ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 658

Fca stima una crescita contenuta del mercato auto in Italia

500x fiatPer Fca si stima una crescita del mercato italiano nel 2017 contenuta, tra il 3 ed il 5 per cento, a causa del rallentamento delle vendite ai privati. Il gruppo industriale ha annunciato  per tutto il mese di novembre una nuova politica commerciale per le Fiat 500 e Tipo, con l’acquisto dell’auto attraverso il noleggio. Fca ha registrato da quattro mesi che  la crescita ai privati è zero e che ” il trend non è esaltante sia per la fine dell’anno sia per l’anno prossimo”.

(Foto: il Torinese)

“Migrazioni: ecco le seconde generazioni”

Scuola di Studi Superiori Ferdinando Rossi dell’Università di Torino  Giovedì 3 novembre 2016 – ore 9:00 Aula Magna del Campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino I edizione del Forum Interdisciplinare Ferdinando Rossi

“Il futuro delle migrazioni: uno sguardo alle seconde generazioni” è il tema scelto per inaugurare l’ottavo Anno Accademico della Scuola di Studi Superiori dell’Università di Torino e il primo Forum campus universita 1Interdisciplinare Ferdinando Rossi, ideato e organizzato dagli studenti SSST per proseguire idealmente la vocazione multidisciplinare della Scuola, e allo stesso tempo fornire stimoli nuovi per affrontare una tematica attuale, complessa e stimolante. Aprono il Forum, in programma giovedì 3 novembre a partire dalle 9:00, presso l’Aula Magna del Campus Luigi Einaudi (Lungo Dora Siena 100, Torino), i saluti di benvenuto del Rettore Gianmaria Ajani, Presidente della SSST Ferdinando Rossi, di Enzo Lavolta, Vice Presidente vicario del Consiglio Comunale della Città di Torino, e del prof. Vincenzo Ferrone, Consigliere della Compagnia di San Paolo. A seguire, il Vicepresidente della SSST prof. Alessandro Zennaro, delineerà le prospettive di crescita e svolta della Scuola che a oggi conta 110 studenti e 72 laureati. La Scuola – che è pronta per avviare la richiesta di accreditamento iniziale presso il MIUR – affianca e integra il percorso degli studenti di tutti i Corsi di Laurea dell’Ateneo torinese, offrendo 19 corsi di eccellenza dedicati a temi di forte impatto socio-politico, affrontati integrando scienze umane e della natura, con particolare attenzione allo sviluppo sostenibile e al riconoscimento del merito. Grazie infatti al contributo di MIUR e Compagnia di San Paolo, gli studenti che rispettano i criteri di frequenza e profitto richiesti sono ospitati gratuitamente nelle residenze universitarie, oltre a fruire del rimborso delle tasse universitarie e di un contributo annuale per lo studio (calcolato in base alle fasce di reddito). Il Forum entra nel vivo con la Prolusione accademica per la classe di Governo e Scienze Umane, affidata alla prof.ssa Catherine Wihtol de Wenden dell’Università Sciences Po di Parigi, specialista nella migrazione internazionale, per venti anni ha condotto studi sul campo ed è stata consulente per l’OCSE, il Consiglio d’Europa, la Commissione europea e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Wihtol de Wenden parlerà delle nuove forme di Cittadinanza del 21° secolo, con un approfondimento sul caso francese. Il prof. Bruno Mazzara dell’Università La Sapienza di Roma, per la Prolusione accademica dedicata Scienze Naturali parlerà invece di “Famiglie migranti e nuove generazioni di italiani come laboratori di intercultura”, spiegando come nella società prevalgano oggi logiche di rifiuto, integrazione assimilativa o sofferta convivenza multiculturale, piuttosto che logiche di arricchimento interculturale. Conclude la mattinata l’intervento del prof. Pier Luigi Branca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con alcune riflessioni – frutto dell’esperienza di vari decenni – sulle “identità plurali dei giovani arabi in Italia”. Branca porrà l’accento sulle profonde trasformazioni vissute dalle seconde generazioni – bambini e giovani nati in Italia o arrivatici in tenera età – nelle loro relazioni con l’ambiente d’origine e la società d’accoglienza; e su quanto siacampus universita 2 importante fornire strumenti culturali adeguati alle agenzie educative tradizionali come la scuola e l’oratorio. I lavori del Forum riprendono dopo la pausa pranzo, alle 14:30, con l’intervento della dr.ssa Viviana Premazzi, ricercatrice presso l’Università di Torino e FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione), un focus sui “Talenti mobili”, ovvero le seconde generazioni di migranti e gli studenti stranieri che – grazie al programma Erasmus – arrivano in Italia: è fondamentale il ruolo che potrebbero giocare nel processo di internazionalizzazione dell’Università, una vera e propria risorsa da spendere per creare un ponte per lo sviluppo di relazioni istituzionali, progetti e business transnazionali. Il prof. Marco Aime dell’Università di Genova parlerà in chiusura del “razzismo culturale”: da quando la moderna genetica ha decostruito il concetto di razza, come veniva declinato nel Novecento, le nuove frontiere della discriminazione e dell’esclusione si sono spostate infatti sul versante della cultura. Termini come ”radici”, ”popolo”, ”tradizione” che abbondano nelle retoriche dei movimenti e partiti xenofobi, richiamano al legame ”terra e sangue” di triste memoria, riducendo l’individuo a una sorta di vegetale dominato dalla natura e privo di scelte. Di fatto siamo di fronte a un razzismo senza razza, a una forma di fondamentalismo culturale. Ingresso libero.

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L’evento, realizzato anche grazie al contributo di Rotary Club Torino, sarà trasmesso in diretta streaming su www.unito.it/media Per informazioni: forumferdinandorossi.altervista.org e www.ssst.unito.it La SSST Ferdinando Rossi si avvale del sostegno di MIUR e Compagnia di San Paolo.

