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Chi è Paola Gribaudo, presidente dell’Accademia Albertina di Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino 

Paola Gribaudo è una donna eclettica e sensibile la cui vita sembra la trama di un romanzo. Come il padre Ezio – celebre artista, editore e promotore culturale – anche lei ha saputo coniugare la passione per l’arte e per la cultura con la professione. Critica d’arte, curatore di libri d’arte, vanta collaborazioni con le case editrici Skira, Gli Ori, De Agostini, Electa, Rizzoli International, Silvana Editoriale e Thames & Hudson. Intellettuale vivace e appassionata, ha viaggiato molto e conosciuto i protagonisti dell’arte: da Francis Bacon a Peggy Guggenheim, da Henry Moore a Jean Dubuffet da Giorgio de Chirico a numerosi altri. Nella sua brillante carriera di editore ha pubblicato oltre 1.000 tra monografie, cataloghi di mostre e libri per autori e artisti internazionali. A testimonianza del valore del suo operato, nel 2011 ha ricevuto l’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura Francese Frédéric Mitterand. Nel 2016 l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino le ha conferito la medaglia di Accademico d’onore per il ruolo di Ambasciatrice del libro d’arte e per aver portato il nome di Torino nel mondo. Un legame, quello con l’Accademia Albertina, che è quasi inscindibile e che si basa su una profonda stima reciproca. Nel 2019 il Ministro per l’Istruzione Marco Bussetti l’ha infatti nominata Presidente della stessa. Un riconoscimento prestigioso a conferma di una carriera illustre che si snoda non solo in Italia, ma anche all’estero e che ha un valore ancora più profondo se si considera che Paola Gribaudo è la prima donna a ricoprire questo ruolo.

Paola Gribaudo Accademia AlbertinaLibri: il fil rouge della sua vita?

“Credo nel destino e forse era già tutto scritto quando ho scelto come tema della tesi di laurea l’analisi critica di un trattato di Charles Le Brun su come disegnare le passioni umane. Da sempre la mia specializzazione è legata ai testi d’arte e grazie ai libri ho viaggiato, ho conosciuto artisti e personaggi del calibro di Botero e Federico Zeri, ho curato progetti editoriali in Europa, Stati Uniti, Argentina e in altri paesi. Dietro ad ogni libro c’è una storia: ci sono persone, sogni, progetti, criticità, happy end che ho vissuto in prima persona”.

Carriera fa rima con impegno?

“Per me il lavoro non è mai stato un business, ma una passione e mi sono occupata di editoria con devozione curandone ogni aspetto, dall’ideazione del libro alla stampa. Dopo la laurea in lettere, come tutti i giovani ho svolto diversi lavori. Frequentando lo studio di mio padre ho conosciuto il mondo dell’editoria, perché negli Anni ’80 lui se ne occupava ancora attivamente. La mia professione l’ho costruita da sola step by step, soprattutto all’estero, andando negli studi degli artisti e cercando editori, fotografi, grafici, stampatori e operatori del settore in linea con il progetto da sviluppare. Dal 1981, quando impaginai il primo volume dal titolo 629 Oeuvres de Renoir à Picasso di George Peillex per il Musée du Petit Palais di Ginevra, ad oggi ho curato 1.070 libri”.

Lei è anche autrice?

“Per festeggiare i 25 anni di carriera nel 2004 ho pubblicato Libri e librini, un catalogo che ho presentato alla libreria Les Arcades di Parigi, da Achim Moeller Fine Art di New York, nel mio studio di Torino e al Castello di Malgrà a Rivarolo Canavese. Il testo spiega come dentro ad ogni libro ci sia una storia composta da un caleidoscopio di emozioni, incontri, telefonate, euforia, tensione, soddisfazione. In Mille di questi libri, (pubblicato da Skira nel 2017 in edizione italiana e inglese nel 2018) invece, la pittrice Barbara Tutino racconta il mio percorso professionale, ma soprattutto il processo creativo che si nasconde dietro ad ogni volume e che trasforma un testo in un’opera”.

Presidente, ci presenta brevemente la storia dell’Accademia Albertina? Accademia Albertina

“Nel 1678 Maria Giovanna di Savoia-Nemours, vedova di Carlo Emanuele II, fondò l’Accademia dei Pittori, Scultori e Architetti ispirandosi al modello dell’Académie Royale di Parigi. Dopo di lei, solo gli uomini hanno ricoperto cariche prestigiose sino alla mia nomina dello scorso anno. Sono quindi davvero onorata di questo incarico. L’Accademia Albertina di Torino, che è erede delle accademie reali, fu rifondata nel 1833 da Carlo Alberto e ancora oggi conserva nei propri archivi un ricco patrimonio di documenti relativi all’attività di formazione e ricerca nei campi delle arti figurative. All’edificio fu annessa anche una Pinacoteca, che aveva un ruolo didattico, ed oggi la nostra è l’unica Pinacoteca che si trova all’interno di un’Accademia”.

Una fotografia dell’Accademia oggi?

“La nostra è una delle più importanti d’Italia e conta circa 1.500 allievi provenienti da 40 nazioni. La peculiarità è che oltre alle materie di studio tradizionalmente legate all’arte figurativa, come la scuola di nudo che riapriremo nel secondo semestre, proponiamo corsi più innovativi e in linea con le professioni di oggi come fotografia, restauro, digital art. L’obiettivo è formare pittori e scultori di alto livello, ma anche i futuri professionisti della comunicazione. Per questo abbiamo diversi stagisti che, a rotazione, imparano ad allestire mostre, redigere comunicati stampa, interagire con le assicurazioni e impostare un catalogo”.

