Dall Italia e dal Mondo- Pagina 19

Il sogno europeo di Boris Johnson

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Boris Johnson, Primo ministro del Regno Unito di Gran Bretagna, sta in questi giorni combattendo contro il morbo che, inaspettatamente fino a poco tempo fa, stravolge il nostro quotidiano: il COVID-19

Il leader dei Conservatives britannici, il quale aveva destato stupore con l’intenzione iniziale di portare avanti il cosiddetto metodo della “immunità di gregge” per contrastare – o convivere? – con l’emergenza da Coronavirus, ha contratto il virus, finendo persino in terapia intensiva, al punto che le sue funzioni sono state delegate al Ministro degli Esteri, Dominic Raab. Ora l’auspicio più vivo è che Johnson si rimetta presto e non solo per il senso di solidarietà umana che dovrebbe albergare in ognuno di noi, ossia per quel senso di “simpatia” che così bene Adam Smith descrisse nella sua “Teoria dei sentimenti morali”.

L’istrionico Boris, notoriamente avvezzo a gaffes, così congeniali al fluttuare selvaggio della bionda capigliatura, rappresenta un politico di grande spessore, profilo ormai raro di uomo di cultura incardinato nel governo di una nazione. Egli, da sempre favorevole alla Brexit a tutti i costi, protagonista degli ultimi drammatici passaggi della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea, ha scritto in passato saggi da europeista convinto. Per quanto, ovviamente, possa essere definito europeista un inglese! Tra le varie opere, “The dream of Rome”, frutto non solo della sua passione sfrenata per il mondo latino, la cui lingua Johnson fece reintrodurre nelle scuole pubbliche londinesi perché fondamentale per comprendere la cultura inglese. In questo volume, qualche anno fa, l’etoniano auspicava lo studio politico del sistema di governo dei territori da parte dell’antica Roma per ispirare la nuova Europa.  Boris Johnson narra in queste pagine con sincera ammirazione del primo progetto di integrazione internazionale, cogliendo le raffinatezze tattiche, politiche e giuridiche con cui l’Urbe riuscì per secoli a far coesistere una moltitudine di genti, religioni, culture, stili di vita. Dopo quella esperienza dobbiamo risalire ai giorni nostri per trovare, nella storia umana, anche se solo da pochi decenni, un ordinamento con qualche assonanza con quello dei Cesari.
Che quell’uomo sia stato soppiantato nel pensiero dal “populista” di oggi, così è stato definito dall’ex compagno di partito Sam Gyimah, non è così pacifico. E’ vero che la bismarchiana realpolitik seduce e converte con grande facilità, ma è possibile pensare che Boris Johnson, non solo per difendere il proprio paese, ma anche per continuare a coronare il sogno romano, abbia in mente strade, forse tortuose, ma efficaci nel tempo per superare l’attuale Unione europea, da molti anche ingiustamente accusata di essere un maniero di burocrati, e giungere alla versione moderna dell’antica integrazione continentale: gli Stati Uniti d’Europa.  Non più tardi di 4 anni fa, il conservatore britannico disse: “Sono europeo. E non sopporto il modo in cui confondiamo l’Europa — patria della più grande e ricca cultura del mondo, alla quale la Gran Bretagna contribuirà per sempre — con il progetto politico dell’Unione Europea”. Lo affermò in inglese, ma avrebbe potuto anche in latino o in greco, lingue che conosce benissimo e ammira profondamente. E allora, anche per chi spera che il conflitto politico che oggi attanaglia il Vecchio Continente non sia appannaggio degli estremisti dogmatici fautori dell’immobilismo comunitario e dei populisti nazionalisti, God save Boris!  Stai a vedere che, per il bene della futura Europa, avremo bisogno di chi oggi ha cavalcato la libera scelta del popolo britannico per minare il consolidato sistema dell’Unione europea!