Psoriasi, “open day” a Torino

LA DIAGNOSI PRECOCE È FONDAMENTALE PER INIZIARE UNA TERAPIA CHE PUÒ CAMBIARE LA QUALITÀ DELLA VITA. SABATO 5 NOVEMBRE, BASTA PRENOTARSI AL NUMERO 800.625.043CI SARANNO ANCHE ESPERTI DEDICATI ALLA PSORIASI NEI BAMBINI

 

torino_ospedale_san_lazzaro«La Psoriasi è una patologia estremamente diffusa e nota da sempre ma il nostro atteggiamento è molto mutato in questi ultimi anni, sia per quanto riguarda la valutazione della eziopatogenesi, sia per quanto riguarda la prognosi: se prima era considerata la “malattia dei sani”, adesso ha acquisito la giusta considerazione di patologia sistemica, con coinvolgimento corporeo multidistrettuale. E’ fondamentale pertanto  eseguire  una diagnosi precoce perché questo consente di iniziare tempestivamente le terapie disponibili, che possono sensibilmente migliorare la qualità della vita ed evitare le complicanze. Anni fa esistevano solo le medicazioni topiche e questo significava lunghi periodi di ricovero mentre adesso abbiamo a disposizione nuovi farmaci sistemici, molto efficaci nella gestione della malattia psoriasica. Adesso è possibile condurre una vita normale di relazione e lavorativa». L’appello a non sottovalutare i campanelli d’allarme al fine di una diagnosi precoce è della professoressa Maria Teresa Fierro, Direttore della Struttura Complessa di Dermatologia Azienda Ospedaliero – Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino. Per venire incontro alle esigenze dei pazienti sabato 5 novembre dalle 9,30 alle 13 e dalle 14 alle 16,30 si potranno incontrare i dermatologi con visite gratuite per un Open Day dedicato interamente alla psoriasi. E’ necessario prenotarsi chiamando il numero gratuito 800.625.043 (dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17). Le visite si tengono al Presidio San Lazzaro in via Cherasco, 23 – Padiglione rosa, piano terra, ambulatori visite. Se si ha già avuto una diagnosi di psoriasi ma non si è seguiti dal servizio dedicato all’interno del San Lazzaro o si sospetta di soffrire di psoriasi è possibile chiedere un consiglio. L’Open Day è una buona occasione ed è rivolto in particolare ai pazienti affetti da psoriasi, che non hanno mai intrapreso nessuna terapia sistemica. Alcuni esperti si dedicheranno in particolar modo alla psoriasi nei bambini.

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L’appuntamento con l’Open Day Psoriasi e le visite specialistiche gratuite (su prenotazione) a Torino è per sabato 5 novembre dalle 9,30 alle 13,00 e dalle 14,00 alle 16,30 al Presidio San Lazzaro, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino (via Cherasco, 23) Padiglione rosa, piano terra, ambulatori visite. Per prenotarsi e per ulteriori informazioni, chiamare il numero verde 800.625.043 a disposizione dalle 9.00 alle 17.00. Per saperne di più andare sul sito: www.openday2016.com. ‘Open Day’ è una iniziativa realizzata da Caregiving Italia con il contributo incondizionato di Pfizer.

Paideia a Paratissima: “weekend stellare”

Dopo l’esperimento riuscito della scorsa edizione, nel 2016 Paratissima e Fondazione Paideia sono tornate a collaborare per realizzare un progetto in cui i bambini della Fondazione Paideia e gli artisti di Paratissima potessero lavorare insieme per creare delle opere d’arte da esporre nella XII edizione della manifestazione.

bimbi-paideia

Così è nato il “weekend stellare”: quattro artisti e sei famiglie hanno trascorso un fine settimana ad Avigliana, nella splendida cornice della Certosa 1515,  giocando con stoffe, pennelli, colori e plastilina e realizzando insieme sculture, quadri e installazioni artistiche che rispecchiassero la fantasia e la sensibilità dei più piccoli. Genitori e bambini si sono immersi nell’atmosfera di Paratissima trasformandosi in artisti a tutto tondo, vivendo un’esperienza ricca di sorrisi ed emozioni, in cui l’arte ha svelato tutto il proprio potenziale ludico ed educativo.

Insieme a Saro Puma i bambini hanno dipinto su grandi fogli con pennelli, stencil e timbri, realizzando tanti tasselli che hanno dato vita a una storia collettiva. Francesca Lupo invece, ha condotto i piccoli artisti alla scoperta di come le scatole vuote possono trasformarsi in stanze da arredare, dipingere e riempire di oggetti e figure. Con Daniele Accossato grandi e piccini hanno viaggiato nello spazio, realizzando fantasiose costellazioni con la plastilina, e con Nazareno Biondo sono entrati nello studio di uno scultore per modellare fantasiose maschere in terracotta.

Le opere realizzate saranno esposte in anteprima a Paratissima12 a Torino Esposizioni (corso Massimo D’Azeglio 15, Torino) dal 2 al 6 novembre, all’interno di una sezione speciale dedicata. La presentazione della mostra è prevista per sabato 5 novembre alle 16 presso l’area incontri.

Un esempio per tutti noi… (Parte 1)

platone-1Vi voglio raccontare una storia reale che coinvolge tre giovani italiani, artefici di una bella fiaba, in stile moderno. La speranza è che leggendo le righe che seguiranno, ognuno di noi, possa trovare dentro il proprio animo, una forte motivazione a cambiare una brutta tendenza della civiltà odierna, quella di ignorare i problemi del mondo reale che ci circonda e, magari, a ritrovare quello spirito di solidarietà ed umanità che è la base di ogni società che si possa definire…civile! L’esempio di questi ragazzi, dovrebbe essere uno sprono alla rinascita del buon sentimento e far sì che l’essere umano trovi la forza per aiutare il proprio simile e vivere in questo pianeta nel rispetto della propria dignità umana e nell’amore reciproco. Vi sembrano parole gettate al vento? O magari discorsi di un idealista senza speranza e forse anche un po’ retorico? Sinceramente non lo credo, non erano i nostri avi forse più solidali e fraterni e condividevano ciò che avevano senza altro fine che la mera e genuina solidarietà? E per loro il menefreghismo, grande piaga della società di oggi, era una parola dal significato oscuro e priva di ogni logica….

