Linea di confine, spigolature di vita e storie torinesi

“Alla citazione latina è subentrata quella inglese, anche da parte di chi non sa l’inglese, oltre a non conoscere l’italiano. Soprattutto, l’imperativo categorico “Non bocciare” si è tradotto nel facilismo, nella desertificazione degli studi, nel non sapersi, appunto, neppure esprimere in italiano…”

Di Pier Franco Quaglieni *

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Don Benevelli e la Resistenza tricolore

E’ mancato  a Cuneo , a 93 anni,don Aldo Benevelli , prete partigiano di straordinario carisma religioso e storico.Solo il Tg3 Piemonte l’ha ricordato in modo adeguato. Lo conobbi quando rendemmo onore, insieme al sindaco di Boves, al cippo torinese in ricordo del capitano Ignazio Vian ,medaglia d’oro al V.M.,impiccato nel 1944 in corso Vinzaglio angolo via Cernaia, nello stesso luogo in cui nel 1945 venne giustiziato il federale fascista di Torino  Giuseppe Solaro, il cui cadavere venne gettato nel Po . Pensavamo che Vian meritasse un ricordo bel diverso da quello attuale,ormai reso quasi illeggibile dal tempo,ma non riuscimmo a fare qualcosa di concreto per cambiarlo.Marco Castagneri tentò generosamente di agire ,ma dovette fermarsi,malgrado il suo entusiasmo coriaceo e incorreggibile di vecchio alpino.  Don Benevelli parlò  con voce ferma e chiara, nel traffico caotico di una Torino che apparve indifferente a quel raduno in cui i fazzoletti azzurri di Mauri e quelli gialli degli amici di don Benevelli furono protagonisti. Il sacrario di Mauri a Bastia di Mondovì era un comune ritrovo:i suoi mille Caduti testimoniavano di un nuovo Risorgimento dell’Italia tra il 1943 e il 1945, di una Resistenza  che potremmo definire senz’altro tricolore,animata  cioè non da ideologie di parte ,ma da valori autenticamente patriottici. La morte di don Benevelli,come quella a Savona di Lelio Speranza un mese fa, ci ricorda che la Resistenza non fu solo comunista o azionista. Ci furono don Benevelli, Perotti,  Montezemolo, Pamparato,Martini Mauri ,comandante  delle Divisioni Alpine Autonome e liberatore di Torino e tanti altri,spesso colpevolmente quasi dimenticati.

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Don Lorenzo Milani , Garosci e la scuola sfasciata

Nel 2017 ricorrono i 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani,il prete della scuola di Barbiana sul Mugello,autore della famosa “Lettera ad una professoressa” che divenne nel 1968 uno dei manifesti della contestazione. Fu Aldo Garosci,mio professore di Storia del Risorgimento a Torino,antifascista della prima ora,esule e combattente in Spagna,eroe della Resistenza,ma fiero anticomunista,a parlarmi di quella “lettera” quando si stavano già cogliendo a palazzo Campana di Torino i germi della contestazione. Mi disse dello screditamento della scuola di Stato operata dal prete toscano e mi predisse che quella lettera era destinata a lasciare un’eredità negativa nella scuola successiva. Garosci fu uno dei primi a subire una contestazione violenta. Infatti ,rileggendo degli appunti presi allora, constato che la lettera di Don Milani pose il problema del classismo della scuola italiana,chiusa ai poveri,dei programmi vecchi e nozionistici,della mancanza di legame tra scuola e vita reale,dell’inutilità dell’insegnamento in termini pratici,della inopportunità  dell’assegnazione del voto e soprattutto della necessità di non bocciare.  La scuola media unica era nata da cinque anni.Oggi vediamo che l’attacco al nozionismo ha generato il rifiuto della nozione senza la quale la cultura diventa vaniloquio.Constatiamo che le lingue classiche sono state relegate in un angolo,mentre avevano un ruolo importante nella formazione dei giovani,ma a molti sembravano inutili sotto il profilo pratico. Non avevano letto neppure Concetto Marchesi, latinista e comunista. Alla citazione latina è subentrata quella inglese, anche da parte di chi non sa l’inglese,oltre a non conoscere l’italiano. Soprattutto, l’imperativo categorico “Non bocciare” si è tradotto nel facilismo, nella desertificazione degli studi, nel non sapersi,appunto,neppure esprimere in italiano,come hanno denunciato 600 accademici italiani di recente. Chissà se don Milani condividerebbe lo sfascio attuale ?Era un sacerdote un po’ settario,ma sicuramente alla sua missione di prete e di educatore  credeva profondamente. E seppe anche pagare di persona per le sue idee. L’antipedagogia del torinese  Francesco de Bartolomeis (che frequenta ancora le piscine a 90 anni) ha sicuramente delle responsabilità maggiori.Tra lui e Quazza negli studi storici è difficile stabilire una graduatoria.

 

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  I matti eliminati per legge ?