Qual è il ruolo della Pinacoteca?

“Viene utilizzata per le mostre e di recente, grazie all’intervento della Compagnia di San Paolo, è stato restaurato lo splendido ipogeo della Rotonda del Talucchi che al momento è destinato ad esposizioni temporanee. Privilegiamo mostre dei docenti e artisti che si sono formati presso di noi e ciascuno dona un’opera che viene inserita nella futura Pinacoteca del ‘900. Lo scorso novembre, ad esempio, abbiamo ospitato la mostra Arte come teatro della nostra docente di arte e scenografia Paola de’ Cavero ed è in preparazione quella di Carlo Giuliano”.

Accademia Albertina Paola GribaudoCi anticipa alcuni progetti del 2020?

“In occasione del bicentenario della nascita di Vittorio Emanuele II, il 14 marzo l’Accademia Albertina sarà sede di un convegno storico artistico sulla figura del primo re d’Italia mentre la sera prima l’Aula del Primo Parlamento Italiano al Museo Nazionale del Risorgimento a Palazzo Carignano, luogo in cui nacque il re, ospiterà un ballo risorgimentale. Alcuni abiti saranno realizzati dagli studenti che seguono il corso di sartoria e li sfoggeranno, insieme a me, per l’occasione. In autunno, invece, verrà allestita la prima esposizione ideata da me con i Prof. Valerio Terrraroli e Guido Montanari che si intitolerà Disegnare la città. Decori e Architettura dagli archivi dell’Accademia Albertina di Torino. Oltre a valorizzare gli archivi e i disegni che ospitiamo nella Pinacoteca e in Accademia, la mostra evidenzierà i processi che hanno contribuito alla costruzione della memoria e dell’identità collettiva della città sia in termini di decoro sia in termini di pianificazione urbana e progetto di architettura. Il percorso includerà anche altri poli espositivi come la Fondazione Accorsi, l’Università in via Po, lo storico caffè Baratti & Milano e il museo della Reale Mutua Assicurazioni. Infine proseguiremo con il restyling dei cataloghi dell’Accademia Albertina per creare un’identità più nuova ed impattante. Fedele alla mia vocazione di editore, con l’Accademia abbiamo già realizzato diversi cataloghi sia per il FISAD Festival Internazionale delle Scuole d’Arte e Design che abbiamo ospitato lo scorso autunno sia alcune mostre come Incanti russi che è in calendario presso la Pinacoteca sino al 22 marzo”.

Torino per lei è?

“Sono d’accordo con Giorgio de Chirico quando dice che Torino è una città monarchica, fluviale e regolare ed è la città più profonda, enigmatica e inquietante non solo dell’Italia, ma del mondo intero. Concordo anche con Nietzsche quando sottolinea che Torino non è un luogo che si abbandona. Qui sono nata ed ho vissuto, anche se ho viaggiato molto. Qui ho le mie radici, ma mi sento una Torinese anomala perché della città ho ereditato la riservatezza, ma non la chiusura verso il mondo”.

Un ricordo legato alla città?

“Più che un ricordo, una sensazione. Quando rientro dai viaggi e dall’aereo vedo le montagne che la circondano con il Po che scorre lento, la Mole Antonelliana e la cupola del Guarini, mi sento protetta e a casa”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Foto: Accademia Albertina – Fabio Amerio e Marco Carulli

Alluvioni, la gestione delle sponde fluviali per ridurre i rischi

Articolo a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’Ambiente

Dopo ogni evento alluvionale si torna a parlare della necessità di prevenzione, degli abusi e degli errori che sono stati fatti, di come si dovrebbe e potrebbe fare per ridurre i danni. E la terminologia è spesso inappropriata. Come il riferimento alla “messa in sicurezza” che andrebbe invece sostituito con una più realistica “riduzione del rischio”. La fragilità del nostro territorio, in gran parte montano e collinare, è un dato oggettivo. In questa sede vorremmo soffermarci sugli interventi che potrebbero essere utili a mitigare il rischio dei danni alluvionali. In particolare per quanto concerne la gestione della vegetazione. Proprio a seguito degli eventi che hanno colpito il sud-est del Piemonte nell’autunno scorso, si è riacceso il dibattito. Come gestire quindi gli alberi che crescono spontaneamente negli alvei e sulle sponde dei nostri corsi d’acqua? Ecco allora che si torna a parlare di “pulizia dei fiumi”, altro termine che andrebbe bandito, con cui si intende il taglio di alberi e arbusti in alveo con in aggiunta una significativa rimozione di sedimenti.

Dora alluvioni

Procediamo con ordine: innanzitutto occorre distinguere il reticolo idrografico minore, costituito dai piccoli rii di versante, da quello dei fiumi di fondovalle e pianura. Le caratteristiche sono molto diverse. I primi sono corsi d’acqua con portata modesta o nulla per gran parte dell’anno, i cui alvei, ampi solo alcuni metri, vengono rapidamente colonizzati dalla vegetazione spontanea. Quando si verificano degli eventi intensi il deflusso viene ostacolato dalla vegetazione e la corrente viene deviata causando dissesti con possibili danni anche alle infrastrutture. In questi casi la gestione della vegetazione è indispensabile per garantire la pervietà dei corsi d’acqua e preservare l’integrità del territorio.