La prima volta che incontro Dino e mi racconta la sua avventura, subito mi viene in mente il libro “Tre Tazze di Tè” di Greg Mortenson, americano appassionato di alpinismo che si smarrisce su un ghiacciaio del Pakistan e che viene accolto in uno sperduto villaggio, affidandosi alle cure degli abitanti. Quando Mortenson riparte, promette di tornare e, per sdebitarsi, costruirà una scuola nel villaggio. Al fine di realizzare quella promessa metterà in gioco la sua intera vita, il lavoro, gli amici e persino la casa. Osteggiato in patria per la sua ostinazione a voler istruire “futuri terroristi”, come pensano molti americani, facendo di ogni erba un fascio, Mortenson è riuscito a realizzare il suo progetto ed a costruire altre 49 scuole dopo la prima. Tratto da Tre Tazze di Tè

I nostri tre ragazzi italiani, senza neppur conoscere l’eco dell’impresa di questi americano, hanno intrapreso e realizzato qualcosa di speciale ed unico, un’impresa da….. “libro cuore”.

Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri e per il mondo resta ed è immortale. Harvey B. Mackay

Lasciate che la musica e le parole della canzone di Sade – Pearls (Live 2011) entrino nei vostri cuori. Ci racconta una storia fatta di poesia e di dolore, triste ma intrisa di genuino sentimento…basata sullo stesso sentimento con il quale Guido, Emanuele e Dino, hanno piantato un germoglio nel cuore del lontano Nepal…questo germoglio per crescere ha bisogno dell’amore di tutti noi….senza amore il germoglio potrebbe appassire….Hallelujah…..

There is a woman in somalia……..C’è una donna in Somalia che raschia le perle sul ciglio della strada….c’è una forza più forte della natura che mantiene la sua volontà in vita…ecco come sta morendo, sta morendo per sopravvivere. Non so che cosa ha fatto per meritarsi questo, mi piacerebbe essere quella coraggiosa…Piange il cielo sopra… Vi è una pietra nel mio cuore. C’è una donna in Somalia, il sole non le dà nessuna pietà …le ustioni alle ossa…finché l’ombra del tardo pomeriggio la farà tornare a casa….ogni grano accuratamente avvolto…perle per la sua bambina…Hallelujah Hallelujah ….Piange il cielo sopra….. Vi è una pietra nel mio cuore….Vive una vita che non ha scelto…..e fa male……

Che la nostra “fiaba reale” abbia inizio….

Dobbiamo immaginare di fare un viaggio in Nepal, una delle dieci nazioni più povere del mondo, un paese fatto di tante, troppe storie di povertà, e di comunità misere ed emarginate. Qui la spesa sanitaria è a livelli estremamente bassi e la disparità di classe nella ripartizione della ricchezza, è tra le più alte del continente asiatico. Lo spaventoso terremoto dell’aprile del 2015, ha lasciato ferite profonde e difficili da rimarginare, la maggior parte della popolazione è costretta ad emigrare nella speranza di trovare un lavoro ed i grandi proprietari terrieri, sfruttano i loro concittadini, dando salari da fame. I “dalit” (o paria), la casta più povera del sistema sociale e religioso induista, sono costretti a vivere in condizioni miserevoli, a loro spettano i terreni meno fertili e il raccolto non è mai sufficiente per sfamare tutti.

Guido Capozzo di Schio, amante della montagna e del massiccio himalayano, va ben sei volte in Nepal negli ultimi dieci anni e, proprio durante l’ultimo viaggio a Kathmandu, compiuto in compagnia dell’amico Emanuele Sbado incontra Chattra, titolare di un’agenzia di trekking, che gli parla del villaggio dove prima viveva, in una valle sperduta e quasi inaccessibile a circa trecento chilometri dalla capitale Kathmandu. Chattra racconta le condizioni di vita della gente che popola il villaggio e delle difficoltà in cui sono caduti dopo il terremoto che ha devastato la regione nel 2015. Immediatamente nasce in Guido ed Emanuele il desiderio di andare a vedere di persona tanto che nel dicembre del 2015, coinvolgono il ragazzo nepalese e partono insieme alla volta del villaggio. Il terremoto ha aggravato una situazione già precaria e la stessa Kathmandu soffre ancora degli effetti del sisma. Fuori dalla capitale lo scenario è terribile: villaggi ancora isolati tra loro e dal resto del mondo ma sovrappopolati e in situazione di grave povertà. Non c’è elettricità, acqua corrente, strade e il medico più vicino si trova, nella maggior parte dei casi, ad alcuni giorni di cammino anche a causa della mancanza dei mezzi di trasporto. 

Un viaggio fatto da strade fatiscenti e prive di ogni confort, di cui l’ultimo tratto viene percorso a piedi, essendoci un unico sentiero, che dalla sottostante cittadina di Garjan s’inerpica nella montagna, sino ad arrivare ai 2200mt di altezza di Chake. Il villaggio, situato in una valle adiacente a quella dell’Everest, è di piccole dimensioni, popolato da qualche centinaio di anime e, durante i due mesi monsonici, rimane isolato dal resto del mondo. (La scuola di Chake si trova ad un’ora di cammino da Jiri bazar nei pressi di Garjan).

Guido Capozzo con due bambine di Chake

Emanuele Sbado e l’allegria della semplicità!!!

Il villaggio di Chake.

Guido ed Emanuele sentono l’odore del villaggio già prima di arrivarci, in quanto il fumo del ginepro e il puzzo di un’umanità poco avvezza all’igiene personale, stridono con la purezza dell’aria di montagna e sono, a tratti, soffocanti. Allorché raggiungono la soglia del villaggio, lo scenario che si presenta ai loro occhi è costituito da un piccolo e semplice gruppo di case con tetti in lamiera e muri costruiti a secco e da un gruppetto di persone anziane che siedono tranquille al sole fumando una di quelle loro pipe pittoresche. I meno vecchi lavoricchiavano ad un telaio o filavano la lana con gesti misurati e competenti di chi ha eseguito un’operazione sin da bambino, mentre due ragazzi seduti da una parte, si spidocchiavano con meticolosa tenerezza. In quei villaggi di montagna molte persone hanno il gozzo o la cataratta, mentre i bambini soffrono di malnutrizione.

