un’attenta analisi del colore e di una compiutezza grafica”.

L’ultima artista in mostra, ma non meno importante, è la barese Anna Vavalle. L’artista vive a Siena e insegna Storia dell’arte presso il Liceo di Scienze Umane “Piccolomini” di Siena. Parallelamente alla sperimentazione del processo creativo in architettura, la sua ricerca come artista ha avuto origine dalla tensione tra intellegibilità e percezione, laddove i nostri sensi si aprono alla bellezza. C’è un’intelligenza innata nella natura che percepiamo nel disegno delle venature di una foglia, nella spirale di una conchiglia o nella forma di un fiore. L’arte è l’incontro col mistero della forma, e l’artista risulta ispirata dall’equilibrio tra creazione naturale e creazione umana, dall’armonia spirituale che genera.

“L’armonica partitura cromatica, ritmata con una dinamica gestualità del segno – afferma Monia Malinpensa- contraddistingue l’operare dell’artista Anna Vavalle, arricchendosi di un’espressività pittorica altamente emotiva e di elevata sensibilità spirituale. Il colore, a volte pacato, a volte vivace, crea nel fruitore emozioni uniche che si uniscono in un dialogo profondo, intriso di meditazione e sollecitazione dell’anima. L’artista, protesa alla continua ricerca, realizza opere astratte ispirate alla natura e all’essenza dell’essere umano, con dissolvenza intense sia cromatiche sia segniche. La capacità della tecnica di acrilico su tela, con l’intensità del colore e di magistrale stesura, ed evidenzia manualità di notevole spessore artistico.”

 

Mara Martellotta

Gino Mazzoli, la mostra al Museo di Moncalvo

Il museo civico di Moncalvo con la mostra di Gino Mazzoli (Casale 1900-1974) vuole riportare in vita uno dei più importanti pittori del secolo scorso nati in Monferrato, famoso in vita poi pressoché dimenticato ingiustamente con il passare delle mode.

Figlio di Rodolfo, abile scalpellino di marmo e pietra e di Adele Pallavicini discendente dei marchesi di Ghemme, disobbendo al padre che, iscrittolo all’Accademia Albertina di Torino, sognava per lui un avvenire di scultore che seguisse le orme di Leonardo Bistolfi, anch’egli casalese e figlio di un artigiano del legno, Gino preferì seguire il corso di pittura tenuto da Giacomo Grosso.

Gli inizi del percorso artistico di Mazzoli sono segnati dall’influsso del grande maestro, ai tempi osannato per la straordinaria perfezione tecnica e il virtuosismo accademico, attenuato da lui a favore di un pacato intimismo e da emozioni scapigliate.

Costantemente fedele al figurativo mai si avvicinò all’arte aniconica, convinto, allo stesso modo di Casorati, che l’annullamento della forma avviasse ad un nichilismo privo di valori. In mostra sono presenti splendidi disegni e dipinti che trattano varie tematiche, dall’autoritratto referenziale di pittore severo e professionale ai ritratti della moglie Tilde, quasi sacrale simbolo dell’eterno femminino, dipinta con la proverbiale “tavolozza francescana” di parco colore; dai paesaggi verdeggianti del Monferrato e dell’Alto Adige alle nature morte con semplici oggetti, frutta, verdura, fiori colti sotto l’orto di casa secondo la poetica del quotidiano.

Giuliana Romano Bussola

“Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno”

In mostra al Museo Archeologico Regionale di Aosta

 

Il Museo archeologico regionale di Aosta dedica un’importante retrospettiva a Felice Casorati e alle generazioni di artisti e artiste che egli ha formato.

Il titolo della bella mostra ospitata dal Museo Archeologico Regionale di Aosta si intitola “Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno” e comprende oltre cento opere di uno degli artisti italiani più affascinanti della prima parte del Novecento.

Felice Casorati è stato uno degli artisti più importanti del Novecento in Italia e uno dei più longevi della sua epoca, avendo attraversato il periodo delle avanguardie, il ritorno all’ordine, il periodo del fascismo fino ad approdare al dopoguerra. Felice Casorati nacque a Novara nel 1883 da un ufficiale in servizio permanente, Francesco, e da Caterina Borgarelli. A causa del mestiere del padre, la famiglia si trasferisce frequentemente e Felice si trova a vivere a Padova, dove compie gli studi laureandosi in legge. Tuttavia, mentre sembra essere avviato ad una carriera nel settore giuridico, maturò una profonda passione per le arti, per la musica in particolare, dilettandosi come pittore. Nel 1907 provò a inviare alcune opere alla VII Biennale di Venezia, tra cui il Ritratto della signora Elvira, oggi in collezione privata, che fu accettato.

