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Scuola e Università, troppi problemi alla ripresa

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La scuola resta uno dei problemi irrisolti e la sua riapertura – al di là dal Covid  che potrebbe impedirla – resta una questione aperta. Occorrono spazi che non ci sono, banchi ed attrezzature informatiche di cui le scuole e gli studenti  non dispongono per lezioni a distanza 

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Il tentativo della ministra è stato quello di scaricare il problema sui presidi che non erano assolutamente in grado di provvedere con gli strumenti a loro disposizione alla ripresa a settembre. Sia pure in ritardo è stato nominato un commissario che ha fatto un bando per nuovi banchi monoposto. Ma il problema è più complesso perché riguarda nuovi orari, distanziamento negli ingressi e nelle uscite e lezioni da remoto.
In questo ultimo mese in cui i docenti dovrebbero essere a disposizione delle scuole perché il congedo per ferie  prevede un mese di vacanza, quasi sempre coincidente con il mese di agosto, non sono stati attivati dei corsi per preparare i docenti alla didattica a distanza a cui la maggioranza degli insegnati era e resta  impreparata. Ora la ministra più che pensare seriamente a risolvere i problemi dell’ apertura dell’anno scolastico,rilascia interviste raffica in cui dice di essere ingiustamente criticata  perché giovane e donna. Ha anche detto che vuole dei banchi con le ruote per poterli riutilizzare – dopo la pandemia – per la didattica di gruppo. I cosiddetti lavori di gruppo- va ricordato –  sono una delle sciocchezze nate nel ‘68 e che, dove applicate, crearono danni gravi agli studenti lasciati in balia di se’ stessi perché, secondo la demagogia corrente, dovevano essere rigorosamente autogestiti: i docenti erano considerati degli esperti da sentire solo in caso di bisogno. Ci furono scuole che abolirono i libri di testo per usare biblioteche di classe  del tutto inadeguate con pochi libri, quasi tutti riguardanti autori marxisti di stretta osservanza. Gli allievi furono privati della lezione frontale dei docenti, l’unica davvero importante ed  insostituibile quando i docenti sono all’altezza del loro compito. Sembra che la ministra voglia anche reclutare come docenti  studenti universitari  e qui si tratta di scelte senza precedenti che ci auguriamo siano fantasie di certi giornali. Vedremo cosa succederà, ma resta in dubbio una riapertura normale delle scuole, come è avvenuto in altri paesi europei. In Italia da sempre la scuola non è mai stata considerata una priorità. Oggi ancora più che in passato, malgrado siano stati bruciati quattro mesi e l’anno si sia concluso con promozioni politiche che forse non si erano viste neppure nei tempi di guerra. Il corpo docente non è stato coinvolto in una prospettiva di ripresa e non c’è stato quello sforzo collettivo che andava richiesto. Infatti tutti i sindacati della scuola, dalla Cgil alla Gilda, si sono espressi in termini negativi sull’operato della ministra dicendo che in queste condizioni  non è possibile riaprire a settembre. E’ stata una presa di posizione criticata  come corporativa che invece mette in luce il disagio dei docenti che –  al di là delle demagogie –  sono gli attori più importanti della scuola. Un discorso diverso riguarda l’Università dove la didattica a distanza ha funzionato perché docenti e allievi erano già abituati all’uso degli strumenti informatici. Ma anche l’Università’ ha bisogno di lezioni frontali. Sarebbe impossibile pensare di limitarsi ad ascoltare alcuni maestri da remoto, anche se i maestri di oggi appaiono n prevalentemente dei maestrini rispetto a quelli della mia generazione che ha avuto i Bobbio, i Venturi, i Firpo che alcuni di noi commisero l’errore di contestare come baroni, mentre erano uomini di scienza e maestri nel senso più ampio della parola. Scrisse Italo Calvino: “ Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da temere “. Meglio non si potrebbe dire, neppure oggi.
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Il grande accordo di Bruxelles: cosa accadrà?

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Le decisioni prese a Bruxelles dal Consiglio europeo dopo quattro giorni di discussioni non possono essere valutate oggi. Certamente può esaltarle, considerandole storiche, il presidente del Consiglio che ha rivelato indubbiamente una certa capacità che  non era così scontata; possono considerale un traguardo determinate forze politiche, mentre le opposizioni possono legittimamente essere critiche e sospettose, anche se le parole di Salvini appaiono ancora una volta eccessive.