Massimiliano Giannocco

Quanto vale una vita per l’Europa che sputa sugli aiuti russi e cinesi

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Di fronte ai numeri terribili che anche oggi hanno flagellato l’Italia, con altri 712 cittadini deceduti e 4.492 positivi in più, imperversano le polemiche sugli aiuti che stanno arrivando dalla Cina e dalla Russia

Si moltiplicano gli articoli che il mainstream sforna per fomentare i sospetti sull’autenticità di questi soccorsi e per suscitare negli italiani l’idea che essi siano solo il paravento per perseguire certi interessi geopolitici. È la solita odiosa macchina del fango che viene attivata per far dimenticare che i nostri principali alleati – pardon, coloro che tali si definiscono – e cioè i membri dell’Unione Europea e della NATO, compresi dunque gli Stati Uniti, per settimane non hanno mosso un dito per aiutarci concretamente. Noi a soffrire, loro a deviare i percorsi delle mascherine, a requisirle, ad acquistarle, a fare calcoli sulla nostra solvibilità. Sembravano i parenti-serpenti intorno al letto dello zio moribondo col pezzo di terra e due appartamenti da spartirsi.

È incredibile vedere accusare Russia e Cina di esercitare il loro soft power per ingraziarsi l’opinione pubblica italiana e mondiale, quando in realtà hanno semplicemente risposto a un invito partito dal Governo italiano a prestare aiuti umanitari al nostro Paese, visto l’isolamento in cui eravamo incastrati. Qualcuno si ricorda quando è esploso nel lodigiano il primo focolaio di coronavirus? Ebbene, in Europa eravamo diventati subito gli untori da accusare e sbeffeggiare. L’Austria chiuse unilateralmente il Brennero, la Slovenia mise i blocchi di cemento alla frontiera, Parigi minacciava di farlo, mentre l’emittente televisiva Channel Plus ci derideva con il suo vergognoso video sulla “nuova specialità italiana, la pizza corona”. E le 200mila mascherine “prese in ostaggio” dalla Turchia? E quelle fermate alla dogana dalla Germania e dalla Repubblica Ceca? Che razza di solidarietà era stata dimostrata all’Italia dai “fratelli europei” fino a quando il Conte non ha dovuto chiamare i Presidenti delle grandi potenze?

Intorno a noi solo un silenzio assordante, rotto dalle risatine delle èlite europee: “Eccoli i soliti italiani, che si lamentano e che non vogliono lavorare” era il pensiero che attraversava i palazzi di cristallo di Bruxelles. Quando poi l’emergenza è deflagrata, vi ricordare l’uscita di Christine Lagarde sullo spread? Qualcuno l’ha giustificata come “un’uscita ingenua”, ma crediamo che una signora con tale esperienza sappia sempre esattamente quello che dice e sappia qual è l’effetto delle sue parole: in quel caso è stato appena di 68 miliardi di capitalizzazioni perse dall’Italia e l’affondamento della Borsa di Milano con il -16,9%, la maggiore perdita della sua storia. E lo spread volava quasi a quota 300. Ecco la solidarietà europea che non si smentisce neppure in queste ore, in cui Olanda e Germania si stanno mettendo di traverso rispetto alla richiesta del Governo italiano di mettere sul mercato gli Eurobond.

