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di Giorgio Merlo
Sono trascorse appena 3 settimane dal voto del 4 marzo e già fioccano le analisi, i commenti e le riflessioni sulla necessità di correggere la geografia politica italiana apertamente sbilanciata sugli “opposti populismi”. Lo ammetto. Fa sempre un certo effetto leggere commenti, come quello recente ed autorevole del prof. Angelo Panebianco sulla prima pagina del Corriere della Sera, sulla necessità politica di un ritorno del “centro” nella dinamica politica italiana. O meglio, “di un partito o di uno schieramento” che ripropongano nell’attuale scenario italiano politiche capaci di contrastare i populismi che caratterizzano i partiti usciti vincenti dalle urne del 5 marzo. Ora, lo stupore nel leggere certi commenti e’ dovuto al fatto che abbiamo subito per quasi 20 anni un inno continuo e martellante al bipolarismo, alla democrazia dell’alternanza, alla demonizzazione di ogni” politica di centro” e soprattutto alla demolizione sistematica e coerente di quell’esperienza politica e culturale che si chiamava Democrazia Cristiana. È stato appena sufficiente l’affermazione di un nuovo, e per certi versi, inedito bipolarismo politico rappresentato dal movimento 5 stelle e dalla Lega di Salvini per invogliare alcuni settori giornalistici ed editoriali – che sino a ieri dissacravano ogni riferimento ad una “cultura di centro” – a ritessere le lodi di un aggiornato ritorno di un passato glorioso. Va da se’ che una riflessione del genere impone anche, al contempo, una riscoperta – altrettanto inedita – del ruolo politico, storico, culturale e programmatico della esperienza della Democrazia Cristiana. Ma, al di là della concreta esperienza della Dc, e’ indubbio che forse è giunto anche il momento di avanzare una proposta politica che non si limiti ad assecondare le mode del momento. Sempreche’ siano mode passeggere e non strutturali nel sistema politico italiano. Ed è altrettanto indubbio che la riscoperta di una “politica di centro”, e che “guarda a sinistra” per dirla con Alcide De Gasperi, deve contemplare anche la riscoperta e la rilettura critica del filone culturale del cattolicesimo politico italiano. Altro elemento, questo, avanzato e richiesto dai medesimi commentatori, politologi ed opinionisti di alcuni grandi organi di informazione. Ovvero, di fronte a questo nuovo ed inedito bipolarismo, si impone quasi come un dovere morale la riscoperta della tradizione politica e culturale del cattolicesimo politico italiano. Che, nel nostro paese, e’ quasi sempre
coincisa, per ragioni e circostanze storiche, con una “politica di centro”. Ora, al di là delle simpatiche conversioni intellettuali di alcuni politologi italiani, e’ indubbio che il futuro politico del nostro paese non può prescindere dall’apporto, concreto e visibile, della cultura cattolico democratica e cattolico popolare. Del resto, se nei grandi tornanti della storia politica italiana, questo filone ideale e’ stato decisivo nell’indirizzare e orientare la politica dell’intero paese, adesso non può ridursi ad alzare bandiera bianca di fronte ai nuovi vincitori e ai nuovi “padroni”. Che erano e restano del tutto esterni, estranei e lontani da questa tradizione. Sarà compito, pertanto, dei cattolici democratici e dei cattolici popolari riscoprire una cultura e un pensiero che per troppo tempo sono caduti in letargo. Quasi assente dalle dinamiche concrete della politica italiana. E questo senza addossare sempre e solo la responsabilità ad altri o, peggio ancora, al ” destino cinico e baro”.
“Restano solo macerie dell’Oftalmologia e della sanità generale in Piemonte dopo questi quattro anni e mezzo di centrosinistra in Regione Piemonte. E come l’Oftalmologia così avviene per tutte le specialità: la ricerca di Demoskopica infatti segnala come il Piemonte sia passato dal primo posto per efficienza del sistema sanitario al decimo”. A lanciare la denuncia il vicepresidente del Consiglio regionale e parlamentare Daniela Ruffino.