Stupisce che il Presidente della Repubblica abbia espresso il suo pubblico plauso  al Presidente del Consiglio, instaurando un precedente che, in termini istituzionali, non ci piace. Credo che il presidente Conte debba al più presto riferire in Parlamento e quindi al Paese della sua missione europea. Conte certamente si è giocato tutto a Bruxelles, ma solo quando si passerà, nel 2021 inoltrato, a ricevere i fondi europei a titolo di prestito e a titolo di aiuti a fondo perduto (più i primi che i secondi) sarà possibile valutare in concreto se l’Italia ha fatto un buon affare.
Oggi bisogna augurarci  per il bene dell’Italia che a Bruxelles Conte abbia avuto successo, ma non ci sono certezze in proposito. All’indomani della trattativa europea emergono anche preoccupazioni sulle condizionalità connesse agli aiuti e ai prestiti. È un tema che va approfondito e chiarito subito perché l’esempio della Grecia commissariata e sfruttata dai vertici europei non si può dimenticare. L’Italia è oggi prostata dal Covid 19 e da una crisi economica che può distruggerci. I fondi europei arriveranno il prossimo anno. Si pone il problema di come affrontare i problemi dell’oggi e dell’autunno prossimo.Qui il governo rivela molta improvvisazione e tanta intempestività. Molte imprese sono state abbandonate a se’ stesse, il turismo sta boccheggiando in modo allarmante e il governo non è riuscito a far qualcosa di concreto per affrontare la crisi con il rilancio dell’economia. La politica dei sussidi non può certamente rivitalizzare  il Paese, ma può  solo creare dei nuovi poveri alle dipendenze dello Stato padrone . Molte scelte economiche, da Alitalia ad Autostrade, rivelano un nuovo statalismo, in alcuni casi assistenziale. L’esatto opposto di un’economia liberale. Con queste premesse sarà difficile usare i fondi europei nel modo giusto perché certi pregiudizi ideologici continueranno a pesare. Da europeista convinto da sempre ,non mi ritengo soddisfatto di quanto e’ stato deciso a Bruxelles. Non è una pagina storica perché  ci rivela un’Europa divisa e gretta, persino un’Europa che passa sopra al fatto che Orban ha travalicato le regole europee della democrazia liberale. E’ un’Europa migliore rispetto a quella che abbiamo visto negli ultimi anni, ma un’Europa lontanissima da quella sognata dai padri fondatori. Mancano i grandi statisti europei e dobbiamo accontentarci di surrogati. Merkel al posto di Adenauer, Conte al posto di De Gasperi sono segni evidenti di un  forte degrado della politica. Ed anche le versioni al femminile dell’ Europa non sono purtroppo delle soluzioni salvifiche  ai gravi problemi che  ci troviamo di fronte. Anche questo si è visto a Bruxelles negli ultimi giorni che andranno valutati sulla lunga distanza e non certo oggi.Oggi vale la sospensione di giudizio, quella che i Greci chiamavano Epoke’. Una sospensione critica perché ci sono comunque elementi allarmanti per il futuro che si vedono già oggi. Non appare neppure chiaro se vorranno o meno richiedere il Mes , una questione che divide il Governo e che appariva molto importante ed oggi è stata derubricata come secondaria. Anche in questa direzione le idee appaiono piuttosto confuse , malgrado riguardino la spesa sanitaria.
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Senso di responsabilità, perché il virus è ancora un pericolo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / I 19 contagi  Covid di Savona relativi ad una cena in un ristorante a causa di un dipendente del locale infetto hanno coinvolto circa 200 persone in osservazione. Il giorno prima su questo giornale denunciammo la scarsa responsabilità di molti nella Riviera di Ponente e non solo in quella.

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Il Sindaco di Albenga, il medico Riccardo Tomatis, che è stato in prima linea durante la pandemia nella sua duplice veste, ha nuovamente richiamato al senso di responsabilità e alla cautela, dicendo che il virus è  ancora un pericolo. L’esempio di Savona deve allarmare e comporta dei  comportamenti adeguati innanzi tutto da parte dei ristoratori che debbono mettere in atto tutte le attenzioni per prevenire: controlli ferrei in cucina tra il personale, distanziamento  nei tavoli di almeno un metro.
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Ma soprattutto gli avventori devono essere cauti. Un amico mi diceva che ieri era andato  in tre pasticcerie per comprare delle paste ed aveva fatto a meno di comprarle perché nessuno dei tre negozianti aveva la mascherina. Siamo tutti sulla stessa barca. Bisogna che tutti siano consapevoli del momento difficile. Non siamo nella normalità, senza essere nell’emergenza. Siamo anche nell’ansia per cosa accadrà in autunno. Un autunno caldo per pandemia e crisi economica, una miscela esplosiva che può provocare una devastazione. Non voglio fare la Cassandra, non voglio rovinare le ferie a nessuno, ma bisogna essere accorti e responsabili. Il valore della vita è preminente. La nostra vita e quella degli altri. Quella che Mario Berrino ad Alassio  definiva la “Gran Cagnara“ estiva, quest’anno non è possibile. I ristoratori per  poter recuperare debbono garantire condizioni di sicurezza ai clienti come fanno alcuni e non altri.  Anche nelle spiagge occorrono controlli. Può sembrare un un non senso perché la spiaggia e il mare si identificano con l’idea della libertà, del piacere della libertà. Quest’anno volevo andare in vacanza a Santorini, ho scelto responsabilmente di stare in Italia, ma chiedo almeno il rispetto delle norme preventive minime a cui io mi adeguo con disciplina. Aver tolto l’obbligo delle mascherine nel Budello di Alassio e’ stato un errore perché il distanziamento e’ impossibile e l’assembramento è sicuro. Non voglio essere ripetitivo come Catone con il suo “Delenda Carthago”, ma credo sia un dovere morale mettere in guardia contro un pericolo che non conosciamo. Oggi tacciono persino gli scienziati che hanno pontificato per mesi, creando paura e confusione. Il fatto che tacciano non è di per sè tranquillizzante, se non pensando che anche loro sono andati in vacanza … Noi dobbiamo comportarci come se potesse tornare una seconda ondata, rinviando le leggerezze alla prossima estate. Se poi non verrà, vivremo sereni. L’esempio di Savona e dei migranti infetti scappati dai centri di raccolta ci richiama alla dura realtà del momento che ha portato a chiudere le frontiere, ma incredibilmente non i porti. Un altro aspetto di questa Italia provvisoria, come la definiva Guareschi, che ci inquieta.
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“Chiudi gli occhi. Lascia entrare il ritmo in te”

