Dall Italia e dal Mondo- Pagina 29

A Montparnasse dove riposano poeti, scrittori e artisti

Visitare i cimiteri dove sono sepolti grandi poeti, scrittori e artisti suscita ricordi ed emozioni. Uno dei più importanti è senz’altro il  “cimetìere du Sud” di Parigi,  il grande camposanto di Montparnasse, secondo per grandezza e importanza solo al Père-Lachaise. Situato nel XIV arrondissement della capitale francese, sulla rive gauche della Senna, un tempo era un terreno agricolo occupato da tre fattorie appartenenti a istituzioni caritatevoli come l’Hotel Dieu e Les Frères de la Charité. Già ai tempi della Rivoluzione francese gli appezzamenti vennero confiscati e a Montparnasse cominciarono ad essere seppelliti i poveri morti negli ospedali dei quali nessuno reclamava le spoglie. Successivamente, all’inizio del 1800, il prefetto del dipartimento della Senna, Nicolas Frochot, acquisì questi terreni per destinarli al cimitero e la prima inumazione ebbe luogo il 25 luglio 1824. Sul finire del “secolo del cambiamento”, nel 1890, venne aperta una strada ( la rueEmile-Richard) che divise i 19 ettari tra il piccolo e il grande camposanto. In questo museo a cielo aperto nel 14° arrondissement parigino, a lato dei viali tra cappelle e lapidi riposano le spoglie di anonimi cittadini a fianco di personaggi che hanno fatto la storia delle arti e della cultura. Per raccontare le biografie di chi s’incontra, vagando tra le tombe, non ci si può affidare ai 140 caratteri di un tweet. Nessun cinguettio elettronico può trasmettere la densità del pensiero, la profondità della poesia, l’emozione di opere d’arte che evocano incontri con pittori, poeti, drammaturghi, scrittori che dormono nel sonno eterno all’ombra di frondosi alberi di ogni specie. Nella porzione più piccola del cimitero s’incontrano subito le ultime dimore di André Citroén, fondatore dell’omonima e celebre casa automobilistica, di Charles Pigeon – inventore della lampada antiesplosione usata nelle miniere – che è sepolto con la moglie ed entrambi sono raffigurati nelle statue di bronzo coricate su un letto di marmo. Più avanti il pittore bulgaro JulesPascin e Auguste Bartholdi, lo scultore che realizzo la Statua della Libertà situata all’ingresso del porto di New York. In una tomba di pietra con altri famigliari riposa invece Alfred Dreyfus, protagonista suo malgrado – perché innocente – dell’ affare Dreyfus , il più clamoroso caso politico scoppiato in Francia sul finire dell’800, ai tempi della Terza Repubblica, con l’ufficiale alsaziano di origine ebraica accusato di tradimento e complotto con il nemico tedesco. Dreyfus venne condannato alla prigionia sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il suo caso giudiziario divise l’opinione pubblica della Francia intera  nel Paese e gran parte degli intellettuali, di fronte a quell’assurda campagna d’odio razzista e antisemita si schierò dalla sua parte (  sul giornale L’AuroreÉmile Zolapubblicò il suo celebre J’accuse) fino alla sua piena, seppur tardiva,riabilitazione.Nella 26° divisione si trova il sepolcro di Guy de Maupassant, uno dei padri del racconto moderno, autore diBel Ami, mentre nella 30° è sepolto Léon Schwarzenberg, importante oncologo e protagonista dei più avanzati dibattiti sull’etica medica e scientifica, autore di “Changer la mort”, cambiare la morte. Nell’altra parte del cimitero di Montparnasse, la più grande, si possono fare incontri straordinari iniziando da Maurice Leblanc, creatore del ladro gentiluomo Arsène Lupin, la controparte francese dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Tra le varie “avenue” (Boulevart, du Nord, de l’Est e l’Ouest) e l’intrico di passaggi tra cappelle e lapidi è quasi impossibile non imbattersi in due grandi maestri del teatro dell’assurdo come Eugène Ionesco e Samuel Beckett. Sulla tomba di quest’ultimo un anonimo ammiratore ha posato una carota, omaggio orticolo-letterario che richiama il suo capolavoro,“Aspettando Godot”( “Lui non saprà niente. Parlerà dei calci che si è preso e io gli darò una carota”). Da lì in avanti il visitatore curioso incrocerà i sepolcri di Susan Sontag, grande scrittrice e intellettuale statunitense, dei registi Joris Ivens – uno dei più grandidocumentaristi del XX° secolo – e Alain Resnais, ispiratore della “nouvelle vague”e autore di pellicole importanti come L’anno scorso a Marienbad e Mon oncle d’Amérique, oppure amati attori come Philippe Noiret (con la scultura del piccolo cane a vegliarne il riposo) e Serge Reggiani, uno degli amici più stretti di Jacques Prévert. Anche Serge Gainsbourg è lì con loro, dopo averci turbato con i suoi sussurri, accompagnati dai sospiri di Jane Birkin quando in coppia – era il 1969 e non s’erano ancora spenti gli echi del maggio francese – cantarono “Je t’aime..moi non plus”. Questo geniale e sulfureo protagonista dello spettacolo francese, non era certamente di una bellezza classica ma era dotato di un fascino in grado di sedurre donne straordinariamente avvenenti. In un angolo di seconda fila  giace Chaïm Soutine, ebreo russo perseguitato, genio tormentato della pittura e compagno di Amedeo Modigliani e degli altribohémien e artisti maledetti  degli “années folles” di Montparnasse. La sua piccola lapide squadrata, con il nome quasi illeggibile, provoca una stretta al cuore per l’incuria e l’indifferenza a cui è stato condannato. Poco distante da lui anche l’ultima dimora di Charles Baudelaire va rintracciata scorrendo i nomi incisi sulla tomba di famiglia, quasi nascosto sotto l’iscrizione ingombrante del padre adottivo, Jacques Aupick, e senza alcun particolare epitaffio. Troppo poco per l’autore dei Fleurs du Mal, opera collocata fra le più alte espressioni della poesia di tutti i tempi e paesi. Ma almeno per lui non manca mai la consolazione di un fiore, un biglietto, un pensiero a tenergli compagnia. Lungo il muro che delimita il cimitero, da una parte e dall’altra dell’entrata principale su Boulevard Edgar Quinet, si trovano i sepolcri di Simone De Beauvoir e Jean-Paul Sartre – che nella vita e nella morte sono ancora insieme – e Marguerite Duras, con l’omaggio delle decine di penne di ogni tipo e colore infilate nel vaso dei fiori. Con lo scrittore Julio Cortázar formano un formidabile quartetto letterario, unendo le pagine delle “Memorie di una ragazza perbene” con quelle dell’esistenzialista che scrisse “La nausea” e “Il muro” e la ribelle che, grazie a “L’amante”,  vinse il premio Goncourt. Certamente ci saranno tanti altri prot
agonisti della storia e della cultura che giacciono a Montparnasse, nei luoghi che – insieme alla butte di Montmartre – rappresentavano il cuore della vita culturale parigina tra gli anni ’20 e gli anni ’30, dove si incontravano pittori e intellettuali. Un buon motivo per tornarci ancora per porgere un saluto e magari lasciare un segno, un omaggio a dei grandi che hanno lasciato un segno nella nostra vita con le loro opere.