Come funzionano i fiumi

I fiumi sono invece ecosistemi complessi. Certo, di grande importanza dal punto di vista ambientale, infatti i fattori in gioco sono molteplici: morfologia, aspetti idraulici e vegetazione. Un esempio? L’effetto che negli ultimi decenni ha avuto il massiccio e diffuso prelievo di sedimenti in alveo in molti fiumi del bacino padano, compresi quelli piemontesi. L’effetto combinato dei prelievi di materiale in alveo e delle opere di difesa ha progressivamente artificializzato i nostri corsi d’acqua rendendoli molto simili a canali. In queste condizioni si innesca un processo di erosione progressiva del fondo dell’alveo, con l’abbassamento anche di alcuni metri, conseguente aumento della velocità della corrente e danni alle infrastrutture, in particolare ponti e opere di difesa. Per contrastare questo fenomeno si sono rese necessarie ingenti opere di manutenzione tra i quali la rifondazione delle pile dei ponti ormai scalzate e in pericolo di crollo. In questi casi la vegetazione spontanea cresciuta negli alvei può costituire un freno naturale alla velocità della corrente e contribuire all’integrità delle opere.

Come intervenire per gestire le alluvioni?

Dora alluvioni

Ecco allora che gli stessi interventi, come il semplice taglio della vegetazione, a seconda dei contesti in cui si applicano possono avere effetti molto diversi. La chiave per attuare una gestione mirata ed efficace è la pianificazione. La Regione Piemonte, supportata da IPLA, con altri partner italiani e francesi, ritenendo fondamentali questi aspetti ha aderito al Programma Interreg Italia e Francia, con il progetto Eau Concert, che si è sviluppato in due fasi successive.

 

La prima, realizzata nel periodo 2013-2015, ha visto la realizzazione in via sperimentale del Piano di Gestione della Vegetazione perifluviale (PGV) del fiume Dora Baltea e del torrente Chiusella, la cui metodologia è poi stata utilizzata per la pianificazione di altri corsi d’acqua: Stura di Lanzo, Dora Riparia, Torrente Belbo, Torrente Orba e Fiume Sesia (in corso di realizzazione).

La seconda, attualmente in corso, ha come obiettivi la realizzazione degli interventi previsti dal Piano di gestione attraverso il miglioramento della vegetazione forestale presente lungo la Dora, l’impianto di circa 5000 alberi e arbusti per formare siepi campestri e contrastare le specie esotiche invasive. Si prevede inoltre la realizzazione di corsi di formazione aperti a studenti universitari, amministratori, tecnici e ditte forestali specializzati nella gestione di questi ecosistemi di grande importanza per la riduzione del rischio idraulico, la conservazione della biodiversità e della qualità delle acque e la promozione di attività turistiche sul nostro territorio.

Ciafela, alla scoperta di una parola piemontese dimenticata

Rubrica a cura di Centro Studi Piemontesi

Ciafela, ciafërla. Parola piemontese, molto dimenticata, per guancia. Di conseguenza abbiamo ciaflù per indicare un viso paffuto; pacioflù, per bimbo (o persona) grasso e paffuto; sgiaf, schiaffo; sgiaflon, schiaffone; sgiaflé, schiaffeggiare. Ma tirabasin è la fossetta sulle guance (Gianfranco Gribaudo, Ël Neuv Gribàud. Dissionari piemontèis, Torino, Daniela Piazza, 1996).

Beni comuni

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Parole rosse di Roberto Placido /  Lo scorso mese di ottobre il Comitato “Stefano Rodotà” per la difesa dei beni pubblici comuni e sovrani ha depositato, presso la Camera dei Deputati, le firme per la proposta di legge di iniziativa popolare

E’ l’ultimo atto di un lungo percorso che parte dal lavoro svolto dalla commissione guidata dal compianto ed indimenticato Stefano Rodotà che terminò e presentò, febbraio 2008, quanto aveva realizzato all’allora Ministro di Grazia e Giustizia Clemente Mastella.

Può sembrare incredibile ma al leader dell’UDEUR (Unione dei democratici per l’Europa) aveva affidato un compito straordinario e mai fatto prima alla commissione di valenti giuristi tra i quali Alberto Lucarelli e Luca Nivarra, presieduta appunto da Stefano Rodotà e dal quale prese il nome con vice Ugo Mattei. Lo straordinario lavoro, che avrebbe dovuto armonizzare e rendere attuali le norme per la gestione dei beni pubblici, si fermò lì in quanto proprio chi aveva affidato il lavoro, Clemente Mastella, fece cadere il, debole, governo Prodi e ritornare in sella Silvio Berlusconi ed il centrodestra. Per superare lo stop Stefano Rodotà ed Ugo Mattei mi proposero quello che per me fu una grande occasione ed un grande privilegio e cioè di rilanciare il testo della commissione ministeriale attraverso la proposta di legge delega al parlamento, prevista dalla nostra Costituzione, da parte di un Consiglio regionale. Con la collaborazione di diversi consiglieri di tutti i partiti si arrivò , con il voto unanime di tutto il Consiglio regionale del Piemonte, ad inviare al Senato della Repubblica la proposta di legge sui beni comuni (ottobre 2009). Scoprimmo così le resistenze e gli interessi che frenavano il lavoro di quanti si occupavano dei beni comuni. Una grande ventata di speranza e di entusiasmo arrivò con il referendum sull’acqua pubblica che vide nuovamente tutti insieme i “benecomunisti” con milioni di italiani che sovvertirono le previsioni dando così uno stop alle speculazioni sulla privatizzazione dell’acqua in Italia.