Music Tales, la rubrica musicale. Racconti, curiosità ed eventi

 

Chiudi gli occhi

Lascia entrare il ritmo in te

non provare a contrastarlo

non c’è niente che tu possa fare

rilassa la tua mente

sdraiati e muoviti con me

Devi sentire quel calore

così possiamo cavalcare il boogie

condividere quel ritmo d’amore”

Rock with You è un singolo scritto da Rod Temperton ed interpretato dal cantante statunitense Michael Jackson, il secondo estratto dal suo quinto album in studio Off the Wall e pubblicato il 3 novembre 1979.

La canzone fu una delle ultime in stile “disco dance” della popstar. Conquistò la posizione numero uno in diverse classifiche ed è uno dei suoi brani più amati dal pubblico.

Il 27 febbraio 2006 Rock with You venne ripubblicato in formato DualDisc ed incluso anche

nel videoalbum Visionary: The Video Singles.

Il videoclip del brano ritrae Jackson in una stanza nera con un sfondo di luci colorate. Il video è stato trasmesso per la prima volta da MTV e compare spesso negli speciali anni Ottanta.

Un brano che fa ballare, anche il testo invita semplicemente a “rockeggiare” insieme fino all’alba, e che è stato riproposto da Brandy, ma, oggi, per augurarvi una settimana frizzante, ve ne propongo una versione che mi ha fatto scoprire un’ amica, più che amica, e di cui non ero affatto a conoscenz ma che mi ha colpita, e per la voce del buon Teddy Swims, e per la sua immagine…come dire….singolare.

Mi piace, eccovela:cotta e mangiata!

Cantate e danzate insieme e siate felici, ma fate in modo che ognuno di voi sia anche solo, come sono sole le corde di un liuto, sebbene vibrino alla stessa musica.”

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=hTU6ib45t1U

 

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Giulia Maria tra i due Cederna 

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Ci sono ottimi motivi per esaltare, come è stato fatto, l’opera di Giulia Maria Crespi come fondatrice del FAI, che è un’ importante istituzione a tutela dell’ambiente. Il FAI si è identificato con la Crespi che è  rimasta  Presidente onoraria a vita. La sua è  stata una vita spesa per nobili e grandi ideali. Questo resta il bilancio finale di una lunga esistenza che è arrivata vicina  al secolo.

Fu anche una delle protagoniste di “Italia nostra“, associazione assai  importante nella storia della cultura italiana. Antonio Cederna sul “Mondo“ di Pannunzio fu l’anticipatore coraggioso di quelle battaglie a tutela del patrimonio paesaggistico, artistico ed ambientale. Giulia Maria credo si sia ispirata a Cederna.

Ma purtroppo era anche molto amica di Camilla Cederna, una penna radical – chic che fece molti danni: dalla diffamazione del commissario Calabresi a quella nei confronti di un galantuomo come il Presidente Giovanni Leone, che fu costretto a dimettersi per le falsità scritte da Camilla che tardivamente venne condannata per diffamazione.

La vita di Giulia Maria, si potrebbe dire, è  stata giocata tra i due Cederna. Per un certo periodo ha prevalso Camilla rispetto ad Antonio, poi l’eredità di Antonio ha preso il sopravvento. Io sono stato associato sia di “Italia nostra“, sia del FAI e debbo dire che mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua perché ho sempre  colto la prevalenza di uno snobismo fastidioso che non mi e’ mai piaciuto. E infatti non mi sono più associato a conventicole formate da persone che si ritengono a priori detentori di tutte le verità dell’universo e vogliono far pesare la loro  presunta superiorità.