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Marco Travaglini

(le foto sono di Barbara Castellaro)

La lezione dei Walser

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Da questa straordinaria storia si possono trarre ancora oggi utili insegnamenti per la tutela del territorio, il rispetto dei delicati equilibri della montagna, la promozione di uno sviluppo turistico ordinato, rispettoso della natura e del paesaggio, l’attenzione a non sfruttare oltre misura le risorse di un’area limitata

Inospitali, misteriose, ricettacolo di luoghi paurosi da evitare. In passato le montagne non furono ritenute abitabili oltre certi limiti. Lo storico romano Tacito le definì “Infames frigoribus Alpes”, considerando le Alpi un ostacolo al commercio ed al passaggio degli eserciti. Ne passò del tempo fino ad arrivare a poco prima dell’anno Mille quando, nell’Alto Vallese, nell’attuale Svizzera, iniziò la colonizzazione delle alte quote, la conquista della montagna da parte del contadino medioevale nel periodo in cui tutti aspettavano la fine del mondo. Protagonisti principali furono i Walser (il nome deriva da una contrazione di Walliser, vallesano) discendenti di un popolo “alemanno”, penetrato nell’alto medioevo a ridosso delle Alpi centrali. Acclimatati alle grandi altitudini dell’alto Vallese, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, i Walser colonizzarono le zone più elevate delle Alpi ed in particolare le valli intorno al Monte Rosa, dando vita alle comunità d’Alagna, Gressoney, Issime, Rimella, Rima, Macugnaga e Ornavasso. Un’altra spinta migratoria portò, attraverso il Passo del Gries, alla conquista della Val Formazza (Pomattal), da dove fu poi raggiunto Bosco Gurin, nell’elvetico Canton Ticino. Questi coloni, arroccati e isolati nell’aspro ambiente dell’alta montagna, programmarono e realizzarono la vasta opera di bonifica di zone a quei tempi perlopiù disabitate, creando villaggi autosufficienti in grado di sopravvivere ai rigori di lunghi inverni. I prodotti del loro lavoro erano soprattutto di tipo caseario: il latte, il burro e il formaggio, provenienti dagli allevamenti bovini degli alpeggi. Poi fu realizzata la “Alpwirtschaft”, un’economia che consisté nell’unire agricoltura e allevamento. Da questa straordinaria storia si possono trarre ancora oggi utili insegnamenti per la tutela del territorio, il rispetto dei delicati equilibri della montagna, la promozione di uno sviluppo turistico ordinato, rispettoso della natura e del paesaggio, l’attenzione a non sfruttare oltre misura le risorse di un’area limitata. Averne cura non solo è un dovere ma è anche un fattore strategico per lo sviluppo economico e turistico delle “terre alte”. L’abate valdostano Aimé Gorret, nella seconda metà dell’Ottocento scriveva: “Un viaggiatore che parta per la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai contrariato se vi trovasse la città che ha appena lasciato”. Parole sagge delle quali tener conto.