I due italiani si rendono subito conto di persona della povertà dirompente e delle misere condizioni di vita degli abitanti e chiedono ansiosi di poter vedere i resti della scuola, distrutta dal terremoto del 2015. Una processione di bambini, donne e uomini minuti e mal vestiti li conduce sul luogo. La scuola è praticamente distrutta, a parte un muro a secco che ne rappresenta il perimetro e che deve essere aggiustato e rafforzato mentre il tetto, miracolosamente ancora in piedi, è in una discreta condizione e forse potrebbe essere riutilizzato. Gli abitanti in seguito al disastro, avevano creato una struttura provvisoria e fatiscente adiacente alla scuola distrutta, in legno e lamiera dell’altezza di circa un metro e mezzo, dove una trentina di bambini seguivano le lezioni dei tre insegnanti locali, due donne ed un uomo.

Guido ed Emanuele s’impegnano immediatamente cercando di rendersi utili impartendo un piccolo corso di inglese ai bambini che frequentano la scuola provvisoria (anche poche parole possono essere utili per dare una speranza di lavoro nel futuro,) prima di tornare a Kathmandu dove li attende l’aereo del ritorno. Durante il volo, partorisce l’idea della ricostruzione della scuola di Chake, ed i due amici si confrontano e ne discutono per tutta la durata del viaggio, appassionandosi sempre di più a quell’idea.

Al rientro in Italia

A Vicenza incontrano l’amico Dino Cavedon e gli raccontano la loro esperienza. Dino, che aveva già fatto volontariato in Ecuador ed in Cile, si entusiasma immediatamente al progetto ed i tre amici decidono di raccogliere i soldi ed il materiale necessari per ricostruire la scuola e dare un piccolo contributo a migliorare la situazione nepalese, ormai dimenticata dai media, passato il periodo dello scoop emergenziale. Le scuole in Nepal sono poche, lontane dai villaggi ed i bambini devono camminare spesso per chilometri prima di raggiungerle. L’ottanta per cento delle donne è analfabeta, gli orfani a causa del terremoto sono migliaia e centinaia di famiglie non hanno più una casa.

Dino Cavedon gioca con una bambinetta del villaggio

Guido fa stampare un libro, una sorta di album fotografico, per raccogliere dei soldi, con la speranza di poter vendere tutte le copie per ricavare quei pochi soldi necessari alla realizzazione del progetto che andrebbero ad aggiungersi all’impegno lavorativo personale dei nostri ragazzi. I tre amici sono animati da uno straordinario spirito di altruismo e sono convinti di poter ricostruire la scuola semi distrutta dal terremoto nel remoto villaggio di Chake. Credono di poter riparare il muro a secco che ne costituisce il perimetro e di recuperarne il tetto di legno e lamiera, ancora abbastanza sano, per non perdere troppo tempo inutilmente ma, il problema che subito si pone, è come portare il materiale e come fare i lavori in quel luogo disagiato e senza elettricità. L’attrezzatura indispensabile alla ricostruzione si riduce ad una motosega a scoppio per tagliare gli alberi oltre al materiale di ferramenta ed edile, da reperire in loco ma, quando la compagnia aerea viene interpellata, si trovano difronte al primo grande problema. La risposta alla richiesta di mettere in stiva la motosega, indispensabile per i lavori al villaggio, è scoraggiante: “ci spiace ma non è possibile, è contrario alle norme di sicurezza”! I tre ragazzi non si perdono d’animo, decidono di smontare in toto la motosega e di rimontarla in loco. Ne impacchettano accuratamente i vari pezzi e la mettono in stiva dentro il bagaglio. A disposizione hanno trenta chilogrammi di bagaglio a testa di cui circa settanta chilogrammi costituiscono il peso dei vestiti comprati al fine di donarli a quelle povere persone. Nessuno si accorge che hanno imbarcato “clandestinamente” la motosega e così la prima (assurda) difficoltà burocratica/legislativa è stata superata con un pizzico d’ingegno e di audacia, ma come fare ad organizzarsi?

Continua domani…

Guido, Dino ed Emanuele torneranno presto al villaggio di Chake in Nepal, la loro “missione” consisterà nel costruire delle semplici canne fumarie e salvare decine e decine di vite, distribuire vestiti, regalare una speranza per il futuro ai bambini di quella zona donando a quanti più possibile i venti euro necessari per le spese scolastiche annuali e tante altre…piccole ma grandi cose…

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Chi volesse contattarli direttamente per aiutarli nella loro impresa o semplicemente per condividere il loro pensiero può tranquillamente farlo: dinocavedon@libero.it & guido_climb@hotmail.com dinocavedon@libero.itPer chi volesse vedere tutte le foto ed i video degli articoli  su Chake ed il Nepal può farlo al seguente link: http://www.astrologiadiplatone.com/blog/2016/10/29/un-esempio-tutti/

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“Cambiare se stessi” per “modificare gli altri”

decarolis2La comunicazione è una cosa semplice che si trasforma in complessa non appena diventa a due vie, cioè quando ci relazioniamo con qualcuno il cui feedback determina il raggiungimento o meno del nostro obiettivo.

di Antonio DE CAROLIS

 

Talvolta ci capita di sentire: “Quella persona è davvero antipatica, non capisco come possa fare quel tipo di lavoro con quel brutto carattere … ” oppure “Non immaginavo fosse così scortese, tutti ne parlano bene…”Pareri discordi o persone con doppia personalità? Niente di tutto ciò, probabilmente si tratta solo di “incontri ravvicinati tra persone che, in quel preciso momento, hanno avuto un comportamento poco compatibile con quello dell’interlocutore”.

A tutti è capitato di essere qualche volta “meno disponibili” o semplicemente “meno interessati agli altri”, non perché lo fossero realmente, ma solo perché in quel preciso momento o in quella specifica situazione, l’uomo di Neanderthal che ci accompagna tutta la vita ci ha portato a muoverci in quel determinato modo.