La Crespi andrebbe anche ricordata come editore del “Corriere della Sera“. Nel 1968 chiamò a dirigere il giornale l’allora “socialdemocratico saragattiano “Giovanni Spadolini con una  scelta avveduta. Ma quando davanti al “Corriere “ cominciarono le contestazioni e le violenze sessantottine con la partecipazione anche dell’editore -guerrigliero Gian Giacomo Feltrinelli, amico della Crespi, l’editore cercò di liberarsi di Spadolini che per altro non era certo un uomo molto  coraggioso . Gli venne inflitto un licenziamento in parte “concordato“ ( il rapporto venne interrotto con un anno di anticipo rispetto al contratto )nel 1972 che consentì al direttore del “Corriere “ di intraprendere una sfolgorante carriera politica nel PRI che lo porterà alla Presidenza del Consiglio e del Senato .

Spadolini aveva denunciato i pericoli insiti nell’estremismo di sinistra senza mezzi termini  , forse unico direttore di giornale in Italia. Quelle posizioni non piacevano ai salotti frequentati dalla Crespi che stravedevano per Mario Capanna ed i suoi amici. La Crespi scelse come nuovo direttore Piero Ottone che proveniva dal “Secolo XIX “dove aveva mantenuto un atteggiamento equilibrato . Giunto al “Corriere”,  Ottone si lasciò guidare dal comitato di redazione formato da faziosi e intolleranti giornalistini , come li definiva Giovanni Giovannini. Egli spostò a sinistra il giornale , comprimendo la libertà di espressione di giornalisti come Indro Montanelli, colpevole di aver scritto un ritratto corrosivo di Camilla Cederna. Montanelli, licenziato in tronco da Ottone, con altri importanti giornalisti usciti dal “Corriere” diede vita al “Giornale “ nel 1974.   In quello stesso anno la Crespi cessò di occuparsi del giornale che venne venduto ad Angelo Rizzoli, quello che, accusato di essere piduista, avrebbe mandato allo sbando il quotidiano di via Solferino. Montanelli definì la Crespi una “dispotica guatemalteca“.

Sembra – ma non ci sono certezze – che la Crespi, a sua volta,  abbia brindato alla notizia del ferimento di Montanelli da parte delle Br.

La Crespi, malgrado fosse espressione dell‘alta  borghesia lombarda, ad un certo punto, si lasciò attrarre dalle ubriacature ideologiche del ‘68 e cercò attraverso il giornale di sua proprietà di traghettare la borghesia italiana verso posizioni di netta apertura alla sinistra. Fu una scelta che va rispettata e che fu in netto contrasto con la storia del “Corriere“.

Dalla  “gran lombarda” che fu la prima donna editore di un grande giornale, sia pure non per meriti personali, e  fu la fondatrice di grandi realtà come il FAI, una testimonianza vivace ed importante anche se molto discussa. In tempi recenti la Crespi aveva anche simpatizzato per la giovane ambientalista Greta.

La sua è stata una vita non banale. Avrebbe potuto godere in tranquillità della sua ricchezza ed invece volle “entrare nell’agone”, mettendosi in discussione e fare delle scelte. Difficilmente mi sono trovato in sintonia con lei i perché i radical – chic non mi sono mai piaciuti, soprattutto i ricchi che vorrebbero apparire poveri, ma non lasciano i loro avere agli altri come fece solo San Francesco d’Assisi. La Crespi però, creando il FAI, ha messo una parte della sua ricchezza a disposizione della comunità e di alti valori. Di questo dobbiamo esserle grati perché ha lasciato un’eredità importante  che resterà dopo di lei . La presidenza di Andrea Carandini e’ una garanzia assoluta di impegno e di serietà.
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L’isola del libro

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Carmen Korn   “Aria di  novità”    -Fazi Editore-    euro 20,00

 

E’ il terzo ed ultimo romanzo della saga della scrittrice tedesca 68enne Carmen Korn (dopo “Figlie di una nuova era” e “E’ tempo di ricominciare” pubblicati da Fazi) che ci racconta il seguito delle vite di 4 personaggi femminili di Amburgo, sullo sfondo delle vicende storiche che in questa puntata della saga vanno dal 1970 al 2000.

La Germania è ancora divisa e Berlino è tranciata in due dal muro che cadrà nel 1989, aprendo una nuova era; ma ci sono anche il terrorismo, echi della guerra del Vietnam e gli scandali della Casa Bianca visti nell’ottica europea.

In un alternarsi di flash su eventi storici e sequenze delle vite dei molti personaggi, la Korn costruisce un romanzo in cui le vite dei personaggi sono andate avanti, alcune invece sono finite con la morte.

Gli anni sono passati per Hanny che è al terzo matrimonio e festeggia i suoi 100 anni all’alba del nuovo millennio, circondata da parenti e amici. Ma che fine hanno fatto le sue amiche?

