LIFESTYLE- Pagina 306

Il cappottino al cane, quando serve realmente?

Con l’arrivo del freddo, tiriamo fuori cappotti, sciarpe e cappelli e spesso pensiamo che anche il nostro cane abbia bisogno di essere coperto, ma non sempre è così. Partiamo dal presupposto che cani e gatti, come noi umani, sono omeotermici, ovvero capaci di mantenere costante la temperatura del corpo anche con temperature esterne estremamente diverse. Per i cani giovani e in salute ci sono molte variabili da tenere in considerazione per capire se è davvero necessario e utile il cappottino oppure no. La tolleranza al freddo non dipende dalla taglia (il cane di taglia piccola ha una dispersione maggiore di calore rispetto a uno di taglia medio/grande), ma dalla quantità di sottopelo, il quale serve a trattenere calore. Cani con un folto sottopelo e con un pelo lungo, come ad esempio gli Husky, i Terranova, i cani pastore e i lupoidi, avranno maggior capacità di stare a basse temperature senza soffrire il freddo e il cappottino, in questi casi, è assolutamente superfluo; viceversa, se abbiamo a che fare con cani a pelo corto e poco sottopelo (se non nullo), come ad esempio la maggior parte dei levrieri, pincher, chihuahua e di molti cani da caccia, ecco che acquistare per loro qualcosa che li ripari dal freddo è realmente utile e necessario per la proteggere loro salute.

 

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Per i cani piccoli con un folto sottopelo non è necessaria una copertura. Anche i cani di taglia medio grande con poco sottopelo ma con molta massa grassa che isola termicamente, non sono particolarmente soggetti al sentire freddo. Occorre prestare sicuramente particolare attenzione nel caso in cui si abbia a che fare con un cane anziano o debilitato, o con dei cuccioli, categorie molto più sensibili ai cambi di temperatura e all’umidità, per i quali è consigliato un cappottino o maglioncino di lana, facendo attenzione alla copertura della zona toracica, dove ci sono cuore e polmoni. E’ opportuno porre molta attenzione agli sbalzi termici: se il vostro cane vive prevalentemente in casa, quando lo portate fuori per la passeggiata (ricordo che freddo o pioggia non sono sinonimo di inattività!), la differenza di temperatura può essere anche di 20/25 gradi, motivo per il quale è sconsigliato coprire un cane giovane e in salute quando è in casa, perché vorrebbe dire doverlo coprire maggiormente prima dell’uscita per fare in modo che non senta così tanto la differenza. Meglio vestirlo prima di uscire in passeggiata e magari sostare qualche minuto per esempio nell’androne di casa per permettere al corpo del cane di ricalibrare la temperatura. 

 

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Anche in inverno è assolutamente sconsigliato tenere i cani in macchina in quanto l’aria all’interno dell’abitacolo si raffredda molto velocemente e il cane può andare in ipotermia. Altra accortezza è quella di non tosare il cane in quanto il mantello rappresenta la sua fonte di calore. Preoccupatevi però di curarlo, per fare in modo che “funzioni” correttamente: il pelo annodato o infeltrito provoca, infatti, dispersione di calore. In caso di pioggia, è consigliabile comunque far indossare a tutti i tipi di cane una mantellina impermeabile. Se il cane dovesse comunque bagnarsi, prima di entrare in casa, asciugatelo sempre molto bene, facendo attenzione a non considerare solo il pelo e le zampe, ma soprattutto il sottopelo, le orecchie (sia la parte interna che esterna), la zona toracica, le ascelle e l’interno coscia. L’utilità del maglioncino non equivale a far dei nostri cani degli oggetti a cui far sfoggiare capi all’ultima moda, spesso ridicolizzandoli, antropomorfizzandoli (ovvero attribuendogli caratteristiche e qualità umane). Proteggeteli si, ma preservate loro la dignità di cane!

 

Francesca Mezzapesa

Educatrice cinofila – Istruttrice Rally Obedience

La finestra sul cortile

La blogger torinese di ChicChissima

Ho conosciuto Stefania Manfré un pomeriggio di settembre, dovevamo andare allo stesso evento e così ci siamo incontrate e conosciute in un caffè del centro. Mi hanno colpito subito la sua gentilezza e il suo modo di fare solare e sono rimasta affascinata dal suo blog ChicChissima che si occupa di moda, di lifestyle e di trend. Ciò che caratterizza il suo blog è la passione. Il blog è nato 4 anni fa, Stefania si è trovata a trascorrere un lungo periodo in casa e così ha iniziato a scrivere di ciò che sono le sue passioni: la moda, i viaggi e il design. Laureata in lingue e letterature straniere nella vita di tutti i giorni si occupa di Marketing e Comunicazione per una società americana che ha sede a Torino, la sua città. Il lavoro l’ha sempre portata a viaggiare molto e la curiosità ha fatto il resto facendole scoprire angoli nascosti e oggetti inediti e un taccuino in cui annotava tutto, vie, luoghi, nomi di designers, brand di cui non aveva mai sentito parlare in Italia e poi la ricerca del bello e dell’inedito è sempre stata la sua passione. Nel periodo in cui aspettava la sua bambina ha aperto il blog  scrivendo di tutto quello che le piace, raccontando i suoi viaggi, i luoghi visitati e, soprattutto ha iniziato a raccontare le storie di persone straordinarie che ha la fortuna di incontrare, artisti, stilisti, fumettisti italiani e stranieri.  Lo spazio agli stilisti emergenti è una delle caratteristiche di ChicChissima, dare risalto e visibilità ai giovani che hanno intrapreso la strada della moda; Stefania ama,infatti, raccontare la storia di piccoli brand o stilisti ancora poco noti, approfondire il tema della moda etica, la moda africana, Modest Fashion, di stilisti ucraini. Si parla però anche di tendenze, ispirazioni street style oltre a news ed eventi legati a Torino che contribuiscono ad arricchire questo spazio virtuale. Nel 2017 nasce Talent House – la casa delle nuove idee – un progetto espositivo che Stefania Manfré ha realizzato insieme a Rossella de Paolo di BSFashion, nell’ottica di dare ai designers emergenti una “Casa”, uno spazio in cui fondere esperienze di mostra, vendita diretta e conoscenza.  La prima edizione, che ha ottenuto ampio riscontro sia da parte del pubblico che da parte dei media, si è svolta nel mese di novembre e già si sta pensando alla prossima! Insomma se volete scoprire tutte le novità sulla moda torinese non perdetevi la lettura di questo strutturatissimo ed interessantissimo blog corredato da magnifiche foto ed interviste che fa vedere quanto può essere inaspettata la fervente attività modaiola sotto la Mole.

 

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“La campagna a casa tua”… con Cortilia!

Navigando in internet per caso ho scoperto l’esistenza di Cortilia, il primo mercato agricolo online. In questo periodo post natalizio dove la parola detox impera su tutti i buoni propositi per i prossimi mesi, l’alimentazione sana sembra essere l’obiettivo di tutti, ma non sempre si può girovagare per i mercati rionali assemblando e scegliendo con cura singoli ortaggi o frutti colorati, riporli in una borsa di paglia provenzale…eh sì ci vorrebbe tempo, che spesso manca. E allora ci viene in aiuto Cortilia questo servizio di spesa agricola a domicilio con un semplice click,una spesa piena di gusto e artigianalità. Su Cortilia si possono trovare prodotti come carne, salumi e affettati, formaggi, pasta, latte, uova, pane, conserve e marmellate, vino e birra artigianale, prodotti di bellezza e per la pulizia della casa, oltre a frutta e verdura di stagione. Un servizio puntuale ed efficiente, che permette di ricevere la spesa anche il giorno dopo aver effettuato l’ordine e facilmente personalizzabile in base alle esigenze di chi ha sempre meno tempo per organizzare la spesa, ma che non vuole rinunciare alla qualità e alla freschezza tipici della filiera. A Torino il servizio è ben distribuito, io l’ho provato un paio di volte e devo dire che la consegna ha spaccato il minuto sull’orario stabilito. I prezzi sono buoni e non è sicuramente più caro del supermercato. Un nuovo modo di fare la spesa che ha però un sapore retrò, di verdure brillanti avvolte nella carta e consegnate in una cassetta, come in campagna.

 

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Gran balon, domenica 14 gennaio il primo appuntamento dell’anno 

Dal 1985 il Gran Balon è il mercato dell’antiquariato minore della città di Torino. Quasi 250 bancarelle, 50 negozi, bar e ristoranti ogni seconda domenica danno vita da 30 anni al mercato dell’antiquariato minore della Città di Torino. Si espande tra le vie Lanino, Mameli, Canale Carpanini, Borgo Dora: antiquari, rigattieri, operatori dell’ingegno espongono con cura le loro merci, mobili, ceramiche, libri, abbigliamento, vintage, prodotti di artigianato. All’interno del Cortile del Maglio manufatti e prodotti in materiale cartaceo si fondono col vintage e creano particolari ed interessanti esposizioni che attirano un pubblico di appassionati. Il Gran Balon è un mercato delle pulci, che a differenza del balon che si svolge tutti i sabato, ha conservato il fascino del mercatino dove curiosare tra oggetti vintage e di antiquariato, inoltre è possibile mangiare nei locali che si affacciano lungo le vie sinuose che ricordano il movimento dell’acqua, elemento presente nei secoli passati in questo quartiere nel quale erano presenti piccole frabriche che utilizzavano l’acqua come fonte di energia . E’ interessante tutto il contesto. Se vi capita di essere a Torino vale la pena fare un salto!

Sabina Carboni

Sfizioso subric di patate

subric

Un gustoso finger food o street food vegetariano e saporito

 

Una ricetta d’antan della cucina tradizionale contadina ma, allo stesso tempo moderna, un gustoso finger food o street food vegetariano e saporito. Ogni regione ha la sua variante, in Piemonte queste semplici crocchette di patate si chiamano “Subric”; servitele come antipasto, come contorno sfizioso o nel tipico fritto misto. Sono semplici , economiche e di rapida preparazione.