Marco Travaglini

"Ho una bomba": paura sull'autobus di linea

DAL VENETO
Paura a Verona per i passeggeri di  un autobus della linea urbana, quando un cittadino dello Sri Lanka è salito a bordo ed ha cominciato a minacciare le persone, mostrando un borsa a tracolla. Pronunciando frasi sconnesse in varie lingue ha fatto capire che all’interno c’era una bomba, così ha bloccato la marcia del mezzo. L’autista è riuscito a chiamare il 112 consentendo l’intervento delle pattuglie del Nucleo  Radiomobile di Verona. Dai controlli effettuati non è stato rinvenuto materiale esplosivo. Lo srilankese è stato arrestato.

Ricola esalta la primavera al Perugia Flower Show 2019

Ricola anche quest’anno rinnova la partnership con Perugia Flower Show 2019, una mostra mercato di piante rare e inconsuete, che si svolgerà il 3, 4 e 5 maggio 2019 presso i Giardini del Frontone a Perugia. La manifestazione è una vera e propria mostra mercato, che vuole promuovere la conoscenza della botanica e del giardinaggio di qualità. Al Perugia Flower Show il pubblico avrà la possibilità di osservare fiori e piante uniche al mondo, grazie alla presenza dei migliori espositori, produttori e collezionisti botanici del territorio nazionale.

I visitatori avranno la possibilità di osservare e scoprire le 13 erbe che sono alla base della ricetta tradizionale dei prodotti Ricola in uno stand dedicato all’azienda svizzera: uno spazio speciale, che ricrea l’atmosfera di un vero e proprio giardino alpino. Chiunque avrà modo di passare da questo angolo di montagna svizzera non solo potrà rimanere incantato dalla meraviglia della natura, ma avrà anche la possibilità di degustare tisane e caramelle oltre che di acquistare una selezione di prodotti Ricola.

Per l’occasione, inoltre lo spazio Ricola ospiterà alcuni incontri tematici gratuiti sulle erbe aromatiche, che verranno tenuti dal professore Augusto De Bellis:

venerdì 3 maggio alle ore 17.00 il professore farà una panoramica sulle erbe aromatiche e officinali, soffermandosi in particolar modo sulle 13 erbe alla base dei prodotti Ricola.

Sabato 4 maggio 2019 alle ore 16.30 e domenica 5 maggio 2019 alle ore 11.30 il professor De Bellis farà fare ai partecipanti un vero e proprio viaggio sensoriale nel mondo delle erbe aromatiche: chi vorrà infatti non solo potrà provare a riconoscere il maggior numero di erbe utilizzando solo l’olfatto, ma avrà anche modo di scoprire i segreti per utilizzarle in cucina!

 

Per maggiori informazioni sull’evento, consultare il sito: http://www.perugiaflowershow.com/

Ragazza operata di tumore al cervello mentre suona il violino

DALLA PUGLIA
Una violinista di 23 anni, affetta da un tumore al cervello, è stata operata mentre suonava il  suo violino, nell’ospedale SS.Annunziata di Taranto. Si tratta del primo intervento del genere nel Sud Italia. L’operazione è durata  oltre 5 ore, ed è stata  effettuata dal direttore dell’Unità Operativa Complessa, dottor Giovanni Battista Costella, e dal dottor Nicola Zelletta, con la  collaborazione dell’anestesista, dottor Angelo Ciccarese”, e dei dottori Gounaris e Cantone. Durante l’intervento i medici fanno conversazione con il paziente spiegando cosa si sta facendo.  La metodica chirurgica adottata dall’equipe, ha permesso di rimuovere il tumore evitando danni neurologici, in particolare disturbi della parola e cognitivi ed evitare difficoltà nella coordinazione dei gesti.