Lina, ex insegnate e libraia gay che viveva con l’amata compagna Louise che non vuole invecchiare, né tantomeno arrendersi alla malattia.

Käthe, vicina di casa durante l’infanzia, prigioniera in un campo di concentramento a causa della sua propensione al comunismo, tornata alla fine della guerra dopo varie traversie, che si ritrova con una figlia adottiva simpatizzante del gruppo Baader Meinhof.

Ida, ragazza viziata di buona famiglia alla quale la vita ha riservato qualche sorpresa. Due matrimoni e la bellissima figlia Florentine: super modella sempre in giro per il mondo, con un adorante compagno dotato di sovrumana pazienza che accudisce i figli, ma anche l’incognita della paternità di uno di loro.

E intorno alle 4 amiche una girandola di personaggi affascinanti come l’amico pianista Alex che si è scoperto omosessuale e vive con l’amore della sua vita, il più giovane Klaus, che però non ha disdegnato le donne…anzi.

Poi ci sono le nuove generazioni  che vivono in pagine bellissime del romanzo. Come Katja, fotografa impegnata nelle zone di guerra più calde del pianeta; e Ruth giornalista e militante che sconta anni di carcere per la vicinanza con un terrorista…..

Aspettatevi sviluppi e vite incredibili, tutto raccontato con l’innegabile bravura della Korn, abilissima nell’intessere una trama fitta di destini individuali.

 

 

Olga Tokarczuk “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”  -Bompiani-  euro 18,00

Dopo il Premio Nobel per la letteratura vinto con “I vagabondi”, viene ora ripubblicato questo romanzo che la scrittrice aveva dato alle stampe nel 2009. E’ il racconto in prima persona di un’anziana signora della Slesia (Polonia del sud, al confine con la Repubblica Ceca), ex ingegnere di ponti, insegnante di inglese che vive in un paesino isolato su un altipiano tempestato da venti e abbondanti nevicate.

Si chiama Janina  Duszejko ed è amante degli animali, compassionevole verso il prossimo, con il pallino dell’astrologia e degli oroscopi (in grado di prevedere le morti). Le sue giornate nell’isolamento della natura scorrono tra le traduzioni delle poesie di William Blake insieme a un suo ex alunno e la sorveglianza e i lavori di manutenzione nelle case dei dintorni che i proprietari abitano solo d’estate.

Uno scossone al suo tranquillo ritmo quotidiano viene datoa dal ritrovamento del cadavere di un suo vicino, strozzatosi con l’osso di una cerva che aveva cacciato di frodo. Ed è solo l’inizio di una serie di oscure morti di uomini collegati alla caccia e all’uccisione delle adorate cagnoline di Janina.

Lei è più che convinta che a vendicarsi della malvagità dei cacciatori (che odia con tutta se stessa) siano stati gli animali, volpi e cervi, a vendicarsi. La rivincita delle vittime contro i loro carnefici in un romanzo tra il noir e  il filosofico in cui le sorprese non mancheranno.

 

Louise Penny    “Il regno delle ombre”    -Einaudi –  euro 15,00

La  scrittrice canadese Louise Penny torna con un’altra avventura ambientata nel paese fittizio di Three Pines, e rimette in campo il suo pacato, saggio ed equilibrato detective Armand Gamache, in una storia nella quale l’indagine sulle relazioni umane e i sentimenti vengono prima della violenza omicida.

Three Pines è già di per se il grande protagonista dei suoi 14 libri con Gamache. Un villaggio a pochi chilometri da Montreal, inventato in ogni minimo dettaglio: ideale per il turismo e le famiglie, con negozietti vari, natura incontaminata, asticella del termometro ampiamente sotto lo zero e nevicate memorabili.

Chi ama questa scrittrice sa già che le sue trame iniziano lente e quasi rassicuranti, poi si scatena il thriller ed entra a gamba tesa il capo della Sûreté du Québec, Gamache.

Questa volta il commissario è stato sospeso dal suo incarico a causa di una precedente indagine un po’ controversa, e viene inspiegabilmente nominato esecutore testamentario di un’anziana signora a lui sconosciuta.

La defunta è una certa Bertha Baumgartner, si faceva chiamare Baronessa, era un po’ eccentrica, eccezionale nelle pulizie delle case altrui  e “..C’era nobiltà nel suo attaccamento al dovere”.

Questa atipica colf, insieme a Gamache  ha coinvolto nella gestione del suo lascito anche la libraia-psicologa Myrna e il giovane impresario-manovale Benedict.

Inutile dire che neanche loro conoscevano Bertha e si ritrovano a gestire una situazione complicata. La Baronessa ha tre eredi  Anthony,     Caroline e Hugo, ed ha scritto un testamento bislacco, lasciando una casa pericolante, il titolo al suo primogenito, e 5 milioni a ciascun figlio. Una fantomatica fortuna di cui i tre avevano sentito parlare fin da quando erano piccoli.