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Ingredienti per 4 persone:

 

6 patate

2 uova intere

2 cucchiai di parmigiano grattugiato

1 limone

sale, pepe q.b.

pangrattato

olio per frittura

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Cuocere le patate a vapore, pelarle a caldo e passarle al passaverdure. Lasciar raffreddare, unire il parmigiano, il sale, il pepe, due tuorli e la buccia del limone  grattugiata, mescolare bene e con l’aiuto di un cucchiaio formare dei cilindretti che passerete prima negli albumi leggermente sbattuti e poi nel pangrattato. Friggere in olio bollente e servire calde.

 

Paperita Patty

Oroscopo di Platone dal 10 al 16 gennaio

La parola alle stelle

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CAPRICORNO

DENARO E LAVORO. Fate muro insieme ai colleghi per neutralizzare le richieste impossibili di un cliente ma gli impegni e le responsabilità aumentano. Non rammaricatevi di ciò, forse sono una buona occasione per mettere alla prova le vostre doti professionali.

AMORE E ARMONIA. In famiglia c’è bisogno di voi, non basta un consiglio, organizzate concreti provvedimenti e poi partite per qualche giorno con il vostro amore. Almeno per una volta, riflettete sul fatto che il troppo lavoro non giova al cuore…

BENESSERE E SALUTE. Dimenticate le recriminazioni, portano solo amarezza. Equilibrato e saggio il dominio dei desideri, che vengono ascoltati ma non prendono il sopravvento sul senso critico, conducendo verso derive pericolose.


ACQUARIO

DENARO E LAVORO. 
Gli astri vi spingono a “osare”, con la lucidità che vi è propria, potrete finalmente permettervi qualche rischio calcolato e vincente, prestate maggiore attenzione al vostro operato onde evitare la solita tendenza alla distrazione. La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti.

AMORE E ARMONIA. Più passionali e intraprendenti del solito, finalmente potrete abbandonarvi completamente al partner e vivere momenti molto appaganti.

BENESSERE E SALUTE. Nessun motivo di preoccupazione ma vi agitate, eppure tutta l’esistenza si muove in un modo molto rilassato. Certamente il movimento esiste, ma esso è profondamente rilassato. Gli alberi crescono, gli uccelli cinguettano, i fiumi scorrono, le stelle ruotano: tutto avviene in una maniera naturale. Non c’ è fretta, furia, preoccupazione o spreco: questo succede solo all’uomo che è rimasto vittima della propria mente.


PESCI

DENARO E LAVORO. Un’idea, una fantasia, un sogno che avreste tanto voluto realizzare svanirà come neve al sole. Siete sconvolti? Non è il caso. Pensate a quanto vi siete divertiti con quel sogno, e quante cose belle vi ha regalato. E’ stato molto più utile così, come fonte d’ispirazione, di quanto sarebbe stato se si fosse avverato perché, a questo punto, voi siete già oltre. Chi non vive di fantasia…non può immaginare la realtà!

AMORE E ARMONIA. Battibecchi e accuse reciproche. Non pronunciate parole di cui vi pentireste.

BENESSERE E SALUTE. Avete bisogno del giusto riposo e di assumere più liquidi, alla sera prima di dormire, sciogliete un chilo di sale nel bagno, il rilassamento è assicurato.


ARIETE

DENARO E LAVORO. Se nella vostra vita qualcosa non vi piace, cambiatela, e nel caso vi accorgeste che non si può, provate a modificare il vostro atteggiamento anziché lamentarvi. Siate coerenti ma agite, chi pondera a lungo prima di fare un passo rischia di passare la sua vita su una gamba sola.

AMORE E ARMONIA. Gli astri stimolano sogni romantici ma non caricate una nuova storia di troppe aspettative.

BENESSERE E SALUTE. Le Stelle fanno a gara per garantirvi un periodo memorabile specie sul piano del dinamismo e del buonumore, ma attenti a non esagerare con alcolici, dolci, e in particolare con la pasta di mandorle e i derivati del latte.


TORO

DENARO E LAVORO. Sul lavoro i superiori sono piuttosto nervosi in questo periodo e vi chiedono troppo, le continue e assillanti richieste si placheranno quando anche il vostro diniego sarà placato. L’acquisto di immobili e gli investimenti a lungo termine sono favoriti.

AMORE E ARMONIA. Il partner a volte vi mette alle strette, dovete decidervi e cedere su alcuni punti, ma l’accordo sarà soddisfacente d’altronde la verità è che sentite di non esserle/gli semplicemente vicino, ma che non sapete neppure dove voi finite e dove lei/lui…inizia.

BENESSERE E SALUTE. Le Stelle fanno a gara per garantirvi un periodo memorabile specie sul piano del dinamismo e del buonumore, ma attenti a non esagerare con alcolici, dolci, e in particolare con la pasta di mandorle e i derivati del latte.


GEMELLI

DENARO E LAVORO. I vostri comportamenti, a volte inspiegabili, sono motivati dall’obiettivo che dovete raggiungere ma la grande quantità di impegni può provocare confusione e qualche errore di troppo, sforzatevi invece di mantenere tutto nel giusto ordine, eviterete disguidi e perdite di tempo.

AMORE E ARMONIA. “Non è da me procedere adagio, né dare baci a credito”, questo verso ricorda voi, avidi di vita e bramosi di dare e di fare…non esagerate!

BENESSERE E SALUTE. Il vostro “censore” interno a volte vieta ogni svago ma i pianeti finalmente positivi, segnano una netta differenza rispetto all’ultimo periodo. Svaniscono dalla mente gli imperativi “affrettati, spicciati, datti una mossa”, ma anche “fuggi, evadi, scappa, sparisci”.

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CANCRO

DENARO E LAVORO. Abbiate fiducia nelle vostre capacità anche se avete in mente o vi viene proposto, un progetto apparentemente irrealizzabile. Solo chi osa alla fine…ottiene.

AMORE E ARMONIA. Tempo di relazioni romantiche e un po’ sofferte, come piace a voi. Provate dolci sentimenti per una persona che vi ispira tenerezza.

BENESSERE E SALUTE. Alcuni piccoli problemi inerenti la famiglia o che vi sta a cuore non vanno trascurati, cercate di essere loro vicini ed aiutarli. Abbondate con alimenti ricchi di ferro e sali minerali a scapito dei carboidrati.


LEONE

DENARO E LAVORO. La tendenza è quella di non essere mai soddisfatti, invece tutto procede, seppur a volte lentamente, nel migliore dei modi. Discrezione e affidabilità vi rendono più autorevoli e vi innalzano, a sinonimo di garanzia e serietà.

AMORE E ARMONIA. Per fare una conquista dovrete risolvere alcuni problemi.

BENESSERE E SALUTE. Dovete evadere dal clima familiare stressante e ricaricarvi in vista di un periodo …non di tutto riposo.


VERGINE

DENARO E LAVORO. Se volete crescere e consolidare dei risultati, dovrete tirare fuori gli artigli, non risparmiate le forze e preparatevi al salto di qualità. Cambiamenti e nuove strategie nell’attività finanziaria per trovare la giusta strada.

AMORE E ARMONIA. Rivalità e polemiche in famiglia non intaccano i progetti. Le avventure passeggere non andranno a buon fine, ma è un ottimo momento per prendere impegni duraturi.

BENESSERE E SALUTE. Sedute di massaggi vi aiuteranno a riequilibrare le energie ed a recuperare l’abituale forma.


BILANCIA

DENARO E LAVORO. Avete idee innovative ed originali, se volete concretizzarle dovete muovervi ma senza troppa fretta di concludere, per evitare intralci ed inutili nervosismi. Attenzione ai passi falsi, una brutta sorpresa è in agguato.

AMORE E ARMONIA. Imparate a stimare le persone che amate o alle quali siete affezionati. Per riuscirvi dovete cercare di essere più sereni. Un rapporto si complica, è il momento di solidarizzare.

BENESSERE E SALUTE. Gli imprevisti e le seccature ci sono sempre, bisogna essere ottimisti per superarle senza strascichi.


SCORPIONE

DENARO E LAVORO. La voglia di cambiare e di migliorare verso la meta prefissata vi spinge in avanti. Si creano situazioni interessanti da prendere al volo, ma solo se vi sentite sicuri di farlo.

AMORE E ARMONIA. Un eventuale incontro dall’avvio tormentato, può cementare la futura intesa.

BENESSERE E SALUTE. Periodo tranquillo per la salute. Non lasciatevi sopraffare dalla pigrizia, fate ginnastica respiratoria ed assumete tanta vitamina C soprattutto se fumate.


SAGITTARIO

DENARO E LAVORO. Affrontate gli impegni con uno spirito di distensione ed una tale semplicità, che rende tutto più leggero. Osate… ma con la dovuta prudenza! E’ il momento per sistemare, riprendere o terminare, tutto ciò che avete in sospeso.

AMORE E ARMONIA. Se cercate amori passeggeri ne avrete finché ne vorrete, ma se desiderate mantenere una relazione stabile, dovrete dimostrare impegno e serietà d’intenti.

BENESSERE E SALUTE. Prendetevi delle pause di riflessione che vi aiuteranno nelle decisioni. Calo energetico e piccole delusioni, integrate con ferro e magnesio.

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Il riccio salato di zia Pia

riccio

Si tratta di una mousse di formaggio, semplice, soffice, cremosissima, dal sapore delizioso

Il Capodanno e’ un momento da celebrare con parenti ed amici. La creatività e la fantasia sono d’obbligo se vogliamo organizzare qualcosa che sorprenda i nostri ospiti. Eccovi una ricetta per festeggiare con gusto e raffinatezza l’anno appena arrivato, ideale per concedersi un altro momento di piacere gastronomico. Si tratta di una mousse di formaggio, semplice, soffice, cremosissima, dal sapore delizioso. Facile da preparare non richiede troppo impegno, solo un po’ di pazienza.