La nostalgia per il piccolo Caffè di Lutvo

E’ verde, la Bosnia. Boschi, vallate, montagne e fiumi sono le gemme  di una natura sfacciatamente bella da suscitare quasi imbarazzo. Fiumi limpidi che corrono nelle gole  tra monti aspri per poi precipitare in spettacolari cascate e laghi. Come l’Una, un fiume che – s’intuisce dal nome stesso – è davvero unico con le sue isole, i canali e una vegetazione tanto ricca da trasmettere un senso di pace incredibile. Delle cascate di Kravica, lungo il fiume Trebižat, a quaranta chilometri da Mostar,  dicono un gran bene. Io non le ho viste ma mi sono fidato di Mustafà che me le ha descritte  come uno dei luoghi più incantevoli dell’Erzegovina. In una versione ridotta di quelle del Niagara, sono alte una trentina di metri e precipitano in un anfiteatro naturale, offrendo uno spettacolo che lascia senza fiato. E la Neretva, dalle gelide acque verdi smeraldo, che attraversa il paese tra strette gole verso nord-ovest per poi piegare a sud, attraversare Mostar e sfociare nell’Adriatico? Qui, tra le montagne del nord della Bosnia, tra rupi e fitte foreste dove  gli orsi convivono con cervi e daini, dal gennaio all’aprile del 1943 si combatté la durissima “battaglia della Neretva”, con le formazioni di Tito che riuscirono , con una rocambolesca e geniale azione a compiere una  ritirata strategica che fece  fallire l’obiettivo dell’Asse di accerchiare e distruggere le forze partigiane. Neretva ( così in serbo-croato, altrimenti conosciuta come Narenta) “dove scorre il tempo irreale e scorre l’acqua. Acqua contro Terra. Tremante svanisce, tremante riappare”, come canta Ginevra Di Marco in una canzone dal titolo come il nome del fiume. Montagne massicce, dunque, formate dalle tre cinture parallele delle alpi Dinariche, con le principali vette bosniache della Treskavica e della Bjelašnica, del gruppo del Vlašić fino a quello del Jahorina, con l’omonimo monte e quelli bellissimi e tristemente noti del Trebević e dell’Igman, attorno a Sarajevo. Queste barriere naturali, situate a ridosso dell’Adriatico, hanno consentito la formazione di particolari microclimi caratterizzati da una grande, straordinaria biodiversità. Difficile dar conto della varietà di tesori naturali, di specie rare  di flora e fauna autoctone, difficilmente rintracciabili nel resto d’Europa. Per tanti aspetti la Bosnia è il corno dell’abbondanza, la cornucopia  d’Europa. Come definireste altrimenti  un paese di foreste e monasteri ortodossi, di chiese cristiane e antichi minareti, borghi medievali e tanti, tanti ponti ad unire e far incontrare le opposte rive dei fiumi? Un paese così non si trova in nessuna altra parte d’Europa.

Nonostante tutto. Nonostante le contraddizioni e la violenza che l’ha scosso fino nel profondo dell’anima del suo popolo. Nonostante tutto continua a offrirsi agli sguardi di chi non si limita ai luoghi comuni e continua a raccontare con la sua immensa storia e di cultura. Nonostante tutto, come gli avventori del piccolo Caffè di Lutvo, a Travnik. Nel suo “La cronaca di Travnik”, Ivo Andrić scriveva: “ In fondo al mercato di Travnik, sotto la sorgente fresca e gorgogliante del fiume Šumeć, è sempre esistito, da che mondo è mondo, il piccolo Caffè di Lutvo. Ormai neanche gli anziani ricordano Lutvo, il suo proprietario; da almeno cento anni egli riposa in uno dei cimiteri intorno alla città. Tuttavia si va sempre a “prendere un caffè da Lutvo”, e così ancora oggi il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni, mentre quello di tanti sultani, visir e bey è da tempo sepolto nell’oblio”. C’è una frase che descrive bene la sensazione che prova un viaggiatore attento nell’avvicinarsi ad un luogo d’incontro di storie, culture che si uniscono, si contaminano e, al tempo stesso, prendono strade diverse o addirittura opposte. Un luogo molto bello ma non facile  e che, in ogni caso, non lascia indifferenti. La frase, quasi fosse una chiave con cui tentare di aprire una porta o un  forziere, senza peraltro riuscirvi,  la regala ancora l’autore de “Il ponte sulla Drina”: “Nessuno può immaginare che cosa significhi nascere e vivere al confine fra due mondi, conoscerli e comprenderli ambedue e non poter fare nulla per riavvicinarli, amarli entrambi e oscillare fra l’uno e l’altro per tutta la vita, avere due patrie e non averne nessuna, essere di casa dovunque e rimanere estraneo a tutti, in una parola, vivere crocefisso ed essere carnefice e vittima nello stesso tempo”.