La critica era convinta di trovarsi di fronte a un giovane molto puomettente, che aveva solo 24 anni. Tra il 1908 e il 1911 si trasferisce a Napoli, spostandosi poi a Verona, dove fondava la rivista La via lattea, per la quale eseguiva anche degli schizzi e illustrazioni in stile art nouveau. Nel1912 partecipa all’IX biennale di Venezia ed espone 41 opere alla mostra di Ca’ Pesaro, che diventerà per lui più importante tanto da indurlo a rifiutare un invito alla Biennale nel 1920.

Casorati dapprima si avvicinò al simbolismo, con uno sguardo aperto sugli scenari internazionali e fu, in particolare, affascinato dalla secessione viennese dei vari Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e colleghi, ma guardò anche a Cézanne e fu molto vicino ai principali critici e collezionisti del suo tempo, da Piero Gobetti a Lionello Venturi, da Antonio Casella a Riccardo Gualino. In particolare Casorati strinse una profonda amicizia con Riccardo Gualino, che gli commissionò opere, tra cui la decorazione del suo teatrino privato e fece sviluppare in lui l’interesse per le arti applicate. Nel capoluogo piemontese è stato il maestro più influente dell’Accademia di Belle Arti, ma ha anche avuto una sua scuola privata in cui sono cresciute interessanti figure, tra le quali la moglie Dafne Maugham e parecchie altre artiste, in controtendenza con un’Italia profondamente maschilista, come la scrittrice Lalla Romano, Marisa Mori e Nella Marchesini. Alla fine del percorso della mostra è proposta una piccola scelta di opere di sue adepte.

Le opere in mostra illustrano cronologicamente tutto il cammino dell’artista e arrivano da collezioni pubbliche e private, come “Le Sorelle” o “Le ereditiere”, provenienti dal Mart di Rovereto del 1908, in cui emerge la bravura del pittore nell’utilizzo del nero. Nell’opera intitolata “Le due sorelle” è possibile cogliere il legame profondo dell’artista con la pittura di Piero della Francesca, in particolare, che Roberto Longhi aveva riletto nel suo primo saggio a lui dedicato sette anni prima. Accanto ai ritratti, molto interessanti in quanto appartenenti a collezioni private, si ricordano le opere di paesaggio degli anni Dieci, come “La bianca e nera città turrita”, una tempera su cartone che proviene da una collezione privata. Sono anche parecchie le sculture in mostra come “Maschera rossa” e “Maschera nera” del 1914, altre meno note come “L’attesa” o il “Viso di donna”, rispettivamente terra cotta e terra cruda, realizzate una prima volta alla fine degli anni Dieci.

Di interesse anche i bozzetti che Casorati realizzò per il teatro alla Scala, che ci presentano un artista più gioioso.

 

Mara Martellotta

A Torino la mostra MIIT Factory, una riflessione sul concetto di arte

Ha inaugurato sabato 6 aprile scorso, al museo MIIT di corso Cairoli 4 la mostra MIIT Factory, un’occasione di dialogo e di confronto con esperti, istituzioni, associazioni e reti per delineare le direzioni e le strategie più opportune su cui poter lavorare in futuro.

Il tema risulta molto ampio nell’accezione più allargata, l’arte, quale elemento di confronto, pace, dialogo, libertà, amore, scambio di cultura e tradizione artistica, innovazione, ma in particolare ricerca e sperimentazione nel senso più autentico della mission di una Factory.

L’esposizione è una mostra internazionale dedicata all’arte, alle ricerche e sperimentazioni visive di artisti quali Paolo Avanzi, Lucia Albertini, Enrico Frusciante, Bruno Molinaro, Vito Garofalo, Giuseppe Oliva, Massimo Ricchiuto, Maria Elena Ritorto, Adriano Savoye e altri.

La mostra è anche dedicata ai sentimenti e alle condizioni umane in cui l’arte, da sempre, si fa portavoce, al desiderio di liberazione dell’anima e della mente attraverso ogni forma espressiva, capacità di esprimere se stessi e la nostra società con la propria creatività.

L’esposizione intende sollecitare gli artisti e gli osservatori a un confronto su queste tematiche di forte attualità che possono essere declinate con stili e forme estetiche diverse, per scavare e indagare nell’animo umano nella storia, sulla contemporaneità e il futuro dell’arte.

In mostra sono una ventina di artisti contemporanei che si confrontano con varie tecniche materiali, dall’olio all’acrilico, dalla grafica all’acquerello, dai video alle installazioni e alle sculture.

A lato una seconda mostra che evidenzia le tappe della Via Crucis dei bambini, molto toccante, di Christel Sobke, artista tedesca che vive e lavora alle isole Baleari e a Tenerife.

 

Mara Martellotta

 

 

Vercelli tra risaie, arte e gastronomia

Il prezioso e singolare passaggio per il Piemonte.

E’ tra le città che Dante ha citato più spesso nella Divina Commedia ricordandola per la ricchezza del suo armonioso e suggestivo paesaggio, il Monte Rosa che la domina dall’alto, il “mare a quadretti” di risaie che orna i dintorni come un florido e umido tessuto, le ricchezze artistiche e architettoniche di coinvolgente bellezza.

