FOCUS / di Filippo Re
Se l’ipotesi dei due Stati vicini sembra impossibile, quella di uno Stato unico pare ugualmente irrealizzabile per la diffidenza reciproca e l’odio che divide i due popoli e che nasce già sui banchi di scuola. Non accadeva da oltre vent’anni che un presidente degli Stati Uniti affermasse di non considerare la soluzione dei due Stati come l’unica via percorribile per risolvere la crisi israelo-palestinese ma di essere disponibile a studiare altre possibilità come quella di uno Stato unico.

Qualsiasi idea va bene, sembra dire Trump, uno Stato, due Stati, come vogliono le parti interessate, l’obiettivo è la pace e siano loro a decidere. Le alternative per arrivare alla composizione della crisi non mancano e Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu, ha detto che l’amministrazione statunitense sta cercando di capire se esistono altre strade da percorrere, dalla soluzione dei due Stati, sebbene congelata dopo l’incontro con Netanyahu alla Casa Bianca, a quella di uno Stato binazionale o a una Confederazione. Oppure riprendere il negoziato partendo dai Paesi arabi, come propone il capo della Casa Bianca, per tuffarsi poi nel cuore del problema, lasciando ai due attori principali la discussione sugli insediamenti e sui confini e non viceversa come è stato fatto fin qui. Provare quindi a lanciare la palla nel campo arabo moderato con il quale si è instaurato un clima più distensivo e i rapporti sono più stretti, soprattutto in chiave anti-terrorismo. Netanyahu va oltre e afferma che molti Paesi arabi non considerano più Israele un nemico ma un alleato su cui contare per lottare contro i terroristi islamici, per cui non bisogna perdere questa grande occasione per cambiare il corso della storia. Insomma, un rimescolamento delle carte che evidenzia la complessità di una questione che a sua volta si inserisce in un contesto mediorientale sconvolto dagli eventi degli ultimi anni e tutto da ricostruire.

Messi da parte, per il momento, i due Stati, avanza l’ipotesi di uno Stato unico per due popoli. A questo punto, sostiene Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese cristiana e veterana dei negoziati, l’alternativa ai due Stati è o uno Stato unico con eguali diritti per tutti oppure l’apartheid, cioè una discriminazione tra i cittadini di serie A, gli israeliani, e quelli di serie B, i palestinesi. L’idea di uno Stato binazionale preoccupa anche gli israeliani. Dare la cittadinanza a oltre 2.000.000 di palestinesi, dopo aver inglobato la Cisgiordania, stravolgerebbe, secondo gli esperti, gli equilibri demografici di Israele, essendo il tasso di natalità dei musulmani molto più alto di quello degli ebrei, mettendo così a repentaglio l’esistenza di Israele come Stato ebraico. Ma forse oggi non è più così perchè, almeno secondo le ultime statistiche, sono le donne israeliane a fare più figli delle donne musulmane palestinesi, facendo passare l’arma demografica dalla parte di Israele. Dal puzzle israelo-palestinese saltano fuori dati interessanti che confutano in modo clamoroso l’opinione diffusa secondo cui gli arabi palestinesi userebbero il tasso di natalità per superare gli ebrei a casa di questi ultimi. Dal nuovo Atlante geopolitico dello studioso francese Frederic Encel (“Israele in cento mappe”, Libreria editrice Goriziana) emerge che il rapporto tra gli israeliani ebrei e gli israeliani arabi sta crescendo a favore degli ebrei smentendo la possibilità di un crollo demografico e la scomparsa dello Stato ebraico in un futuro neanche tanto lontano.

Negli anni Settanta, osserva il politologo, gli arabi musulmani che vivevano in Israele avevano in media otto figli per coppia mentre gli ebrei ne avevano tre. Oltre quarant’anni dopo il tasso di natalità degli ebrei è rimasto uguale ma quello dei musulmani è precipitato da otto a tre. Nel 2015 i neonati ebrei sono stati il 74% mentre quelli musulmani il 20 per cento. Se questi dati verranno confermati l’esistenza di Israele non sarebbe più a rischio ma nascerebbero probabilmente altri problemi come la difficoltà di convivere in pace nello stesso territorio, gli uni insieme agli altri con il rischio di discriminazioni anche pesanti, potenziali scintille che potrebbero innescare un vasto incendio. Tra le altre proposte si guarda anche a una Confederazione formata da Israele e da un’entità palestinese autonoma (è l’idea del presidente israeliano Rivlin), con propri governi e istituzioni comuni, i cui confini verrebbero controllati dall’esercito di Tel Aviv oppure all’ipotesi di una Confederazione tra Israele, la Giordania e i palestinesi di cui si parla da decenni. La Confederazione risolverebbe forse il problema dei confini e di Gerusalemme ma lascerebbe intatta la questione dei profughi, altro nodo complicato da sciogliere. Nel settembre 2014 spuntò fuori un fantomatico piano segreto del presidente egiziano Al Sisi, che per sbloccare il negoziato, offrì ai palestinesi un pezzo del Sinai da affiancare alla Striscia di Gaza in cambio della rinuncia di Abu Mazen alla Cisgiordania e al ritorno dei profughi. Non se ne fece nulla.