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Ingredienti per 4 persone:

200gr. di Robiola Osella

100gr. di gorgonzola dolce e cremosa

Pinoli per la decorazione q.b.

1 cuore di sedano bianco

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Con il mixer a bassa velocita’ iniziare a sbattere la robiola, unire poco alla volta la gorgonzola sino ad esaurimento e continuare a sbattere sino ad ottenere un composto gonfio e soffice. Mettere la mousse su di un piatto da portata dandogli la forma del riccio guarnire con i pinoli (aculei), la carota e capperi (musetto come da foto). Conservare in frigo sino al momento dell’utilizzo. Servire con i gambi di sedano bianco. Un augurio speciale per un sereno anno 2019 a tutti i miei cari lettori.

 

Paperita Patty

 

Dolce Crostata Bargiolina

crostata bargiolina

La mela renetta Grigia di Torriana e’ stata di recente inserita nel paniere dei prodotti tipici della Provincia di Torino tra le “antiche mele piemontesi”

 

La mela renetta Grigia di Torriana e’ stata di recente inserita nel paniere dei prodotti tipici della Provincia di Torino tra le “antiche mele piemontesi”. Coltivata a Barge (Cn) e dintorni questa mela ha come caratteristica la buccia rugginosa (rusnenta), un sapore dolce acidulo, polpa bianca, tenera, particolarmente adatta alla cottura in forno, succulenta su una base di pasta frolla.

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Ingredienti:

 

200gr.di farina 00

120gr.di burro

70gr. di zucchero

2 tuorli

1 pizzico di sale

2 cucchiai di marmellata di albicocche

2 cucchiai di latte

3 grosse mele renette qualita’ Grigia di Torriana

1 chiodo di garofano

½ limone

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Preparare la frolla impastando velocemente la farina con lo zucchero (60gr.), il burro freddo, i due tuorli e il pizzico di sale. Lasciar riposare in frigo almeno 30 minuti. Pelare le mele, tagliarle a cubetti, metterle in una ciotola, irrorarle con il succo di limone, il rimanente zucchero e il chiodo di garofano. Lasciar macerare 30 minuti. Stendere la frolla in una tortiera, bucherellare il fondo, spennellare con la confettura di albicocche, versare le mele a cubetti (togliere il chiodo di garofano) e formare una grata con la frolla rimasta. Spennelare con il latte, infornare a 180 gradi per circa 30 minuti. Lasciar raffreddare e servire, e’ buonissima.

 

Paperita Patty

 

 

La finestra sul cortile

Il Paese dei Presepi

Questa settimana “la finestra sul cortile ” diventa “la finestra sulla Val di Susa” approfittando delle mie vacanze invernali tra Oulx e Bardonecchia. Si sa molti torinesi durante le vacanze tra Natale, Capodanno e l’Epifania “si trasferiscono” in Val di Susa e tra scuole sci, hamburger nel ristorante sulle piste e passeggiate in Via Medail ogni anno si consolidano abitudini e amicizie “della montagna”. E quando si decide di non andare a sciare, si possono scoprire interessanti alternative. L’altro giorno ho passeggiato per Les Arnauds, frazione di Bardonecchia, borgata splendidamente caratteristica, complice anche la nevicata che ha accompagnato il mio giro turistico. Quello che ha subito catturato la mia attenzione è stato l’avvistamento nei posti più insoliti e nascosti di tanti piccoli presepi, ognuno fatto con maestria ed originalità. Ho così visto il “Paese dei Presepi”, l’iniziativa promossa dal comune di Bardonecchia, ovvero l’esposizione nei vari borghi e frazioni della cittadina di oltre 100 presepi che danno luogo ad un vero e proprio percorso luminoso nelle frazioni di Rochemolles, Millaures, Le Gleise, Les Arnauds e Melezet, Borgo Vecchio e nel centro commerciale naturale. I presepi esposti sono veri e propri gioielli da scoprire con sguardo attento, infatti si possono trovare in qualsiasi luogo e sono sparsi nelle vie, vicoli, pizza, cappelle, fontane, finestre e vetrine in effetti ogni angolo è buono per scovare anche la più piccola natività. “Il Paese dei Presepi” si potrà ammirare fino al 31 gennaio 2018.

 

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La moda delle ciaspole!

La ciaspolata è davvero il trend di stagione, un’attività diventata molto “social” tanto da occupare un posto di tutto rispetto tra le attività sportive da fotografare e postare su Instagram, complici anche gli “influencers” che la praticano. E perché? Perché le ciaspole uniscono divertimento ed esercizio fisico.  Sono economiche ed ecologiche tanto da farne una delle discipline più di moda degli ultimi inverni visto l’interesse per le pratiche alternative, più soft e meno invasive nei confronti della natura. Ma cosa sono veramente le ciaspole? Utilizzate un tempo da cacciatori e contadini per avanzare nei paesaggi innevati, erano racchette tonde fatte di legno e cuoio. Oggi le racchette da neve sono per lo più di plastica. Il termine “ciaspole” è ladino ed è entrato nel linguaggio comune dopo il successo della “Ciaspolada”, celeberrima gara della Val di Non, nata nel 1973.  Questa attività sportiva, perché di vero sport si tratta, è ricca di benefici per il fisico e per la mente, non è solo un’attività sociale per stare in compagnia, camminare con le racchette da neve è un’attività di tipo aerobico che aiuta a dimagrire (si bruciano in media 600 calorie in un’ora), modella i muscoli delle gambe e, se abbinata con i bastoncini si lavora anche su spalle, busto e tricipiti.  E ancora, come tutte le attività aerobiche, camminare con le ciaspole attiva la produzione di endorfine contribuendo così a migliorare l’umore e a contrastare l’ansia: un effetto, questo, potenziato dal contatto con la natura, che è uno dei più potenti antistress.  Camminare con le ciaspole non è difficile, il movimento somiglia molto a una normale camminata in montagna, ma più faticoso sia per il  peso di scarponcini e racchette ai piedi sia per lo sprofondamento che in parte avviene sul manto bianco. Come tutte le attività in montagna non è priva di rischi, per questo è consigliato seguire sempre i percorsi segnalati, utilizzare i dispositivi di sicurezza e se si è neofiti partecipare a escursioni guidate e gite di gruppo organizzate.   Se volete quindi avvicinarvi a questa disciplina, potete rivolgervi all’ufficio del turismo della località montana di vostra scelta e partire per una nuova avventura sportiva che inaspettatamente è anche molto trendy, perché anche le ciaspole dai molti colori abbinate all’abbigliamento fluo possono essere fashion.

 

Sabina Carboni

L’oroscopo di Platone del 2018

La parola alle stelle (dal 3 al 9 gennaio)

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CAPRICORNO

 

DENARO E LAVORO. Si moltiplicano le occasioni e le proposte di lavoro interessanti; guadagni in vista e nuovi stimoli. Osate ed andate oltre! Alzate pure il tiro e chiedete di più a voi stessi ed alla vita.

AMORE E ARMONIA. Non potete progettare il futuro prima di risolvere il passato. Più che il rapporto di coppia adesso la priorità spetta alla famiglia.

BENESSERE E SALUTE. Alcuni esami clinici possono evitare che piccoli sintomi si tramutino in qualcosa di più grave.


ACQUARIO

DENARO E LAVORO. 
In famiglia, una spesa improvvisa vi rende cupi e pensierosi più del dovuto. Il denaro è importante ma non essenziale, con spirito d’iniziativa e capacità di “annusare” il vento, potrete recuperare la perdita subita.

AMORE E ARMONIA. Rilassatevi ed abbiate fiducia, provate di cambiare look, un nuovo taglio di capelli o un vestito elegante favoriranno le conquiste.

BENESSERE E SALUTE. Dopo un periodo di stress, avete scoperto che prendere del tempo da dedicare a voi stessi è piacevole ed ora, giustamente, non ne potete più fare a meno.


PESCI

DENARO E LAVORO. Le vostre innegabili capacità sembrano inutili di fronte a un problema diverso dal solito, ma non perdetevi d’animo, è proprio nel superare le difficoltà che date il meglio di voi stessi.

AMORE E ARMONIA. Momento romantico e appassionato. Voi e il partner avete un mondo felice tutto vostro ma non siate troppo esigenti. Ridimensionate le vostre pretese.

BENESSERE E SALUTE. A volte vi sembra di non esprimervi al meglio ma non è così. Un po’ di magnesio, aiuta a rilassare e calmare i nervi.


ARIETE

DENARO E LAVORO. Fate attenzione alla particolare congiuntura di alcuni pianeti che vi rendono vulnerabili per qualche settimana. Metteteci tutto l’impegno di cui siete capaci, è il momento di agire con determinazione.

AMORE E ARMONIA. Non confrontatevi, ma godetevi soltanto la complicità, dimostrate a chi vi ama di essere coinvolti e affidabili.

BENESSERE E SALUTE. Attenzione al calo delle difese immunitarie, sia per il troppo carico assunto sia per l’inizio di una intensa attività sportiva.


TORO

DENARO E LAVORO. Non azzardatevi a fare passi più lunghi della gamba in ambito economico per alcune settimane. Posticipate gli acquisti programmati o voluti. Un particolare passaggio astrale impone la prudenza nelle vostre azioni.

AMORE E ARMONIA. Insoddisfatti e un po’ troppo rissosi. Potrebbero sorgere delle incomprensioni ma, se non esagerate, tutto si risolverà e seguiranno momenti appassionati.

BENESSERE E SALUTE. La stanchezza si fa sentire e c’è il rischio di qualche malessere. Meglio prevenire con la pappa reale e lo yoga.


GEMELLI

DENARO E LAVORO. Certi di essere sostenuti, arrischiate iniziative che possono finire bene…o male! Lavorare da soli o in gruppo per voi è lo stesso. Nessuna delle due opzioni risulta spiacevole.