E a fronte della fraterna e meravigliosa solidarietà europea, stridono gli aiuti rapidi e concreti dei “cattivissimi” Cina e Russia. La narrazione ufficiale per ora resta sempre la solita: l’Unione Europea è la nostra unica possibile salvezza, mentre fuori di essa ci attende la schiavitù alla quale bramano di soggiogarci le dittature euroasiatiche. Soltanto il Washington Post ammette che “la Cina e la Russia sono scese in campo per aiutare le nazioni colpite. Un ruolo svolto dagli USA sin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ma a cui ora la Casa Bianca ha abdicato”. Il dramma è che questa propaganda sta ostacolando la solidarietà di questi Paesi. La Polonia ha vietato agli aerei provenienti da Mosca di attraversare il proprio Paese, e così hanno fatto le Repubbliche Baltiche, costringendo gli aerei russi ad allungare il tragitto di 2mila chilometri. Il materiale proviene dai ministeri dell’Industria, della Difesa, della Sanità russi e da numerosi donazioni private, e include circa 600 ventilatori polmonari, 326 mila mascherine FFP2, mille tute protettive, 10mila tamponi a risposta veloce, 100mila tamponi standard e due macchinari in grado di analizzare 100 tamponi in due ore. A questo si aggiungono otto squadre composte da dieci medici ciascuna, tra cui un epidemiologo, un terapeuta e un anestesiologo, oltre che personale tecnico e traduttori. Tutto a titolo gratuito.

Ci vorrebbe un po’ di real politik, in questo momento così delicato. Apriamo gli occhi: la Cina ha aiutato l’Italia anche perché Croce Rossa e Stato italiano avevano inviato i loro dispositivi di sicurezza per medici e infermieri quando era scoppiata l’epidemia a Wuhan. Alla solidarietà ha risposto con la solidarietà. Invece nell’Unione Europa e negli USA chi vive e chi muore lo decide la grande finanza. Pensiamo alla lentezza con cui l’OMS ha dichiarato la pandemia, a causa dei Pandemic Bond emessi dalla Banca Mondiale con sede a Washington. Era palese da settimane che si fosse di fronte a una potenziale catastrofe, ma hanno cercato in tutti i modi di non dichiarare l’emergenza, per evitare le perdite ai grandi fondi di investimento e agli stessi USA, i quali tengono in pancia questi titoli ora diventati tossici, ma che dal 2017 ad oggi hanno assicurato interessi dal 7 al 15%. Viene spontaneo domandarsi quanto valga una vita in Occidente…. e forse un’idea del suo valore ce l’ha suggerita il premier britannico Boris Johnson, che voleva rallentare la pandemia invocando l’immunità del gregge. Per carità, alla fine ha fatto un passo indietro, ma che fatica gli è costata mettere da parte il Dio Denaro.

Marco Fontana

Quel 16 marzo del ’78 a Torino e in Italia

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16 marzo 1978, Aldo Moro rapito in via Fani a Roma e massacrata la sua scorta. Colpevole di dialogare con i comunisti di Enrico Berlinguer. Le brigate rosse esecutori delle volontà reazionarie mondiali. Molti servizi segreti gongolavano. Statunitensi, inglesi, israeliani e russi e bulgari sodali nel produrre caos. E perché no, almeno una parte dei nostri servizi

Oramai una tragica ed acclarata verità. Con gli uomini della P2 di Licio Gelli come immondi coordinatori di questo progetto. Torino reagì con forza e determinazione. Torino, suo malgrado, una delle capitali del terrorismo rosso. Torino reagì bene e fu  poi determinante per la sua sconfitta. Fu determinante tra il popolo e tra la classe dirigente.