C’è poi il drastico piano di Naftali Bennet, leader del partito religioso ultranazionalista “Focolare ebraico”, che chiede l’annessione per legge del 60% della Cisgiordania (la zona C dei Territori) e la creazione di zone autonome palestinesi nei territori restanti. Bennet auspica che la nuova amministrazione americana dia la spallata definitiva agli Accordi di Oslo. Ma bisogna fare i conti con il mondo arabo che, con il piano di pace saudita del 2002, prevede la normalizzazione delle relazioni con Israele ma solo dopo il ritiro dai territori conquistati nel giugno 1967, di cui ricorre quest’anno il 50esimo anniversario, e la nascita di uno Stato palestinese, già riconosciuto da 138 Paesi. E sono trascorsi 24 anni da quando Rabin, Arafat e Clinton firmarono nel 1993 gli accordi di Oslo che ordinavano a Israele di ritirarsi dai territori
palestinesi. E sono passati 22 anni dall’assassinio di Rabin, ucciso da un estremista ebreo nel 1995, quando in Cisgiordania vivevano 150.000 coloni contro i 650.000 di oggi. L’obiettivo di Netanyahu è quello di arrivare a un milione di coloni nel 2020. Il piano approvato dalla Knesset il 6 febbraio scorso che prevede la legalizzazione di 4000 case edificate su terre palestinesi apre la strada all’annessione delle colonie, come dopo la guerra dei Sei Giorni nel ’67, e la sua adozione (l’ultima parola spetta alla Corte Suprema) seppellirebbe definitivamente Oslo ’93. Il fallimento del processo di pace, oltre alle evidenti responsabilità di Israele, chiama in causa anche gli stessi palestinesi che, incalzati dalle pressioni dei Paesi arabi, hanno spesso rifiutato le proposte di pace che vari governi israeliani hanno avanzato, giungendo a restituire perfino il 95% dei territori occupati con Gerusalemme est capitale di un futuro Stato palestinese. È anche vero che nessun pezzo di carta è mai stato firmato dalle parti e si trattava più che altro di offerte verbali ma dimostravano pur sempre la volontà politica di Gerusalemme di scendere a difficili compromessi e fare dolorose concessioni territoriali. Dal mondo accademico e intellettuale israeliano si commenta con un po’ di sarcasmo: resta pur sempre la soluzione dei tre Stati. Uno per noi, uno per i palestinesi, un altro per gli estremisti di entrambe le parti.
Filippo Re
pubblicato da “La Voce e il Tempo “
Sono state consegnate alla vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, Daniela Ruffino, il 2 marzo a Palazzo Lascaris, quasi 10mila firme a sostegno di una petizione contro la soppressione del reparto di oftalmologia dell’ospedale San Luigi di Orbassano.
Nei primi due mesi del 2017 (+6,8%). Ma calano leggermente i prezzi (-1,3%)
‘tetto del Mondo’, nel paese delle nevi”. “L’Associazione Free Tibet Italia Onlus – ha sottolineato
scomparendo e le condizioni, per il nostro popolo, sono peggiorate dopo i Giochi olimpici di Pechino 2008 perché la censura cinese è sempre più opprimente”. “La Regione Piemonte – ha concluso
L’innovazione dell’esperienza multicanale dei clienti, a due anni dalla partenza del progetto, è un caso di eccellenza internazionale. Piena integrazione dei canali, completa riprogettazione della banca online e del servizio di assistenza clienti, dematerializzazione, revisione dei processi, sono le tappe salienti di un percorso che colloca Intesa Sanpaolo tra i sette player mondiali più evoluti
stata raggiunta la piena integrazione dei canali, che fa sì che il cliente possa scegliere come e quando interagire con la banca, decidere di cambiare canale senza interrompere l’interazione, ricevere offerte a distanza dal proprio gestore in filiale o dal gestore online, firmare digitalmente i contratti dal proprio PC o tablet; l’help desk telefonico ha lasciato il posto alle Filiali Online, capaci di assistere il cliente risolvendone i problemi, nell’80% dei casi, alla prima chiamata; la banca online è stata completamente riprogettata, con l’attivazione di un servizio di internet banking unico per tutte le Banche del Gruppo, su cui già opera quasi il 30% dei clienti, e di un’app con servizi innovativi; le filiali sono state digitalizzate e i processi di firma dematerializzati sull’80% dei prodotti retail e documenti
ottenuti fino ad oggi, frutto di un deciso cambiamento culturale e di una visione strategica centrata sulla piena sintonia con i nostri clienti. Grazie a strumenti nuovi e intelligenti, abbiamo migliorato la qualità dei nostri servizi e l’esperienza dei nostri 5 milioni di clienti che operano online. Il rapporto di Forrester Research certifica il raggiungimento tempestivo dei nostri obiettivi d’innovazione e il posizionamento di Intesa Sanpaolo a livelli paragonabili, dal punto di vista di processi e piattaforme, ai leader internazionali nel servizio al cliente.”