AMORE E ARMONIA. Relazioni sentimentali senza particolari sorprese anche se la congiuntura attuale promette momenti magici. I rapporti a due si fanno gratificanti ma dovete cercare di evitare inutili complicazioni.

BENESSERE E SALUTE. Concedetevi qualche momento di intenso relax, ad esempio un bel bagno caldo con essenze aromatiche oppure una benefica sauna in una SPA o centro termale.

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CANCRO

DENARO E LAVORO. Una decisione presa da una persona che conta nel vostro lavoro, mette fine a un periodo di incertezza e scarsa produttività. Avete mano libera nella scelta degli obiettivi e una guida sicura per poterli raggiungere.

AMORE E ARMONIA. Per evitare conflitti, sempre in agguato, sarà meglio mettere le cose in chiaro d’altronde, discutete su tutto ma non vi sentite per nulla avversari. Il partner è poco espansivo ma presente quando serve.

BENESSERE E SALUTE. Vi definiscono simpatici, socievoli, cerebrali, a volte distratti, ritardatari, elusivi e inaffidabili, utopistici, eccentrici, pigri e ribelli, scarsamente dotati di senso pratico…contraddizioni, in qualche caso, solo apparenti.


LEONE

DENARO E LAVORO. È un buon momento per farsi avanti e chiedere un aumento di stipendio o iniziare un’attività più redditizia ma siate prudenti e morigerati, non fate il passo più lungo della gamba… Un’autoanalisi coscienziosa della vostra giornata, vi aiuterà a migliorarvi.

AMORE E ARMONIA. Il vostro lato ultra romantico si risveglia e vi sembrerà di sognare, amati come non mai, corteggiati, invitati e coccolati. Se desiderate legarvi per sempre questo è il momento per farlo: incontri, novità e piacevoli fuori programma grazie alla frizzante congiuntura astrale.

BENESSERE E SALUTE. Notizie contraddittorie, non fatevi troppo influenzare. Godetevi la vita e alzate pure il tiro, la parola d’ordine è… osare!


VERGINE

DENARO E LAVORO. Nell’ambiente lavorativo per fortuna non si dà credito a notizie incerte propagate per moltiplicare le difficoltà. Non andrebbe poi male se solo faceste lo sforzo di contenere le spese superflue, non lasciatevi tentare dai giochi d’azzardo né da investimenti apparentemente “troppo” attraenti.

AMORE E ARMONIA. Si mormora che le versioni moderne delle passate passioni non possano essere paragonabili a quelle originali. Provate a metterle vicine e noterete la differenza, ciò che andava bene allora potrebbe non funzionare oggi e, le cose sono belle, se sono inserite nel loro tempo. È il caso di lasciarsi la “storia” alle spalle e concentrarsi sul presente.

BENESSERE E SALUTE. L’insoddisfazione monta oltre il livello di guardia, ma una lucida analisi vi consentirà di prendere le giuste contromisure in tempi brevi.


BILANCIA

DENARO E LAVORO. Affinché il nostro libero arbitrio non sia spento, pensate che la fortuna sia arbitra solo della metà delle nostre azioni ma che l’altra metà, venga a noi lasciata da governare…allora vale la pena rischiare incondizionatamente?

AMORE E ARMONIA. Approfittate a piene mani di questa fase favorevole, la durata delle nostre passioni non dipende da noi, così come non dipende da noi la durata della vita.

BENESSERE E SALUTE. Vi ricaricate di energia da persone che avete vicino. Riflettete sul fatto che pensieri positivi come gioia, felicità soddisfazione, realizzazione e apprezzamento danno risultati positivi quali entusiasmo, calma, benessere, relax, energia, amore. Al contrario pensieri negativi come giudizi, inaffidabilità, sfiducia, risentimento, paura, producono risultati negativi quali tensione, ansietà, alienazione, rabbia, fatica.


SCORPIONE

DENARO E LAVORO. Visto che finalmente le vostre finanze segnano una netta e meritata ripresa, potrete divertirvi ad acquistare con gioiosa impulsività giocattoli tecnologici, creme antirughe miracolose e coloratissimi accessori.

AMORE E ARMONIA. A volte vi vedete come “esseri” in volo, uccelli migratori senza meta e scrivete le vostre storie con il vento in faccia, saltando da una roccia all’altra, concedendo solo una rapida sbirciata all’abisso che si apre sotto il vostro volo.  Perfino in amore gli abissi vi emozionano e non sapete nemmeno voi in quali contesti complicati siete finiti ma una grande passione ha bisogno di qualche punto fermo.

BENESSERE E SALUTE. La famiglia necessita di più energia del previsto, è meglio risolvere i problemi sul nascere. Introducete nella dieta i frutti di stagione.


SAGITTARIO

DENARO E LAVORO. Favorite le iniziative audaci, nuovi impieghi e la creatività, credete nelle vostre capacità e ricordatevi che anche nell’ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino ma, non aspettate troppo a lungo, osate e sarete ripagati.

AMORE E ARMONIA. Il partner compensa con la prudenza la vostra impulsività e acuisce in voi il desiderio di qualcuno che, senza pretendere di volervi irretire, vi da tutta la sicurezza e la stabilità di cui non ammetterete mai di avere bisogno…

BENESSERE E SALUTE. Un amico vince la vostra riservatezza e vi sfogate. La vostra natura venusiana, sceglie e predilige pace e armonia, le necessità convenzionali non le volete nemiche del bene supremo della felicità, di corpo e di mente.

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Giochi d’altri tempi a Brozolo

Prosegue   la   mostra   “Giochi   e   giocattoli   …   infanzia   d’altri   tempi”, organizzata   dalla   Biblioteca   di  Brozolo,   che   è  stata   inaugurata   sabato   16 dicembre,   nella   sala   consiliare   e   nella   Biblioteca.   Le   suggestioni   e   le emozioni che raggiungono i visitatori riportano all’inizio del secolo fino alla   fine   degli   anni   Sessanta,   facendo   vivere   o   rivivere   quei   tempi   ormai lontani.   Sinora   ha   avuto   un   grande   successo   è   alcune   scolaresche   dei dintorni   hanno   prenotato   una   visita   al   rientro   dalle   vacanze   scolastiche. Oltre   alle   visite   per   le   scuole,   è   aperta,   lunedì   1,   sabato   6,   domenica   7, sabato 13 e domenica 14 gennaio, dalle ore 15 alle 18.

Massimo Iaretti

Natale d’altri tempi

Il racconto  di Barbara Castellaro

 

Di molte cose buone sono stato io a non voler profittare, quest’è certo – rispose il nipote; – e il Natale fra l’altre. – Ma il fatto è che io ho tenuto sempre il giorno di Natale, quando è tornato – lasciando stare il rispetto dovuto al suo sacro nome, se si può lasciarlo stare – come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si spassa: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per mutuo accordo pare che aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba e non già come ad un’altra razza di creature avviata per altri sentieri. Epperò, zio, benché non mi abbia mai cacciato in tasca la croce di un soldo, io credo che il Natale m’abbia fatto del bene e me ne farà. Evviva dunque il Natale!

Charles Dickens “Canto di Natale”

***

Con il trascorrere degli anni, con il passare, inesorabile, inarrestabile, del tempo che mi avvicina alla definitiva separazione da questa realtà, mi accade, per uno strano fenomeno che non riesco a spiegare neppure a me stessa, di ricordare con difficoltà gli eventi più vicini e di vedere, invece, nitidamente, gli anni lontani, quelli dell’infanzia, i volti di persone che non ci sono più.

Mi ritrovo a vivere quei fatti, come se fossero il vero presente, in tutti i loro particolari, anche quelli più insignificanti, anche quelli marginali, privi di importanza.

Per contro, mi estranio dall’oggi, rifugiandomi altrove, in un mondo tutto mio, in una stanza dell’immaginario della quale solo io possiedo la chiave.

Non prendetemi per pazza e nemmeno per malata di un principio di demenza senile.

Gli anziani sono sempre considerati un po’ fuori di testa.

In realtà, siamo condannati a vivere di ricordi, non avendo più davanti a noi nessuna sfida, nessuna opportunità, nessun miraggio.

Abbiamo anche cessato di sognare, o almeno di farlo per noi stessi. Lo si fa per gli altri, per chi si ama.

Persino la speranza è un lusso che ci concediamo raramente ormai come se fosse un cioccolatino da gustare solo nei giorni di festa.

Negli ultimi tempi, da quando si sta affacciando, come uno spettro, il giorno del mio ottantesimo compleanno, ho ripreso a pregare.

Non l’ho fatto mai molto nella mia vita, soltanto quando avevo bisogno di qualcosa, cercando di scambiare fioretti con grazie e bestemmiando quando le mie richieste non venivano esaudite.

Mia nipote mi ha regalato una riproduzione della statua della Madonna nera di Oropa, identica a quella che aveva mia madre.

L’ho collocata sul comodino, accanto al letto. La guardo, le parlo come se fosse viva. Mi aiuta a sentirmi meno sola.

Quando arriva l’inverno mi chiudo in casa e mi rifugio davanti alla televisione per l’intera durata della giornata, fino a tarda sera.

E’ l’unico mio contatto con l’esterno.

Guardo di tutto e giudico ogni cosa, ogni fatto, come se il mio passato fosse trasparente e pulito, uno specchio senza incrinature, senza macchie.

Ma, ormai, mi è consentito farlo. A chi è anziano si perdona tutto.

A Natale compirò ottant’anni. Questo, forse, ve l’ho già detto. Mi ripeto un po’ e sono noiosa, lo so, ma anche voi perdonerete come fanno tutti gli altri.

La notte scorsa non riuscivo a dormire. Mi stanco poco di giorno e la notte diventa un lungo peregrinare dal letto alla cucina, dal salotto fino al letto, nell’attesa di veder filtrare la prima luce dell’alba attraverso le tende della stanza.

Non leggo più, non serve a conciliare il sonno. Penso, invece. Penso molto.

Senza sapere come, sono passata dal pensiero della festa che mi attenderà tra poco a quello di un Natale di tanti, troppi anni fa, il primo Natale che riesco a ricordare nitidamente, in tutti i suoi particolari, in tutte le sue sfaccettature: un Natale d’altri tempi.

Ed era tutto così reale, così vero, come se lo stessi vivendo di nuovo, come se la mezzanotte che il pendolo, nella scala, aveva appena scandito avesse portato con sé lo spirito dei Natali passati ed io avessi fatto un balzo indietro nel tempo, ritornando all’infanzia.

***

Sono nata nel 1929, l’anno dei Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa, in casa, una lunga cascina giallo limone, dispersa tra prati e vigne, nel Canavese, una terra così verde da fare male agli occhi in primavera ed in estate.

Era una casa di poche stanze, tutte gelate e umide, tranne la cucina, surriscaldata da una grossa stufa che serviva anche per cucinare.

Era una casa povera, una casa di gente umile, modesta, dove esisteva spazio soltanto per il lavoro e dove gli insegnamenti che si ricevevano erano quelli scritti sull’almanacco appeso in cucina.

La lotteria della vita mi aveva assegnato un posto su un vagone di terza classe.

Mancavano pochi giorni a Natale quando venni al mondo.

Mia madre diceva che i mesi invernali fossero i migliori per far nascere dei figli.

Capii presto perché. I contadini, nella buona stagione, non possono permettersi di stare a letto né per malattia, né per partorire.

Io ero la terza dei suoi figli. Uno era morto appena nato.

Ma, nelle famiglie come la nostra, non c’era tempo per il dolore. Si andava avanti e basta, in modo automatico, senza piangere su chi se n’era andato, con una sorta di rassegnazione.

Ero attesa per febbraio. Invece, la mia voglia di vedere il mondo, di conoscere quello che esisteva all’esterno della caverna buia vinse su tutto e a sette mesi pretesi di uscire e di lanciare verso il soffitto il mio primo vagito.

Mio padre, in primavera ed in estate, faceva il contadino.

In autunno vendemmiava e produceva vino, ma soltanto per le necessità della famiglia.

Durante l’inverno trasportava frutta secca e mandarini per conto di altre persone, fino ai mercati.

Era ancora notte fonda quando partiva per la città, avvolto in un tabarro pesante, il cappello calcato sulla testa piccola, la falda abbassata a coprirgli il volto magro, dalle guance scavate, due linee nette tracciate nella pelle come un bassorilievo.

Il suo carro, rivestito con un telone spesso ed impermeabile, era una tentazione per i tre bambini della casa: mio fratello, mio cugino ed io, una tentazione di mandarini profumati, di arance, di noci e di arachidi, quelle che chiamavamo “spagnolette”, di fichi secchi e di datteri che non potevamo assaggiare mai perché non appartenevano a noi, perché erano un tesoro che ci era stato affidato, ma dentro il quale non potevamo affondare le mani.

Avremmo potuto trascorrere ore intere a guardare le cassette.

Ma eravamo troppo poveri per permetterci di mangiare ciò che avrebbe dovuto essere venduto ed eravamo troppo consapevoli della nostra condizione per privare nostro padre anche soltanto di un frutto.

Non so perché, ma ho sempre pensato che il bambino povero cresca molto prima di quello ricco, di quello benestante che non deve lottare per avere un posto nel mondo, che può dare per scontato anche qualcosa di semplice, banale come una cena.

Per noi diventava una colpa persino desiderare qualcosa e così, restavamo a guardare, in silenzio, senza osare respirare, tutte quelle delizie che avrebbero arricchito la tavola di qualcuno più fortunato.

Non era una colpa essere nati dalla parte sbagliata della barricata. Non era colpa di nessuno. “L’essenziale – diceva mia madre – è non fare del male al prossimo ed avere la salute”.

E, durante i primi anni della mia vita, isolata in quella casa solitaria in mezzo a lingue di terra e bosco, fu facile credere che avesse ragione, fu semplice non sentire la differenza della nostra, della mia condizione, non dovendola confrontare con quella di nessun altro, non dovendomi ritrovare nella situazione di desiderare un abito oppure un paio di scarpe di raso lucente.

Ereditavo, senza preoccuparmi del loro aspetto, le scarpe che a mio fratello non andavano più. Ricevevo come un regalo gli abiti, i grembiuli, ricavati da quelli smessi di mia madre.

Quando ne avevo il tempo, giocavo con un cane meticcio, di un rosso tendente all’arancione, dal pelo lungo, che si chiamava Diana e che acconciavo come se si trattasse di una bambola.

Diana, animale buono di cuore, si prestava senza un lamento, alle mie rozze ed inopportune cure di bellezza, limitandosi a sollevare verso di me enormi occhi colmi di tristezza.

Ma, in fondo, credo che capisse che, a modo mio, le volevo bene.

***

E, poi, c’erano le bambole di foglie di granoturco che zia Valentina, se ne aveva voglia, in autunno, preparava e mi regalava, quelle fatte di foglie secche e modellate per sembrare bambine in miniatura, con abiti ampi come quelli di una dama dell’Ottocento.

Niente altro. Non si potevano sprecare e gettare via soldi per i giocattoli in una casa dove ce n’erano appena per vivere.

Eppure non posso dire di aver mai patito la fame.

Sia a pranzo che a cena c’erano sempre un piatto colmo di minestra o di polenta e latte, talvolta una frittata, talaltra un volatile arrostito o bollito, quando si era fortunati.

Non mancava mai il pane sulla nostra tavola.

Si faceva ogni quindici giorni nel forno in muratura in fondo al cortile ed usciva caldo e croccante, lasciando per giorni un profumo goloso di biscotto nell’aria.

Certo, verso la fine della quindicina, quel pane era diventato duro come le pietre e si poteva mandar giù soltanto immerso nel latte oppure accompagnato da parecchi bicchieri d’acqua, ma andava bene così.

Noi avevamo di che nutrirci. C’era chi stava peggio, molto peggio.

Da bambina non credo di avere mai osato chiedere qualcosa.

Semplicemente, alla fiera del Santo Patrono, mi limitavo a lanciare occhiate di nascosto a qualche giocattolo, ad un nastro per i capelli, forse, stando bene attenta che nessuno mi potesse vedere e fingendo, per lo più, indifferenza.

“Le cose si comprano quando si può e se ce n’è bisogno” diceva mia madre.

***

Mio padre, che il cuore buono avrebbe spinto a cedere e ad acquistare anche soltanto un dolce, un croccante, un torrone, non aveva però il coraggio di dire nulla ed accettava le decisioni altrui, limitandosi a scuotere la testa.

Aveva sempre subito la moglie, donna dura e forte, donna solida e sana di corpo, di idee e di principi e vi si era sottomesso.

Del resto, subiva anche il padre, mio nonno, che non poteva incontrare i suoi nipoti senza provare la tentazione di assestare loro uno scapaccione, così senza motivo, giusto per il gusto di menare le mani, oppure i piedi, a seconda di quello che gli risultava più comodo.

Il nonno non amava i bambini. Non so il perché, eppure ho sempre saputo che non ci amava.

Pertanto, avevamo imparato presto a tenerci alla larga da lui, a fargli, di nascosto, tutti i dispetti possibili, a rubargli le pere che nascondeva sotto il letto, con una sorta di ingordia frammista ad uno spiccato egoismo.

Tutto questo era realizzato senza lasciare traccia alcuna ed, anzi, cercando di scomparire per ritrovarci lontani quando lo avesse scoperto.

Mio nonno, da giovane, era stato un po’ libertino ed un po’ sognatore.

Si raccontavano strane storie su di lui, ma a bassa voce, per non farsi sentire, storie che cessavano appena noi, bambini, entravamo nella stanza, sfumando in sussurri ed indici della mano portati alle labbra per intimare il silenzio.

Si sedeva sempre a capo della tavola, alzando un pugno con le nocche dure come il legno per minacciare chi tra noi faceva rumore con il cucchiaio nel piatto fondo della minestra.

Dicevano che fosse ateo e che vedesse i preti come il fumo negli occhi.

In realtà, lo si poteva udire pregare, in un modo tutto suo, mentre vagava nella campagna o attraverso il cortile, ripetendo in dialetto una preghiera composta da lui, totalmente incentrata sull’interesse personale: “Signore, Signore, la vita e l’onore, soldi da spendere, roba da vendere, donne belle in questo mondo, Paradiso nell’altro, Signore non ti chiedo niente altro”.

Si trattava, effettivamente, di un’invocazione che toccava tutte le tematiche a lui care, senza tralasciare la sua grande debolezza per le belle donne e, tanto meno, la preoccupazione, sviluppatasi in tarda età, riguardante la vita dopo la morte, che il nonno auspicava sarebbe stata tra santi, angeli e cori celesti.

In fondo, non aveva commesso peccati così gravi da fargli meritare il Purgatorio.

Non era, in effetti, stato più cattivo di tanti altri ed, in terra, non aveva avuto una vita facile.

Perché, dunque, avrebbe dovuto “purgarsi” prima di accedere alla porta custodita da San Pietro?

Forse era un po’ blasfemo, ma in fondo più onesto di tanta gente che finisce per nascondersi dietro a falsi comportamenti, atteggiandosi a persona pia e timorata di Dio.

***

Il primo Natale che riesco a ricordare in modo chiaro e vivido coincide con il mio primo anno di scuola.

Ho potuto studiare soltanto fino alla quinta elementare e sempre a patto che, durante l’estate, aiutassi in campagna.

Poi dovetti rinunciare alla scuola.

Mi sarebbe tanto piaciuto fare l’Avviamento, ma mia madre puntò i piedi e disse: “No, ad una donna saper leggere, scrivere e far di conto basta ed avanza”.

Così accettai di “farmi mangiare i libri dalle capre”, come si diceva da noi, e di lasciare gli studi.

 

A scuola ritrovai, nella stessa classe, mio cugino Cino che aveva la mia età e tanti altri bambini del paese che già conoscevo.

Eravamo tutti poveri diavoli, ma di una povertà linda, dignitosa e sempre pulita, decorosa persino nei rammendi.

A me la scuola piaceva, sapete? Mi piacque fin dai primi giorni.

Era bello imparare a sillabare le parole fino a renderle frasi di senso compiuto, a leggere, a graffiare i fogli di carta spessa con il pennino, tracciando eleganti sbuffi di inchiostro nero.

La maestra ci leggeva i racconti di bambini poco più grandi di noi, ma coraggiosi ed impavidi come soldati, capaci di eroici sacrifici e di amor di Patria.

Erano storie piene di sentimento, di atti grandi, immensi, custodite in libri che, adesso, non vengono neppure più stampati, in libri che non interessano più.

Ma tutto cambia. Forse, un giorno, quando io non lo potrò più vedere, torneranno di moda.

I valori e gli ideali possono essere accantonati, mai uccisi.

***

Io penso che ci potrà sempre essere posto per una bella storia, ben raccontata e che, in futuro, questi testi potranno uscire dalla biblioteca dimenticata dove li hanno confinati, pretendendo di riavere il proprio spazio.

Dicembre, quell’anno, arrivò con una rapidità sorprendente e portò con sé, amplificata, tutta la bellezza delle tradizioni natalizie.

L’albero, diffuso nei Paesi del Nord Europa, non si trovava nelle nostre campagne, non era conosciuto.

Si allestiva, invece, il presepe.

In cascina ne avevamo uno anche noi. Non so da dove provenisse o chi lo avesse comprato.

Statuine rozzamente realizzate in gesso, con colori vivaci, che comprendevano la Natività, i tre Re Magi, qualche pastore ed alcune macchie bianche a rappresentare le pecore.

L’8 dicembre lo si metteva sul tavolo della sala con uno sfondo color oro realizzato con una specie di carta da pacco che mio padre aveva recuperato al mercato, abbandonata tra i cartoni e le cassette e vi restava, ammirato, ma mai toccato da nessuno di noi che avevamo nei confronti di quelle statuine un timore reverenziale, durante tutto l’Avvento, fino all’Epifania che “tutte le feste porta via”.

A scuola come a casa si parlava continuamente e soltanto della nascita del Bambin Gesù, non certo dell’attesa dei regali come al giorno d’oggi.

Ad onor del vero confesso che guardo a quei tempi semplici con rimpianto quando, passando nei corridoi di un centro commerciale vedo scaffali pieni zeppi di giocattoli ed oggetti inutili, molti dei quali verranno regalati solo per senso del dovere, senza sentirlo veramente.

Noi attendevamo, con ansia, con impazienza, un Bambino speciale, quello che avrebbe salvato l’umanità: questo doveva essere festeggiato.

Almeno così diceva don Amilcare in chiesa ed in classe: quel bambino che, divenuto uomo, sarebbe morto su una croce.

Ed additava il crocefisso che, all’epoca, non aveva bisogno di alcuna sentenza per restare appeso alla parete, non recando nessuna offesa un martire che, innocente, aveva subito i tormenti della tortura e della morte, simbolo di tanti altri innocenti di tutto il mondo, appesi ad una forca.

Sono cose che non capisco queste, mi indignano, poi lascio perdere.

Mi darebbero della rimbambita e così lascio perdere.

***

Durante l’Avvento, anche i due chilometri che, al freddo e sotto la pioggia, dovevamo percorrere per raggiungere la scuola, divennero qualcosa di lieve.

Eravamo, infatti, smarriti in pensieri permeati di bontà, di bellezza, di unione, e, così, mettendo un piede dietro l’altro, arrivavamo senza nemmeno accorgercene davanti ai due cancelli, quello della scuola all’andata e quello della casa al ritorno.

Ricordo che faceva un freddo tremendo e le strade erano piene di pozze quando pioveva e spesso tanto gelate da non riuscire a restare in piedi.

I nostri abiti erano una barriera troppo leggera ed il gelo li penetrava come un punteruolo doloroso.

Ma l’unico mezzo di trasporto a nostra disposizione erano le gambe che tenevamo allenate e scattanti.

Le prove di bella grafia, le letture strascicate, ma abbastanza sicure ad alta voce, le piccole poesie da imparare a memoria, tutto appariva come un gioco in quel dicembre di attesa febbrile, scandita dalle campane della chiesa.

In un piccolo paese come il nostro, isolato e lontano dalla città, ogni festa diventa un evento e l’attesa è il momento più bello.

Pensateci: un giorno di festa brucia e si consuma rapidamente.

E’ l’attesa di quel giorno il momento magico, quello che veramente ci fa palpitare, ci fa battere il cuore, non ci fa dormire la notte e ci toglie il respiro.

Poi, quando arriva quella data, anche se tutto è stato bello, i nostri pensieri sono già rivolti alla sua fine ed ha già trovato collocazione nel ricordo e nel passato.

La mente è già volata a domani, perché l’uomo è fatto così. Non riesce a vivere il presente, vive di passato oppure di futuro, mai di presente.

***

Adesso, ad ottant’anni, io mi nutro di passato, mentre vedo mia nipote, i suoi amici con la mente rivolta al futuro, al domani, a quello che sarà, senza sapere utilizzare e coniugare il tempo della loro vita al presente.

La festa di Natale arrivò in un soffio, tra recite di poesie e racconti.

La Vigilia, un giorno in cui il cielo era cupo e pesante e prometteva di ricoprirci di neve, ci sorprese senza che nemmeno potessimo accorgercene, immersi come eravamo nella nostra euforia.

Ricordo, perfettamente, anche a distanza di settantaquattro anni, quel giorno uggioso, perché mio nonno se ne stava sull’uscio a borbottare, levando il pugno nodoso verso il cielo quasi a minacciare anche il Padre Eterno.

La neve avrebbe significato difficoltà negli spostamenti, difficoltà nel raggiungere la chiesa per la Messa di mezzanotte e soprattutto per ritornare a casa.

Il nonno scandiva l’anno liturgico con due Messe soltanto, non una in più, non una in meno: quella di mezzanotte a Natale e quella della mattina di Pasqua.

Riteneva, in questo modo, di fare il proprio dovere nei confronti di Dio e di salvare le apparenze con gli uomini che gli davano dell’ateo e che avrebbero dovuto rimangiarsi quella parola vedendolo entrare in chiesa almeno durante le feste comandate.

“Chi prega lavora” diceva.

Ma guai a chi gli avesse impedito di essere presente ad una di queste Messe.

Pertanto, lo preoccupavano non poco le condizioni meteorologiche ed era intrattabile.

A casa, però, c’eravamo soltanto mia madre ed io, quindi non osava sfogarsi ed alzare la voce.

Con mia madre, fin da quando era giunta, giovane sposa, nella sua casa, c’era stato un silenzioso e tacito patto di non belligeranza.

Entrambi, infatti, possedevano due caratteri troppo forti e, comprendendo, immediatamente, che avrebbero finito per scontrarsi continuamente ed inutilmente, senza ottenere alcuna vittoria l’uno sull’altra, avevano deciso di tollerarsi, per poi sfogarsi, a turno, su mio padre che si trovava così stretto nella morsa di padre e moglie.

Quel giorno a mia madre appunto dava un estremo e visibile fastidio l’andirivieni del nonno dal cortile alla cucina e, poi, di nuovo in senso inverso, proprio mentre lei era impegnata a preparare il pranzo per il giorno successivo, un pranzo che sarebbe stato speciale, unico, anche perché atteso per un intero anno.

Quel pranzo era la nostra debolezza, una debolezza che ci concedevamo soltanto a Natale e che si svolgeva, però, senza che il pensiero si distogliesse mai dal significato religioso della festa, dal momento che, tra una portata e l’altra, si continuava a ringraziare il buon Gesù per quello che ci aveva concesso.

Mia madre preparava tutto da sola o meglio aiutata da me che, pur bambina, mi reinventavo sguattera, pur di restarle accanto, prestandomi a tutti i servizi che voleva affidarmi, dall’andare a prendere l’acqua al porgerle gli ingredienti.

E tutto questo era già molto per una bambina di sei anni, ve lo assicuro.

La cucina veniva invasa da vapori che appannavano i vetri e dai profumi di brodo e di carne arrostita che solleticavano i sensi con la promessa del pranzo del giorno successivo.

Mia madre teneva il tavolo sgombro, lindo e lucido, per poter distendere sul suo ripiano lunghe e larghe strisce di pasta gialla sulle quali posava palline di un impasto fatto con tre carni mecolate al cavolo.

L’impasto era poi ricoperto con un’altra striscia di pasta ed, infine, venivano ricavati, tagliandoli a mano, grossi quadrati, gli agnolotti che avrebbero rappresentato il piatto forte del giorno successivo, ricchi e nutrienti com’erano.

L’unica portata del pranzo che non usciva dalle mani di mia madre era il dolce.

Il dolce di Natale, tanto atteso, non soltanto da noi bambini, veniva portato da Torino che, all’epoca, in paese, era vista come una città ricca, speciale ed irraggiungibile e questo semplice fatto lo rendeva qualcosa di meraviglioso e di indescrivibile.

La sorella di mio padre, zia Matilde, dopo essersi sposata, si era trasferita a Torino ed, in breve, aveva assunto lo stile e le abitudini della donna di città, non ultima quella di recarsi in pasticceria a Natale e portare con sé, avvolto in carta argento, un enorme panettone, arricchito con canditi, uva passa e mandorle, che veniva collocato su un tavolino e spiato, durante tutto il pranzo, con sguardi vogliosi.

Il panettone rappresentava il coronamento di un pranzo perfetto.

Quella vigilia, quindi, trascorse tra sbuffi di farina, profumi di arrosti, colori di grembiuli a fiorellini indossati per proteggere gli abiti ed improvvise correnti d’aria gelida causate dal nonno che, non solo non riusciva a stare fermo, ma che continuava a ripetere in modo monotono la stessa frase: “Nevicherà. Sono sicuro che prima di sera nevicherà”.

Non so se per rispondere alle sue affermazioni o semplicemente perché così era scritto che avvenisse, nel tardo pomeriggio iniziarono a volteggiare nell’aria piccoli fiocchi bianchi che, posandosi sulla lingua che sporgevo tra le labbra, avevano un sapore di metallo.

Natale senza neve non è un vero Natale.

Anche adesso che i miei anni sono tanti, quando mi affaccio alla finestra, la mattina di Natale e vedo il cielo azzurro e terso, il sole splendente che fa scivolare i suoi raggi attraverso i rami degli alberi, mi invade un senso di tristezza profonda e di nostalgia per quel candore gelido che abbagliava e che ha preso l’abitudine di non presentarsi più durante le festività natalizie.

Proprio mentre la neve iniziava a cadere, il cancello si aprì lasciando entrare il carro di mio padre.

Papà lavorava anche la Vigilia di Natale.

Dovrei dire che lavorava soprattutto durante la settimana che precedeva questa festa.

Era abitudine diffusa, infatti, che, nella città più vicina, si tenesse la grande fiera della Vigilia e quelli erano giorni in cui i servizi di mio padre erano utilizzati più del solito ed il carro partiva da casa nostra colmo di casse di frutta, rendendo ben più gravoso il lavoro del cavallo Nino, cieco da un occhio, che tendeva ad affidarsi più all’istinto che alla vista, menomata, ormai conoscendo a memoria la strada.

***

Quella sera, però, mio padre non ritornò solo.

Alla fiera aveva incontrato due amici, coscritti con lui sotto le armi, che abitavano in cascine poco lontane dalla nostra e li aveva portati a casa, per “far Natale” tutti insieme con un bicchier di vino, per stare allegri almeno una volta ogni tanto.

L’arrivo della neve aveva dato loro una gioia intensa ed incontrollabile che aveva spinto tutti e tre a cantare qualche canzone popolare sul Natale.

Tale allegria stonava alquanto con il cattivo umore del nonno che, però, si limitò a restare seduto in un angolo e a non partecipare alla festa, indirizzando a mio padre, tra i denti, un sommesso quanto irritato: “Non ritirare il cavallo. Stanotte si deve andare alla Messa”.

Mio padre aveva un carattere ospitale e gioviale ed avrebbe offerto i frutti delle proprie fatiche in campagna, anche durante l’anno, se mio nonno e mia madre non l’avessero fermato con sguardi di manifesta disapprovazione.

L’ospitalità era una cosa, sperperare un’altra.

Però a Natale nessuno poteva negargli di intrattenere gli amici e di consentir loro di scaldarsi.

Così ci ritrovammo tutti ammassati nella cucina bollente e profumata di rosmarino ad attendere che mio padre tornasse dalla cantina con due bottiglie di vino.

“E’ il mio, proprio il mio” ripeteva mio padre per dire che non solo proveniva dalla sua vigna, ma anche che l’uva era stata trasformata con il frutto del proprio lavoro e, mentre pronunciava quelle parole, gli occhi gli diventavano lucidi, lucidi per il piacere e l’orgoglio.

Uno degli amici, Samuele, rispondeva in dialetto: “L’ho sempre detto che tu, Berto, hai un bicchiere insuperabile”.

La frase di difficile traduzione in lingua italiana significava semplicemente che riteneva quel vino il migliore che avesse mai assaggiato.

Ed aggiungeva: “Se solo me ne volessi dare qualche bottiglia…pagando il giusto, naturalmente…”.

Ma su questo punto mio padre era sempre stato irremovibile: il vino si faceva per la famiglia e per offrirlo a chi andava a trovarlo, mai per venderlo.

Non ho mai compreso il perché di questa sua ostinazione. Forse pensava che la vendita avrebbe svilito quello che lui considerava il frutto di un piacere.

Quando, per raggiunti limiti di età, papà dovette cessare la produzione ne soffrì come se gli avessero sottratto qualcosa di prezioso ed insostituibile.

In realtà, il vino che produceva – lo compresi molti anni più tardi – era pessimo ed aveva un retrogusto acido, ma, a quei tempi, sembrava a tutti una prelibatezza da conservare e custodire.

Oggi le sue vigne non esistono più da molti anni.

Dopo la sua morte, mio fratello decise che, non potendosene occupare nessuno, era il caso che fossero sradicate.

Fortunatamente, mio padre non lo dovette vedere e questo mi è rimasto di consolazione.

Io non credo che i morti possano vedere quello che accade in terra. Turberebbe la loro pace eterna.

Al vino seguirono altri canti natalizi e gli amici rimasero per una tazza di brodo. Per quella soltanto, però.

Mia madre non avrebbe mai permesso che avessero accesso a quello che era stato preparato per il giorno successivo.

Le risate ed i cori riempirono la casa fino a quando mio nonno, gettando uno sguardo all’orologio a cipolla che portava sempre con sé appeso ad una robusta catena, non congedò tutti con un grugnito: “Si deve andare a Messa”.

Il capo famiglia era lui e noi dovevamo limitarci ad obbedire, senza poter discutere, né replicare.

***

Per bambini, abituati com’eravamo noi, ad andare a letto molto presto la sera, durante l’inverno, e a svegliarci prima dell’alba, quella Messa collocata proprio nel cuore della notte rappresentava al tempo stesso qualcosa di dolce e di gravoso, di dolce per l’anima, di gravoso per il corpo.

La strada da percorrere sotto la neve, a mezzanotte, la chiesa fredda, illuminata dalle fiammelle dei ceri, la lunga predica di don Amilcare, eccitato dal fatto di vedere riunite tutte le sue pecorelle, il presepe composto di statue grandi dai colori vivaci: tutto questo aveva il potere di attrarci e respingerci al tempo stesso, trasmettendoci un senso di timore per quel fasto, per quell’atmosfera tanto insolita.

Anche sulla panca dura, in quella notte, riuscii ad addormentarmi, con la testa appoggiata al braccio di mia madre che, impietosita, cercava di celarmi agli sguardi rapaci del nonno.

Però tutto era bello, tutto era pace: persino la neve, persino il freddo, persino le parole di don Amilcare che non comprendevo, ma che mi cullavano come una nenia.

Me ne rendo conto ora che mi trovo a guardare la me stessa di un tempo attraverso i vetri di una finestra immaginaria che non posso aprire, né varcare.

Non mi è consentito intervenire, né partecipare agli eventi. Non si può cambiare il passato, soltanto restare a guardarlo.

Era bello perché sentivo di avere tutta la vita davanti e non soltanto per quello.

Eravamo uniti, facevamo le cose senza secondi fini, felici del poco, senza aspettative e senza ambizioni.

Mi manca tutto questo.

Mi mancano mio nonno, mio padre, mia madre e mio fratello che ho visto andarsene l’uno dopo l’altro ed il mio sguardo è ormai rivolto al giorno in cui li ritroverò.

Man mano che aumentano i dolori, gli acciacchi, che ho bisogno di appoggiarmi ad un bastone per camminare, sento che questo giorno si avvicina e che, ormai non manca molto, la meta non è più distante.

Ma non ho paura, sapete? Certo, mi dispiace lasciare i miei cari, ma ho una voglia sottile e continua di vedere gli altri miei cari, quelli che non ci sono più, quelli assenti da questa terra.

***

Ma torniamo a quella notte. Una notte che vedo chiara e nitida attraverso questa mia finestra.

La Messa durò a lungo, un po’ per la predica, un po’ per i canti gioiosi, un po’ perché ci attardammo a scambiarci gli auguri con altre famiglie.

Poi, sempre sotto la neve, riprendemmo la via di casa.

Il carro avanzava piano, cigolando.

Con il suo grande telone bianco sembrava quello degli zingari o degli acrobati che arrivavamo, talvolta, in paese, accampandosi nei prati e con i quali, ogni volta, mio fratello sognava di fuggire, per vedere il mondo e cercare avventure.

Nino era stanco e manteneva un’andatura lenta e cadenzata.

Mia madre, mio fratello, mio cugino ed io ci eravamo rifugiati sotto il telone, sostituendo per una notte le cassette di frutta e respirandone il profumo che aveva impregnato il legno.

Il nonno, impavido, sedeva al freddo, esponendosi al vento ed alla neve, come un bravo nocchiero, dritto accanto a mio padre che teneva le redini.

Credo che si sentisse in pace per aver compiuto il proprio dovere nei confronti di Dio e che restasse fuori per controllare che il ritorno si svolgesse senza problemi ed arrivassimo a casa sani e salvi.

La stanchezza mi costringeva a passare continuamente da uno stato di dormiveglia al sonno, interrotto dal sobbalzare del carro sulle pietre della strada.

Mi sembrava di avere vissuto un sogno e non riuscivo più a ricordare quali fossero stati gli eventi reali. Vedevo muoversi intorno a me le statue del presepe come se si fossero animate ed il Bambino dalle guance rosee e paffute tendere le braccia dal suo giaciglio di paglia.

La neve cadeva abbondante, copiosa, sollevata dal vento in piccoli vortici gelidi ed andava a ricoprire la strada, i campi, i tetti.

Mentre scendevo dal carro, frastornata, infreddolita, avvolta in una sonnolenza che mi ovattava la mente, mi giunse, in lontananza, la voce del nonno: “Meno male che Tilde è arrivata ieri mattina o quest’anno avrebbe fatto il Natale in città con i signori”.

Nel pensiero, che conteneva il sollievo di sapere che la figlia non avrebbe dovuto mettersi in viaggio con il brutto tempo e che avrebbe potuto trascorrere il Natale, in cascina, con la famiglia, non aveva potuto fare a meno di abbandonarsi alla propria natura polemica ed anarchica, indirizzando una frecciata ai “signori torinesi” che sua figlia, secondo lui, ormai imitava come una scimmia, vestendosi, pettinandosi e comportandosi come loro.