Marco Travaglini

Sudan, speranze di democrazia

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re
Omar al Bashir, l’icona del terrore, un presidente dittatore che ha dominato con il pugno di ferro per 30 anni il Sudan e che si è reso responsabile, con le sue terribili milizie, di crimini orrendi contro i sudanesi. Un tiranno, che dopo aver preso il potere nel 1989 con un colpo di Stato, ha regnato con le mani sporche di sangue nel nome di un islam integralista e radicale

Per tre decenni ha represso duramente gli oppositori e ha sterminato la popolazione del Darfur eliminando circa 400.000 civili. Pochi ricordano la tragedia e la pulizia etnica del Darfur. Regione del Sudan occidentale, nel deserto del Sahara, il Darfur, dal 2003 al 2010, è stato teatro di un tragico conflitto tra gli arabi e i neri africani che sono la maggioranza nell’area e sono combattuti dal regime. La situazione è peggiorata con la comparsa delle feroci milizie islamiste Janjawid reclutate dal dittatore al Bashir e scagliate contro i neri del Darfur. Fu una carneficina con centinaia di migliaia di morti e tre milioni di profughi. Il regime di Khartoum intervenne direttamente nel conflitto aiutando i miliziani arabi con raid aerei e fornendo loro armi, mezzi militari e denaro. Per tutti questi motivi, al Bashir, ora ex presidente deposto dai militari, è ricercato e accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aja di genocidio, di crimini di guerra e di continue violazioni dei diritti umani. È sempre riuscito a farla franca grazie al sostegno di altri dittatori africani e dell’appoggio della Russia, dell’Iran, di Qatar e Turchia e della Cina a cui vende molto petrolio. Ma il Sudan di al Bashir e del suo fedelissimo Hassan al Turabi, leader politico e religioso del Fronte islamico nazionale e ideologo dei Fratelli Musulmani sudanesi, è uno Stato sponsor del terrorismo. Al Bashir e al Turabi (morto tre anni fa) radicalizzano il Paese imponendo la stretta osservanza della Sharia (la legge coranica) e spalancano le porte ai membri di al Qaida e a gruppi fondamentalisti provenienti da vari Paesi islamici. Le inchieste condotte dopo i primi attentati terroristici nel 1992-93, attribuiti ai seguaci di Bin Laden a Mogadiscio e nello Yemen, hanno rivelato che alcuni estremisti sono arrivati dai campi di addestramento qaedisti in Sudan.
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Al Bashir ospitò con tutti gli onori Osama bin Laden nei primi anni Novanta, proveniente dall’Arabia Saudita, suscitando l’ira di Bill Clinton che non perse tempo a mettere il Sudan nella lista nera del terrorismo internazionale e a imporre l’embargo al Paese africano, grande otto volte l’Italia e diviso tra il nord arabo-islamico e il sud cristiano e animista. Le insistenti pressioni saudite e americane costrinsero il capo di al Qaida a lasciare il Sudan per rifugiarsi in Afghanistan. Lo scontro tra Washington e Khartoum si inasprì nel 1998 quando un commando qaedista, partito dal Sudan, colpì le ambasciate americane a Nairobi in Kenia e a Dar al-Salam in Tanzania (234 morti). Come ritorsione Clinton ordinò un raid aereo contro una fabbrica di farmaci, presso Khartoum, che secondo la Cia era un centro per la produzione di armi chimiche. Ma le attenzioni degli americani si sono presto concentrate anche nel sud del Sudan dove da vent’anni era in corso una guerra per il controllo dei pozzi petroliferi tra il regime islamista di Khartoum e i ribelli cristiani delle province meridionali. Alla fine degli anni Novanta il Congresso americano condannò il governo di al Bashir per i massacri compiuti dai militari di Khartoum nel Sudan meridionale. Il conflitto terminò nel 2005 e, dopo un’autonomia di sei anni che l’uomo forte sudanese fu costretto a cedere, il 9 luglio 2011 nacque con un referendum il Sud Sudan che si portò via il 70% delle ricchezze petrolifere impoverendo il nord. I due Stati sono rimasti legati, per interessi economici, anche dopo la separazione avvenuta otto anni fa ma la speranza di veder crescere una nuova nazione in pace è naufragata con lo scoppio di una guerra civile scatenata dai nuovi leader del Sud Sudan. Con 300.000 morti e due milioni di profughi il giovane Stato deve affrontare una gravissima crisi umanitaria. Secondo le agenzie dell’Onu sette milioni di sud-sudanesi sono denutriti tra cui quasi un milione di bambini sotto i cinque anni. Ecco dunque la parabola del dittatore al Bashir, 75 anni, destituito dall’esercito su pressione dei manifestanti. Il 19 dicembre scorso centinaia di persone si sono riversate nelle strade di città e villaggi per protestare contro il prezzo triplicato del pane costringendo Bashir a dichiarare lo stato di emergenza. Il 6 aprile migliaia di sudanesi sono tornati in piazza a Khartoum per chiedere libertà e riforme profonde e l’11 aprile al Bashir si è dimesso mentre i suoi ministri venivano arrestati. Khartoum comunica che al Bashir non verrà consegnato alla giustizia dell’Aja in caso di richiesta della Corte europea che ha spiccato nei suoi confronti diversi mandati di cattura internazionale.
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L’opposizione chiede una vera svolta democratica e accusa i militari di riprodurre con nuovi volti il vecchio regime. La forte volontà di cambiare il Paese non ferma i sudanesi che hanno ottenuto la rimozione del nuovo premier Ibn Auf, stretto collaboratore di Bashir e responsabile, insieme al dittatore, dei massacri in Darfur. Il nuovo leader provvisorio è il generale Burhan, un ufficiale più rispettabile, che guiderà una fase di transizione di due anni, senza elezioni. Cercherà di ricucire il dialogo con i manifestanti, riportare ordine nel Paese e gestire le eventuali conseguenze del golpe di Khartoum sull’accordo di pace nel Sud Sudan firmato il 12 settembre 2018 ad Addis Abeba dai due leader antagonisti, il presidente Salva Kiir e il capo ribelle ed ex vice presidente Riek Machar, ai quali Papa Francesco, con un gesto simbolico e storico, ha baciato i piedi in Vaticano nella speranza di rinvigorire l’intesa. La breve storia del giovane Stato si incrocia con quella del Sudan perchè il presidente Omar al Bashir, interessato al petrolio del sud, è stato il garante della pace nel Sud Sudan andando nella capitale Juba per convincere le due parti in lotta a fermare la guerra. Dopo Bouteflika in Algeria e Mugabe nello Zimbabwe scende dal trono anche Bashir. Tramonta un’epoca sulla nazione dei leggendari Mahdi e Gordon Pascià ma è probabile che finchè ci sarà un regime militare la situazione non cambierà molto. Il futuro è denso di incognite e la democrazia può aspettare.
 

