Guasti a 21 delle 50 scale mobili esterne, tre scale mobili esterne su quattro non funzionanti nella sola stazione di Porta Nuova, 22% di guasti sul totale dell’intera tratta: una situazione molto penalizzante per gli utenti. Che ne è stato dell’ipotesi di realizzare coperture per proteggere dalle intemperie le scale esterne? Quali misure intende porre in essere la Giunta per rendere non solo i treni, ma le stazioni della Metropolitana davvero accessibili e utilizzabili dal pubblico? Oggi sul tema, il mio Question Time in Consiglio Regionale del Piemonte.
Più scale mobili non funzionanti che anni di servizio: è questa la realtà dei fatti dell’unica linea della Metropolitana di Torino. Inaugurata nel 2006 e dunque attiva da 17 anni, fa attualmente registrare guasti in 31 delle 142 scale mobili presenti nelle 23 stazioni. Criticità si segnalano anche in alcuni dei 73 ascensori. Una situazione grave, che di fatto non consente ai cittadini una fruizione piena ed efficiente del servizio e rende difficilmente accessibili diverse stazioni. A essere penalizzate sono soprattutto le persone con disabilità, gli anziani e i genitori con bambini. Le scale mobili esterne – esposte dunque alle intemperie – fanno registrare il maggior numero di guasti: solo 29 scale esterne sono attualmente funzionanti (50 il numero totale). Presso la Stazione di Porta Nuova, tre scale mobili esterne su quattro sono attualmente ferme per guasti; il computo sale a 6 scale mobili non attive su 10 considerando anche quelle interne. In generale risulta fuori uso quasi un impianto su 4. Non risulta abbia avuto seguito il concorso internazionale di idee del 2008 per la realizzazione di coperture degli ingressi delle stazioni della Metropolitana: il progetto vincitore non ha mai trovato realizzazione. Per la sostituzione di tutte le scale mobili servirebbe un investimento superiore ai 42 milioni di euro, per un costo medio a intervento di circa 300 mila euro. Chiederò alla Giunta, con un Question Time , quali azioni si intendano porre in essere, tramite l’Agenzia della Mobilità Piemontese, per risolvere le criticità legate alle scale mobili e agli ascensori della Metropolitana di Torino.
Silvio Magliano – Presidente Gruppo Consiliare Moderati, Consiglio Regionale del Piemonte.
Ianno’: “Maestà Lo Russo i torinesi sono in crisi”
“Maestà Lo Russo i sudditi torinesi stanno vivendo un periodo di crisi e i soldi scarseggiano. Se non hanno più soldi, che sia aumentato il biglietto dell’autobus e la sosta nei parcheggi”
Ieri era il feudatario, oggi è il sindaco a imporre le gabelle e a quel tempo non si sapeva se temere di più i ladri o lo Stato.
Ancora una volta la favoletta ambientalista va bene solo per i ricchi, tanto paga il solito Pantalone.
A Torino si aumenta il biglietto del TPL e il fatto più sconcertante è che il fatidico incremento di 30 centesimi, dovrebbe salvare il profondo rosso di GTT, quando sappiamo perfettamente che è solo una farsa e non basta a ripianare le perdite dell’azienda e non devono essere gli utenti a farsi carico del problema.
Un aumento a fronte di un servizio senza nessuna novità e miglioramento: tutto a favore dell’utilizzo dell’auto privata, la sostituzione di tram con autobus, l’assenza di corsie preferenziali protette, la soppressione di linee storiche e il taglio delle corse, scale mobili della metropolitana perennemente guaste.
Un servizio pubblico che ha come scelta residuale la mobilità urbana.
Ovviamente si aumenta, è la strada più semplice!
Mi chiedo, prima di tutto, come viene gestita GTT e quali misura adotta per aumentare l’efficienza e ridurre i costi, buone pratiche di qualunque azienda privata.
Un’azienda che non propone nessun servizio di mobilità alternativa sia di bici che di auto/moto in sharing, a tal proposito Torino ha pure perso ToBike, un segmento dove i privati chissà come mai guadagnano. Non ci sono progetti innovativi sulla mobilità e neppure in ambito marketing per attirare nuovi partner, per non parlare del grande potenziale del servizio turistico.
Una via che si potrebbe intraprendere per risanare in parte la voragine del debito, sarebbe quella di privatizzare in parte GTT, senza cedere il ramo parcheggi e pensare ad un’azienda misto pubblico privato
Troppo facile mettere le mani in tasca dei torinesi, sarebbe interessante farlo come ultima risorsa.