Il maggior psichiatra torinese, Pier Luigi Furlan,  figlio dello scrittore Pitigrilli, ha pubblicato il libro “Sbatti il matto in prima pagina”, edito da Donzelli ,nel quale documenta accuratamente attraverso lo studio dei giornali dell’epoca il lungo dibattito che portò alla eliminazione dei manicomi. Una pagina drammatica che Furlan,medico e scienziato di fama internazionale,ci fa rivivere in tutta la sua complessità. Così nacque la legge  180, detta anche legge Basaglia dal nome del suo ispiratore :la partorì  “Psichiatria democratica”,un movimento destinato ad essere egemone,come altre associazioni simili nel campo della magistratura e della scuola. Certo, i manicomi erano dei “lager”,anche magari delle fabbriche di follia,ma  ci sarebbe oggi  da domandarsi se alla legge Basaglia sono seguiti provvedimenti che vadano oltre il dogma,tutto ideologico, di  affrontare il problema delle patologie mentali come se fossero il prodotto dell’oppressione sociale capitalista.  Abolire i manicomi-lager è stato giusto, anche perché la legge istitutiva del 1904 era stata stravolta dal fascismo,ma negare un adeguato appoggio a chi abbia reali problemi è tutt’altra cosa . Lasciare famiglie in difficoltà  abbandonate a sé stesse è stato ed è un gravissimo errore. L’idea che non si tratti di malati, ma di disturbati è stata perdente. Quanti sono a Torino i barboni lasciati al loro destino o costretti ogni tanto al TSO, trattamento sanitario obbligatorio?

Un drammatico caso recente torinese  ha messo in evidenza che cosa sia il TSO anche per persone che vivono in famiglia. Avevano ragione i radicali di Pannella e i liberali di Malagodi ad opporsi alla legge 180.Pannella voleva il referendum per l’abolizione  della legge sui manicomi del 1904,ma si oppose alla legge Basaglia,vedendo lontano. Occorre riprendere i temi liberali per porre argine ad una situazione che, con la mancanza di risorse e con un ridimensionamento del Servizio Sanitario Nazionale,si fa esplosiva.Ieri ho rivisto in una piazza torinese una donna che chiede aiuto ai passanti da almeno quindici anni.Sempre lo stesso volto,invecchiato,ma sempre la stessa richiesta di un panino per mangiare. Non credo che le possa bastare un panino.  Occorrerebbe ben altro. E poi ci sono i drammi della violenza fuori e all’interno delle famiglie,degli uxoricidi e degli omicidi che dominano le cronache dei giornali. Sono tutti raptus improvvisi? Sono tutti frutto della gelosia che fa perdere la testa ?

 

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 Villafranca sabauda

Oggi, anzi dagli anni 50, è diventata Villafranca Piemonte, ma il suo nome storico è Villafranca Sabauda, paese vicino a Cavour. I repubblichini di Salò cancellarono  il “sabauda”, e ,non subito a ridosso dal referendum del 2 giugno 1946,ma negli anni Cinquanta, si inventarono Villafranca Piemonte,modificando un vecchio nome ,quello di Villa Piemonte. Anche Venaria reale divenne per un certo periodo solo Venaria,ma poi l’esistenza della reggia impose anche ai faziosi di ripensare ad una scelta che negava in modo palese la storia.Benedetto Croce, nel suo viaggio torinese dopo la guerra, aveva scritto a Filippo Burzio lamentando i cambiamenti della toponomastica cittadina volti a cancellare alcuni nomi dei Savoia. Il senso della storia non poteva consentirlo, scrisse il filosofo. Non si capisce perché Villafranca non senta la necessità di riprendere il suo storico nome. Conservo la lettere e le cartoline di Vittorio Prunas Tola, che passava l’estate  nell’antica casaforte di Marchierù e che datava sempre le sue missive ,scrivendo Villafranca Sabauda. Non era il  vezzo di un vecchio nobiluomo d’antico stampo,e ra la storia.

* Direttore del Centro “Pannunzio”

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 LETTERE

La rubrica è seguita da molti lettori che mi scrivono. Mi sembra giusto riservare loro uno spazio. Pubblico una lettera,scegliendola tra quelle che mi hanno espresso dissenso.

PFQ

“Lei scrivendo dei 150 anni de “La stampa”,ha messo in luce che Valerio Castronovo  ha scritto un’opera  in cui “ricostruisce con rigore la storia di un  secolo e mezzo in cui egli inserisce magistralmente (sic) quella del giornale “. Ma non ha letto le critiche persino di Jas Gawronski, amicissimo dell’avv. Agnelli e un tempo anche suo? Gawronski lamenta come non si sia parlato di fatto dei direttori de “La stampa” del ventennio. Cosa ne pensa ? E’ rigore storico ignorarli?”

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Castronovo, uno dei nostri migliori storici in assoluto, ha scritto ,come avevo rilevato,una storia di 150 anni di vita italiana in cui ha  inserito la storia del giornale. Quindi non si tratta di una storia del giornale vera e propria,come forse sarebbe stato auspicabile.Non ho difficoltà a dar ragione a Jas, di cui resto amico oggi come ieri :dopo decine d’anni anche i direttori di epoca fascista vanno storicizzati. Tra il resto , Curzio Malaparte ed Alfredo Signoretti non erano certo dei direttorini. Malaparte,tra il resto, finì al confino  fascista e, dopo la guerra, aderì al partito comunista. La storia è sempre più complessa di quello che si possa pensare.

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