Poi la storia si complica ulteriormente, ci scappa il morto ed ecco scattare l’indagine, e Gamache si ritrova a dover risolvere parallelamente anche l’emergenza di una partita di droga che sta seminando morte nelle strade di Montreal….

 

 

La scuola dei cento e delle lodi

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La scuola  (oltre che il turismo) è la grande dimenticata di questo governo e in genere anche di buona parte  dell’informazione. La scarsa attenzione verso la scuola è un dato costante da tempo immemorabile e anche il facilismo come soluzione dei problemi della scuola resta una costante dal 1968 in poi.

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Ma quest’anno la scuola è stata abbandonata ad una ministra vistosamente non adeguata che non  è neppure riuscita ad affiancarsi uno staff tecnico che supplisse alle sue manchevolezze. Così a metà luglio non sappiamo  neppure come e se riapriranno le scuole.
Ma l’attenzione oggi va rivolta agli esami di Stato che prima del ministro Berlinguer si chiamavano di Maturità; quest’anno per la chiusura delle scuole e una didattica a distanza improvvisata e inadeguata, gli esami si sono svolti senza le prove scritte, con un colloquio di stile famigliare e facilistico. Quei colloqui d’esame  non sono stati  affatto degli esami,ma delle  piccole farse, molto ipocrite. Mi ricordano tanto gli inviti di certi ministri che già tanti anni fa esortavano i commissari d’esami a trovare il meglio di ogni studente ,invitando di fatto alla promozione generalizzata. Uno su dieci studenti  ha avuto la valutazione massima di cento e moltissimi hanno anche avuto la lode, metà hanno avuto 80. Al Classico uno su quattro ha ottenuto il 100, un risultato analogo si è avuto allo scientifico. Le commissioni erano formate dagli stessi insegnanti interni delle classi esaminande. La scuola italiana ha risposto al destino cinico e baro del Covid 19 con il facilismo. Ancora una volta l’esame è diventato ulteriormente un pro forma   che ha  mescolato insieme capaci e incapaci, studiosi e pigri in un bagno collettivo di buonismo,demagogia e ipocrisia. Un esame è per definizione selettivo, altrimenti non è un esame. Essere selettivi significa discernere gli studenti, non gratificarli con voti alti. Certo i voti alti accontentano tutti: famiglie felici e studenti che potranno vantare voti alti spesso non meritati. Gli studenti di famiglie agiate e colte rimedieranno con lezioni private, mentre quelli che la Costituzione definisce “privi di mezzi” si troveranno un pezzo di carta a cui non corrisponde un’istruzione adeguata agli studi universitari. Si troveranno ad essere gravemente penalizzati, malgrado il diploma ottenuto. Il diritto allo studio si è trasformato nel diritto al titolo di studio. In un paese serio la scorciatoia di un esame pro forma  non sarebbe stato immaginabile. Qui si è applicata l’idea grillina dell’ uno vale uno. La scuola è una struttura portante della società. Da tempo sono in grave crisi sia  la scuola e  sia la società. Da quest’anno la scuola dei cento e delle lodi quasi erga omnes, come è accaduto al Sud dove il Covid 19 era una minaccia più lieve, e’  il ritratto di un’Italia alla deriva,destinata a colare a picco. Salvemini parlava di un’Italia scombinata.

La curatorship dell’Hub di Torino dei Global Shapers

Rubrica a cura di ScattoTorino 

Luigi Riccardo, Olga Osuchowska, Fabio Cassanelli rispettivamente Curator, Vice-Curator e Outgoing Curator dell’Hub torinese ci raccontano chi sono i Global Shapers e quali azioni intraprendono. La piattaforma alla quale appartengono, promossa dal celebre World Economic Forum, ha un respiro internazionale ed è composta da quasi 10.000 giovani attivisti tra i 18 e i 30 anni che operano in 148 paesi per un totale di 428 Hubs. Dotati di skill altamente specifiche i tre curator, così come tutti i membri dell’Hub, mettono la loro professionalità e il loro potenziale al servizio del territorio in cui operano. A tal fine ogni sede intraprende progetti ad impatto sociale per migliorare le comunità di appartenenza e in Italia i Global Shapers sono presenti a Torino, Milano, Genova, Firenze, Venezia, Trento, Roma, Palermo e Bari.

Che cos’è il World Economic Forum?

Fabio Cassanelli: “È un’organizzazione senza scopo di lucro nata in Svizzera nel 1971 ad opera dell’economista Klaus Schwab. La sede è a Cologny, vicino a Ginevra, e il suo fondatore immaginava un luogo in cui i capi d’azienda, i leader politici, gli intellettuali e i giornalisti di settore potessero discutere dei principali problemi dell’umanità e trovare accordi attraverso il dialogo. Conosciuto anche come Forum di Davos, il WEF si tiene ogni inverno nella cittadina svizzera e affronta tematiche legate, ad esempio, alla salute e all’ambiente. In passato il meeting è stato anche l’occasione per affrontare crisi e negoziare soluzioni. Qui nel 1989 è avvenuto l’incontro tra i ministri nordcoreani e sudcoreani e nel 1992 Frederik de Kler e Nelson Mandela hanno trattato la questione sudafricana”.