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

Il Salone del Libro a Genova, al Palazzo comunale Tursi

Sarà Genova con il Patrocinio del Comune  e precisamente la Sala Giunta Nuova di Palazzo Tursi di via Garibaldi 9, ad accogliere i rappresentanti del Salone internazionale del Libro di Torino che ha scelto la Liguria – come sede istituzionale – per la presentazione dell’evento che si terrà a Torino Lingotto dal 9 al 13 maggio
La presentazione va vista come un Ponte ideale fra Liguria e Piemonte e per implementare un legame che non è solo di vicinanza geografica, ma di assonanze di idee e culturali. Non a caso, Genova è anche l’occasione per rinsaldare l’unione fra le due Regioni che vede in Slow Fish un’ altra simbiosi con il Piemonte e adesso è la volta del Salone di avviare una collaborazione che viene testata quest’anno e speriamo duri negli anni. L’idea di rinnovare il legame fra Liguria e Piemonte nasce presso il Municipio IX Levante di Genova Nervi per la seconda edizione di Nervi in Giallo ideata da Lameladivetro e Solstizio d’Estate Onlus e da qui la proposta per il Salone del Libro di Torino. Il Salone Internazionale del Libro è partito per il Grand Tour, percorso che si snoda tra librerie e istituzioni culturali torinesi e della Città Metropolitana, con una tappa anche a Genova, per un evento patrocinato dal capoluogo ligure, e che vede protagonisti il direttore editoriale Nicola Lagioia e Marco Pautasso, con un ospite a sorpresa, diverso ogni volta. Un viaggio per presentare temi e novità della manifestazione di maggio, tra anticipazioni, progetti e protagonisti. Un’attenzione particolare è rivolta alla lingua spagnola, che unisce popoli e paesi, ospite della 32° edizione, e alla letteratura espressa da questo idioma. Promosso dal Salone Internazionale del Libro di Torino e dalla Fondazione Circolo dei lettori, il Grand Tour è frutto della virtuosa collaborazione tra i tanti soggetti che operano in sinergia per promuovere il libro e la lettura. Sono COLTI – Consorzio dei Librai Torinesi Indipendenti, le Biblioteche Civiche Torinesi, lo SBAM – Sistema Bibliotecario dell’Area Metropolitana di Torino e l’Associazione Abbonamento Musei Piemonte. Dopo il primo incontro, martedì 2 aprile con Monica Rita Bedana, direttore della Scuola di Lingue Spagnola dell’Università di Salamanca a Torino, una lezione per tracciare le coordinate utili a spiegare come lo spagnolo di Salamanca sia diventato di tutti. È 550: dall’uovo di Colombo a Macondo presso ELE-USAL: Escuela de Lengua Española de Universidad de Salamanca (via Garibaldi, 18/4 1°, Torino) Ma il Salone è anche il luogo del dialogo con le nuove generazioni che nel Padiglione 2 hanno il loro spazio dedicato, un grande laboratorio per sprigionare la creatività e dibattere intorno a temi come cittadinanza, democrazia, solidarietà, ambiente, educazione e convivenza. Giovedì 11 aprile, ore 18.30 presso la Libreria dei ragazzi (via Stampatori, 21, Torino), Eros Miari, curatore con Fabio Geda del programma per i più giovani, insieme a Maria Giulia Brizio, anticipa autori, progetti e incontri protagonisti al Bookstock Village, ideati per esplorare il mondo attraverso il libro e la fantasia. Mercoledì 17 aprile, alla Biblioteca civica multimediale Archimede (Piazza Campidoglio, 50, Settimo Torinese), Nicola Lagioia e Marco Pautasso ci hanno raccontato Il gioco del mondo, tema della 32° edizione, e i tanti autori internazionali protagonisti non