L’uomo di Neanderthal è la raffigurazione delle nostre consuetudini, dei nostri usi e delle nostre abitudini.Egli vive con noi dalla nascita e si nutre delle nostre esperienze, dei nostri sentimenti, della nostra “cultura”, e ci porta a comunicare con il mondo con atteggiamenti e comportamenti spesso “programmati”, poiché derivanti da esperienze già vissute (chi si è scottato con l’acqua calda, ha paura anche di quella fredda).

La comunicazione è una cosa semplice che si trasforma in complessa non appena diventa a due vie, cioè quando ci relazioniamo con qualcuno il cui feedback determina il raggiungimento o meno del nostro obiettivo.Se ad esempio raccontiamo a nostra moglie di avere visto le foto di un bellissimo albergo in montagna dove prima o poi ci piacerebbe soggiornare, stiamo comunicando a una via, cioè qualsiasi cosa dica nostra moglie (il feedback) non modifica il fatto che noi lo troviamo bello.

Se invece raccontiamo la stessa cosa con l’intento di organizzare il prossimo week end, allora la comunicazione diventa a due vie, poiché il feedback diventa fondamentale per raggiungere il nostro obiettivo, che è quello di andare in montagna e soggiornare proprio in quel posto.Qualcuno potrebbe giustamente affermare che cambiare il punto di vista delle persone è difficilissimo, ma noi crediamo che, analizzando meglio le cose, potremmo talvolta renderlo possibile.

È più facile deviare il corso di un fiume o spianare una montagna che cambiare l’animo di un uomo. Proverbio cinese

 

La prima cosa da fare è accettare che noi possiamo al massimo modificare un comportamento e non il carattere, perché alla sua formazione concorrono tanti fattori tra i quali l’ambente, la formazione, le esperienze e così via …

La seconda cosa è sapere che ogni comunicazione genera una visione e quindi è fondamentale capire quale visione, in quel preciso istante, ha generato il nostro messaggio nell’interlocutore.

Se ad esempio, il nostro: “Sai tesoro, ho trovato sul web un bellissimo albergo in montagna con piscina, sauna e sci in dotazione, un po’ caro ma davvero bello!” (messaggio), generasse in lei (ricevente) la visione di una spesa inutile in un momento di scarsa disponibilità economica come quello attuale (contesto), la possibilità di trascorrere il prossimo week fuori casa, sarebbe piuttosto remota, perché la sua visione è completamente diversa dalla nostra. La visione condivisa è fondamentale per il raggiungimento del nostro obiettivo di comunicazione.

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La visione condivisa: Donna o Sassofonista?

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Le regole base parlano chiaro: per avviare una comunicazione sono necessari un messaggio, un emittente, un ricevente, ma occorre fare attenzione anche alle altre componenti nel processo comunicativo, quali Referente – Codice e Canale .

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Gli elementi della comunicazione – Roman Jacobson

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Ma come possiamo agire per modificare una visione non coincidente con la nostra?Di certo non la possiamo modificare con reazioni scomposte, innalzamenti di tono e altre cose di questo genere, ma potremmo aumentare le possibilità di riuscita lavorando su noi stessi incominciando con il porsi delle domande. Nel caso specifico, ad esempio, potremmo chiederci:Siamo sicuri di aver scelto la situazione migliore per intavolare il discorso? Il momento era quello adatto? Avevamo chiaro il suo stato d’animo di quel momento, e perché era così? Abbiamo utilizzato le parole giuste o ci siamo alterati per quella sua prima reazione di disinteresse?Queste sono solo alcune possibili domande che ci servono per comprendere che, se vogliamo modificare gli altri, dobbiamo per primi cambiare noi.

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo. (Gandhi)

Volendo semplificare al massimo il processo comunicativo, possiamo affermare che, se il ricevente risponde alle sollecitazioni dell’emittente, è questo che deve cambiare per primo.Attenti però perché, nella stessa comunicazione, i due ruoli variano costantemente, passando da uno all’altro. Ecco perché è fondamentale controllare le nostre azioni.Gli eccessi di orgoglio o i pregiudizi mal si sposano con la comunicazione efficace perché generano contrasti costanti e crescenti .

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Ma allora, restando nel caso specifico, come si poteva ottenere il risultato sperato?La certezza non l’avremo mai “a tavolino” perché, come detto, si tratta di capire i bisogni dell’interlocutore in quel preciso momento; solo dopo, sarà possibile proporre qualcosa, non esiste quindi una regola precisa.Se, però, simulassimo di aver capito che nostra moglie, in questo momento, si sente particolarmente “demoralizzata “per la situazione economica e “affaticata” per la tensione da essa derivante, il nostro albergo, da spesa “inutile”, potrebbe trasformarsi in possibile “medicina” per la comune ricerca di “relax e ristoro” , aumentando in modo esponenziale la possibilità di essere scelta da entrambi.Non vogliamo assolutamente dire che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto, ma non dimentichiamo mai che, spesso, siamo noi a generare le risposte che ci sono date, quindi, prima di criticare gli altri , diventiamo protagonisti del cambiamento.Agendo su di noi, favoriremo il cambiamento degli altri e gli effetti saranno strabilianti. Buona comunicazione a tutti ….

Antonio DE CAROLIS

Presidente CDVM Club Dirigenti Vendite e Marketing

presso Unione Industriale di Torino

www.cdvm.it

Intervista a un cervello in fuga

Di    dalla redazione di OFFICINAMAGAZINE.COM

Secondo recenti statistiche solo riguardo ai proventi da brevetto l’Italia avrebbe perso 4 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. Il 35 % dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il paese. Fra i primi 100 uno su due sceglie di andarsene perchè in Italia non si riesce a lavorare

Daniela Taverna si laurea in Scienze Biologiche nel 1988 all’Università di Torino. Mossa da un particolare interesse per lo studio delle neoplasie, fa domanda per una borsa di studio all’Associazione Italiana Ricerca Cancro (AIRC), la vince e per 9 mesi lavora in un laboratorio di ricerca a Torino, dove inizia le sue ricerche sul cancro, in particolare sui tumori al seno. Per poter portare avanti il progetto AIRC ha necessità di recarsi all’estero e cosi nel 1989 va a lavorare a Basilea (Svizzera), al Friedrich Miescher Institute, dove lavora con Nancy Hynes. Visto l’enorme divario tra i laboratori svizzeri e quelli italiani, dopo 3 mesi decide di non tornare in Italia e di iniziare un dottorato di ricerca rimanendo altri 4 anni all’FMI. Successivamente si reca negli Stati Uniti, al MIT dove lavora con Richard O. Hynes, ricercatore di fama internazionale. Lavora nel team di ricerca del MIT quasi otto anni. Tornata in Italia, tiene corsi di biologia molecolare all’Università di Torino e fa ricerca all’IRCC di Candiolo. Dal 2008 inizia a lavorare all’Istituto per le Biotecnologie (MBC) di Torino. Dal 2010 è professore associato all’università di Torino.