Olga Osuchowska: “Desidero sottolineare che il World Economic Forum è una piattaforma libera da limitazioni che, pur organizzando prestigiosi incontri internazionali, può non sostenere le stesse ideologie dei suoi ospiti. Ricordo poi che nel gennaio di quest’anno a Davos si sono incontrati Donald Trump e Greta Thunberg per parlare di salvaguardia ambientale”.

Luigi Riccardo: “In quasi 50 anni di attività il WEF si è configurato come una comunità che ne contiene altre, come ad esempio Young Global Leaders e Global Shapers”.

Global Shapers Italiani a Ginevra

Ci presentate la Global Shapers Community?

Luigi Riccardo: “Il motto è The power of youth in action ovvero il potere della gioventù in azione. Il network nasce nel 2011, sempre su iniziativa di Klaus Schwab, è diffuso a livello internazionale ed è composto di giovani che vogliono attivarsi per avere un impatto positivo nel mondo. Il nostro pensiero è a livello globale, ma ogni comunità locale mette in campo azioni legate al territorio in cui opera. I partecipanti hanno tra i 18 e i 27 anni, ma si può rimanere nella community fino ai 30 anni. Attualmente ci sono quasi 3.200 alunni nel mondo, cioè ex Global Shapers che continuano a seguire l’attività dell’organizzazione”.

Olga Osuchowska: “Il network è no profit ed è sostenuto dal World Economic Forum. Le nostre attività si suddividono in tre macro filoni: Inclusione sociale (Equity & Inclusion), Sostenibilità (Climate & Environment), Educazione e lavoro (Education & Employment)”.

Fabio Cassanelli: “Ai vertici della struttura ci sono i curator che vengono eletti democraticamente e il loro mandato dura un anno. Ogni persona può essere curator solo due volte nel corso della sua vita. Luigi sarebbe dovuto andare in Canada per un meeting tra tutti i curator, ma a causa del Covid-19 non è partito e per connettersi con gli altri membri ha utilizzato Zoom; i collegamenti per seguire le diverse sessioni curate dal team centrale, che ha sede a Ginevra, sono durati 5 giorni con orario 10.00-22.00. In questo modo c’è stata l’opportunità di interagire in piccoli gruppi per conoscersi meglio. Inoltre nella community dei Global Shapers ci sono eventi ufficiali e regionali e Torino era stata designata come città in cui ospitare il retreat italiano. Il lockdown ha bloccato tutto, ma proveremo ad organizzare l’evento nel mese di ottobre”.

Parliamo dell’hub torinese?

Olga Osuchowska: “Nato nel 2012, l’Hub di Torino dei Global Shapers è stato da subito sostenuto dal quotidiano La Stampa. Nella prima fase di vita l’Hub si è concentrato su temi come l’imprenditorialità, poi sull’inclusione sociale. Attualmente a Torino ci sono 32 giovani, più diversi candidati”.

Luigi Riccardo: “Tra i membri abbiamo anche degli stranieri e degli studenti fuori sede. L’Hub di Torino è un gruppo eterogeneo composto da ingegneri, ricercatori, economisti, architetti, giovani imprenditori, artisti ed altri. Sono persone che non hanno apparentemente nulla in comune, se non la passione e la volontà di costruire il futuro agendo attivamente per migliorare la propria città e le possibilità che essa offre alle persone”.

Fabio Cassanelli: “L’Hub torinese è composto da esperti che lavorano in grandi aziende e multinazionali con sede in città, liberi professionisti e startupper che hanno trasformato le loro passioni in professioni, ricercatori e attivisti impegnati a promuovere la sostenibilità ambientale e sociale e altri giovani industriosi che incarnano lo spirito della cittadinanza globale. I progetti di volontariato che portiamo avanti sono organizzati in stretta collaborazione con partner del territorio, stakeholders locali e altri hub della comunità dei Global Shapers. Gli interventi dell’Hub nell’ambito di progetti più grandi di solito prendono la forma di conferenze, presentazioni, workshop, panel, pubblicazioni e campagne sui social media”.

Quali iniziative promuove Global Shapers Torino?

Fabio Cassanelli: “Nel 2019 abbiamo organizzato un incontro per creare maggiore consapevolezza nei giovani sulle sfide che attendono l’Unione Europea nei prossimi anni, tenendo conto che le scelte che verranno effettuate a livello europeo impatteranno in modo significativo sulla vita di ognuno di noi. L’Hub di Torino partecipa anche al progetto Powercoders che si occupa della formazione dei migranti e dei richiedenti asilo in modo da fornire loro le skill informatiche utili per trovare più facilmente lavoro ed integrarsi nella società”.