Vede caro Sindaco se nella classifica dei Primi cittadini ha perso ben 32 posizioni ed è sceso al 47° posto un motivo…forse ci sarà.
Si ricordi che ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria!
PINO IANNO’
Torino Libero Pensiero
Chieri, incontro “in panchina” con il Sindaco
Sabato 29 luglio 2023 – dalle ore 8 alle ore 10
Cortile del Municipio, via Palazzo di Città 10
Torna la “panchina del Sindaco”. Dopo San Silvestro, Parco Levi, via della Gualderia, il giardino di via Monti/via Lombroso, la zona via Chiadò-Strada Roaschia, il cortile del Liceo Monti, il settimo appuntamento è in programma sabato 29 luglio, dalle ore 8 alle ore 10, nel cortile del Municipio in via Palazzo di Città 10, dove il Sindaco Alessandro Sicchiero incontrerà i cittadini.
La “panchina del Sindaco” è un modo diretto per dialogare con il Sindaco e condividere proposte ed azioni per il miglioramento della città.
«Quest’ultima panchina prima della pausa estiva si svolge in un orario diverso da quelle precedenti, nella prima parte della mattinata del sabato, evitando i momenti più caldi di queste giornate di luglio e cercando così di intercettare anche i chieresi che si recano al mercato-spiega Alessandro SICCHIERO-Spero che coloro che sui social nei mesi scorsi hanno lasciato commenti accesi e polemici nei confronti di questa amministrazione vengano a incontrarmi di persona, sono certo che il confronto risulterà utile per tutti. Credo molto in questi momenti informali di dialogo con i cittadini e di ascolto di malumori, critiche, richieste e proposte. Un tassello di quel percorso partecipativo in cui crediamo molto, e che ci ha visti confrontarci con la cittadinanza sulle grandi come sulle piccole scelte amministrative».
Se l’aperitivo diventa attacco al cantiere Tav
Alluvione: Ruffino, governo arrogante
“Ennesima prova di arroganza di questo governo che, con i cittadini che ancora spalano fango dalle loro case e attività, cerca lo scontro politico con le forze d’opposizione, e boccia un emendamento in commissione Ambiente al Dl Alluvioni, che con buon senso coinvolgeva nella ripartenza tutte le amministrazioni locali in pieno accordo col Commissario. Pensano di fare un dispetto, fanno solo il male di chi ha perso tutto e aspetta risorse e indicazioni concrete. Con il pretesto della mancanza di coperture, riconvocano la commissione a domani. E il decreto Alluvioni rischia di non essere approvato a causa di tanta faziosità”.
Così Daniela Ruffino, capogruppo di Azione.in Commissione Ambiente.
Topi e blatte, Ambrogio (Fdi): “Tresso si dimetta”
“Il racconto di Torino, in questi giorni, è quanto mai surreale: da un lato il Sindaco Lo Russo distilla la favola di Harvard e Bloomberg, dall’altro l’Assessore Tresso prima giustifica i mancati sfalci con la necessità di favorire la biodiversità e poi, non soddisfatto, chiede aiuto ai commercianti nell’impari lotta contro topi e blatte. Insomma, la realtà supera di gran lunga la fantasia”. Ad affermarlo Paola Ambrogio, Senatore di Fratelli d’Italia.
“A meno che topi e blatte non rientrino nella biodiversità perseguita dall’Assessore – continua la Ambrogio – o addirittura tra le peculiarità sabaude da valorizzare, individuate da Harvard e Lo Russo per il city brand, la misura è colma: cura della città e decoro urbano sono il minimo sindacale in capo ad un’amministrazione. Basta provocazioni e ‘intuizioni’: se l’Assessore Tresso non è in grado di gestire le deleghe di propria competenza, si dimetta!”.
“Commercianti e cittadini riconoscono al Comune tasse e tariffe, peraltro sempre più pesanti, per avere, di contro, servizi efficienti. Delle due l’una: o l’amministrazione garantisce l’erogazione di tali servizi o deve farsi da parte. Torino è stanca di parole, favole e promesse”.
Finita la Dc ma non i democristiani
30 anni fa chiudeva definitivamente i battenti la Democrazia Cristiana.
Lo decise un’assemblea
affollatissima a Roma in una fase storica e politica drammatica per il nostro paese e per la stessa
democrazia italiana. Certo, la fine della Dc, cioè del più grande partito democratico, popolare e di
governo dal secondo dopoguerra in poi, non poteva non terremotare l’intera politica italiana. E
così è stato. E questo al di là delle motivazioni specifiche, a tutti ben note anche se restano
ancora avvolte in un alone di mistero, che hanno portato alla conclusione traumatica di quel
partito.
Eppure, e a 30 anni da quella data, non possiamo non far nostre la parole, come sempre puntuali
e precise, pronunciate alcuni anni fa da Guido Bodrato, uno dei principali leader e statisti della
Democrazia Cristiana scomparso alcune settimane fa. Diceva Bodrato che “La Dc è come un
vetro infrangibile. Quando si rompe va in mille pezzi e non è più ricomponibile”. Parole semplici, le
sue, ma essenziali e come sempre intelligenti che racchiudono una profonda verità. E cioè, la DC
è stata un “fatto storico”. Ovvero, un prodotto politico concreto di una precisa ed irripetibile fase
storica italiana. Non a caso, continuano ad esistere i “democristiani” ma non esiste più la DC. E
questo per la semplice ragione che i valori, la cultura, i principi e lo “stile” dei democristiani
continuano ad essere straordinariamente attuali e contemporanei ma la forma partito è frutto e
conseguenza di una stagione ormai storicizzata e consegnata agli archivi. Cioè agli storici. Com’è
giusto che sia. E, pertanto, tutti i tentativi – goffi e anche un po’ patetici – di candidarsi ad eredi
esclusivi o parziali della Dc, oltre ad essere un’operazione irrituale e anti storica, rende anche un
cattivo servizio al ruolo politico, culturale, istituzionale e di governo esercitato per quasi 50 anni
dalla Democrazia Cristiana nel nostro paese.
Purtroppo, e al costo di essere non coerenti ma semplicemente ridicoli, non mancano – tutt’oggi –
i detrattori della DC. Seppur nel rigoroso rispetto di tutte le opinioni. Ovvero coloro che, ieri come
oggi, continuano ad individuare nella Dc e nella sua straordinaria classe dirigente una esperienza
o “criminale” o semplicemente “nefasta” per la salute della democrazia italiana, per la credibilità
delle nostre istituzioni e per il governo del paese. Una narrazione che appunto, ieri come oggi, è
riconducibile prevalentemente al campo della sinistra politica, culturale, editoriale, intellettuale ed
accademica e ad alcuni settori marginali della destra. Un campo che non riesce a spogliarsi di
questa caricatura, strumentale e rancorosa. Eppure, la storia e l’esperienza della Dc non solo
hanno garantito una lunga stagione di democrazia, di benessere e di crescita all’intero paese in un
periodo carico di difficoltà e di contraddizioni ma, soprattutto, hanno saputo dispiegare – seppur
tra alti e basi – un “progetto di società” capace di coniugare sviluppo e giustizia sociale, libertà e
autonomia, dritti e doveri, pluralismo e rispetto dell’azione di governo. Insomma, una visione
complessiva della società che affondava le sue radici nel patrimonio culturale e storico del
cattolicesimo democratico, popolare e sociale. Per dirla con parole più semplici, nella storia e
nell’esperienza del cattolicesimo politico italiano. Il tutto, come ovvio, con una classe dirigente di
grande autorevolezza e di rara qualità. È appena sufficiente scorrere i nomi e i cognomi dei leader
storici delle tanto vituperate “correnti” – che, è sempre bene ricordarlo, erano strumenti
democratici di elaborazione politica e culturale e, soprattutto, rappresentavano pezzi di società e
legittimi interessi sociali – per rendersi conto che la classe dirigente della Dc non è più stata
eguagliata nel tempo. Certo, sarebbe offensivo anche solo il confronto con quella della seconda
repubblica per non parlare del “niente della politica”, per dirla con Mino Martinazzoli, che ha
caratterizzato la stagione populista, anti politica, demagogica e qualunquista di questi ultimi anni.
Per questi semplici motivi le parole di Bodrato sono e restano inappellabili. Ed è anche per questa
ragione che è compito e dovere di noi cattolici democratici, popolari e sociali far sì che, oggi, la
storia e l’esperienza della Dc non continuino ad essere infangati e derisi da un lato e che,
dall’altro, quei valori e quella cultura abbiano ancora piena ed attiva cittadinanza nella cittadella
politica italiana. Non per il bene dei cattolici democratici e popolari ma, soprattutto, per la qualità
e il futuro stesso della nostra democrazia.
Giorgio Merlo