Sull’acqua e sul mancato rispetto della volontà popolare sappiamo poi come sono andate le cose. (giugno 2011). Si arriva poi al referendum sulle Trivelle per limitare lo sfruttamento indiscriminato e senza limiti delle risorse petrolifere del nostro paese (aprile 2016). Per inciso sia per l’acqua che per le trivelle a Torino ed in Piemonte ci furono dei risultati, in difesa dei beni comuni, superiori alla media nazionale. Per tornare ai giorni nostri, va riconosciuto il merito al Comitato Rodotà di avere riportato all’attenzione il tema dei Beni Comuni e ad un gruppo di parlamentari, principalmente del Movimento cinque stelle, di averlo trasformato in una proposta di legge ordinaria che sta trovando consensi anche tra altri parlamentari di svariati gruppi. Al testo, primo firmatario Giuseppe D’Ippolito, è stato aggiunto un “cappello” preliminare con forte matrice ambientalista. L’obiettivo rimane sempre lo stesso, modificare il libro III° del Codice civile sulla proprietà che parla solo dei beni pubblici e privati per inserire una terza categoria quella dei beni comuni a prescindere dalla proprietà.

Cioè di quei beni il cui accesso deve sempre essere garantito alla comunità. Gli stessi beni vengono poi divisi in tre categorie, dei beni indispensabili come l’acqua, i ghiacciai, infrastrutture strategiche, fiumi ecc. I beni messi a frutto ed i beni che possono essere ceduti. In attesa degli esiti delle due proposte di legge una riflessione su quanto ho scritto sopra e sulle posizioni che ha tenuto la sinistra ed il suo principale partito, i DS (Democratici di Sinistra) prima ed il PD (Partito Democratico) poi si impone. E’ stato un atteggiamento di disinteresse se non di contrarietà. Questo a mio parere è uno dei motivi, non l’unico, che ha determinato l’allontanamento di milioni di elettori e le conseguenti sconfitte elettorali. Se la sinistra vuole riavere un’anima e riconquistare parte del suo popolo quello dei Beni Comuni è una straordinaria opportunità.

Leumann, il villaggio da fiaba alle porte di Torino

Articolo a cura di Somewhere Events & Tour

Entrare al villaggio Leumann, un quartiere operaio voluto dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann, significa fare un salto nel passato, in una quotidianità fatta di rapporti umani e buon vicinato, lontani dal caos della città e dai mezzi di trasporto. Il villaggio si trova sotto il comune di Collegno, alle porte di Torino, ed è stato costruito alla fine dell’Ottocento, splendido esempio di edilizia industriale, trasformata in arte e completamente integrata nel territorio circostante.

Villaggio Leumann, la storia

L’idea appartiene allo stesso Napoleone Leumann, il quale pensò di far costruire un complesso residenziale intorno al suo Cotonificio, grande e prestigiosa azienda dell’epoca, per gli operai specializzati che vi lavoravano. I lavori furono commissionati all’ingegner Pietro Fenoglio, il quale realizzò questo complesso residenziale tra il 1875 e il 1907. Il complesso, in stile liberty, comprendeva una sessantina di edifici divisi in 120 alloggi abitativi e una serie di strutture che rispondevano alle esigenze e necessità degli abitanti/operai. L’imprenditore infatti, era convinto che per avere buoni operai fosse necessario garantire l’istruzione: così nella scuola del villaggio si insegnavano le attività artigianali oltre alla lingua italiana. Vi era anche un asilo di fronte all’ingresso della fabbrica, un servizio rivoluzionario per l’epoca che divenne poi modello anche per la Fiat.

La crisi degli anni ’70

Successivamente alla crisi degli anni ’70, il cotonificio Leumann chiuse e si temette il peggio per il complesso residenziale. Fortunatamente gli immobili divennero proprietà del comune di Collegno che si fece garante della salvaguardia di questo borgo e dell’assegnazione delle case rimanenti secondo le norme dell’edilizia popolare. Dunque attualmente il villaggio è ancora abitato da alcuni operai del Cotonificio Leumann e da un altro centinaio di famiglie a cui sono state assegnate le abitazioni.

I lavori di restauro del villaggio Leumann

Nel corso degli anni sono stati fatti numerosi lavori di restauro che hanno portato alcuni edifici al loro antico splendore, come la stazione d’epoca (la Torino – Rivoli), la Chiesa di Santa Elisabetta in stile eclettico (Leumann ne commissionò la costruzione per i suoi operai, nonostante lui fosse di religione calvinista), la vecchia scuola elementare e tanti altri edifici storici in stile liberty. Inoltre il villaggio è ulteriormente valorizzato dalle numerose iniziative culturali, sociali e ricreative proposte dall’Associazione Amici della Scuola Leumann, un ente no-profit nato per salvaguardare e valorizzare il territorio.

Il villaggio Leumann è un luogo magico dove si respira un’idea diversa di impresa e di relazioni tra gli uomini, operai ed imprenditori; un concentrato di storia, arte, cultura e vita quotidiana.

Un piccolo borgo rimasto intatto per più di un secolo, in cui ci si immerge in un’atmosfera senza tempo!

 

Risotto “dimagrante” a due colori, pronto in un batter d’occhio

Articolo a cura de La Cuoca Insolita

Chi ha detto che per fare un buon risotto ci vuole tanto tempo? La cucina è uno dei luoghi di casa dove, volendo, si possono spendere tante ore, dove si crea più disordine e dove gli oggetti si possono spostare e sporcare tante volte in uno stesso giorno. Ma se si ottimizzano le attività di preparazione, il tempo quotidiano per cucinare piatti buoni, con ingredienti semplici e magari senza troppi conservanti, il gioco è fatto. Questo risotto ne è un esempio. Provatelo: è fatto con riso integrale (leggete sotto le proprietà) e impiegherete meno tempo di quello necessario per preparavi un piatto di pasta in bianco, con mille vantaggi in più!

Tempi: Preparazione (15 min); Cottura (60 min per il riso integrale);
Attrezzatura necessaria: Pentola da 2 L con coperchio, cestello per cottura a vapore, casseruola da 24 cm, minipimer, tagliere e coltello a lama liscia, cucchiaio di legno.

Ingredienti per il risotto

dosi per 4 persone (4 porzioni da 150 g):

Per cuocere il riso integrale:

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Riso integrale – 200 g (500 g da cotto)
Acqua – circa 500 ml
Alga kombu – 2-3 cm
Sale grosso integrale – 1 cucchiaino

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Per il risotto rosa:

Barbabietola rossa precotta – 100 g
Acqua (o brodo se ne avete) – 250 g
Fecola di patate – 2 cucchiaini
Crema di mandorle bianca – 20 g
Timo – 1 ciuffo
Scorza di ½ limone
Olio e.v.o. – 1 cucchiaio
Sale fino integrale di Sicilia

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Per la crema di sedano rapa:

Sedano rapa cotto – 180 g
Latte di soia (o altro latte se preferito) – 120 g
Sale fino integrale di Sicilia

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Difficoltà (da 1 a 3): 1
Costo totale: 2,35 €

Perché vi consiglio questa ricetta?

In questo risotto non si usa il burro, né altri formaggi. E’ quindi adatto anche in caso di allergia o intolleranza al latte e derivati.
Rispetto ad un risotto preparato in modo tradizionale, questo ha il 33% in meno di grassi, l’81% di grassi saturi in meno e il doppio delle fibre.
Secondo la cucina naturale e macrobiotica, il riso integrale ha proprietà dimagranti e non fa alzare velocemente la glicemia perché è ricco di fibre.
La barbabietola è molto indicata per gli sportivi, perché assicura un’ottima resistenza allo sforzo fisico!
Il sedano rapa ha un’azione diuretica e depurativa. Attenzione però: per la presenza di alcune proteine, il sedano rapa è un alimento potenzialmente allergizzante per quei soggetti sensibili e predisposti alle allergie alimentari.

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link:). In caso di allergie… Allergeni presenti: soia (il latte di soia si può sostituire con il latte vaccino o con il latte di canapa), frutta a guscio.

Risotto

Preparazione del risotto

I TRUCCHI PER VELOCIZZARE IL LAVORO

Potete cuocere il riso anche qualche giorno prima e conservarlo in frigorifero fino a 5 giorni. Anche il sedano rapa può essere cotto a vapore 4-5 giorni prima e conservato in frigorifero in un contenitore chiuso. Tenete sempre nella dispensa qualche mandorla già a pezzetti (potrà servirvi per tante ricette diverse).

Fase 1: LA COTTURA DEL RISO

Mettete in ammollo l’alga kombu per 5 minuti in poca acqua. Sciacquatela e mettetela nella pentola con il riso (che avrete nel frattempo sciacquato sotto l’acqua corrente, con l’aiuto di un colino) e il sale grosso. Aggiungete l’acqua nella pentola (in genere il doppio di acqua rispetto al volume del riso) e cuocete, coperto e a fuoco molto basso, per il tempo indicato in etichetta (potrebbe essere anche di 1 h). Lasciate riposare in pentola, chiuso, per circa 40 minuti, in modo che l’acqua eventualmente rimasta sul fondo finisca di essere assorbita dal riso. Se non vi ricordate come cuocere i cereali, andate a vedere anche la ricetta del miglio stufato sul blog (https://www.lacuocainsolita.it/miglio-stufato/).

FASE 2: IL RISOTTO ROSA

Pelate la barbabietola, sciacquatela sotto l’acqua, tagliatela a pezzettini e frullatela con l’acqua o il brodo di verdure caldo. Aggiungete al riso cotto nella casseruola e mescolate, mantenendo il calore moderato. In un bicchiere sciogliete la fecola di patate con un dito d’acqua fredda e poi versate nella padella del risotto. Mescolate subito: in meno di un minuto il brodo liquido del risotto sarà diventato cremoso. Spegnete e aggiungete la crema di mandorle, che andrà a creare la mantecatura che di solito si ottiene con il burro. Non cuocete più, se non volete perdere il colore rosa (più cuoce, più il colore tende ad imbrunire). Aggiungete il sale fino, il timo e la scorza di limone (tenetene una parte per decorare il piatto alla fine).

FASE 3: LA CREMA DI SEDANO RAPA

Pelate il sedano rapa e tagliatelo a dadini piccoli di circa 1 cm. Fatelo cuocere a vapore per circa 5 minuti (deve rimanere morbido). Versatelo nel bicchiere del mixer con il latte di soia, frullate tutto insieme al sale. Dovrete ottenere una crema morbida (non deve essere eccessivamente liquida: all’incirca la densità sarà quella di uno yogurt cremoso).

FASE 4: IL PIATTO FINALE

Versate in ciascun piatto (vi consiglio un piatto fondo) il risotto rosa e ponete al centro 2 o 3 cucchiaini di crema di sedano rapa. Cospargete la superficie con un po’ di scorza di limone e qualche foglietta di timo fresco e condite con un filo di olio e.v.o.

TEMPI DI CONSERVAZIONE

Riso integrale cotto: in frigorifero fino a 5 giorni

Il risotto pronto si può conservare in frigorifero una volta pronto, ma quando verrà riscaldato (meglio se in microonde) potrà risultare un po’ scotto. Potete comunque ravvivarlo aggiungendo un po’ di brodo.

Chi è La Cuoca Insolita?

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Chi è Emanuele Romagnoli, l’organizzatore di Torino Digital Days

Rubrica a cura di ScattoTorino

Sull’home page di digitaldays.it si legge: “Varchiamo insieme la soglia di un nuovo mondo, scopriamo come affrontare le sfide di un futuro che è già iniziato e coglierne tutte le opportunità. Il post digitale è ora e noi ne siamo i protagonisti”. Un vero e proprio manifesto per presentare la mission di Torino Digital Days 2020, l’evento gratuito che si tiene dall’11 al 15 febbraio in varie location della città e che include 90 appuntamenti. Talk, laboratori, eventi, performance, mostre e workshop formano il palinsesto di questa seconda edizione che dalla moda allo sport, dalla mobility all’arte, dal design al food (e non solo) presenta le sfide e le opportunità del mondo digitale. ScattoTorino ha incontrato Emanuele Romagnoli, mente creativa di Torino Digital Days e fondatore di Bonobo Events, l’agenzia di comunicazione che crea eventi in Italia e in Europa e che collabora con Facebook e molti altri colossi dell’economia mondiale. Il suo quartier generale è a Torino e anche lui, come noi, crede nelle potenzialità di questa città e si attiva per farle conoscere.

Emanuele Romagnoli Torino Digital Days

Oltre a Bonobo Events da chi è formato il team di Torino Digital Days?

“La collaborazione con Tandu, Glebb & Metzger e Wacky Weapon è nata in seguito ad una chiacchierata con Federica Toso di Tandu. L’idea di realizzare un festival diffuso sul tema del digital e dell’innovazione ha coinvolto professionalmente ed emotivamente tutti, ed è così che abbiamo deciso di mettere su una joint venture per lo sviluppo del format”.

Torino Digital Days è…?

“Un festival che offre l’opportunità di conoscere o approfondire le dinamiche della filiera del mondo digitale. Si rivolge sia agli operatori del settore, sia agli appassionati ed è un evento diffuso che coinvolge molti soggetti. In questo campo ci sono tante eccellenze che fanno network e durante le diverse giornate possono ampliare la rete dei propri contatti”.

Quali sono i temi dell’edizione 2020?

“Nel 2019 avevamo puntato sul concetto di Digital is real perché era chiaro che il digitale fosse entrato nella vita delle persone. Quest’anno parliamo di Post digitale perché il fenomeno esiste ormai da 30 anni e tutti noi usufruiamo della tecnologia e ne viviamo le conseguenze, sia positive che negative. Chi lavora in questo settore, o chi lo utilizza, sa che bisogna affrontare i cambiamenti digitali in corso. Gli argomenti trattati sono davvero tanti: dal marketing emozionale alla fotogrammetria, dalla realtà virtuale alla casa integrata, dai nuovi social al legame tra food e digital”.

Dove si tiene questo evento diffuso?

“Il format del festival è diverso da quello che era negli Anni ’90, dove tutto si svolgeva in un unico luogo. Le location coinvolte sono numerose. Il 12 e il 13 febbraio Combo ospita il Main Event: si tratta di due giornate dedicate al post digitale, alle sue declinazioni e alle realizzazioni nei diversi settori della società. Le altre sedi – selezionate per le giornate dell’11, del 14 e del 15 – sono Copernico Garibaldi, La Rinascente, Eataly, Toolbox, Mercato centrale, Edit, Circolo del Design e molte altre.

Sul sito ufficiale del festival potete trovare il programma dettagliato di tutte le giornate”.

Chi è il target di Torino Digital Days?

“È un target eterogeneo. Si sono accreditate oltre 5.000 persone e la manifestazione genera interesse sia negli addetti ai lavori sia negli appassionati sia in chi vuole conoscere il mondo digitale. Proprio pensando al pubblico, abbiamo organizzato eventi orizzontali, quindi più fruibili, e verticali cioè dai contenuti altamente specializzati”.

Quali sono i temi del Main Event?

“Il 12 febbraio parliamo di Nuove frontiere e di Movimenti. Partendo dal presente, allarghiamo lo sguardo sullo scenario e sulle prospettive che ci troveremo ad affrontare fino al 2030. C’è anche un focus sulle nuove frontiere del digitale, che esulano dai luoghi e dai Paesi più comuni e riguardano aree geografiche meno note per le loro eccellenze digitali. Cambiamento, come sappiamo, significa nuove opportunità e il digitale ne offre molte nell’ambito del movimento dei corpi, delle idee, delle culture e della comunicazione. I temi del 13 febbraio sono invece Per il tuo bene – ovvero il digitale come impulso per la ricerca scientifica anche in campo medico, con tutti i limiti e i pericoli collegati – e Finalmente liberi che evidenzia come digitale e stile di vita si intrecciano e si legano tra loro, creando nuovi stimoli per il divertimento, le passioni e il tempo libero”.

 Torino Digital Days

Secondo te possiamo ancora fare a meno della tecnologia?

“Non credo perché ormai quasi tutti sono connessi. Penso però che sarebbe utile una pratica di detox e di tutela del suo utilizzo. Chi è nato prima degli Anni ’90 sa cosa vuol dire vivere senza il mondo digitale e quanto sia piacevole una cena o una gita senza il cellulare”.

Torino per te è?

“Con Bonobo Events, l’agenzia che ho fondato, organizzo molti eventi in città e so per esperienza che Torino offre grandi possibilità in tanti settori diversi. Qui le nuove tendenze attecchiscono, anche se negli ultimi anni abbiamo sofferto di scarsa visibilità perché le istituzioni non hanno lavorato in tal senso”.

Un ricordo legato alla città?