Stiamo parlando di Vercelli, la porta di accesso al Piemonte dallavicina Lombardia, probabilmente celtica di origine,  Wehr-Celt il suo antico nome, deliziosa città densa di bellezze , di misurata e gentile atmosfera.

L’ho visitata di domenica, una gita in giornata da Torino per celebrare la fine del lockdown  e immergermi nuovamente in questa regione meravigliosa che è il Piemonte. La sensazione è stata di sospensione onirica, di una realtà d’altri tempi, forse per i suoi borghi silenziosi, per la sobrietà e l’eleganza che la caratterizzano, per la dovizia di tracce e  sigilli storici.

Oltre che per la sua piacevole frugalità Vercelli è nota per importanti impulsi sociali ed economici. L’appellativo di “citta delle 8 ore” le è stato conferito per il limite ad otto ore lavorativeche si concesse alle mondine sancito successivamente a  livello nazionale, è la capitale europea del riso, con una propria Borsa del Riso e  la Stazione Sperimentale di Risicoltura e delle Coltivazioni irrigue; viene inoltre gloriosamente chiamata “la città dei 7 scudetti” grazie alle conquiste sportive del Pro Vercelli tra il 1908 e il 1922.

Arrivando si intuisce subito che ci si addentra in un territorio unico e prezioso ma forse poco conosciuto e sottovalutato livello turistico cosa che credo si debba prontamente rettificare, Vercelli e i suoi dintorni sono certamente da visitare.

Come ci ha suggerito la guida ci dirigiamo subito a Piazza Cavouressenza del centro storico dalla forma a trapezio, luogo di incontri e del mercato bisettimanale, dedicata allo statista che fu uno dei maggiori promotori della risicoltura con la realizzazione di opere dedicate come il Canale Cavour e l’istituzione dell’Associazione Ovest-Sesia. Diversi sono i locali dove mangiare e godersi lo scenario urbano costituito dagli edifici più antichi della città, i portici e la leggendaria Torre dell’Angelo. Non lontano , a Via Foà, troviamo la Sinagoga, opera dell’architetto Giuseppe Locarni, una bellissima espressione di arte moresca in pietra arenaria decorata da merlature, torri e cupole a cipolla e la Chiesa di San Cristoforo, denominata la Cappella Sistina di Vercelli, che lascia senza fiato con i suoi meravigliosi dipinti del ‘500 di Gaudenzio Ferrari. A pochi passi Piazza di Palazzo Vecchio, conosciuta anche come Piazza dei Pesci per il mercato ittico che vi si teneva, ma soprattutto il “broletto” della città dove, nelMedioevo, si radunava il popolo.

Nella direzione opposta si trovano il Duomo dedicato al Patrono della città, Sant’Eusebio, che domina la verde e omonima piazza;più volte distrutto e ricostruito la struttura attuale è stata edificata tra il 1500 e il 1800,  l’importante campanile risale invece al XII secolo.   All’interno troviamo

un imponente crocifisso in legno e oro realizzato nell’anno mille e la cappella con le spoglie del santo. Uscendo dalla Cattedrale vale la pena di dare uno sguardo esterno al Castello Visconteo che fu residenza sabauda, alloggio militare, e attualmente tribunale e carcere.

A pochissimi passi spicca la Basilica di Sant’Andrea, meraviglioso esempio di architettura gotica e romanica completata nel 1227. Simbolo della città, ci meraviglia con la sua bellezza e maestosità; percorriamo il suo perimetro esterno e poi entriamo a visitare la chiesa e il pacifico chiostro. Uscendo troviamo il Salone Dugentesco ex ospedale militare che ospitava pellegrini e viandanti che percorrevano la via Francigena, di cui Vercelli è la decima tappa fino a Robbio; sul lato esterno si può leggere la targa con un passo della Divina Commedia dedicato alla città.

A   Vërsèj, in dialetto piemontese, diversi sono i musei da visitare: sicuramente la Casa-Museo Borgogna, seconda pinacoteca della regione, che vanta numerose opere d’arte collezionate da AntonioBorgogna appunto, viaggiatore e amante dell’arte, Il piccolo Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Leone risalente ai primi del 1900 presso la Casa Alciati e il barocco Palazzo Langosco, cheospita una collezione varia: armi preistoriche, corredi di tombe egizie, vasi etruschi, mosaici medievali, porcellane, quadri di epoca moderna e il MAC – Museo Archeologico Civico L. Bruzzadove sono raccolti reperti archeologici “moderni” che ripercorrono il periodo dalle origini della città fino al Medioevo.Davvero interessante è l’Arca, un polo espositivo contemporaneoin vetro e acciaio collocato nella navata centrale della chiesa di San Marco.

Svariate sono le  visite che si potrebbero fare, anche nei dintorni, sostando più giorni.

Consigliato a più voci è il giro delle risaie in bici, soprattutto quando sono allagate in aprile e maggio, (sicuramente evitando l’estate piena per non godere della compagnia di numerose e fastidiose zanzare),  il Sacro Monte di Varallo, Valduggia e la chiesa di San Giorgio.

Un altro validissimo motivo per visitare questo luogo delizioso è l’arte culinaria. Fare un salto alla pasticceria Follis per comprare i bicciolani, i biscotti speziati, è una tappa obbligata come fare colazione o merenda alla Pasticceria Tarnuzzer per gustare la torta tartufata. Il piatto tipico di Vercelli è la Panissa, ma anche il risotto alla Gattinara, il vino che profuma di viola, è notevole! E ancora le patate masarai, la toma valsesiana e i fagioli rossi di Saluggia. Da bere? Dei buonissimi Gattinara, Bramaterra, Coste della Sesia ed Erbaluce.

Quando deciderete di visitare questa bellissima città e i suoi dintorni verificate gli orari di apertura e chiusura delle chiese, dei musei e delle attrazioni in genere, soprattutto nel weekend alcune di queste chiudono alle 12.

Per informazioni www.atlvalsesiavercelli.it

 

MARIA LA BARBERA

‘Oltre lo sguardo’, Spazio 44. Espone Nibbi

 

Mostra curata da Edoardo di Mauro

 

Si aprirà il 5 aprile prossimo alle 18.30 presso la galleria d’arteSpazio 44 la mostra intitolata “Oltre lo sguardo “di Gianluca  Nibbi e curata da Edoardo di Mauro.

“La pittura e, più in generale, il ricorso a tecniche definite tradizionali sono state troppo affrettatamente definite inadeguate ai tempi e appaiono tuttora vittime di superficiali interpretazioni critiche, assillate da una rincorsa affannosa ai parametri di un gusto antico che più ci si sforza di definire, più sfugge in mille direzioni- afferma il curatore della mostra Edoardo di Mauro.

La tecnica pittorica mantiene una invidiabile vitalità che le consente di calcare egregiamente la scena, adeguandosi alle mutazioni di una società in rapida e frenetica evoluzione, in virtù del suo essere da sempre teknè intesa nella accezione etimologica di pratica manuale implicita al concetto originario di arte.

Le ultime generazioni di pittori, quelli apparsi sulla scena all’inizio degli anni Duemila, usano il tramite pittorico per stabilire con lo scenario contemporaneo un rapporto di evocazione, sublimando il reale per trarne gli umori riposti, sfidando la fotografia  e costringendola a adeguarsi rincorrendola sul suo terreno.

Gianluca Nibbi è  un artista che si è formato all’Accademia Albertina, culla di talenti pittorici.

Il suo stile denota una autentica passione, non mediata da concessioni al gusto del momento.

Per Nibbi la pittura è sinonimo di intensità emotiva e viscerale, manualità sofferta e al pari meditata, autentica e rinnovata teknè.

I suoi lavori, di dimensioni spesso imponenti, sono in grado di scuotere emotivamente il fruitore e si sposano perfettamente con il termine di “contemporaneità evocata “ usato dal critico Edoardo Di Mauro per delimitare la predominante espressiva della giovane arte che per Nibbi, già attivo da diversi anni, è  una valida definizione per evidenziare la costante attualità del progetto visivo. I temi da sempre prediletti sono concreti, ma anche drammatici, tratti dalla realtà.

La realtà di zone vaste e periferiche del mondo, con i volti innocenti di bimbi o più segnati di adulti, uomini e donne che, ad onta di una condizione esistenziale spesso ai limiti dell’umano, esprimono un autentico candore ed una insopprimibile gioia di vivere.

Con la pittura Nibbi riesce a infondere a queste immagini un tocco di magia e, per dirla con Baudelaire, di ‘surrealtà’, facendole levitare dalla materialità del reale, dagli archivi della documentazione al significato sempiterno superioredell’immagine simbolica.

In questa personale presso Spazio 44 l’artista presenta diversi lavori inediti, che rappresentano visioni di realtà lontano da noi, sebbene la velocità di movimento attuale conceda molto più di un tempo la possibilità di una visione diretta degli eventi narrati.

Gianluca Nibbi continua, però, a insistere coerentemente su una visione romantica aliena dalla ricerca fotografica di stampo sociologico che spesso  corre il rischio di scadere nel reportage esotico.

Nibbi, invece, si concentra sulla potenza espressiva dei volti, in grado di emanare un’aura atemporale ed ultraterrena, sulla dinamicità oscillante tra il dramma e l’ebbrezza della festa e dei riti dionisiaci. La scelta dei soggetti non è  casuale e l’artista compie su di essi un’attenta ed accorta riflessione, evidenziata anche dall’uso recente per diverse tele del colore ad olio al posto dell’acrilico, che richiede una pazienza maggiore nella composizione,  trascendendo in una perdita di tempo come “perdita del tempo”.

Come sottolineato dall’artista, che ha una piena consapevolezza teorica del suo progetto, quest’ultimo consiste in uno studio di volti, isolati nell’immediatezza dello sguardo frontale che scruta il fruitore, o rappresentati  nel dinamismo di gruppo, in un viaggio che parte dall’Africa per proseguire in India e concludersi a ridosso della secolare cultura tibetana.

L’attenzione di Nibbi si concentra prevalentemente verso la trasposizione dello spazio ideale della tela dei tratti somatici di giovani e adolescenti, ai quali alla purezza della gioventù  si somma l’appartenenza a mondi solo in parte contaminati da consumismo, dai bisogni effimeri e dalla comunicazione invasiva di un Occidente ormai completamente globalizzato.

Il titolo della mostra “Oltre lo Sguardo” sintetizza con rara efficacia la volontà di andare alla ricerca di una diversa visione valoriale dell’esistenza.

La mostra, che inaugura il 5 aprile alle 18.30, chiuderà i battenti il 24aprile.

Orari dal lunedì al venerdì 14/19. Sabato e domenica su appuntamento.

 

Mara Martellotta

“Gli Egizi e i doni del Nilo”: l’’Egizio, Villa Bertelli e il Comune di Forte dei Marmi in mostra

 

 

Esiste un sottile fil rouge tra una località turistica come Forte dei Marmi e la città di Torino, creato dalla mostra che il Museo Egizio allestirà al Forte Leopoldo I quest’estate, dal titolo “Gli Egizi e i doni del Nilo”, curata da Paolo Marini, a sua volta curatore e coordinatore scientifico delle mostre itineranti del museo. Promossa dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi, la mostra sarà inaugurata giovedì 1 agosto prossimo dal Sindaco di Forte dei Marmi Bruno Murzi, dal Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci e dal Direttore del Museo Egizio Christian Greco, e si concluderà il 2 febbraio 2025.

Si tratta, per il Museo, della prima e unica mostra itinerante, in occasione di un anno di ristrutturazioni della sede torinese dedicate al bicentenario della sua fondazione. L’importanza di questa mostra coincide anche col fatto che il 26 aprile prossimo si celebreranno i 110 anni dalla nascita del Comune di Forte dei Marmi.

“Gli Egizi e i doni del Nilo” proporrà un viaggio nel tempo alla scoperta dell’antica civiltà nilotica in 24 reperti che risalgono dall’epoca predinastica del 3900 – 3000 a.C. all’età greco-romana(332 a.C. – 395 d.C.). Vasi, stele, amuleti e papiri, oltre alla maschera funeraria di età romana (30 a.C. – 395 d.C.), una riproduzione del volto del defunto realizzata in cartonnage e destinata alla protezione magica della mummia, offriranno al pubblico un’idea del museo più antico al mondo, l’Egizio di Torino, dedicato alla civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo. Proprio nell’autunno 2024 il Museo Egizio, che custodisce circa 40.000 reperti, di cui 12.000 in esposizione, celebrerà il suo bicentenario. La mostra di Forte dei Marmi rientra tra le iniziative che, nel corso dell’anno, celebreranno questo importante traguardo, non solo a Torino. Tra i reperti in mostra un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del primo periodo intermedio (2118 – 2180 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scavo. Queste imbarcazioni, in genere, rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla galleria della cultura materiale del Museo Egizio proviene il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 – 722 d.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare gli organi del defunto. Il percorso espositivo verrà arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimento storico/scientifico sui reperti di diversi periodi storici. Sarà anche presentata una riproduzione digitale in 3D della monumentale statua di Ramesse II, uno dei reperti singoli del Museo Egizio, considerato inamovibile. In preparazione una audioguida in italiano e in inglese con la voce dello scrittore fortemarmino Fabio Genovesi.

“Dopo una prima trasformazione del Museo Egizio, avvenuta nel 2015, oggi si appresta a vivere una nuova stagione di cambiamenti in occasione del suo bicentenario. Verranno effettuati lavori che porteranno alla ricollocazione dei reperti e a interventi strutturali di abbellimento, a cominciare dal cortile, che diventerà un vero e proprio ‘giardino egizio’ aperto al pubblico, con bar e bookshop annessi. In quest’ottica, proprio nell’anno del bicentenario, è nata la collaborazione col Comune di Forte dei Marmi e con la Fondazione Villa Bertelli – hanno dichiarato la Presidente del Museo Egizio Evelina Christillin e il Direttore Christian Greco”.

“Il Comune di Forte dei Marmi, per la prima volta in Toscana – ha dichiarato il Sindaco Bruno Murzi – ospiterà la mostra ‘Gli Egizi e i doni del Nilo’, a cura del Museo Egizio di Torino, prima realtà museale in Italia e seconda nel mondo, in grado di raccontare questa meravigliosa storia millenaria. Con fiera soddisfazione abbiamo messo a disposizione gli spazi del Forte leopoldino nel cuore del paese, dove sarà possibile visitare la mostra e altre iniziative capaci di far diventare la nostra città, per qualche mese, centro pulsante di storia e cultura al fianco di una realtà italiana che è vanto per l’intero Paese”.

“Per la Fondazione Villa Bertelli è un onore e una grande gioia – ha spiegato il Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci – presentare questa prestigiosa mostra, che ci ha permesso di collaborare col Museo Egizio proprio nel bicentenario della sua fondazione. Forte dei Marmi è una realtà turistica che, seppur nota in Italia e nel mondo, non vanta una storia antica. Tuttavia deve il suo nome alla realizzazione del simbolo del paese, il Fortino, che è una struttura fortificata voluta da Leopoldo I Granduca di Toscana, nonno di Leopoldo II, finanziatore, congiuntamente a Carlo V di Francia, della spedizione franco-toscana in Egitto nel 1828, diretta dal grande egittologo francese Jean François Champollion e dal giovane collega italiano Ippolito Rosellini. Si tratta di un legame storico che si riallaccia in questa occasione e che passa anche da Lucca, nostro capoluogo di provincia, dove nel Museo di Storia Naturale ha trovato dimora una collezione egizia comprensiva, fra gli altri, di un sarcofago e di una mummia di donna e di bambino. Ospitare questa mostra è anche una sfida di rinnovamento dell’immagine di Forte dei Marmi non solo come meta turistica ma anche culturale e artistica”.

 

Mara Martellotta

Al MAO di Torino “Contemporary Monogatari: nuove narrazioni giapponesi”

Il museo cambia volto alla galleria del Giappone, dialogando con le opere di Kazuko Miyamoto

Fino al 5 maggio 2024

Una felice ed armonica “contaminazione” fra passato e presente. Nasce e si sviluppa su quest’idea il nuovo riallestimento della “galleria giapponese” del “MAO- Museo d’Arte Orientale” di Torino, reso possibile attraverso l’accostamento di opere delle collezioni permanenti e i lavori realizzati dall’artista performativa giapponese Kazuko Miyamoto (Tokyo, 1942): un delicato “kesa” (mantello rituale buddhista) accanto a un minimale “kimono” fatto di corda annodata, l’imponente struttura delle armature dei “samurai” (nell’antico Giappone, i soldati che difendevano il palazzo imperiale) a fianco del video delle performance “Umbrella dance” e “In the garden” o le stampe lignee ottocentesche poste a dialogare con le fotografie che raffigurano attori “kabuki” (forma classica del teatro giapponese in cui performance drammatiche si mescolano con la danza tradizionale).

Si presenta così il progetto espositivo “Contemporary Monogatari: nuove narrazioni giapponesi”, visibile al “MAO” di via San Domenico, fino a domenica 5 maggio 2024, con la curatela del direttore Davide Quadrio, insieme allo staff del Museo e realizzato in stretto dialogo con la direttrice del “Museo Madre” di Napoli, Eva Fabbris. L’iter espositivo si apre con l’opera di Miyamoto “Kimono/corde” (2003), una sagoma di “kimono” stilizzata e minimalista realizzata in corda e posta in contrasto con la matericità serica e raffinata dei “kesa” delle collezioni permanenti del Museo, tre esemplari del XIX secolo decorati con elaborazioni astratte e geometriche di motivi ispirati al mondo naturale, quali fiori e nuvole. “Attraverso il processo creativo – sottolineano gli organizzatori – Miyamoto scarnifica l’originale struttura del ‘kimono’, uno dei simboli più potenti e universali del Giappone, e, attraverso un estremo gesto di sottrazione, la trasforma in un soggetto anatomico, uno scheletro che, però, del soggetto originale conserva l’essenza profonda”.

Quello del “kimono” è un tema ricorrente nella pratica performativa dell’artista nipponica – quanto quelli delle corde, degli ombrelli e della natura – e torna anche nello “sketchbook” (quaderno di schizzi), che riunisce fotografie e riproduzioni di 22 opere, così come nei disegni in cui torna evidente quel recupero della memoria e delle tradizioni nipponiche, ancora ben presente nei video “In the garden” (2014) e “Umbrella Dance” (2004), che rileggono alcuni degli elementi più caratteristici dell’iconografia tradizionale giapponese. Le due opere sono accostate alla presenza imponente delle armature dei “samurai” e alla delicatezza delle “fotografie” di fine ‘800 che raffigurano attori di teatro “kabuki”, beltà femminili (“bijin”) immerse in colorati giardini e fanciulle intente a comporre “ikebana”. E il percorso prosegue intercettando l’opera “Ladder and Branches” (2010), “effimera struttura dalle forme organiche e archetipiche – un po’ scala, un po’ nido – chiaro riferimento alle ‘shimenawa’, le corde utilizzate nei rituali di purificazioni ‘shintoisti’”, via via fino alla “Sala da tè” che chiude la sezione giapponese del “MAO”, dove troviamo collocata “Kimono con corde e bastoni” (2004), opera dal forte valore simbolico legato al “soffio vitale” che “permea spazio e corpo ed è al centro della ricerca espressiva di Kazuko Miyamoto”.