Global shapers italiani

Cos’è Heroes Never Sleep?

Luigi Riccardo: “Il claim del progetto è Ordinary peolpe extraordinary impact ed ha tre obiettivi: dare voce agli eroi locali che si impegnano ogni giorno per portare un impatto positivo nelle loro comunità di riferimento attraverso innovative iniziative locali, ispirare con esempi concreti le giovani generazioni ad abbracciare stili di vita sostenibili per diventare promotori di comportamenti virtuosi, creare consapevolezza intorno ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030”.

Fabio Cassanelli: “Heroes Never Sleep è un’iniziativa Global Shapers Italia supportata dal Gruppo Lavazza che ha sottoscritto l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ed ha elaborato le proprie strategie aziendali basandole sui 17 Sustainable Development Goals”.

Olga Osuchowska: “Un eroe torinese è Abdullahi Ahmed, ex rifugiato somalo che è arrivato a Lampedusa nel 2008 per poi approdare a Settimo Torinese, dove è diventato cittadino onorario nel 2014 e cittadino italiano nel 2016. Grazie al suo forte senso civico, nel 2018 Abdullahi ha fondato GenerAzione Ponte insieme ad altri cittadini rifugiati, seconde generazioni e italiani accomunati dal desiderio di realizzare azioni concrete capaci di essere un ponte, appunto, tra generazioni e culture differenti. Abdullahi è un esempio di umanità e di speranza per una società futura capace di abbattere il muro dell’indifferenza e della paura”.

Un altro progetto vi vede impegnati con il FAI Giovani di Torino. Di cosa si tratta?

Fabio Cassanelli: “Con il Gruppo FAI Giovani di Torino abbiamo promosso la seconda edizione del corso FAI ponte tra culture, indirizzato prevalentemente a cittadini di origine straniera e a tutte le persone interessate alle materie e che operano a vario titolo con associazioni di stranieri”.

Luigi Riccardo: “Il progetto intende coinvolgere i cittadini di origine straniera che vivono a Torino nella fruizione del patrimonio artistico e culturale della città e favorire la creazione di un gruppo di volontari che possano operare con la Delegazione FAI di Torino in occasione delle iniziative culturali promosse”.

Olga Osuchowska: “Il corso si è tenuto tra gennaio e marzo, ma per via del Covid-19 è stata rimandata l’ultima lezione presso il Castello di Masino. Si è articolato in sei lezioni in classe, delle quali quattro presso la sede della Delegazione FAI di Via Giolitti 19 a Torino, e due in altra sede”.

Torino per voi è?

Olga Osuchowska: “Pochi giorni fa abbiamo lanciato un sondaggio che chiedeva ai membri della community cosa significhi per loro Torino e molti hanno detto casa, altri sobrietà, altri ancora capitale della cultura. Io ho risposto realtà perché ho vissuto a Milano, ma la vita mi ha portata qui da tre anni e secondo me Torino è il luogo in cui fare concretamente le cose. Unisce i sogni con la realtà, proprio come il nostro Hub”.

Luigi Riccardo: “Per me Torino è il luogo in cui ci sono opportunità, culturali e scientifiche. È una piattaforma di connessione dove si possono trovare nuove tecnologie, sperimentare nuovi modelli di business e lavori con un possibile impatto positivo nel mondo”.

Fabio Cassanelli: “Torino è una città che offre grandi possibilità, ma bisogna combattere contro la retorica della città in declino fine a sé stessa. Con azioni concrete occorre fare qualcosa, anche perché storicamente il nostro capoluogo è stato derubato di molte eccellenze. Bisogna contrastare questa retorica con progetti che riportino innovazione ed eventi al centro dell’agenda politica cittadina”.

Un ricordo legato alla città?

Olga Osuchowska: “A maggio 2019 sono rientrata a Torino dopo un mese passato fra New York, Ginevra e il mio Paese di origine (Polonia). Sono arrivata in Porta Susa verso mezzanotte e ho deciso di tornare a casa a piedi, passeggiando sotto i portici. In quel momento ho deciso di non allontanarmi da Torino per almeno un mese. Mi mancava troppo”.

Luigi Riccardo: “Torino per me è sorpresa. Il ricordo più forte è legato alla prima volta che entrai nel Santuario della Consolata. Un’architettura interna davvero sorprendente, mozzafiato, scoperta per caso passeggiando lì vicino”.

Fabio Cassanelli: “Ricordo l’emozione di prendere la metropolitana per la prima volta durante le Olimpiadi di Torino 2006. Il motto dei Giochi Olimpici 2006 era Torino non sta mai ferma. Ora l’impressione è che si sia un po’ fermata. Sta anche a noi aiutare la città a ripartire”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto