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La storia dei Savoia, la dinastia più longeva di tutte le casate europee

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Ma quale fu il segreto che permise ai Savoia di trasformarsi da semplici “conti” nei futuri Re d’Italia? Forse più di uno, ma sicuramente furono in grado di creare un utile stato cuscinetto a ridosso dei valichi alpini, che divideva le grandi potenze europee dell’epoca. Gli storici rilevano spesso l’indole guerrafondaia della dinastia sabauda, che non per nulla potrà vantare nel 1700 una delle migliori accademie militari d’Europa. Tuttavia, l’esercito sabaudo era l’esercito di uno stato povero e non poteva certo competere, sul piano militare, con le corone di Francia, di Spagna o d’Austria.

Sarà nell’abile politica delle alleanze che il ruolo del piccolo e povero stato sabaudo sarà cruciale, arrivando addirittura a capovolgere gli esiti delle grandi guerre che attraversavano l’Europa tra il ‘600 e il ‘700. E, il miglior modo di fare le alleanze, allora come oggi, è quello dei matrimoni. I Savoia avevano la capacità di imparentare la loro numerosa prole attraverso matrimoni strategici con gli eredi di tutte le più importanti casate dell’epoca. E non per nulla, le Madame dei Savoia saranno in grado di condurre una propria politica e di governare anche a lungo come reggenti, contribuendo a stabilizzare gli instabili equilibri dell’epoca.

La storia dei Savoia comincia con la Contessa Adelaide

Questa lunga storia, non a caso, incomincia da un matrimonio con una donna straordinaria: la Contessa AdelaideSiamo alla fine del X secolo e, prima di questo matrimonio, i Conti di Savoia non si erano affacciati al di qua delle Alpi. Adelaide si sposa con Oddone, figlio del Conte Umberto di Biancamano, a sua volta figlio di un mitico Beroldo della casa Sassone, capostipite della casata cui sarà assegnata una contea che faceva perno sull’attuale Savoia. La Marca della Contessa Adelaide, invece, tagliava trasversalmente il Piemonte da Ivrea fino ad Albenga, sul mare, tenendo dentro anche i valichi alpini e quindi l’accesso alla Val di Susa. Così i Savoia iniziano ad interessarsi ai territori subalpini. Ma sarà una strada lunga: Adelaide, che morirà centenaria nel 1091, dopo essere sopravvissuta a 3 mariti e 3 figli, lascerà lo stato in un vuoto politico che durerà a lungo. 

I Conti di Savoia, insieme ai Principi d’Acaja, ramo collaterale della famiglia, li ritroviamo già verso la fine del ‘200 e poi con l’epoca degli Amedei tra il ‘300 e il ‘400. Tra tutti, ci piace ricordare Amedeo VI, il Conte Verde, che fu personaggio davvero cruciale. Oggi vi aspetta proprio davanti al municipio, nel monumento commissionato da Carlo Alberto a Pelagio Palagi nel 1830, forse posto lì per ricordare che fu il primo Signore di Torino non solo a riconoscere le leggi comunali, ma a riordinarle tutte in un codice coerente che verrà incatenato a una delle colonne dell’ingresso del Palazzo di Città. 

Da Conti a Duchi, con Amedeo VIII Duca di Savoia

Il passaggio da Conti a Duchi i Savoia lo fecero con un personaggio davvero originale: Amedeo VIII, che nel XV secolo si autonominò Duca ed anche Papa! Ma è solo con il Duca Emanuele Filiberto, che deciderà di spostare da Chambery a Torino la capitale del ducato sabaudo, che si apre la stagione moderna della dinastia. Siamo negli anni ‘60 del ‘500, gli anni in cui nasce per volere del Duca la Cittadella di Torino, fortezza militare all’avanguardia per l’epoca e che segna il passaggio verso Torino Capitale. E proprio con Emanuele Filiberto prima e poi con suo figlio Carlo Emanuele I, i successori e le madame reali Cristina Di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours che Torino incomincia ad assumere l’aspetto che ancora oggi ammiriamo in tante vie del centro storico.

Oltre alla politica dei matrimoni è il momento della politica d’immagine: il territorio diventa rappresentazione del potere e, per stare alla pari con le grandi case europee dell’epoca, Torino si dota di una nuova urbanistica e di una Corona di palazzi (la corona di delizie) utile a far apparire molto più ricco e potente di quanto non fosse, lo stato dei Savoia. Con Carlo Emanuele I nascerà anche quel gusto per il collezionismo che porterà alla raccolta di oggetti d’arte e archeologici, di codici miniati e di armi che sono all’origine del grande polo museale torinese di oggi. Questo patrimonio fa parte integrante della politica d’immagine, rappresentata plasticamente e pittoricamente nei fregi e nelle decorazioni delle varie anticamere della Sala del Trono a Palazzo Reale, vere e proprie immagini utili a impressionare diplomatici e ambasciatori degli stati limitrofi.

Torino metropoli europea grazie ad architetti e urbanisti scelti dai Savoia

Tra il ‘600 e il ‘700 Torino diventa una metropoli europea: cambia volto anche grazie alla capacità dei Savoia di individuare architetti e urbanisti del livello di Guarini e di Juvarra. È la Torino della Madame Reali e soprattutto di Vittorio Amedeo II, personaggio chiave, che si inserisce nella guerra di successione al trono di Spagna – scoppiata nel 1701, cambiando segretamente alleanza e passando da quella francospagnola (a cui era cooptato) a quella Austriaca, grazie alla parentela col principe Eugenio di Savoia Soissons della casa d’Austria. Sono gli anni dell’Assedio e della Battaglia di Torino (1706) in cui le truppe austropiemontesi batteranno il nemico franco-spagnolo. In cambio dell’alleanza con l’Austria, a Utrecht nel 1713, i Savoia acquisiranno così la corona di Re di Sicilia.

Il XVIII secolo si chiude con la Rivoluzione Francese e per i Savoia è l’ora dell’Esilio. Torneranno nel 1815 tentando la difficile e antistorica operazione della restaurazione. Ma i tempi sono cambiati: a Vittorio Emanuele I succederà Carlo Felice che non avendo eredi passerà il potere al ramo dei Savoia Carignano, nella persona di Carlo Alberto. Il Sovrano dovrà gestire il difficile momento di transizione tra l’ancièn régime, ormai sulla via del tramonto, e le richieste popolari. È lui a concedere lo Statuto e ad aderire al progetto delle guerre di indipendenza anche se, tra mille ripensamenti, sarà lui a riplasmare ancora una volta la città, lo stesso Palazzo Reale e ad aprire al pubblico le collezioni riservate un tempo a studiosi o personaggi illustri. Suo figlio Vittorio Emanuele II al termine del complicato periodo delle guerre d’indipendenza si ritroverà così ad essere Re d’Italia. Non saranno anni facili, quelli della monarchia parlamentare, su cui ancora tanti capitoli rimangono aperti, ma certo il XX secolo segnerà la fine del millenario regno dei Savoia. Dopo le vicende del Fascismo e della II Guerra Mondiale, i Savoia verranno esiliati e nascerà la Repubblica Italiana.

 

Una vita di corsa: chi è Giuseppe Tamburino, running motivator

Rubrica a cura di ScattoTorino

Ha 62 anni e sembra un ragazzo. Il suo segreto? La corsa, che è passione e lavoro allo stesso tempo. Con oltre 130.000 chilometri di strada nelle gambe e un cospicuo numero di maratone alle quali ha partecipato, anche con ottimi risultati, Giuseppe Tamburino ha creato diversi progetti – di carattere sociale e non – legati a questo sport: dall’Ecomaretona a Girls Just Wanna Have Run sino a Run&Clean. Tutte iniziative di successo che coinvolgono le persone e legano l’attività sportiva ad aspetti etici mai banali che vanno dalla pulizia del luogo in cui si corre alla sicurezza delle donne runner. Siccome la fatica non gli pesa, Beppe scrive anche sul mensile Correre e racconta storie sulla motivazione, si occupa di team building e con il suo progetto #runningmotivator accompagna nella corsa sia il personale delle aziende sia i singoli. In media si allena 3 volte al giorno per un totale di circa 30 chilometri quotidiani e non è mai stanco perché, dice: “Quello che mi attrae di più è il senso di libertà e condivisione che solo la corsa ci regala”.

Corsa Beppe

Una vita di corsa?

“Ho iniziato 35 anni fa. Era estate e i miei genitori mi avevano mandato in collegio a Paderno del Grappa. Per stare all’aria aperta potevo solo correre in pista, sotto il sole. Così per due mesi mi sono allenato, arrivando a percorrere anche 20 chilometri al giorno. Ho vinto la mia prima gara proprio lì, anche se non avevo ancora capito quanto mi piacesse la corsa. Dopo i 30 anni, a seguito di un incontro fortuito, ho preparato la prima delle mie 27 maratone, tante con un tempo sotto le 3 ore. Devo molto al mio allenatore, Alessandro Rastello, che è stato fondamentale. Ho partecipato ad una serie innumerevole di gare e della maratona di Milano ho un bellissimo ricordo: il mio best time di 2’43” e mia cugina, già malata, che mi seguiva e mi aspettava all’arrivo.  Correre mi ha sicuramente cambiato la vita e reso una persona migliore”.

Cosa significa essere un Running Motivator?

“Ho ideato questa figura 10 anni fa. Non sono un personal trainer o un allenatore, ma una persona capace di portare chiunque dal divano al parco perché, come cita il mio hashtag, #insiemepuoi. Metto la mia esperienza al servizio degli altri e li motivo alla corsa. Essendo empatico, quando mi alleno con qualcuno lo ascolto e creo un rapporto vero. Inoltre, avendo partecipato a tante manifestazioni sportive e avendone create a mia volta parecchie, ho percorso migliaia di chilometri con la gente che mi ha regalato la propria storia, che uso come proprietà transitiva. Se uomini e donne con problemi personali gravi hanno trovato nella corsa una motivazione per cambiare la loro vita o comunque migliorala, può farlo chiunque. Oggi si rivolgono a me circa 300 persone e si tratta sia di aziende come Europe Assistance o Shiseido, sia singoli individui che amano il running o vogliono dedicarsi alla corsa. Io li motivo, li preparo, ma quando hanno raggiunto l’obiettivo lascio che procedano da soli e tanti hanno anche partecipato a delle maratone. Tra chi corre solamente, la maggioranza sono donne: ammiro la loro determinazione e la capacità di mettersi alla prova”.

Tra i tuoi progetti di successo c’è stata l’Ecomaretona

“Nel 2008 ho creato ed organizzato quella che è stata la più lunga corsa a tappe in favore dell’ambiente e dello sport pulito, che ha coinvolto centinaia di associazioni sportive e tanti appassionati. L’evento ha avuto un grande successo ed ha contato 5 edizioni: la prima da Ventimiglia a Reggio Calabria, la seconda nel 2009 da Reggio Calabria a Trieste, nel 2010 in Sardegna e in Sicilia, nel 2014 da Ventimiglia a Reggio Calabria e nel 2015 da Trieste a Ventimiglia. I giorni di corsa sono stati circa 300 per un totale di 40.000 partecipanti. Ogni giorno, con il team, cambiavamo posto, incontravamo persone e inviavamo il reportage ai media partner che erano Radio2, Radio Montecarlo e la rivista Correre. Per me è stata un’esperienza unica condividere questa passione con tutti coloro che ho incontrato lungo le diverse tappe. Per questa attività ho ricevuto, e ne sono molto orgoglioso, due medaglie dal Presidente della Repubblica”.

Cos’è Run&Clean?

“Il progetto unisce la corsa con l’attenzione all’ambiente. In pratica invito i runners, ma anche chi cammina, a raccogliere lattine, bottiglie e ciò che trova sul proprio percorso. Basta avere con sé un sacchetto, dei guanti protettivi e buona volontà. In Italia ci sono 7 milioni di persone che corrono ogni settimana. Se tutti aderissero all’iniziativa avremmo parchi, sentieri, vie e spiagge più pulite. L’esempio è più importante delle parole, per questo mi impegno in prima persona e metto faccia e gambe in ogni mia idea”.

Un’altra bella iniziativa è Girls Just Wanna Have Run

“Si tratta di un progetto gratuito dedicato alla sicurezza delle donne che corrono, ma desidero che a parlarne sia Margherita Cavaglià, che è l’ideatrice”.

Margherita Cavaglià (che abbiamo raggiunto al telefono) spiega: “Ho sempre fatto agonismo di canottaggio e il fiume e il parco del Valentino li ho vissuti tanto poi, 3 anni fa, sono stata aggredita mentre stavo correndo alle 3 del pomeriggio. Mi sono spaventata e ho smesso di correre per 2 anni, optando per la palestra. Nel dicembre del 2019 ho deciso di ricominciare e ho cercato dei gruppi, ma non ho trovato nulla dedicato alle donne, così ho pensato di crearlo io. Mi sono rivolta a Beppe, che ha accettato con entusiasmo di unirsi all’iniziativa. Girls Just Wanna Have Run, che riprende il titolo di una famosa canzone di Cindy Lauper, organizza uscite che sono anche dedicate alla sensibilizzazione e all’informazione.  Con noi c’è Diletta Gasperoni che è una personal trainer ed insegna degli esercizi a corpo libero per migliorare la postura e la muscolatura. Il progetto, che sta riscuotendo l’interesse di possibili sponsor di abbigliamento sportivo, è replicabile ovunque e ha grandi ricadute sul territorio. Al momento, senza pagare sponsorizzazioni su Facebook, la pagina conta circa 600 iscritte e vorremmo creare un gruppo a livello nazionale ed inserire dei corsi di sicurezza: dall’uso dei fischietti ai consigli pratici – come ad esempio non ascoltare la musica che attenua la percezione dei rumori circostanti – all’importanza di correre insieme per non essere un bersaglio dei molestatori”.

Corsa Beppe Beppe, Torino per te è?

“Se avesse il mare sarebbe il top! È comunque un luogo bellissimo in cui vivere, anche se ha perso lo spirito imprenditoriale che aveva ai tempi della Fiat. Oggi ci sono molte startup e tante iniziative importanti, ma manca un progetto di business a lungo termine. Forse dovremmo chiederci cosa vogliamo fare da grandi”.

Un tuo ricordo legato alla città?

Nel 2006 ho organizzato per Samsung il viaggio della fiamma olimpica che da Roma è arrivata a Torino attraversando l’Italia. Ho gestito il budget e l’idea nella sua totalità, vincendo una gara a livello mondiale. Per giorni ho corso e condiviso la stessa passione con le circa 250 persone, tutte fantastiche, che facevano parte del gruppo: insieme abbiamo fatto 10.500 chilometri passando anche per la Sicilia e per la Sardegna e abbiamo coinvolto 11 milioni di italiani. Con noi c’era una carovana di 16 mezzi che includeva anche Radio2 e due postazioni di dj che cambiavano la musica in base a chi incontravamo lungo il percorso. Ricordo ancora l’emozione, quando siamo arrivati a Torino, nel veder scendere le persone dai carri e baciare il suolo. È stata un’esperienza unica e di grande responsabilità che, una volta conclusa, mi ha lasciato un vuoto incredibile e mi ha portato a organizzare l’Ecomaretona”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

L’impatto degli inquinanti dell’aria sulle foreste e le loro funzioni

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le Piante da Legno e per l’ambiente

Sul finire del secolo scorso grande risalto ebbero i danni causati alle foreste, in particolare del centro Europa, dalle cosiddette “piogge acide”, rese tali a causa dell’immissione in atmosfera di anidride solforica dovuta al largo utilizzo di combustibili fossili.

Le preoccupazioni per le foreste

Oggi a preoccupare di più sono le notevoli masse di emissione di anidride carbonica (CO2) che rappresentano uno dei più urgenti problemi ambientali, giacché aumentano “l’effetto serra” con il conseguente riscaldamento generalizzato della terra. Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dall’eccesso di ozono. Il danno sulle piante in questo caso è correlato alla sua concentrazione in atmosfera e all’assorbimento delle foglie. Nello specifico la sua fitotossicità inibisce la fotosintesi clorofilliana danneggiando l’assorbimento di nutrienti. Con concentrazioni di ozono elevate si stima una riduzione dell’attività fotosintetica fino al 15%.

Il ciclo del carbonio

Negli ecosistemi terrestri il ciclo del carbonio permette di assorbire CO2 consentendo ai boschi di diventare “serbatoi di carbonio”. Se si favoriscono gli assorbimenti degli ecosistemi, maggiore sarà la quantità di carbonio fissata a lungo termine nella biomassa e nel suolo e minore sarà l’impatto delle emissioni in atmosfera.

foreste

Il protocollo di Kyoto e i successivi accordi internazionali impegnano i Paesi a ridurre le emissioni che provocano l’effetto serra e ne regolamentano la contabilizzazione secondo un mercato ufficiale che è l’ETS (Emission Trading System). Esiste inoltre la possibilità di scambiare “crediti di carbonio” nel cosiddetto mercato volontario in cui individui, società e organismi pubblici comprano crediti per mitigare le loro emissioni derivanti da produzioni industriali, trasporti, produzione di energia e altre fonti. Fra i vari progetti, oltre a quelli più diffusi nel campo delle energie rinnovabili, vi sono anche quelli in ambito forestale.

 

L’Ipla e lo studio delle foreste piemontesi

È in tale ottica che l’Ipla, a partire dagli anni 2000, per conto della Regione Piemonte, è impegnata in attività di studio e di monitoraggi finalizzati all’identificazione di tecniche di gestione delle risorse naturali (boschi e impianti per l’arboricoltura da legno) e alla contabilizzazione del carbonio in vista di un mercato regionale dei crediti. L’Ipla ha stimato che nelle foreste piemontesi (quasi 1 milione di ettari), considerando le piante e i suoli, per ogni ettaro ci siano circa 600 tonnellate di anidride carbonica stoccata, di cui oltre 200 nelle radici e nei fusti delle piante.

D’altro canto studi recenti hanno dimostrato che concentrazioni elevate di ozono possono ridurre la produttività delle foreste fino al 50%, con conseguente impatto sulla capacità delle stesse di immagazzinare l’anidride carbonica. Stiamo parlando infatti di sistemi complessi, nei quali le variabili sono molteplici e le correlazioni tra loro sono molto numerose e altrettanto complesse. Ciò premesso, è evidente l’importanza di studiare l’impatto che l’ozono può avere sulle piante e sugli ecosistemi forestali quali fornitori di servizi.

Mitimpact, il progetto di UniTO in collaborazione con Arpa e Ipla

A tale proposito, il Dipartimento di Economia e statistica dell’Università degli Studi di Torino, nell’ambito del progetto Mitimpact, in collaborazione con l’Arpa e l’Ipla, sta definendo una metodologia che permetta di stimare gli impatti dell’ozono sugli ecosistemi da un punto di vista economico.

foresteSiccome la sensibilità delle specie forestali è diversa, uno studio parallelo condotto dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, fornirà scenari futuri su come la vegetazione si trasformerà adattandosi ai cambiamenti climatici. Si prevede quale sarà la risposta complessiva delle foreste in un quadro di progressivo innalzamento delle temperature, riduzione delle precipitazioni e aumento delle concentrazioni di alcuni inquinati dell’aria come l’ozono, favoriti dalla luce e dal calore.

Di tutto questo se ne è discusso durante un importante incontro con Corinne Le Quéré, Alto Commissario per il clima nominato dal governo francese, organizzato a Nizza lo scorso 2 febbraio dal Conseil Départemental. Corinne Le Quéré, che è anche Direttrice del Tindall Centre per la ricerca sui cambiamenti climatici e reggente della cattedra per i cambiamenti climatici all’Università Est Anglia, è una climatologa di fama mondiale che ha fornito validi spunti su come proseguire la ricerca in questo campo. Le nostre foreste, apparentemente statiche, sono in realtà in continua trasformazione, sia per le naturali dinamiche ecologiche sia per le modificazioni ambientali che stanno subendo.

“Esageroma nen!” Qual è il significato di quest’espressione?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Esageroma nen! La traduzione letterale è “non esageriamo”, ma il senso profondo, caro a Norberto Bobbio, è la coscienza “dei propri limiti e la conseguente diffidenza per chi siede a scranna”. Una sorta di naturale understatement dell’”homo pedemontanus”: “laborioso, leale, probo, di poche parole, riservato nell’espressione dei suoi sentimenti, misurato nei gesti, obbediente, ma non servile…”.

[vedi: RENZO GANDOLFO, Conoscenza – e coscienza – attuale del
passato piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2019 (terza ristampa)]

Cinema e Food, un rapporto «insaziabile»!

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Che cosa lega il Cinema al Cibo? Al giorno d’oggi siamo abituati ad andare al cinema e gustare pop corn e dolciumi vari, a cenare in compagnia delle pay TV, a rilassarci davanti al nostro film preferito o all’ultima novità, con qualche golosità da sgranocchiare. Ma il cinema non accompagna solo il cibo: c’è un rapporto molto più stretto e profondo tra la settima arte e l’alimentazione.

Cinema e Food, così diversi ma così simili

Così diversi, eppure così simili: nel cinema, come nel cibo, proiettiamo i nostri desideri e le nostre paure. Sia cinema che cibo sono pietre miliari della comunicazione sociale e dello sviluppo relazionale: il primo appuntamento romantico ufficiale avveniva in passato proprio al cinema oppure a cena. Sullo schermo, come in cucina, l’evoluzione nasce sempre dalla sperimentazione. E questi sono solo alcuni termini che ritroviamo in entrambi i settori: “pizza” è il nome in gergo della pellicola; è di uso comune l’espressione “cucinare un film” o “dare in pasto agli spettatori”, spesso una creazione cinematografica può essere definita “pesante”, “indigesta” o “sciropposa”.

Perché il cinema e il cibo sono così legati tra loro?

In quale modo cinema e cibo si sono così legati nel tempo? Tutto ebbe inizio nel 1895, in uno dei primi lavori dei fratelli Lumière intitolato Le répas de Bebè, dove venne ripresa una delle scene di vita familiare più intime: un bambino imboccato dai genitori. Il cibo non a caso diventa protagonista dello schermo a partire dalle prime pellicole.

Le battute di numerosi film, dove il cibo è il vero protagonista, sono ormai entrate nel linguaggio di tutti i giorni. Come dimenticare la scena di Un americano a Roma (1954), dove Nando Mericoni (Alberto Sordi), estenuato dalla dieta americana, minaccia un piatto di pasta per poi avventarsi su di esso.

Ci troviamo nell’Italia degli anni ’50, dove sta dilagando il mito della cultura americana e tutto – modi di vestire, di parlare e di mangiare – sembra adeguarsi al modello oltreoceano. In questo caso la pasta è la rivincita del modo di vivere italiano su quello straniero: il protagonista del film arriva addirittura a sostituire il termine italiano “bucatini” al dispregiativo americano “maccaroni”, ma non può resistere alla loro bontà!

Cinema e food, altri esempi di questa relazione duratura

Stessa voracità, causata da differenti circostanze, è quella che spinge i personaggi di Miseria e Nobiltà (1954) ad assalire un piatto di vermicelli al pomodoro. Il film, ricordato per la scena degli spaghetti mangiati con le mani e messi in tasca, è l’emblema di Totò, maschera della fame del cinema italiano per eccellenza. Il piatto verace e popolare che viene mangiato senza dar conto alle buone maniere, in questo caso, rappresenta l’antico rituale che lega uomo e cibo, come riempimento ed appagamento. Dietro alla pittoresca immagine ripresa dal “mangiamaccheroni” napoletano, oltre alla rappresentazione della fame vera, c’è anche una grande rivincita: quella della creatività contro la sfortuna.

…ma anche cinema e dolci!

Film più recenti invece vedono come protagonisti i dolci, in particolare il cioccolato: La Fabbrica di Cioccolato del 1971 interpretata da Gene Wilder ha avuto un remake a firma Tim Burton nel 2005. A vestire i panni del proprietario della fabbrica di dolci più famosa al mondo nella nuova versione è Johnny Depp. Uno dei momenti clou è la visita alla fabbrica: un mondo sognante popolato di dolci di ogni tipo, dove c’è una sorpresa golosa ad ogni angolo come la cascata di cioccolato.

Un altro esempio famoso dello stretto legame tra cinema e food è Chocolat (2000). La cioccolataia più conosciuta del grande schermo ha il volto dolce e sensuale di Juliette Binoche. Chi non ha sognato almeno una volta di mangiare il cioccolato di Vianne Rocher e restare rinchiuso per una notte nella sua bottega?

E voi conoscete altre scene celebri in cui il cibo è il vero protagonista?

 

Chi è Laura Cosa, co-founder e CEO di Impact Hub Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino

Non è un coworking nel senso tradizionale, ma un laboratorio per l’imprenditoria che punta su un ecosistema di risorse, opportunità di collaborazione e stimoli per aumentare l’impatto positivo generato sulla società. Fondato da 8 “pionieri” che credono nelle potenzialità di Torino e hanno voluto riportare il modello internazionale già esistente anche all’ombra della Mole, Impact Hub Torino sorge in piazza Teresa Noce 17d negli spazi della ex fabbrica di cavi elettrici Incet. Un quartiere che si sta appropriando di una nuova identità anche grazie a questo luogo in cui hanno sede alcuni dei principali attori dell’open innovation locale. ScattoTorino ha incontrato Laura Cosa, Co-founder e CEO di Impact Hub, che ci ha raccontato qual è il format di questa community che conta 102 sedi tra Europa, Nord e Sud America e oltre 16.000 iscritti. Dopo la laurea cum laude in Finanza conseguita presso l’Università degli Studi di Torino e due esperienze di studio all’estero, in India e in Cina, Laura ha lavorato nel settore della microfinanza, è stata responsabile dello sviluppo di progetti in Italia, Europa e Africa della ONG francese PlaNet Finance (oggi Positive PlaNet) guidata dall’economista Jacques Attali e nel 2013 ha conseguito il diploma di Certified Expert in Microfinance presso la Frankfurt School of Finance & Management.

Impact Hub TorinoCos’è Impact Hub?

“È una rete internazionale, una community di innovatori sociali. Ovvero di spazi che ospitano imprese, investitori, startup, organizzazioni, enti, associazioni e liberi professionisti accomunati dalla volontà di generare un impatto positivo sull’ambiente, sulla società e sul territorio. Ogni sede è interconnessa a livello locale e mondiale per cui possono nascere relazioni professionali sia legate al contesto in cui si opera sia di più ampio respiro”.

Impact Angels invece?

“Si tratta di una membership esclusiva per i Business Angels “ad impatto” cioè quegli investitori che sono interessati ad un target che sviluppa progetti imprenditoriali volti alla sostenibilità e che hanno la possibilità di incontrare delle startup ad alto impatto sociale che vengono selezionate dal nostro network. L’obiettivo è facilitare le relazioni tra questi due protagonisti del mercato che sono connessi tra loro”.

Ci presenti Angels for Women?

“Il club è composto da donne che sostengono l’imprenditoria femminile. In questo caso, così come con gli Impact Angels, siamo guidati dall’obiettivo di portare un cambiamento anche culturale nelle modalità di fare impresa. Oggi purtroppo si tratta di nicchie di mercato, ma l’idea è che in futuro diventino lo standard”.

 

Da chi è composto il team torinese?

Quando abbiamo iniziato eravamo otto giovani che avevano studiato economia, ciascuno con declinazioni professionali diverse e complementari: Marilù Sansone, Davide Moletti, Alessandro Amelotti, Alessandro Straffolino, Alessandro Cappellini, Laura Casale, io e Paolo Russo, che è anche il Presidente. Ci conoscevamo già dai tempi dell’università e dell’AIESEC, l’associazione studentesca internazionale che ha valori affini ai nostri. Oggi Marilù ed io siamo operative full time, mentre altri tre co-founder ci supportano in base alle loro competenze. Abbiamo inoltre dei collaboratori e dei tirocinanti dell’Università di Torino. Per loro è una bella opportunità perché il nostro è un mondo lavorativo diverso da quello tradizionale e infatti abbiamo avuto dei feedback positivi da parte di molti, che hanno definito quella con noi un’esperienza illuminante. Oltre ai fondatori abbiamo una compagine societaria aperta ad altri investitori del territorio che hanno deciso di far parte del progetto e che si occupano di innovazione con un ruolo attivo”.

Quali sono i plus di una struttura fluida come la vostra?

“Questo è un contesto professionale aggregativo perché grazie al coworking è possibile fare networking, trovare delle opportunità di business e confrontarsi quando si lancia un prodotto o un servizio nuovo avendo dei riscontri diretti e immediati. Anche noi di Impact Hub creiamo momenti di incontro e confronto grazie a degli eventi mirati. Di recente, ad esempio, il Relationship Manager di LinkedIn ha tenuto un corso di formazione sul personal branding. Inoltre organizziamo workshop gratuiti con esperti e trattiamo temi come l’innovazione e l’importanza di fare impresa e abbiamo degli strumenti che mettiamo a disposizione dei membri come i programmi di accelerazione e una serie di opportunità agevolate tramite i partner del territorio”.

Impact Hub TorinoChe cos’è la Global Community App?

“Si tratta di una piattaforma virtuale che connette gli oltre 16.000 Hubbers del mondo in cui gli iscritti possono chattare, far parte di gruppi tematici e creare connessioni professionali”.

E l’Impact Hub Passport?

“Chi fa parte della nostra rete può utilizzare gratuitamente, fino a 3 giorni all’anno, una postazione in una delle 102 sedi. Gli iscritti hanno gli stessi valori di condivisione, apertura mentale e professionale e spesso succede che si creino delle sinergie tra loro. In ottica di condivisione, ogni anno il network organizza due gathering: un incontro con i fondatori di Impact Hub di tutto il mondo che si tiene ogni volta in una città diversa; c’è poi un secondo meeting a livello europeo”.

Avete stretto una partnership con l’aeroporto di Torino. Di cosa si tratta?

“Da diverso tempo l’aeroporto ragiona su come trasformare il proprio spazio per essere più funzionale per i viaggiatori e tra i progetti aveva la creazione di location per riunioni o per il business. In questo periodo stiamo esplorando se la partnership funziona perché, dopo la prima fase di indagine sul campo, abbiamo attivato una sala riunioni che era già presente in aeroporto e ne stiamo monitorando l’utilizzo. I risultati sono interessanti e le grandi aziende che hanno manager che si spostano in Europa organizzano qui i meeting. Tra i plus ci sono il parcheggio gratuito e il fast track per accedere più velocemente all’area imbarchi”.

Impact Hub TorinoQuali eventi avete in calendario?

“C’è un palinsesto fisso con dei format che organizziamo con regolarità. Si tratta di incontri per la community: dai workbench mensili gratuiti per gli Hubbers e per gli esterni ai momenti di networking come la Sexy salad: un pranzo dove ognuno porta del cibo e vengono invitati ospiti speciali che presentano il loro progetto, se di valore per il gruppo. A marzo terremo un secondo corso per Business Angels che si svolgerà in 5 serate e interverranno esperti che affronteranno ognuno un tema specifico: da quello giuridico-fiscale alla scelta dell’investimento giusto”.

Fuckup Nights significa?

“È un format innovativo e internazionale nato in Messico ed esportato in più di 300 città. Si tratta di serate informali dove si raccontano storie di fallimento professionale perché tutti ci siamo passati e spesso i migliori successi sono figli di errori. Le storie possono essere di ispirazione, motivazione e condivisione e servono per aiutare gli altri. Tra gli ospiti abbiamo avuto Paola Gianotti, che nel 2012 ha dovuto chiudere l’azienda e si è reinventata decidendo di fare il giro del mondo in bici per battere il Guinness World Record come donna più veloce ad aver circumnavigato il globo. Altri protagonisti sono stati Fabio Zaffagnini geologo e imprenditore che ha fondato Rockin’1000 e Trail Me Up, Augusto Coppola managing director del programma di accelerazione per startup Luiss EnLabs, Francesca Corrado fondatrice della Scuola del fallimento, Alfredo Carlo founder di Housatonic e Gregorio Caporale imprenditore e socio della digital factory torinese Synesthesia. Il prossimo appuntamento è entro giugno e troverete le informazioni su torino.impacthub.net”.

Torino per te è?

“Durante l’università ho fatto delle esperienze all’estero e successivamente ho lavorato a Milano, ma sono tornata a casa perché Torino è l’ideale per creare una realtà di questo tipo. Prima di aprire Impact Hub ci siamo chiesti se avesse senso farlo e la risposta è stata sì perché questa è una città dalle dimensioni perfette per il proliferare delle iniziative dal basso. Abbiamo scelto un quartiere in via di riqualificazione perché ci piace far parte della trasformazione torinese che da città industriale diventa un luogo che punta sull’innovazione”.

Un ricordo legato alla città?

“Nel 2014 siamo partititi con l’idea di portare Impact Hub a Torino e abbiamo cercato una location. All’inizio non è stato facile, ma poi siamo approdati al progetto di riqualificazione della fabbrica di cavi elettrici Incet, che era in disuso, completamente degradata e la piazza di fronte al nostro spazio addirittura non esisteva. Abbiamo seguito tutte le fasi evolutive e oggi, quando entro nella nostra sede, ricordo lo stato di desolazione in cui versavano gli oltre 10.000 metri quadri e sono contenta che, anche grazie a noi, ci sia stato un rinnovamento. Abbiamo compiuto da poco il secondo compleanno e abbiamo voluto festeggiare per restituire ciò che abbiamo fatto in questo periodo, sottolineare cosa siamo e cosa vogliamo fare per il prossimo anno”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

 

 

Proteggere il suolo per proteggere ciascuno di noi

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per le piante da legno e per l’ambiente

In passato gran parte dei centri abitati erano costruiti con l’accortezza di salvaguardare le terre migliori per la produzione di alimenti. Oggi non è più così, ed è per questo che abbiamo davanti la necessità di rimettere al centro le potenzialità intrinseche dei suoli e di fornire la giusta attenzione a tutti i fattori produttivi in agricoltura, compresa ovviamente la disponibilità d’acqua.
In questo senso ci aiuta la Strategia tematica sulla protezione del suolo, approvata dall’Europa nel settembre 2006, che individua le otto minacce che incombono sui suoli e indica la strada da seguire a Stati e Regioni dell’Unione. Tra le minacce individuate l’impermeabilizzazione è certamente quella più pericolosa per i suoli italiani e piemontesi. Altre minacce, comunque assai rilevanti per i nostri territori, sono l’erosione, la perdita di sostanza organica, l’inquinamento, l’acidificazione e la compattazione, nonché la salinizzazione in alcune aree costiere italiane.

suolo IPLALe funzioni “pubbliche” svolte dal suolo

Il suolo, anche se di proprietà privata, svolge funzioni pubbliche: facilita il ricarico delle falde, fissa il carbonio organico, regima le acque di precipitazione, filtra gli inquinanti, ospita gran parte della biodiversità della Terra. Quando un suolo viene impermeabilizzato (cementificato) si configura quindi un danno ambientale alla comunità.
Secondo l’ISPRA nazionale, oltre il 7% del territorio italiano è ormai impermeabilizzato; alcune regioni raggiungono il dato preoccupante del 10% di territorio che non è più utilizzabile per fini produttivi a causa della “cementificazione” ma, se consideriamo solo le aree di pianura, le più produttive, il dato è notevolmente maggiore. In Piemonte tra il 7% e l’8% dell’intero territorio regionale è stato ormai consumato.

L’IPLA e l’analisi del suolo piemontese

l’IPLA, dalla sua nascita, rileva, studia e analizza i suoli piemontesi, producendo cartografie alle diverse scale e, su mandato regionale, proposte di razionale pianificazione del territorio capaci di conservare il più possibile la risorsa per le generazioni future. Tutti i dati rilevati sono messi a disposizione degli utenti, degli esperti, dei funzionari ma anche dei semplici cittadini a questo link.
suolo IPLA Piemonte
Tra gli strumenti prodotti ve n’è uno in particolare utile per definire quali siano i suoli a maggiore valore produttivo a livello agro-silvo-pastorale: la Capacità d’Uso dei Suoli. Con questa metodologia le centinaia di suoli diversi dell’intera regione sono raggruppati in 8 classi, dalla 1 (la classe migliore) alla 8 (la classe peggiore). Da questa cartografia si evince come sia proprio sulle migliori classi di capacità d’uso (dalla 1 alla 3, classi tipiche della pianura) che si è sviluppato il consumo di suolo. Quindi già oggi il danno che è stato prodotto è assai rilevante e ormai irreversibile. La Capacità d’uso dei suoli non è l’unico strumento ma certamente è una delle metodologie principali per misurare il valore della risorsa al fine di utilizzare la leva economica e fiscale nella protezione delle “terre migliori”. 
Nelle politiche di pianificazione urbanistica, occorre infatti trovare un legame stretto che sappia mettere in relazione il consumo della risorsa suolo con il suo valore economico; occorre cioè pagare il danno che si produce alla collettività per facilitare politiche di compensazione in base alla qualità del suolo che viene eliminato o danneggiato. Se si creasse questa connessione stretta tra “importanza del suolo” e “valore del suolo” faremmo finalmente passi avanti che potrebbero essere realizzati se il nostro Paese approvasse una legge sulla protezione del suolo che ancora non ha, malgrado da anni vi siano lodevoli tentativi in tal senso.

Merco scuròt, il Mercoledì delle Ceneri in piemontese

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Merco scuròt. Tutti, forse, sanno che passato il martedì grasso, le feste e i bagordi di Carnevale, il giorno dopo, Mercoledì delle Ceneri, ha inizio il tempo di Quaresima. Quel mercoledì in piemontese è il merco scuròt, il mercoledì “scuro”: ad indicare il grigiore delle Ceneri e l’inizio di un periodo di morigeratezza.

 

“Orchestra di Coccole”, un libro per giocare e divertirsi

Rubrica a cura di Mamme in Sol

La musica è il linguaggio delle emozioni: accompagna e connota affettivamente i momenti più delicati e intensi che mamma e bambino condividono nella loro quotidianità. Questo è l’intento con cui ha preso forma il nuovo libro musicale di Francesca Borgarello, “Orchestra di Coccole”: creare una colonna sonora che accompagni i momenti più intimi di questa relazione così speciale, facendo muovere al bambino i suoi primi passi in un universo ricco di stimoli della musica.

Orchestra di Coccole, giocare e divertirsi con la musica

Nato come proseguimento ideale del percorso di condivisione musicale fra genitori e bambini iniziato da Mamme in Sol, Orchestra di Coccole è un libro ricco di sorprese sonore per far divertire, emozionare e giocare mamme papà e bimbi! Ogni pagina è dedicata ad un momento intimo, ad una coccola che mamma e bambino si scambiano… e a ognuno di questi momenti è associata una musica a tema. 

Orchestra di Coccole libro

Dieci nuovissimi brani guidano genitori e bimbi attraverso attività musicali che li stimolano a trascorrere insieme del tempo di qualità; c’è una canzone per accompagnare il risveglio mattutino e portare il buonumore, una per giocare a nascondino, una per farsi il solletico sulle note di Rossini, un delicato valzer da ballare stretti alla mamma, una dolce filastrocca dedicata al papà, una ninna nanna per cullare i piccoli…

10 brani per guidare genitori e bimbi

I brani sono vari e coinvolgenti, ricchi di fantasia e di emozioni. Ogni canzone permette all’adulto di memorizzarla facilmente, ma lascia spazio alla possibilità di essere modificata, per renderla personalizzata e divertente. Accompagnano le varie pagine piccoli dialoghi tra adulto e bimbo, da poter leggere ai piccoli, e che hanno la funzione di lasciare spazio alla fantasia e alla parola, da arricchire con la musica e il canto.  Parole e musiche sono accompagnate dalle bellissime e coloratissime illustrazioni di Giuditta Gaviraghi, che rappresentano momenti di vita quotidiana del mondo degli animali: anche qui la mamma e il suo cucciolo condividono gioco, divertimento e tenerezze!

Con le 10 canzoni nel CD allegato – ma anche scaricabili sul proprio cellulare grazie al QR code! – i balli e i giochi continuano anche fuori dal libro, per una vera orchestra di coccole!

Dove e quando

Orchestra di Coccole: laboratorio musicale di presentazione
Con l’autrice Francesca Borgarello

Venerdì 21 febbraio ore 17.00
Mamme in Sol, via Giulia di Barolo 11 – Torino
info@mammeinsol.it – 3914729388

 

Torino e il Cinema, una storia d’amore che ha radici molto profonde

Rubrica a cura di Somewhere Tour & Events

Il capoluogo piemontese si è aggiudicato un nuovo importante riconoscimento. Dopo essere stata nel 2018 la capitale indiscussa del cibo, Torino sarà Capitale del Cinema 2020: una grandissima soddisfazione per la nostra città, da sempre legata all’arte in tutte le sue forme.

Sono passati 20 anni dal 20 luglio 2000, giorno in cui il Museo Nazionale del Cinema apre al pubblico nella rinnovata sede della Mole Antonelliana, con il suggestivo allestimento di François Confino. nello stesso giorno viene costituita Film Commission Torino Piemonte, con lo scopo di promuovere Torino de il Piemonte quali location cinematografiche e televisive.

Quest’anno, in occasione di questo doppio ventesimo compleanno, la città di Torino celebrerà il suo profondo rapporto con la Settima Arte mettendo in luce la varietà di enti, associazioni, istituti e laboratori che la contraddistinguono come eccellenza nel panorama cinematografico nazionale ed europeo. Nasce così «Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno», un progetto di Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino, media partner Rai.

Torino e il cinema, una lunga storia alle spalle

Torino e il Cinema

Torino e il cinema sono legati da una lunga storia che affonda le radici nel passato: risale alla fine dell’Ottocento, quando i fratelli Lumière allestirono in città la prima proiezione italiana. Questo legame si concretizza nel presente, rendendosi protagonista della vita culturale cittadina e, allo stesso tempo, si proietta verso il futuro. Un’unione resa evidente dal connubio tra la Mole Antonelliana– simbolo e icona della città – e il Museo Nazionale del Cinema ospitato al suo interno. Sono inoltre numerosissimi i film che in questi anni hanno portato Torino sul grande schermo, mostrandone bellezza e potenzialità.

A partire da gennaio, l’atmosfera cinematografica sta coinvolgendo anche «i luoghi del cinema». Nei punti strategici della città sono stati allestiti supporti di forte impatto visivo e iconografico per un’accoglienza immersiva e suggestiva in una città “cinema friendly”. I passanti, con il supporto di mappe cartacee e digitali o attraverso guide turistiche, possono visitare 20 luoghi cinematograficamente significativi come piazze e palazzi del centro cittadino, come tappe per ripercorrere il percorso del cinema torinese, attraverso i film che ne hanno fatto la storia. L’intero 2020 sarà caratterizzato da un ricco calendario di iniziative, in cui confluiranno tutti i tradizionali eventi cinematografici del territorio. Verranno coinvolte le istituzioni culturali torinesi con l’obiettivo di creare “contaminazioni cinematografiche” in ciascun ambito, dall’editoria alla musica, dall’arte contemporanea al teatro, sviluppandosi su diversi assi tematici tra cui innovazione, tecnologia, multimedialità, educazione, formazione e accessibilità.

Si tratta, dunque, di un viaggio nel tempo – tra passato, presente e futuro – scandito dai vari appuntamenti, iniziative ed eventi organizzati. Il ruolo di Torino e del Piemonte nel mondo del cinema ha assunto nel tempo una notevole rilevanza dal punto di vista dello sviluppo dell’industria cinematografica, dello sviluppo di talenti e professionalità e delle ricadute in termini di promozione, anche internazionale, dell’immagine della città e dell’intero territorio.

Somewhere Tour & Events è già al lavoro per preparare delle esperienze imperdibili a tema “Cinema”!