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INTERVISTA                                                                                                                                        

Secondo recenti statistiche solo riguardo ai proventi da brevetto l’Italia avrebbe perso 4 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. Il 35 % dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il paese. Fra i primi 100 uno su due sceglie di andarsene perchè in Italia non si riesce a lavorare. Cosa pensa di queste statistiche?

Le statistiche sono verissime ed è inutile raccontarci delle sciocchezze. É vero: le possibilità sono davvero pochissime. I giovani eccellenti che hanno voglia di fare, possono fare comunque il loro percorso e a mio parere possono riuscire anche ad avere un posto da ricercatore in Italia. Purtroppo, però, la ricerca in Italia è concepita soprattutto come ricerca universitaria e non ci sono molte alternative di “companies” e di industrie che appoggiano la ricerca, come invece ci sono in Svizzera, Francia, Germania, Stati Uniti. Senz’altro ci sono meno possibilità. Il problema, più che arrivare ad avere un posto di lavoro, è riuscire a fare quello che si vuole una volta che lo si ha. Altrove ci sono più possibilità sia di spazi che di aiuti. Un ricercatore può fare della ricerca solo in un team con gente motivata che faccia parte del suo gruppo, altrimenti da solo non fa niente.

Quali crede siano a suo parere le principali cause della fuga dei cervelli?

Sicuramente il fatto che altrove si è molto più apprezzati e quindi si ha la possibilità di fare questo lavoro. Mentre qui già il fatto che le ricerche siano legate all’università fa si che il lavoro sia inteso come docenza. La ricerca è un di più, marginale. Considerando che i professori in università americane prestigiosissime insegnano pochissimo (30 ore l’anno) e per lo più fanno ricerca, l’Italia rappresenta un’eccezione. Noi arriviamo a insegnamenti di 120,150,180 ore l’anno. Il tempo per la ricerca è sottovalutato e solo negli ultimi 3 o 4 anni, forse, si è inziato a rivalutarne l’importanza.

Quali sono le ragioni che l’hanno spinta ad andare all’estero?

Quando sono andata non avevo un’ idea concreta, ero molto giovane. Non mi ero posta molte domande, ero soprattutto molto curiosa di vedere cosa succedeva fuori e sono andata. Una volta in Svizzera ho capito cosa avrei potuto fare laggiù in quel momento. Negli USA ci sono andata quando ero già adulta totalmente convinta di voler esplorare il mondo della ricerca Americano.

Quali sono le condizioni della ricerca in Italia e quali le prospettive future?

C’è qualche centro che ha delle prospettive notevoli. Fra questi l’IFOM a Milano e istituti equivalenti a Trieste, in Toscana, Napoli, Roma. Anche il nostro centro MBC e l’IRCC di Candiolo sono dei centri dove si fa dell’ottima ricerca. Questi sono, però, poche realtà. Rispetto a 30 anni fa le condizioni della ricerca sono senz’altro migliori, ma rispetto a 10 anni fa sono peggiorate. Il governo e le regioni, infatti, hanno tagliato i fondi per via della crisi economica, e non essendoci molte industrie o fondazioni private che possono finanziare la ricerca, non è facile. Non credo, infine, ci siano molte differenze tra un posto come l’MBC di Torino, l’IFOM a Milano e il MIT in termini di potenziale. La vera differenza riguarda “i fondi” che permettono di tenere delle persone di un certo livello, di acquistare apparecchiature avanzate, organizzare servizi per la ricerca.

Quali studi ha condotto negli ultimi anni e di cosa si sta occupando attualmente?

Abbiamo come sistema tumorale sempre quello del tumore al seno e negli ultimi anni ci siamo dedicati molto anche all’esplorazione del melanoma. Dopo aver lavorato a lungo sui recettori di membrana, abbiamo deciso di dedicarci a una nuova ricerca, ossia allo studio del ruolo di piccole molecole di RNA, chiamate microRNA, nella progressione tumorale. L’idea era quella di andare a cercare degli attori fondamentali della metastatizzazione che non fossero recettoriali ma all’interno della cellula. Negli anni 90, due ricercatori Americani, Fire and Mello, che hanno poi ricevuto il premio Nobel, hanno scoperto i microRNA e capito che, nonostante le loro dimensioni minime, questi piccoli RNA hanno un’influenza incredibile nella fisiologia e patologia delle nostre cellule. Noi, abbiamo provato a identificare dei microRNA particolarmente importanti nell’ “escaping”, ovvero nell’allontanamento delle cellule tumorali dalla massa primaria. Questo è stato fatto in maniera semplice confrontando delle cellule tumorali che erano in grado di muoversi con delle cellule che non lo erano. Ci siamo chiesti semplicemente quanto fosse diversa l’espressione quantitativa di 300-400 microRNA (oggi circa 2000 in totale) nei due tipi di cellule. In questo modo si è scoperta tutta una serie di micro RNA più meno espressi nelle cellule altamente maligne e mobili rispetto a quelle non in grado di disseminare. Abbiamo visto che a seconda di come modulavamo nelle cellule questi microRNA le cellule si comportavano in maniera completamente diversa. Diventavano più o meno migratorie e più o meno capaci di formare metastasi nel topo. Abbiamo analizzato l’espressione dei nostri microRNA nei tumori umani e abbiamo riscontrato i medesimi risultati. Attualmente stiamo cercando di fare qualche tentativo terapeutico. Proviamo a bloccare i microRNA pro-metastatici oppure a rimpiazzare quelli anti-metastatici che sono scomparsi con l’avanzamento della malignità tumorale. Ma, nonostante alcuni risultati soddisfacenti, siamo ancora in una fase di esplorazione, decisamente preclinica.