Spiega il direttore Davide Quadrio“La sintassi espositiva scelta per il progetto ‘Contemporary Monogatari’, fondata sul rapporto dialogico fra le opere delle collezioni e lo sguardo laterale di un’artista donna della diaspora giapponese del secondo dopoguerra, si inserisce all’interno di un rinnovamento radicale del ‘MAO’, che ambisce a creare una tensione dinamica fra passato e presente con l’obiettivo di generare narrazioni che non si ripiegano su sé stesse, ma che aprono possibili declinazioni del futuro e inedite occasioni di comprensione della storia e delle sue manifestazioni in ambito artistico e creativo”. E conclude: “Con un approccio analogo verranno affrontati nei prossimi mesi anche i riallestimenti delle gallerie dell’Himalaya e della Cina, previste per i primi mesi del 2024”.

Gianni Milani

“Contemporary Monogatari: nuove narrazioni giapponesi”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino a domenica 5 maggio 2024

Orari: dal mart. alla dom. 10/18.Lunedì chiuso

Nelle foto:

–       Kazuko Miyamoto: “Artist book”, 2016

–       Kazuko Miyamoto: “Artist book”, 2016

–       Allestimento Giappone: “Kesa”, metà XIX sec., Dinastia Edo, Ph. Giorgio Perottino

–       Panoramica galleria Giappone 2

Addio a Mario Mazza, devoto cantore del Monferrato

Con la scomparsa di Mario Mazza Casale ha perso un devoto cantore del Monferrato, tema costante della sua pittura da quando, nel 1960, si trasferì dalla Calabria nella nostra città.

Con ancora negli occhi e nel cuore il mitico mare di Crotone, gli aspri boschi, i suggestivi ulivi antropomorfi, il sentore delle mimose di Montagna Piana, trovò rimedio alla nostalgia della sua terra immergendosi nella bellezza del nostro paesaggio collinare.

Qui ritrovò la gioia di vivere e di dipingere cangianti vigneti autunnali, calde distese di girasole, fantastici tramonti sul Po e vecchi filari di gelsi, che ancora si trovano nella nostra campagna, sulle rive di rogge in cui si riflettono gialle giunchiglie tra il riverbero del sole.

Ogni angolo del Monferrato è stato osservato e dipinto con l’entusiasmo della scoperta trasformatosi presto in un amore viscerale e in riconoscenza per la terra che gli ha dato la possibilità di passare, da semplice decoratore, a vero e proprio pittore.

Uomo semplice e modesto, ma non modesta la sua arte, allievo del chiarista Giuseppe Campese e dell’espressionista Alberto Bertazzi, Mazza apprese da loro  i segreti del mestiere per poi procedere verso un suo singolare Realismo fatto di immagini non convenzionali e transitorie bensì universalizzate come archetipi, forme di vita sedimentate e durature nel tempo.

Il suo lungo percorso artistico si avvale di innumerevoli collettive e personali in diverse città italiane, in particolare a Casale, basta ricordare la mostra al Castello Paleologo e l’ultima, come premio alla carriera del 2023 nello splendido edificio settecentesco del Ricovero cittadino.

Molti i riconoscimenti, dal conferimento del “Campidoglio d’Oro” a Roma nell’Accademia Burckhardt all’acquisto del suo bellissimo quadro “Vento tra gli ulivi” nel Museo d’arte contemporanea di Crotone.

Giuliana Romano Bussola

(Da “Il Monferrato”)

FOTO. Paesaggio monferrino

Una Pasqua di cultura nei musei di Torino

Moltissimi i visitatori – turisti e torinesi – durante il ponte pasquale nei musei di Torino

Da venerdì 29 marzo a lunedì 1° aprile 2024, sono state 21.850 le persone che hanno visitato le collezioni dei Musei Reali (16.039), la mostra L’Autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoro (2.919), allestita fino al 30 giugno alla Biblioteca Reale, e l’esposizione dedicata a Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino(2.892), in corso alle Sale Chiablese, fino al 28 luglio.

Un risultato che supera di 5.558 unità, il dato relativo al weekend di Pasqua dello scorso anno.

L’Autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoropropone un’occasione eccezionale per conoscere ed esplorare da vicino l’opera di Leonardo da Vinci e ammirare alcuni dei suoi capolavori conservati nel patrimonio dei Musei Reali.

Allestita nelle due sale-caveau della Biblioteca Reale, realizzate nel 1998 e nel 2014 con il sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, l’esposizione, in una versione totalmente inedita curata da Paola Salvi, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, si propone di inquadrare storicamente il celeberrimo Autoritratto di Leonardo da Vinci a partire dagli anni della sua realizzazione, seguendo le tracce che ne documentano la conoscenza nel secondo Cinquecento e nel primo Ottocento, prima del suo arrivo alla Biblioteca Reale di Torino, e la successiva consacrazione e divulgazione.

A impreziosire questo racconto per immagini, la Galleria Sabauda dedica per la prima volta una sala a venti opere eseguite da pittori leonardeschi – allievi, seguaci e imitatori del Maestro – nelle quali si evidenzia l’attualità della lezione di Leonardo.

La rassegna, dal titolo GUERCINO. Il mestiere del pittore, con oltre 100 opere di Guercino e di artisti coevi, provenienti da più di 30 importanti musei e collezioni – tra cui il Prado e il Monastero dell’Escorial – presenta la grande arte del Maestro emiliano e insieme raccontare il mestiere e la vita dei pittori del Seicento, in un affascinante, grande affresco del sistema dell’arte.

Sono ben 16.500 le persone – 1.500 in più rispetto allo scorso anno – che hanno visitato il Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana da venerdì 29 marzo al 1 aprile, giorno di Pasquetta.

Numeri record confermati dalla biglietteria online sold-out da più di un mese, tant’è che si è reso necessario allungare l’orario di apertura per soddisfare le numerose e incessanti richieste. E, nonostante la pioggia battente degli ultimi giorni, si sono formate dalle lunghe code fuori della Mole per acquistare gli ultimi biglietti rimasti, con tempi di attesa superiori alle 3 ore.

Marzo si è inoltre confermato il mese che ha avuto più visitatori al Museo Nazionale del Cinema dalla sua apertura, con la cifra record di oltre 93.000 presenze, polverizzando il precedente record di 92.000 dell’aprile 2017.

“Sono numeri ottimi, strabilianti, ottenuti grazie alla mostra di Tim Burton e alle iniziative incentivanti che il Museo Nazionale del Cinema sta portando avanti con una politica museale attenta e ad ampio raggio – sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. Siamo particolarmente orgogliosi della risposta del pubblico, ancora una volta il vero protagonista di questo successo: il record assoluto di marzo 2024, con oltre 93.000 presenze, non fa altro che confermare il trend positivo del 2023, anno in cui il museo ha avuto ben 755.000 visitatori, altro record assoluto dalla sua apertura”.

“La mostra di Tim Burton è strabiliante e altrettanto fantastici sono i risultati che stiamo ottenendo – dichiara Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. È andata oltre le nostre migliori aspettative, eravamo consapevoli che un personaggio come lui potesse attrarre tantissimi visitatori di tutte le età: per la prima volta sono i figli a chiedere ai genitori di portarli al museo a vedere la mostra, quando quasi sempre capita il contrario. È un messaggio bellissimo che ci rende tutti soddisfatti e ci motiva a continuare in questa direzione”.

 

Durante le festività di Pasqua da venerdì 29 marzo a lunedì 1° aprile i visitatori al MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile sono stati di quasi 10 mila, circa il 20% in più rispetto all’affluenza dello scorso anno con 8.100 ingressi.

 

Un buon risultato ottenuto sia grazie alle attività che il Museo ha organizzato in questi giorni, come le visite guidate, le attività dedicate alle famiglie e l’iniziativa promozionale legata al simulatore di guida, sia grazie al richiamo delle due mostre in corso, che termineranno domenica 7 aprile: Drive Different. Dall’Austerity alla mobilità del futuro” – cinquant’anni di politiche sulla mobilità, di ricerca tecnologica sui  motori, di progettazione delle nuove aree urbane, di innovazione nel trasporto pubblico e di invenzioni futuristiche – e “Pagani. 25 anni di cuore, mani e passione”, che ripercorre l’avventura imprenditoriale di Horacio Pagani, iniziata negli anni Sessanta in Argentina e proseguita nel cuore della Motor Valley italiana.

 

Sono 15.400 le persone che hanno visitato, negli stessi giorni le collezioni permanenti e le mostre in corso alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, al MAO Museo d’Arte Orientale e a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica.

Triplicati i numeri rispetto allo scorso anno, anche grazie al grande successo delle mostre Hayez. L’officina del pittore romantico alla GAM, in chiusura nel weekend di Pasqua, di Liberty. Torino capitale a Palazzo Madama e Tradu/izioni dall’Asia al MAO.

In particolare, sono stati 7.037 i visitatori della GAM1.861 quelli del MAO e 6.440 quelli di Palazzo Madama.