“Per me Torino è un’anima incompresa di storia, opportunità e fascino inimitabile. Dopo l’Erasmus a Parigi mi sono reso conto della straordinaria unione di anime che Torino rappresenta, a partire dalla musica, dal patrimonio culturale, da soggetti che creano innovazione…abbiamo davvero tutti gli elementi per essere competitivi. Oltretutto in un contesto con una qualità della vita distintivamente alta, basti pensare alla vicinanza con le Alpi e la Liguria e ad uno tra gli itinerari più famosi a livello mondiale, come le Langhe. Torino è per me posta in un contesto in cui tutto è possibile, se si riesce a guardare oltre l’ostruzionismo che la politica e le istituzioni creano verso chiunque voglia portare idee ed energie. Se in Italia qualcuno riesce ad andare oltre a questo credo possa farcela ovunque, ed è il motivo per cui molti dei miei amici, stanchi di una politica che non fa nulla se non punire e ostacolare, hanno scelto di dedicare il proprio tempo e le proprie energie a progetti al di fuori dei confini italiani. Un gran peccato”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

La Collina Torinese: una perla di biodiversità grazie ai funghi

Articolo a cura di IPLA – Istituto per le piante da legno e per l’ambiente.

La Collina di Torino è da sempre stata il polmone verde della Città, un luogo di elevata naturalità a poca distanza dal centro. Questa commistione tra urbanizzazione e natura è un punto di forza del capoluogo piemontese che è certamente una delle aree urbanizzate più verdi d’Europa. Dal 2016 questa difficile convivenza è divenuta ufficialmente elemento di pregio, in quanto il “Parco del Po e della Collina torinese” ha ottenuto il riconoscimento di “Riserva della Biosfera” all’interno del programma MAB dell’UNESCO. Il Programma “Uomo e Biosfera” (MAB – Man and Biosphere) è un’iniziativa intergovernativa lanciata dall’UNESCO nel lontano 1971. Ha come obiettivo la promozione di un concetto di sviluppo strettamente correlato e collegato alla conservazione degli ecosistemi e della diversità biologica e culturale del territorio.

Biodiversità funghi

Quello del “Parco del Po e della Collina torinese” è il primo caso di proposta e riconoscimento di Urban-MAB in Italia. E cioè un comprensorio naturalistico fortemente antropizzato (oltre un milione e mezzo di abitanti) appartenente a un’area geografica con interessante biodiversità. L’area è ricca di corsi d’acqua, tra i quali domina il fiume Po, colline coperte di boschi e con una presenza di specie di flora e fauna assai vasta e diversificata.

La biodiversità e… i funghi

La biodiversità, grazie alle nuove conoscenze scientifiche acquisite soprattutto nell’ultimo decennio, è divenuto un parametro tanto fondamentale quanto ancora troppo poco conosciuto. E i funghi, al pari delle specie vegetali e animali, sono uno dei tasselli fondamentali della biodiversità. Inoltre rappresentano uno degli indicatori biologici più efficaci per valutare la stabilità e l’evoluzione degli ecosistemi naturali e semi-naturali. Tutto ciò assume importanza ancora maggiore in virtù del cambiamento climatico in atto. Malgrado ciò questi organismi viventi, affascinanti e per certi versi ancora misteriosi, nella maggioranza dei casi quando si eseguono approfondimenti di natura scientifica in un dato territorio non vengono considerati.

 

Il vero patrimonio del pianeta? La biodiversità

La biodiversità, anche se come ricordato costituisce una nozione relativamente recente, è il risultato di circa 3 miliardi e mezzo di anni di evoluzione; è il vero patrimonio del Pianeta e di ciascuno di noi. Alcuni, giustamente, la paragonano a un’assicurazione che garantisce la sopravvivenza della vita sulla Terra, con i suoi equilibri dinamici, con i suoi cambiamenti e le evoluzioni continue. Si stima che sulla terra vivano oltre 1 milione di specie di funghi di cui circa solo 72.000 specie sono ad oggi state classificate e descritte.

Come funzionano i funghi?

Dal punto di vista degli equilibri ecologici, i funghi entrano soprattutto nelle dinamiche legate al ciclo del carbonio. Molte specie hanno la fondamentale funzione di decomporre e trasformare la materia organica, rendendo disponibili ai vegetali nuove sostanze nutritive. Al contempo è proprio a spese di molti vegetali che i funghi vivono e si alimentano. Ciò è vero in particolare le specie parassite danneggiano fino a condurre alla morte i propri ospiti; le specie saprofite, nutrendosi a spese di materia organica “morta”, attivano le fasi di decomposizione, favorendo con ciò il prosieguo e la perpetuazione del ciclo. Ma sono certamente i funghi micorrizici, quelli che si “alleano” con le piante, ad essere i migliori amici delle specie vegetali dalle quali ricevono sostanze nutritive.

La Collina torinese e i suoi Funghi – da Moncalieri a Superga a Casalborgone di Igor Boni

Per colmare questa lacuna di conoscenza Igor Boni, attuale Amministratore Unico dell’IPLA – da sempre esperto di tematiche legate ai suoli e appassionato di micologia – ha prodotto una prima check-list dei cosiddetti “funghi superiori” della collina. Il lavoro di raccolta dei dati è iniziato nell’autunno del 2004 ed è proseguito ininterrottamente per oltre 10 anni nei quali sono stati raccolti e classificati migliaia di esemplari in tutte le differenti aree della collina.

Biodiversità - Copertina libro collina torinese
La copertina del libro di Igor Boni

Dai rari prato-pascoli alle ampie superfici a bosco, dalle aree agricole a quelle ruderali e parzialmente urbanizzate, fino ai numerosi parchi pubblici e giardini. Il risultato del lavoro è stato pubblicato da Daniela Piazza Editore nel volume La Collina torinese e i suoi Funghi – da Moncalieri a Superga a Casalborgone. Nel testo sono riportate fotografie e descrizioni delle 350 specie censite, le quali non rappresentano la totalità delle specie fungine della collina torinese ma sono indubbiamente un corposo elenco di sicuro interesse naturalistico, che potrà (dovrà) essere verificato ed incrementato negli anni a venire.

I funghi più citati?

Tra i più frequenti si citano i funghi appartenenti al genere Russula (39 specie), seguiti dai Lactarius (19 specie), i Cortinarius (18 sopecie) e le Amanita (15 specie). Tra i funghi più ricercati ci sono indubbiamente i porcini (Boletus aereus e Boletus aestivalis), l’ovulo buono (Amanita caesarea) e il re dei funghi, il pregiato tartufo bianco (Tuber magnatum).

L’insieme delle specie che caratterizzano un’area, se attentamente monitorato nel tempo, può fornire importanti informazioni sui cambiamenti in atto. Le fruttificazioni di alcune specie sono infatti tipiche solo di alcuni ambienti con determinate caratteristiche; se tali caratteristiche si modificano alcune specie non riusciranno più a giungere a fruttificazione e altre prenderanno il sopravvento. I funghi inoltre sono ottimi bioindicatori, possono cioè essere utilizzati come indicatori dei processi di evoluzione o di degrado in atto. I funghi micorrizici in particolare sono uno strumento fondamentale per comprendere la qualità biologica del suolo e lo stato di salute delle piante e dell’intero ecosistema. Sulla nostra collina i funghi ci indicano una transizione tra un clima submediterraneo sui versanti esposti al sole e un clima montano sui versanti in ombra. Fruttificano a poche centinaia di metri di distanza specie tipiche della macchia mediterranea con altre caratteristiche di ambienti in quota.

Le ricerche sull’ecologia e sulle correlazioni che intercorrono tra ambiente e biodiversità micologica proseguono e proseguiranno. Ma non vi è dubbio che la Collina torinese, da questo punto di vista, rappresenta una perla da conservare e da conoscere.

L’an-cà-da fé, la parola piemontese che rievoca ricordi e storie

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

L’an-cà-da fé. Letteralmente la casa del fuoco. È il nome piemontese del “primitivo locale adibito a cucina nella Bursch, alta Valle Cervo” (Biella). “Nell’an-cà-da fé si viveva: si cucinava, ci si scaldava e ci si riuniva per le vëgge [le vijà, le veglie] quando si raccontavano e si scambiavano ricordi e storie scaturite dall’immaginifico della civiltà alpina”.

(Tavo Burat-Giorgio Lozia, L’an-cà-da fé. L’antica cucina biellese, Biella, De Alessi, 1989)

Sito ufficiale del Centro Studi Piemontesi

Il pianto del bambino… che suono meraviglioso!?

Articolo a cura di Mamme in Sol 

Ogni mamma lo sa: il pianto è il suono più prezioso che il neonato ha per comunicare, anche se non sempre è facile da interpretare! Fin dai primi mesi di vita il bimbo ci sorprende quando usa il pianto in modo appropriato per dire come si sente, dimostrandoci la sua straordinaria abilità comunicativa già presente alla nascita. Senza entrare in particolari scientifici, è ormai ampiamente riconosciuta la capacità dei neonati di percepire stimoli sonori e musicali già in gravidanza, tant’è che molte delle attività a supporto delle mamme si concentrano su questo tema.

Quali sono le cause del pianto del bambino?

Catapultato nel mondo dei grandi, il bambino riceve da subito una grandissima quantità di informazioni, segni, rumori e stimoli che non è abituato a gestire. L’unico modo che ha per esternare le sue sensazioni è lasciarsi andare a pianti disperati, singhiozzi o lamenti. Il pianto del bambino può mettere a dura prova la pazienza dei genitori, oltre a far venir tanti dubbi, specialmente ai papà e alle mamme alle prime armi. Spesso, infatti, si chiedono se dietro al pianto del bambino si celino capricci o bisogni reali, e non sanno come comportarsi.

Le preoccupazioni dei genitori nascono, il più delle volte, dalla convinzione di non essere abbastanza capaci a “capire” il pianto del loro bambino e le sue diverse sfumature, ma è importante ricordare loro che, con un piccolo aiuto, il gioco è fatto! Non sono soltanto la noia o un carattere capriccioso a generare questo stato di malessere, anzi… i motivi possono essere numerosi. Per questo, può essere utile saper riconoscere i segnali inviati dal bambino

Sai perché piango? Una guida ai diversi pianti del bambino

Un prezioso alleato è il libro di Francesca Borgarello e Agnese Baruzzi Sai perché piango?, che oltre ad essere stato inserito all’interno del progetto “Nati per leggere Torino” del 2019 che interessa i bambini di fascia 0-3 anni, è uno strumento utilizzatissimo nel progetto “Mamme in Sol”. Il libro si presenta come una piccola guida, simpatica e divertente, per aiutare le mamme a riconoscere i diversi tipi di pianto del bambino, trasformando i momenti più critici in occasioni di gioco e affetto.

Sai perché piango?

Che sia fame, paura, sonno o dolore, è semplice trovare il giusto rimedio, soprattutto quando si tratta di “bisogno di coccole”! Attraverso questo libricino tattile e musicale, mamma e bimbo potranno “leggere con il corpo e con la voce” piccole rime per trovare insieme una soluzione! Sai perché piango? è anche una canzone tutta da scoprire sul sito ufficiale delle Mamme in Sol, per ricordarci che, alla fine, con un canto di mamma… passa tutto!

 

MAMME IN SOL

Via Giulia di Barolo 11 – Torino
info@mammeinsol.it
011 7633664 – 3914729388