Qual’è l’aspetto che la affascina di più del lavoro del ricercatore?

Sicuramente la parte intellettuale: il fatto di poter riflettere su un risultato. Trovo estremamente interessante la parte di speculazione, il fatto di immaginarsi un esperimento che possa rispondere all’ipotesi scientifica avanzata in precedenza. Mi piace tantissimo interpretare i dati. Molto spesso, infatti, l’esperimento fornisce una risposta che è molto diversa da quella che ci saremmo aspettati. Mi interessa riflettere sul perché sia diversa per poi pormi nuove domande. La cosa che però più mi appassiona di questo mestiere è il fatto che lo si fa per l’entusiasmo; non perchè si è costretti a farlo o perchè si riceve l’imposizione da un capo. Dico sempre ai ragazzi di lavorare per se stessi e di divertirsi con il proprio lavoro.

Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse dedicarsi alla ricerca?

La prima cosa che spiego ai miei studenti al primo anno di università è che non è un lavoro come tanti altri. Non è un lavoro che si fa dalle 9 alle 5 di sera, ma è un lavoro che fa parte della tua vita e richiede un “commitment” notevole. Questo bisogna metterselo in testa da subito. Qualunque tipo di ricerca si voglia fare a livello universitario, bisogna capire immediatamente cosa davvero significhi studiare all’università con l’intenzione poi di fare ricerca. Bisogna da subito procedere con uno studio non solo teorico ma soprattutto applicativo, di laboratorio. Il consiglio più utile che posso fornire è quello di lavorare già agli inizi in laboratori di eccellenza perchè soltanto lì, nonostrante le difficoltà, si può crescere. E sicuramente andare un po’ in giro, non vedere solo una realtà ma tante realtà. Andare a lavorare in più laboratori, in Italia e all’estero fa molto bene.

I 50 della maratona Climathon

Si è conclusa   la seconda edizione del Climathon, la più grande maratona mondiale sul clima, della durata di 24 ore, che quest’anno si è tenuta anche a Torino, presso l’Environment Park. Organizzata nell’ambito dell’iniziativa Climate Kic, il più grande partnenariato tra pubblico e privato, che promuove l’innovazione per un’economia zerocarbon e sviluppa conoscenze e innovazione per la lotta ai cambiamenti climatici, il Climathon è organizzato dal Comune di Torino e Environment Park.

climathon

A Torino i partecipanti sono stati più di 50 suddivisi in 9 team multidisciplinari che hanno coinvolto studenti, start-upper, rappresentanti dell’associazionismo, professionisti ambientali, designer.

Raggruppati su base volontaria in funzione di interessi e mix di skills, hanno prodotto e presentato soluzioni innovative in grado di abilitare processi di economia circolare su scala urbana. I team sono stati supportati per tutta la durata dell’evento dal gruppo di organizzatori ed esperti per spunti e confronti sulla fattibilità, sostenibilità ed innovatività delle proposte. Una giuria presieduta dall’Assessore all’ambiente della Città di Torino Stefania Giannuzzi e da rappresentanti dei diversi partner ha premiato i vincitori per le due categorie in gara.

A pari merito per la categoria di “Redesign di policy” i progetti: “Preferibilmente oggi” che prevede la sperimentazione di una piattaforma territoriale per l’incontro fra domanda e offerta di scarti di cibo e propone un nuovo concept di ristorante “degli scarti” da insediare in centri per la cittadinanza quali le “case di quartiere e “Youtopia” che propone un sistema capillare e ad elevato impatto sociale di centri per il riuso dislocati sul territorio della Città.

Per la categoria “redesign di business” vince il progetto “Oikos” che mira a promuovere la riduzione degli imballaggi monouso per i prodotti ortofrutticoli commercializzati nei mercati rionali tramite un sistema innovativo di condivisione e riutilizzo delle cassette.

Sono inoltre state assegnate due menzioni speciali: per l’innovazione sociale, “RELAND” un progetto formativo che punta a percorsi di sensibilizzazione sulle tematiche del riuso e della resilienza su scala urbana; per l’innovazione tecnica e l’impatto ambientale, “GREEN REBUILD” che punta a creare una piattaforma per la valorizzazione e rimessa in circolo dei rifiuti di materiali edilizi.

Per i progetti vincitori la Città di Torino ed i partner di progetto offriranno un percorso di accompagnamento alla progettazione esecutiva ad hoc. In generale, gli esiti del Climathon costituiranno la base per alimentare il confronto su una strategia urbana a supporto di processi di economia circolare.

 

Rigenera, un protocollo chirurgico innovativo

“Rigenera costituisce un protocollo chirurgico innovativo spiega il dottor Antonio Graziano di rigenerazione dei tessuti umani danneggiati, che si basa sull’utilizzo di un dispositivo medico basato su una tecnologia nata dalla sinergia tutta italiana tra aziende e ricercatori del campo biomedicale. La tecnologia innovativa su cui si basa Rigenera permette mediante i micro-innesti di riparare tessuti e funzioni perse ad esempio dalla pelle, dalla cartilagine o dalle ossa”.

logo_rigeneraIl dottor Antonio Graziano insieme al dottor Riccardo d’Aquino, come lui odontoiatra, sono gli ideatori del protocollo Rigenera. Il dottor Graziano è dottore di ricerca in tecnologie biomediche applicate all’odontostomatologia ed esperto in tecniche biomediche applicate alla rigenerazione tissutale stem cell based.