Prosegue Ruffino: “La presunta soppressione di Oftalmologia ad Avigliana a seguito di un caso di presunta malasanità, dimostra che ormai la gestione di questo comparto da parte della Regione é allo sbando. Si continua a proporre l’apertura di case della salute e intanto si sopprimono i servizi e così i cittadini devono fare chilometri per farsi curare. Susa e Briancon non sono dietro l’angolo, i collegamenti di trasporto sono spesso scomodi o insufficienti, eppure la sanità disegnata dall’assessore Saitta vuole questo: tramutare i cittadini in trottole che girano per la provincia di Torino e il Piemonte, sperando prima o poi di essere adeguatamente assistiti. E intanto le liste d’attesa scoppiano”.
Conclude l’esponente di Forza Italia: “Fino a che punto si continuerà a tapparsi occhi e orecchie e non mettere mano ad una riforma sanitaria, imposta dall’alto con supponenza, che sta solo distruggendo anni di buona sanità piemontese? E’ necessario intervenire, anche perché la malasanità si traduce in costi per lo Stato e quindi per i cittadini”.
Sono 103 i dipendenti delle sedi di Ivrea e di Bollengo di Arca Technologies, azienda del gruppo americano Arca Holding attivo nel settore dell’automazione bancaria, per i quali è stata attivata la procedura di licenziamento, benché gli ultimi due esercizi non risultino in perdita. Quali sono le azioni che la Giunta intende mettere in campo per salvare questi posti di lavoro e gestire la crisi aziendale?
A domandarlo sono stati la consigliera Francesca Frediani (M5s) e il consigliere Marco Grimaldi (Sel) in due interrogazioni a risposta immediata. “L’assessorato al Lavoro si è attivato ed è in contatto con l’organizzazione sindacale Fiom-Cgil che rappresenta i lavoratori e con i Comuni coinvolti. In particolare è previsto un incontro con istituzioni, sindacato e lavoratori presso il Comune di Ivrea il 4 aprile”, ha affermato l’assessore Augusto Ferrari per conto dell’assessora al Lavoro Gianna Pentenero. “L’assessorato contatterà anche Arca Technologies per valutare possibili soluzioni della vicenda con l’obiettivo di salvaguardare sia il mantenimento dell’occupazione sia la presenza sul territorio dell’azienda”. Arca, che quattro anni fa aveva acquistato Cts e Cts Cashpro, aziende nate dall’iniziativa di un gruppo di ex dipendenti Olivetti, conta una forza lavoro di 282 dipendenti nelle due sedi di Ivrea e Bollengo e il 26 marzo ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per 103 persone (102 operai e un dirigente) per mansioni legate soprattutto all’attività di ricerca e sviluppo. La decisione è motivata da parte dell’azienda dal fatto che agli importanti investimenti compiuti nel settore ricerca e sviluppo negli ultimi tre anni non è corrisposto un livello di vendite significativo. Il mercato non ha infatti assorbito i nuovi prodotti nella misura prevista. Di qui l’esigenza di riallineare la produzione rispetto ai prodotti e ai mercati che si ritengono redditizi e ad alta crescita per ritornare a una posizione finanziaria stabile che permetta di continuare a investire, mantenendo in Italia il centro di eccellenza per ricerca e sviluppo.
Durante la sessione del question time è stata data risposta anche alle interrogazioni di Gian Luca Vignale (Mns) sulla avvenuta modifica della disciplina delle posizioni organizzative e delle alte professionalità nel ruolo della Giunta regionale, di Stefania Batzella (Mli) sull’ospedale Santa Croce di Moncalieri e i costi per gli ulteriori lavori effettuati nella sala operatoria d’emergenza, di Silvana Accossato (Mdp) sulle modalità di utilizzo della risonanza magnetica all’ospedale di Rivoli, di Francesco Graglia (Fi) sulla possibilità di smaltire Rsu nella discarica richiesta in territorio di Salmour (Cn), di Walter Ottria (Mdp) sulla sostituzione del direttore dell’ambulatorio di diabetologia dell’ospedale di Acqui Terme, di Maria Carla Chiapello (Moderati), sul Cup all’interno dello shopville Le Gru di Grugliasco, di Gianpaolo Andrissi (M5s) sul bando Atc Piemonte Nord sugli impianti di riscaldamento e i dubbi sulla corretta applicazione della normativa, di Federico Valetti (M5s) sull’affidamento ferro-gomma e la sentenza del Tar Piemonte e di Giorgio Bertola (M5s) sulla grave situazione ambientale e di pericolo per la salute pubblica in località Carpice, nel comune di Moncalieri.
Stupisce fino all’irritazione politica questo “Aventino” del Pd. Si tirano fuori visto che “abbiamo perso e tocca a voi governare”. Con la speranza che i reciproci veti rendano impossibile la formazione di un governo. Rendano inutile l’aver votato. E per ora ci stanno riuscendo. I tanto vituperati Salvini e Di Maio sono riusciti nell’intento di eleggere i presidenti di Camera e Senato. Con strane affermazioni da parte degli altri come: i pentastellati hanno perso la loro verginità o questo é un inciucio”. Come un malato terminale il Pd era di fatto contento dopo il no a Berlusconi. Si sono incartati, non ne escono. Ma da quello che si capisce leghisti e grillini si stanno appropinquando nel formare un governo. Il Pd? Aventino, Aventino. In attesa che l’empasse magari li rimetta in gioco e speranzosi nelle capacità del Presidente fella Repubblica. Non é la prima volta. Con Giorgio Napolitano che accettò di essere rieletto con la condizione di fare le riforme. Ed il successivo tragico errore di delegare Matteo Renzi con i relativi disastri. Ma tutto ciò é storia, recente ma pur sempre storia. E il pd forse vuole ripartite ma deve individuare il suo zoccolo duro di Occhettiana memoria, deve individuare una rotta, capendo da quale porto può partite e a quale porto vuole
approdare. Forse pretendo troppo. Per “navigare” bisogna avere una rotta che si chiama linea politica. Ed anche qui pretendo troppo. Una volta si diceva: studiare e fare la gavetta. Poi è arrivata la rottamazione e ci sono state le new entries, diciamocelo, molto ma molto deludenti. Da dove partire? Ricostruire il partito? Degnissima affermazione che non fa i conti con la sua esistenza. Almeno potenziale. Ora con la moria di deputati e senatori le dissanguate casse del partito avranno meno entrate. La bancarotta del Pd non sarebbe solo politica. Partire dal popolo delle primarie? Renzi ha stravinto alle primarie e straperso le politiche. Qualcosa del meccanismo non torna. Gli iscritti? Con tutto rispetto per il singolo il più delle volte sono truppe “cammellate”. E i dirigenti? Qui si fa articolata l’analisi. Il più delle volte all’incarico politico nel partito si abbina un incarico nelle istituzioni. . A tal proposito in Piemonte e Torino il tutto é emblematico. Ho
incontrato ex parlamentari del Pd. Palese la delusione. Chi dice che smette di fare politica. Chi viceversa intensifica il suo impegno politico sul territorio. Un ritorno alle origini. Davide Gariglio si è dimesso, atto forzatamente dovuto. La vecchia quercia di Giancarlo Quagliotti non gli ha fatto sconti e con lo stile comunista gli ha fatto gli auguri per il nuovo incarico romano. Solo Davide Ricca sodale del democristiano Gariglio parla di normalità delle dimissioni. Lui ” turista per caso” continua nel suo lavoro di Presidente di quartiere, eletto perché sodale dell’altro Davide, storico sodale del Matteo fiorentino. Ed ecco la zampata di Nadia Conticelli e dell’arrabbiato Stefano Esposito. Due garanti : Chiampa e la novarese Giuliana Manica. Entrambi da 50 anni in politica. Non è facile trovare chi ha esperienza, capacità e soprattutto disponibilità. Bisogna averne voglia. E già si ventilano alcune certezze. Davide Gariglio non sarà il candidato del Pd come governatore piemontese. Sergio Chiamparino continua nello studiare da segretario nazionale e magari Giuliana Manica girerà il Piemonte per capire che cosa si può fare. Insomma, tutto rinviato al congresso. Con la certezza che se si dovesse rivotare sarebbe un disastro. Un disastro , sia ben chiaro per tutta la sinistra. Ma a questa sinistra, mi raccomando, non parlare di unità. Di condivisione
anche, pur momentanea Quello ideologicamente più affine a te é sempre il nemico più prossimo. Oggi più che sperare si dovrebbe tornare alla politica. E l’Aventino non é un modo d’agire politicamente. O forse con questo voto si è veramente passati alla terza repubblica. Mi ha particolarmente colpito una affermazione di Beppe Grillo: il sistema é ed era in crisi. Noi Pentastellati ci siamo solo assunti l’onere di dare l’ultima spallata. Se ha ragione, ciò che c’era nella seconda repubblica é superato. Nella prima la sostanziale dicotomia tra Dc e Pci. Con la discesa in campo del Berlusca che contrastava i “comunisti” rappresentati dal centrosinistra. Ora la terza dove si ” affaccia” la dicotomia tra Salvini e Di Maio. Tra la Lega non più Lega Nord e i pentastellati rappresentanti di un Sud apoteosi dell’ evasione fiscale e della precarietà. Con un centro Italia terra di conquista per entrambi. Si dice che la Storia non si ripete. A Torino nelle votazioni dopo la divisione dal Pci Rifondazione ebbe più voti del Pds. Ora Rifondazione é un gruppetto extraparlamentare e il Pds ottenne più voti dell attuale Pd… Forse entrando in un’ altra era gli orizzonti o i poeti saranno diversi dai porti del passato.
Patrizio Tosetto
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Maria Elisabetta Casellati, fatta oggetto di attacchi furiosi del solito “Fatto quotidiano”,quasi quel giornale potesse anche decidere le alte cariche dello Stato,eletta presidente del Senato ha esordito con un discorso altamente istituzionale che le fa molto onore e che rivela come anche una donna di parte possa ricoprire la seconda carica dello Stato con dignità ed onore, come ha detto citando a Costituzione. Dallo scranno di presidi Palazzo Madama si è subito rivelata all’altezza ruolo. Il nuovo presidente della Camera Fico non ha voluto liberarsi dai suoi abiti partigiani ed ha fatto un discorso partigiano. Le sue origini nei centri sociali sono difficili da superare, mentre l’avvocato proveniente dal Csm ha rivelato una cultura molto apprezzabile. Aver chiuso il suo discorso con” Viva l’Italia “ le fa onore. Se posso fare un confronto, quando ho sentito la senatrice Casellati ,ho pensato al senatore Marcello Pera, filosofo prestato alla politica che ebbe il coraggio di infrangere certe vulgate. Quando ho sentito Fico, ho pensato a Fini, anche se non gli auguro il tremendo epilogo della carriera dell’ex delfino di Almirante. Fico e’ anni luce da Nilda Jotti, e’ un laureato di quella inutile facoltà di scienza della comunicazione che ha sfornato tanti inutili parolai. E mi è piaciuto anche che Casellati abbia chiesto di non chiamarla presidentessa, ma presidente. Dopo cinque lunghi anni della presidenta Boldrini era necessaria un’inversione di tendenza in nome del rispetto della lingua italiana . Se la legislatura durerà cinque anni, cosa assai improbabile, la senatrice Casellati dimostrerà di che pasta è fatta. L’essere rimasta sempre fedele dal 1994 alle sue idee in un parlamento di voltagabbana risulta essere una grande virtù . E lo scrive uno che non è del suo partito ed a volte ha dissentito dalle sue posizioni. Le ingenerose critiche del “Fatto” nei suoi confronti sono come medaglie al valore. Un’ultima osservazione riguarda il PD che ,scegliendo come candidata presidente del Senato l’ex ministra del MIUR, ha fatto una scelta sbagliata. Tra tante donne valide del Pd scegliere Fedeli e’ apparso davvero incomprensibile .
“In senso maggioritario e uninominale. Da tre anni giace in Consiglio la nostra petizione”
Il 7 gennaio 2015 i cittadini piemontesi Gloria Benincasa e Igor Boni depositarono presso il Consiglio regionale del Piemonte il testo di una petizione popolare per la riforma elettorale regionale in senso uninominale e maggioritario, con la contestuale abolizione del listino, del sistema proporzionale e delle preferenze.
In particolare, la petizione propone: il mantenimento dell’elezione diretta del Presidente della Regione; l’abolizione del listino collegato al candidato alla presidenza; la suddivisione dell’intero territorio regionale in 50 collegi uninominali nei quali eleggere con sistema maggioritario un consigliere per collegio, seguendo un criterio di suddivisione che contemperi numero di abitanti ed estensione territoriale.
I primi dieci firmatari della petizione (con relative cariche politiche del 2015) : Gloria Benincasa (Direzione regionale PD); Igor Boni (presidente associazione Aglietta); Davide Ricca e Mario Sechi (segreteria regionale PD); Alfonso Badini Confalonieri (coordinatore provinciale Scelta Civica); Marco Bussone (UNCEM); Luigi Brossa (Libertà Eguale); Giulio Manfredi (segretario associazione Aglietta); Dino Barrera (Verdi); Marco Carena (Torino Viva).
Igor Boni e Giulio Manfredi (esponenti di Radicali Italiani) sostengono:
“Non ci risulta che la Prima Commissione e il Consiglio Regionale abbiano trattato la nostra petizione, come previsto dagli art. 113 e 114 del Regolamento consiliare. Non appena il Consiglio Regionale avrà effettuato il restyling post elettorale – eleggendo il nuovo Presidente, il nuovo Ufficio di Presidenza e ratificando i consiglieri subentranti – chiederemo di essere auditi dalla Prima Commissione sulla nostra petizione.
Ricordiamo che nel luglio 2016 l’UNCEM (Unione nazionale Comuni e Comunità Montane) ha presentato in Consiglio Regionale una proposta di riforma elettorale maggioritaria. Il rischio che vaste zone del Piemonte rimangano prive di rappresentanza a Palazzo Lascaris è concreto ed è concreto il rischio che il Piemonte rimanga intrappolato nel sistema proporzionale a preferenze.
Malgrado siano passati quasi 4 anni c’è ancora tempo per arrivare a una legge elettorale giusta, che garantisca a ciascun cittadino piemontese uguale peso nella scelta sia del Presidente della Regione sia dei consiglieri regionali.
La modifica della legge elettorale regionale sarà una delle priorità che porteremo all’auspicabile tavolo programmatico del centrosinistra, preannunciato da Sergio Chiamparino.”
“La Regione s’impegni per dare ad Ivrea un nuovo ospedale” lo chiede il presidente del gruppo regionale del Movimento nazionale per la sovranità Gian Luca Vignale, che nei giorni scorsi ha visitato l’ospedale di Ivrea insieme ai sindaci di Burolo, Franco Cominetto, di Settimo Rottaro, Massimo Ottogalli, di Montalenghe, Valerio Grasso, e di Ozegna, Sergio Bartoli.
Quella nel Canavese è un’ulteriore tappa del “tour sanità” che sta portando Vignale in tutti gli ospedali del Piemonte. “L’ospedale Civile di Ivrea, è una struttura inadeguata alle esigenze del territorio, difficile da raggiungere e senza possibilità di parcheggio. Delle tante risorse che la Regione ha deciso di stanziare per l’edilizia sanitaria, è necessario riservarne una parte per dare agli eporediesi una struttura funzionale ed efficiente”.
Vignale sottolinea che ogni anno l’ospedale registra 50 mila passaggi in pronto soccorso, 750 nascite e serve un bacino di 60 mila abitanti. “Numeri – spiega – che confermano l’esigenza di una nuova struttura. D’altronde ci sarà un motivo per cui i sindaci da tempo chiedono una nuova struttura. Ma purtroppo come oramai troppo spesso accade, anche in questo caso le richieste del territorio sono rimaste inascoltate e Saitta ha preferito utilizzare le risorse a disposizione in altri interventi, alcuni dei quali non certo condivisibili “.