Il CRESSC (www.cressc.org) è il primo Centro a gestione multidisciplinare in Italia per la diagnosi e cura delle malattie rare neurologiche Siringomielia e Sindrome di Chiari: si tratta di malattie ad elevato impatto economico-sociale perché sono croniche e progressive, colpiscono l’età giovanile-adulta (età media 48 anni), in prevalenza donne (75%), causano disabilità nel 50% dei casi e necessitano di una diagnosi tempestiva per beneficiare di interventi chirurgici e di farmaci specifici. In Piemonte la prevalenza stimata è di 4,73:100.000 per la Siringomielia e 7,57:100.000 per la Malformazione di Chiari.
Nazionale Malattie Rare
Mercoledì 8 marzo alle 10, in occasione della Giornata internazionale della donna, la Consulta regionale delle elette, in collaborazione con Agis, propone la proiezione del film 7 minuti di Michele Placido per le studentesse e gli studenti degli Istituti di I e di II grado del Piemonte.
nel 1944 in corso Vinzaglio angolo via Cernaia, nello stesso luogo in cui nel 1945 venne giustiziato il federale fascista di Torino Giuseppe Solaro, il cui cadavere venne gettato nel Po . Pensavamo che Vian meritasse un ricordo bel diverso da quello attuale,ormai reso quasi illeggibile dal tempo,ma non riuscimmo a fare qualcosa di concreto per cambiarlo.Marco Castagneri tentò generosamente di agire ,ma dovette fermarsi,malgrado il suo entusiasmo coriaceo e incorreggibile di vecchio alpino. Don Benevelli parlò con voce ferma e chiara, nel traffico caotico di una Torino che apparve indifferente a quel raduno in cui i fazzoletti azzurri di Mauri e quelli gialli degli amici di don Benevelli furono protagonisti. Il sacrario di Mauri a Bastia di Mondovì era un comune ritrovo:i suoi mille Caduti testimoniavano di un nuovo Risorgimento dell’Italia tra il 1943 e il 1945, di una Resistenza che potremmo definire senz’altro tricolore,animata cioè non da ideologie di parte ,ma da valori autenticamente patriottici. La morte di don Benevelli,come quella a Savona di Lelio Speranza un mese fa, ci ricorda che la Resistenza non fu solo comunista o azionista. Ci furono don Benevelli, Perotti, Montezemolo, Pamparato,Martini Mauri ,comandante delle Divisioni Alpine Autonome e liberatore di Torino e tanti altri,spesso colpevolmente quasi dimenticati.
Nel 2017 ricorrono i 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani,il prete della scuola di Barbiana sul Mugello,autore della famosa “Lettera ad una professoressa” che divenne nel 1968 uno dei manifesti della contestazione.
molti sembravano inutili sotto il profilo pratico. Non avevano letto neppure Concetto Marchesi, latinista e comunista. Alla citazione latina è subentrata quella inglese, anche da parte di chi non sa l’inglese,oltre a non conoscere l’italiano. 
Venaria,ma poi l’esistenza della reggia impose anche ai faziosi di ripensare ad una scelta che negava in modo palese la storia.Benedetto Croce, nel suo viaggio torinese dopo la guerra, aveva scritto a Filippo Burzio lamentando i cambiamenti della toponomastica cittadina volti a cancellare alcuni nomi dei Savoia. Il senso della storia non poteva consentirlo, scrisse il filosofo. Non si capisce perché Villafranca non senta la necessità di riprendere il suo storico nome. Conservo la lettere e le cartoline di Vittorio Prunas Tola, che passava l’estate nell’antica casaforte di Marchierù e che datava sempre le sue missive ,scrivendo Villafranca Sabauda. Non era il vezzo di un vecchio nobiluomo d’antico stampo,e ra la storia.
LETTERE
150 anni di vita italiana in cui ha inserito la storia del giornale. Quindi non si tratta di una storia del giornale vera e propria,come forse sarebbe stato auspicabile.Non ho difficoltà a dar ragione a Jas, di cui resto amico oggi come ieri :dopo decine d’anni anche i direttori di epoca fascista vanno storicizzati. Tra il resto , Curzio Malaparte ed Alfredo Signoretti non erano certo dei direttorini. Malaparte,tra il resto, finì al confino fascista e, dopo la guerra, aderì al partito comunista. La storia è sempre più complessa di quello che si possa pensare.