Ci risparmiò le bestemmie, dato che era appena uscito, purificato, dalla cerimonia liturgica e ne continuava a subire gli effetti.

Io, dopo altri saluti ed auguri che mi parvero eterni, mi trascinai lungo le scale, affondando le scarpacce troppo grandi, trattenute da lacci spessi, nella neve e raggiunsi a fatica la mia camera.

Non mi dimenticai, però, di appendere al pomello del cassetto del comodino una mia calza, una di quelle calze spesse, lavorate ai ferri con la lana che era avanzata, che mia madre, durante l’inverno, ci costringeva a portare e che, quando si inzuppavano d’acqua, pesavano, nelle scarpe come pietre e ci provocavano geloni e raffreddori.

La maestra aveva detto che, a chi si era comportato bene per l’intero anno, il Bambino Gesù avrebbe portato un dono ed io mi sentivo tranquilla ed in pace con la mia coscienza e confidavo che sarei stata tra i fortunati.

Poi, vinta, mi abbandonai all’abbraccio delle lenzuola di tela ruvida del letto ed al suo tepore dovuto al fatto che aveva ospitato fino ad un momento prima uno scaldino del quale io stavo prendendo il posto.

Dormii profondamente un sonno senza sogni e fui destata dal gallo che, neve o non neve, non mancava mai al proprio appuntamento mattutino di sveglia vivente.

Avevo l’abitudine, trasmessami da mia madre, di non indugiare a letto, sotto le coperte, di alzarmi subito e di scacciare i residui del sonno offrendo il volto all’acqua ghiacciata del catino, con la quale mi lavavo, ripetutamente, il viso.

Terminato il rituale, quella mattina, il mio sguardo scivolò attraverso la stanza alla ricerca della calza.

Non era più appesa al comodino, bensì appoggiata in terra, accanto al letto ed era gonfia e straripante come una cornucopia.

Dentro vi trovai tre mandarini, un pacchetto di fichi secchi con le mandorle, uno di datteri ed un Bambin Gesù grasso e roseo, con i riccioli biondo oro, tutto fatto di zucchero, tanto bello che non so se avrei avuto mai il coraggio di mangiarlo.

Seppi più tardi, quando iniziai a non credere più a presenze magiche che visitavano la casa durante la notte di Natale, che la frutta arrivava da quelle cassette caricate sul carro che osservavo tutto l’anno con desiderio.

Mio padre, in occasione del Natale, comprava qualche pacchetto di frutta secca ed un sacchetto di mandarini perché non restassimo delusi al nostro risveglio e potessimo trovare anche noi un regalo come gli altri nostri compagni di scuola.

Il Bambino di zucchero era, invece, un’iniziativa della sorella di mia madre, zia Teresa.

Zia Teresa era tra gli invitati del grande pranzo a casa nostra e, “per non arrivare a mani vuote”, come diceva lei, preferiva comprare qualcosa per i bambini, da mettere nella calza.

Mia madre non approvava pienamente questa scelta.

Meno ancora mio nonno che avrebbe preferito qualcosa di utile.

Ma, dato che zia Teresa dei suoi soldi poteva fare ciò che voleva, evitavano entrambi di dare giudizi e mio fratello ed io beneficiavamo di queste sue attenzioni.

Scesi in cucina, portando con me il mio “tesoro”, la ricompensa del piccolo Gesù per essere stata buona.

Mio padre, seduto a tavola, davanti ad una scodella di latte caldo, sorrideva tutto contento.

Aveva già strigliato e nutrito Nino che stava al riparo, nella stalla, ed ora si concedeva la colazione a base di pane e latte.

***

Nel corso della mattinata si susseguirono, incalzanti ed inarrestabili, i “Buon Natale” e gli “Auguri” e la casa iniziò ad animarsi e ad affollarsi.

Nonostante la neve fosse caduta durante tutta la notte, imperturbabile ed indisturbata, e continuasse a scivolare dal cielo senza sosta, morbida e gelida, senza intenzione alcuna di fermarsi, nemmeno per una breve tregua, tutti i parenti attesi, invitati, giunsero con le guance rosse un po’ per il freddo, un po’ per il piacere.

Giunse zia Teresa, quella del Bambin Gesù di zucchero, con un cappotto nuovo, rosso fuoco, al quale stavano appese tre bambine di età diversa.

Giunse zia Valentina, con zio Pietro ed il cugino Cino, portando tre salampatata avvolti in carta spessa, da utilizzare come antipasto.

Zia Valentina era sempre stata una donna piuttosto parsimoniosa con la propria roba, anche se poi, a casa degli altri, dimostrava un sano, vorace e robusto appetito.

Giunse zia Matilde, elegantissima in un completo color tortora, con il cappello inclinato di lato sui capelli corti, alla moda, con i guanti di capretto per proteggere le mani, con lo zio Giovanni ed il piccolo Giulio, l’uno da una parte, l’altro dall’altra, come due valletti.

Alla vista della figlia, mio nonno nascose un sorriso compiaciuto sotto i grossi baffi curati ed impomatati, limitandosi, però, quando lei si avvicinò per baciarlo, a dirle con voce catarrosa e dura: “Da quando hai preso l’abitudine di profumarti come le donnacce di Parigi?”.

Il nonno alludeva al delicato profumo di violetta di Parma che emanava dalla zia e che per lui rappresentava un’altra abitudine cittadina, una degenerazione dei costumi.

In quanto alle “donnacce di Parigi”, il nonno conosceva bene la categoria, essendo stato a lavorare in Francia, in gioventù ed avendole frequentate, mentre suo fratello, per trascorrere le domeniche preferiva a quei trastulli dispendiosi, quello più fruttuoso di recuperare le monete sul fondo delle fontane.

Dalla Francia mio nonno era poi dovuto fuggire in fretta e furia, forse lasciando dietro di sé il frutto di amori proibiti e scandalosi.

Zia Tilde che conosceva troppo bene il carattere del padre e la sua predilezione per lei per prendersela o ritenersi offesa, gli rivolse un luminoso sorriso e passò oltre, senza neppure replicare, pienamente consapevole di essere l’unica della famiglia a poter fare quello che voleva.

Il nonno rimase sull’uscio della sala a tormentarsi i baffi fino a quando tutti gli ospiti non si furono accomodati a tavola.

Era una tavola lunghissima, dove si stava stretti, sedia contro sedia, mano contro mano, sorriso accanto a sorriso.

In un angolo, sul tavolino bello, faceva mostra di sé il grosso dolce torinese, con la carta d’argento e con i nastri larghi e rossi, ammiccando e promettendo piaceri infiniti e un po’ peccaminosi e faceva da contraltare al presepe che, placido, silenzioso, ma splendente, ci ricordava il senso vero della festa.

Io, seduta tra mio fratello e mio cugino Cino, tenevo sulle ginocchia il Bambino e la frutta e non riuscivo a separarmene neppure per un istante perché quel contatto mi scaldava il cuore.

***

Posso vedere chiaramente la me stessa di allora: piccola, magra, con gli occhi grandi e verdi, felice, tanto felice da non riuscire a trattenere le lacrime.

I vetri della mia finestra sul passato iniziano ad appannarsi, piano, piano, angolo dopo angolo.

Tutto si oscura come se si stesse chiudendo un sipario.

Il ricordo, la memoria sembrano non volermi sostenere più.

Provo a spingere gli occhi indeboliti dalla vecchiaia, oltre la cortina di fumo, per cercare di scorgere qualcosa.

“Ancora, un istante, ti prego. Lasciami un momento ancora per vedere la stanza. Fammi entrare per pochi minuti. Mi basteranno per rivederli tutti, per salutarli ancora una volta, per ritrovare quei cari volti e dir loro “Buon Natale”. Ti chiedo soltanto questo, Bambin Gesù”.

Ma i vetri sono appannati, ormai.

Non si vede più nulla e nulla più si sente: né risate, né musica, né voci.

Tutto è silenzio.

“Papà, mamma, nonno…” provo a chiamare.

Nulla. Nessuna risposta.

E’ la memoria che mi sfugge, è il ricordo che mi tradisce.

La finestra è buia e riflette me stessa.

Il pendolo della scala ha iniziato a battere l’ora. “Dan, dan, dan, dan, dan, dan”. Sei colpi.

Sono già le sei. Mi riscuoto.

Mi sono addormentata come una vecchia stupida sul divano ed ho sognato, forse, proprio io che non sogno mai.

Deve essere stato uno scherzo della nostalgia, quella che assale gli anziani.

Sì, sono vecchia ormai, una vecchia svanita che ragiona con il cuore e non con il cervello.

Mi alzo. Preparo il caffè, nero, amaro, bollente.

Lo bevo, guardando l’alba livida, guardando la luce entrare nella stanza sempre più forte.

Quella che mi attende sarà una bella festa, ne sono sicura. So anche che mi hanno preparato regali e sorprese. Mi vogliono bene.

E stanotte anche Dio mi ha voluto fare il suo dono: mi ha fatto rivivere momenti poveri e belli, un Natale d’altri tempi, tempi senza televisione, senza aerei che fendevano il cielo, senza viaggi, crociere e settimane bianche.

Voi giovani non sapete nemmeno di che cosa sto parlando, vero?

Avrei voluto poter vedere ancora, ma va bene così. Non sono delusa, anzi sono grata al Bambin Gesù per tutto, nel bene e nel male. Lo ringrazio e mi sento in pace.

Tutto deve avere una fine, anche il ricordo.

Adesso so che è questo, quello presente, il Natale che mi interessa vivere, non il Natale di ieri e nemmeno il Natale di domani.

Ho bevuto un sorso di gioventù, ora è arrivato il momento di riprendere il mio posto di ottantenne un po’ svampita, com’è giusto che sia.

Cerco di vivere al meglio quello che è il mio presente, non mi interessa altro.

Domani rappresenta un’incertezza, un’incognita.

Ieri è lontano, remoto, trascorso e sepolto sotto tutta la neve di questa mia esistenza.