Vignale infine sottolinea che “il nuovo ospedale dell’eporediese non dovrà in alcun modo prevedere la chiusura dell’ospedale di Cuorgnè, presidio sanitario fondamentale per quella zona di territorio. Altresì, sarà necessario garantire all’interno del già esistente ospedale di Ivrea servizi ambulatoriali per tutta la cittadinanza. L’intervento, insomma, dovrà configurarsi come un potenziamento dell’offerta sanitaria e non certo, come dieci anni fa si voleva fare, una riduzione”.
di Giorgio Merlo
Leggo, con curiosità e anche con incredulità, che si moltiplicano gli apprezzamenti e gli elogi per il ruolo politico che ha svolto ai suoi tempi la Democrazia Cristiana. Anche, e soprattutto, da parte di chi l’ha insultata, derisa e ridicolizzata per interni decenni. E, al riguardo, e’ partita dopo il 4 marzo la caccia al confronto con gli attuali partiti. Confronti simpatici se non fossero addirittura blasfemi. Blasfemi perché confrontano la Dc con i cartelli elettorali che dominano attualmente la scena politica italiana. Qualcuno, ad esempio, ipotizza che il movimento 5 stelle sarebbe la “nuova Dc” perché ha un consenso orizzontale nel paese e perché interpreta le ansie diffuse e profonde della società italiana. Ovvero, un autentico partito interclassista degli anni duemila. Altri, con altrettanta approssimazione e superficialità, paragonano il ruolo della Dc al cartello del centro destra. E questo perché, secondo un’anacronistica interpretazione, rappresenterebbe il grande “contenitore centrista” del nostro paese. Altri ancora, per fortuna in minoranza, attribuiscono una certa similitudine del Pd alla vecchia Dc. Forse per il motivo, abbastanza futile, che in quel partito si riconosce un pezzo della antica casta democristiana. Ma quello che colpisce maggiormente e’ la similitudine tra il movimento 5 stelle e, appunto, la Democrazia Cristiana. Ora, al netto delle diversità storiche, politiche, culturali e di costume di quegli anni rispetto all’attualità, mi volete spiegare dove ci sarebbe questa somiglianza? Provo a indicare alcuni punti, a mio parere tra i più importanti ed evidenti. Vogliamo paragonare la classe dirigente democratico cristiana con quella grillina? Fermiamoci qui, per carità di patria. In che cosa consisterebbe la somiglianza del progetto politico grillino con quello democristiano? Un partito che si vanta di essere “oltre la sinistra, il centro e la destra” evidenzia, del tutto legittimamente, una ostentata assenza di cultura politica e di precisi riferimenti ideali che porta questo movimento – e questo però lo si deve pur riconoscere – ad avere un consenso che prescinde da qualsiasi valutazione politica e culturale. L’esatto opposto della Dc che nella sua lunga storia, seppur tra alti
e bassi, si è sempre caratterizzata con una politica “di centro che guarda a sinistra”. Per dirla con una celebre definizione di De Gasperi e poi proseguita, nella concretezza delle scelte e degli orientamenti politici, da tutti i principali leader democristiani che si sono succeduti sino all’esaurimento del partito nel 1993. In ultimo, per fermarsi solo ai dati più macroscopici, la “cultura delle alleanze”. Un elemento essenziale e decisivo nella cinquantenne esperienza della Democrazia Cristiana. Un accidenti da cui liberarsi per il movimento 5 stelle che fa proprio della sua autosufficienza e del suo isolamento gli elementi decisivi per caratterizzare la sua presenza nello scenario politico italiano. Ecco perché, forse, e’ sufficiente un pizzico di memoria storica per arrivare ad una banale conclusione: quando si vogliono fare confronti e paragoni storici si abbia almeno il pudore di non pigliare lucciole per lanterne. E per evitare ciò, basta un pizzico di conoscenza politica del proprio paese per non diventare ridicoli agli occhi della storia e patetici a quelli della società contemporanea.