Confesso che non ho amato Tex Willer

Confesso che non ho amato Tex Willer. Essendo nato nel 1957 sono ( probabilmente ) tra i pochi della mia generazione. Come quasi 
tutti i maschi l’ ho letto. Mi sembrava monotono, raccontato nelle immense ed appunto noiose
praterie del Nevada. Con cliché  ripetitivi. Piccoli sussulti di creatività con l’ inserimento di
Mefisto, impersonificazione del diavolo in terra.


Altra cosa era, sempre per me, Zagor Spirito con la Scure. Quasi un San Francesco della giustizia
e della morale con il suo improbabile assistente Cico di lui l’opposto. Grasso, grande mangiatore
e quel pizzico di opportunismo latino visto che è ( pure ) messicano. Allora non c’ era il Muro tra
Usa e Mexico. Quasi totale assenza del sesso femminile per significare una sorta di strisciante
misoginia. Non era dato sapere se Zagor si fosse mai innamorato, e sicuramente se una donna
gli donava un bacio sulla guancia arrossiva come non mai. Mi piacevano le storie dello Spirito
con la scure. Talmente metafisiche che risultavano surreali. Incursioni di altre storie con altre
epoche. Strani Signorotti che volevano vivere nel medio evo. O Vichinghi sopravvissuti nei loro
costumi isolati ed autosufficienti non contaminati dalla contemporaneità dell’ allora presente.
Storie belle da leggere. Ma anche continua ricerca dei numeri arretrati. In generale la storia cominciava su un numero e
finiva il successivo. I modi erano diversi. Scambiarli con gli amici. Giocarli a carte. Il valore era il
prezzo di copertina.


Ed infine recarsi dalla amico Becuti in corso Giulio Cesare angolo via Bra.
Licenziato per rappresaglia dalla Fiat si era messo in proprio. Diceva: “basta officine” , ancorché
ottimo tornitore.
Ogni settimana ero lì. Mi parlava del suo amore per la cucina. Acciughe al verde e bolliti misti.
Se compravo, il costo era metà del prezzo di copertina. Se scambiavo, 2 per 1. Dopo, sempre un
piccolo regalo di altri fumetti. “Te lo devo. Sei il figlio di Nando, grande compagno”.
Lavoravano tutti e due alla Grandi Motori. Da via Monterosa a corso Vercelli passando per via
Cuneo. Allora pure Gipo Farassiso era comunista e suonava nelle balere e nelle Feste dell’ Unità.
Pochi soldi e tanto Barbera accompagnato dall’ inevitabile toscano.


La barriera finiva lì . L’ attività di ricerca cominciava all’ inizio di giugno. Durante la scuola le
poche letture erano scolastiche. Finito di mangiare, subito all’ oratorio per giocare a pallacanestro
fino a tardi. Compiti rimandati al giorno successivo. Ammetto, non sono mai stato un solerte
studente ed ancora oggi mi chiedo come ho fatto ad avere ottimo all’ esame di terza media. Il
massimo  risultato con il minimo dello sforzo. Dunque a giugno iniziava la ricerca.
La lettura veniva rimandata ad Agosto. Nella casa di montagna, anzi nella casetta di mezza montagna
( rigorosamente affittata), le due stanze erano collegate da una scala interna. A metà un ripiano
dove impilavo i giornalini divisi per tipo e per numero. Aspettavo rigorosamente  agosto per
iniziare la lettura.
Al sabato – ore 12. 15 –  treno per lanzo. Cambio con corriera fino a Viù e poi a piedi al Versino, frazione
di Viù. Era il mio modo di sognare. Camminare, leggere.
Nella casettina un piccolo cortile, da una parte limitato con un alto muro.
Con i punti delle figurine panini l’omaggio di un pallone da basket.


Ed anche lì interminabili partite, rigorosamente da solo, rigorosamente tutto
inventato dal canestro al pubblico ed ovviamente io leader e vincente. Sogni e fantasie con
qualche spruzzo di realtà vissuta. In fondo ci bastava poco. E quel poco ci ha abituati ad essere
contenti del tanto avuto. Tutto con metodo. Quella fantasia non era fine a se stessa, erano
primi rudimenti di un metodo. Non tutto subito. Ma quel tutto alla fine di un percorso. Non è
stato sempre tutto ma qualcosa, abbiamo detto, qualcosa di fatto e realizzato. Anche grazie a Zagor, almeno
per me.

 

Patrizio Tosetto

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