solo dei cinque giorni a Lingotto ma anche del Salone Off, la festa dei libri nell’Area Metropolitana. Non mancano anche quest’anno il progetto Pagine in corsia, che porta i lettori negli ospedali torinesi, e Voltapagina, dedicato invece ai detenuti. A Genova, presso Palazzo Tursi (via Garibaldi, 9, Genova) la presentazione del Salone del Libro 2019 è affidata a Nicola Lagioia e Marco Pautasso, ai quali si aggiunge Maurizia Rebola, direttore della Fondazione Circolo dei lettori, venerdì 26 aprile, ore 11.30 per un evento patrocinato dalla Città di Genova e in collaborazione con Solstizio d’Estate Onlus. Per conoscere a fondo lo scrittore che ha ispirato il tema della 32° edizione, Julio Cortázar, grande maestro del Novecento, autore di Rayuela, titolo originale del suo capolavoro, Il gioco del mondo, una delle opere più influenti degli ultimi cinquant’anni, la lezione di Ernesto Franco, lunedì 29 aprile, ore 18.30 nel Salone d’Onore dell’Accademia Albertina di Belle Arti (via Accademia Albertina, 6, Torino). Direttore editoriale di Einaudi e studioso della cultura ispano-americana, Ernesto Franco ha curato e tradotto non solo opere di Cortázar, ma anche di Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Álvaro Mutis, Ernesto Sabato e Mario Vargas Llosa. Infine, martedì 30 aprile, ore 18.30 l’ultima tappa del Grand Tour è alla Libreria Angolo Manzoni (via Cernaia, 36/d, Torino). Il dialogo Don Chisciotte dal libro al mito, tra Iole Scamuzzi, Guillermo José Carrascón e Consolata Pangallo chiude il viaggio verso il Salone che torna dal 9 al 13 maggio. I professori del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino raccontano come la lotta contro i mulini a vento e l’incontro con le prostitute, tra i più celebri episodi di Don Chisciotte, abbiano contribuito a trasformare l’eroe barocco in mito dell’individualismo moderno. La presentazione verrà chiusa con un aperitivo con prodotti del Piemonte.

Tommaso Lo Russo

Pasqua a Matera e in Basilicata

La Basilicata, come scrive Giovanni Bronzini che con Ernesto De Martino ha maggiormente studiato questo aspetto della regione, “si presenta rispetto alla tradizione popolare come un’area prevalentemente conservativa”,.  Nelle campagne, soprattutto del materano, sopravvivono usi e tradizioni la cui origine si perde nella notte dei tempi. 
Tra questi sono da annoverare i Riti della Settimana Santa.

Proprio a Matera, con  “Mater Sacra”, si ambienta nei Sassi la struggente rievocazione della passione di Cristo. Momento di grande coinvolgimento emotivo che vede protagonista la Murgia e l’intera Gravina con la riproposizione della crocifissione di Gesù e dei due ladroni. Un evento che regala al visitatore lo stupore di una narrazione  raccontando la resurrezione del Signore. Sulla murgia materana andrà in scena lo spettacolo della morte, della deposizione sino all’annunciazione di una nuova vita portata dal Figlio dell’Uomo.

Nel resto della regione, nella giornata del Venerdì Santo vi sono manifestazioni religiose esterne, fuori dalla Liturgia Ufficiale.A farla da padrone, sono le cosiddette Sacre Rappresentazioni con personaggi viventi. bDa segnalare sono quelle che si svolgono nel comprensorio Vulture-Melfese a Barile, Rapolla, Rionero, Atella, Maschito e Venosa. Particolarmente importante è la “Via Crucis” che si svolge a Barile, centro di origine “arbëreshë”, cioè albanese, come Maschito, Ginestra, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.