“Rigenera prosegue il dottor Graziano rappresenta un prodotto tutto italiano che consente l’utilizzo di un protocollo efficace ed efficiente ma al contempo semplice, ottenendo la rigenerazione dei tessuti attraverso il concetto dei micro-innesti. Questi ultimi rappresentano frammenti microscopici di tessuto che, all’interno dello stesso intervento chirurgico, vengono posizionati sulla zona danneggiata. Nell’innesto autologo donatore e accettore sono la stessa persona e la procedura viene effettuata nello stesso intervento chirurgico. L’innesto autologo tradizionalmente presenta due tipi di problemi, di cui il primo di natura chirurgica, rappresentato dal danno che si crea nella zona del prelievo, e il secondo di natura biologica, costituito dalla eventualità che l’innesto non attecchisca nel sito ricevente. Con il micro-innesto siamo riusciti, invece, a ridurre notevolmente la dimensione media dell’innesto fino a farlo coincidere quasi con quelle della cellula, riducendo l’incidenza di questi due problemi. Rigenera fornisce al chirurgo, all’interno del suo ambulatorio, nella sala operatoria piuttosto che in un ospedale da campo, uno strumento efficiente in grado di ottenere micro-innesti a partire da frammenti tissutali del paziente, originati durante l’intervento”.rigene

“L’impiego del protocollo Rigenera nella medicina estetica spiega il dottor Alberto Marino, Sales & Marketing Support di Rigenera è oggi ampiamente avvalorato nel campo della cura della alopecia. Oggi, infatti, si ricorre sempre più frequentemente all’ utilizzo di micro-innesti per risolvere un problema che, nell’uomo come nella donna, crea inestetismi e disagi psicologici. Il metodo più utilizzato prevede l’uso di detti micro-innesti prelevati dalla regione posteriore del cuoio capelluto in cui le unità pilifere sono meno soggetti a processi di involuzione”.

L’azienda che produce il protocollo Rigenera è la HBW, Human Brain Wave. Rigenera a Torino è utilizzato nei presidi ospedalieri delle Molinette e del Cto, in Europa in diversi Paesi tra cui la Spagna e, fuori Europa, anche in Giappone.

Mara Martellotta

 

Multimed srl Presidi Medico Chirurgici, società distributrice di Rigenera

www.multimed.to.it

www.rigeneraprotocol.it

 

Un pacco di pasta per “Un pasto al giorno”

pasto-giornoIl 29 e 30 ottobre 4mila volontari consegneranno un pacco di pasta: un ‘abbraccio’ da lontano a chi non ha da mangiare Torna anche in Piemonte l’iniziativa “Un pasto al giorno”, giunta alla sua ottava edizione. Il 29 e 30 ottobre, i volontari dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII saranno in 1000 piazze Italiane ed estere, e anche nella Provincia di ASTI (a Villanova d’Asti), BIELLA (a Biella città, Gaglianico e Sandiglianico), CUNEO (ad Alba, Barge, Bene Vagienna, Borgo San Dalmazzo, Boves, Bra, Busca, Camerana, Caraglio, Carru, Centallo, Cervasca, Cherasco, Chiusa di Pesio, Clavesana, Cosigliole Saluzzo, Cuneo città, Dogliani, Entracque, Falicetto, Farigliano, Fossano, Limone Piemonte, Manta, Marene, Mondovì, Narzole, Paesana, Peveragno, Piasco, Piozzo, Pocapaglia, Revello, Roata Rossi, Robilante, Roccaciglie, Roccavione, Roddi, Saiceto, Saluzzo, Sampeyre, San Rocco di Bernezzo, Sanfront, Sant’Albano Stura, Santa Vittoria d’Alba, Savigliano, Scarnafigi, Trinita, Valdieri, Vernante, Verzuolo, Vicoforte, Vignolo), NOVARA (a Borgomanero), TORINO (a Castagnole Piemonte, Castiglione Torinese, Chieri, None, Orbasso, Piossasco, Rivarolo Canavese, Rivoli, Rosta, San Giorgio Canavese, S. Giusto Canavese, Settimo Torinese, Torino città), per un totale di più di 120 POSTAZIONI.

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In cosa consiste? Un’offerta libera in cambio di un pacco di pasta da poco più di 100 grammi – una vera e propria porzione, il pasto di un giorno, appunto. Una donazione grazie alla quale la Apg23 potrà continuare a garantire un aiuto agli oltre 41mila fratelli in difficoltà, gli ultimi, che ogni giorno mette a tavola nelle sue oltre 600 realtà di accoglienza (tra case famiglia, Capanne di Betlemme per i senza dimora, Centri nutrizionali) in 38 paesi del mondo. Verrà anche consegnato un piccolo “ricettario antispreco”, con piatti sfiziosi da realizzare utilizzando ingredienti che, solitamente, vengono scartati. Coldiretti ha recentemente calcolato che il valore monetario degli sprechi alimentari ammonta a 12,5 mil iardi, di cui il 54% proveniente proprio dal consumo, il 15% dalla ristorazione, l’8% dall’agricoltura e il 2% dalla trasformazione. Educare al consumo responsabile partendo dalle nostre abitudini in cucina, anche con un ‘tocco gourmet’, è la chiave per creare una nuova cultura. Solidarietà, responsabilità e dignità, dunque, sono le chiavi per riequilibrare questo sbilanciamento, creando da un lato una nuova cultura del riutilizzo e attribuendo dall’altro un’importanza nuova sia a chi ha bisogno di aiuto sia a chi lo sostiene attestando un protagonismo attivo di entrambi e stabilendo tra loro una forte connessione: la fraternità. “Anche attraverso il cibo si realizza la dignità dell’uomo”, afferma Giovanni Ramonda, responsabile generale della APG23 “perché significa affermare e rispettare il diritto al cibo: uno dei diritti umani fondamentali. E ritroviamo questo messaggio anche nel Pontificato di Papa Francesco, che più volte ha individuato nello spreco anche una chiave di lettura metaforica della nostra so cietà. L’eccedenza, la facilità di ‘buttar via’ infatti, è sinonimo di indifferenze ed insensibilità, gli stessi atteggiamenti che portano all’emarginazione di tanti nostri concittadini, lasciati soli ad affrontare i problemi e le difficoltà della vita. Il nostro ‘pacco di pasta’, dunque, vuol essere il simbolo di un nuovo patto sociale, che consente di accrescere se stessi aiutando gli altri, per affermare il concetto di diritto al cibo”. Per maggiori informazioni sull’iniziativa consultare il sito www.unpastoalgiorno.org.