A Barile, coerentemente con l’origine albanese della rappresentazione, uno dei principali figuranti nella Via Crucis è infatti la “Zingara”, una bella ragazza del paese che veste un abito tradizionale albanese ed è ricoperta da gioielli prestati dalle famiglie più abbienti (un chiaro richiamo quindi al popolo fondatore della cittadina).  Nel solco del richiamo alle origini, il personaggio della “Zingara” è presente anche nella Via Crucis vivente che si svolge a Maschito; ma anche a Rapolla, Rionero e Ripacandida, pur non avendo la stessa origine, la “Zingara” è uno dei personaggi chiave delle Sacre Rappresentazioni lucane.

Pescatori nella rete a Slow Fish

Come ogni due anni la rete internazionale Slow Fish si dà appuntamento a Genova per parlare di politiche della pesca, donne e pesca, specie aliene e tanto altro ancora
Vengono dalle vicine coste del Mediterraneo, dall’America Latina, dalla Russia e dalla Corea del Sud, sono statunitensi, olandesi, turchi e sudafricani. Sono pescatori e rappresentanti delle associazioni di categoria e delle amministrazioni locali, ricercatori e cuochi, esperti e divulgatori, insomma gli stakeholder del mare. Si ritrovano a Genova ogni due anni durante Slow Fish, chi per la prima volta e chi come un appuntamento immancabile che restituisce il senso del proprio impegno verso il mare. Il pubblico del Porto Antico può ascoltare i loro racconti nei talk alla Slow Fish Arena o degustare le specialità della tradizione nei Laboratori del Gusto e nelle Scuole di Cucina. Ma i delegati vengono a Genova soprattutto per incontrarsi e discutere i temi su cui stanno lavorando con buoni risultati o che li preoccupano, disegnando un lungo ideale percorso di approfondimento e aggiornamento da un’edizione all’altra dell’evento. Tra i temi che anche quest’anno sono al centro dei Forum a loro dedicati e ospitati all’interno di Casa Slow Food, citiamo la discussione sulla blue growth, la strategia dell’Unione Europea dedicata allo sviluppo sostenibile in ambito marittimo, che dovrebbe mettere al centro il fattore umano e le comunità costiere; la creazione di sistemi di cogestione delle risorse del mare che coinvolgano pescatori, amministrazioni locali e società civile; il ruolo delle donne nella pesca, come fattore di equità e sostenibilità sociale; le specie invasive che possono rivelarsi una risorsa e non solo un danno. Ed è proprio questo l’esempio che raccontano i turchi Funda Kök Filiz e Fatma Esra Kartal che nella Baia di Gökova organizzano un festival gastronomico dedicato alle specie aliene, quelle che a causa dei cambiamenti climatici si sono spostate in nuovi mari alla ricerca di un ambiente più confortevole, alterando però l’equilibrio della catena alimentare in cui si inseriscono. In questa zona della Turchia infatti la richiesta di nuovi pesci è cresciuta del 400% tra il 2010 e il 2015, il loro prezzo è aumentato di almeno il 20% e i guadagni delle cooperative di pescatori di quasi il 200%. In Tunisia invece a sviluppare la filiera sostenibile della piccola pesca artigianale c’è il Club Bleu Artisanal, una comunità di pescatori che insieme ai ristoranti della zona organizza attività di educazione al gusto e alla scelta consapevole. Tra i fautori di questa bella e importante iniziativa, a Slow Fish incontriamo Yassine Skandrine, rappresentante della piccola pesca locale, che ci racconta la sua visione olistica del rapporto tra pescatori e risorse, pesca artigianale e acquacoltura, e delle azioni dell’uomo sulla terra e in mare. Gli fa eco Antonio García-Allut, presidente della Fondazione Lonxanet, che in Spagna ha attivato le energie per riunire un gruppo di cuochi che sostengono quei pescatori che attuano una gestione attenta delle risorse ittiche. Con Restauramar i cuochi aderiscono a un vero e proprio codice etico e si impegnano a inserire nei loro menù il maggior numero possibile di esemplari provenienti dalla filiera. Dalla Colombia arrivano Camila Zambrano e Octavio Perlaza Guerrero, rappresentanti della Ong Fondo Acción e del progetto Slow Fish Caribe, che riunisce organizzazioni di pescatori e reti impegnate nello sviluppo di sistemi agricoli sostenibili per migliorare la qualità della vita delle piccole comunità costiere e la condizione delle donne pescatrici.