Lo stesso sindacato, maggiormente infiltrabile dalle Br, capì e reagì. Studente universitario di Palazzo Nuovo conoscevo diversi individui che, dopo aver accusato il PCI di tradimento del proletariato, si davano alla clandestinità credendosi grandi rivoluzionari ed essendo grandi stupidi. Utilizzabili ed utilizzati. Il ciarpame non finiva qui. Mentre Enrico Berlinguer sosteneva: difendere le istituzioni per rinnovarle, loro sostenevano nè con lo Stato ne né con le Br. Stupidaggini che davano, però, linfa vitale ai delinquenti brigatisti. Alla sera manifestazione in piazza Castello. Il corteo doverosamente aperto con i democristiani e le loro bandiere. Un simbolismo non da poco. Forse la prima volta nella storia repubblicana. Reagì bene con i suoi uomini più rappresentativi. Il magistrato Luciano Violante era stato parcheggiato a Roma in Cassazione. Le sue indagini contro Edgardo Sogno avevano dato fastidio a molti. Enrico Berlinguer si consultò con il partigiano Ugo Pecchioli ministro ombra dell’Interno del PCI.Nel pieno riserbo fu organizzata una riunione con Violante. Dopo la direzione nazionale decise la scelta di bon trattare con Br. Scelta dolorosa ma necessaria. Benigno Zaccagnini telefonò distrutto a Berlinguer per conoscere la posizione del PCI. Ne venne fuori anche un incontro tra Luciano Violante ed il segretario democristiano. Ancora adesso, molti si chiedono il perché della linea trattativista di Bettino Craxi. Si può anche spiegare con la vicinanza e conoscenza tra socialisti e appartenenti alla cosiddetta Autonomia Operaia che, a loro volta conoscevano i terroristi rossi. Forse Moretti capo Br aveva già deciso. Tanti e troppi i poteri occulti e non occulti italiani ed internazionali che voleva la morte di Aldo Moro. In quei tragici giorni, di fatto si ponevano le basi per sconfiggere il terrorismo rosso. Grazie a molti. Grazie a quegli impiegati ed operai che scioperarono partecipando ai cortei. Grazie anche a magistrati e politici di Torino. Grazie anche a tutta la nostra città. Non è da poco. C è da esserne fieri.

Patrizio Tosetto

L’interferone cubano sta funzionando in Cina contro il Covid 19

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L’interferone cubano sta funzionando in Cina contro il Covid 19

Quando il sorriso non ha più paura

Secondo una ricerca recente nel mondo, esistono più possessori di un telefono cellulare che di uno spazzolino da denti . Ammontano a 4,8 miliardi coloro che possiedono  un telefono cellulare e 4,2 quelli che hanno uno spazzolino da denti!

 

Un dato davvero agghiacciante questo, che in qualche modo attesta la gravità delleducazione mondiale atta alla salvaguardia del nostro corpo oltre che della nostra serenità fisica e mentale.

Ti andrebbe di lasciare lo spazzolino da me ?”  Solitamente questa frase suonerebbe come la dichiarazione damore universale tra due persone , che in qualche modo conquistano la propria fiducia luno con laltra. In realtà però potrebbe essere invece questa  la massima più significativa dellanfitrione del cuore, colui che innanzitutto cura il bene più autentico  e non solo quello delle false e futili apparenze. Una frase fatta quindi quella dello spazzolino, ma assolutamente esaustiva per il suo letterale significato , che dovrebbe avere come protagonista loggetto in sé e non il suo secondo fine comunque importante e appropriato.

Il fatto di non sostenere la veridicità del contenuto di questultima riflessione, potrebbe in qualche modo giustificare quanto suddetto riferendoci alla percentuale di acquisto dei cellulari rispetto agli spazzolini da denti : limportanza quindi del pensiero atto al nostro benessere  diviene il superfluo, mentre il superfluo diviene indispensabile. Bizzarro ma è così.

La stessa identica cosa vale quindi per lodontofobia , ossia il terrore di andare dal dentista e affrontarne le conseguenze. Infatti, molto spesso,  preferiamo comprarci un bellissimo abito , quello dai colori alla moda e dalle stoffe luminescenti (effetto immediato e apparentemente perfetto)  ma difficilmente ci soffermiamo a pensare come quellabito possa sposarsi bene con il nostro sorriso sano e curato innanzitutto. Non c’è mai stato un filosofo che potesse sopportare pazientemente un mal di denti…” ,come diceva il grande William Shakespeare, dal profondo della sua dotta sensibilità e genialità.. Motivo in più per vincere la paura e la diffidenza.

Per cui, dinnanzi allesigenza di dover chiedere aiuto” al dentista per farci curare, rischiamo il più delle volte di scegliere la strada del fai da te” : dallautomedicamento , o peggio ancora , votiamo erroneamente per la trascuratezza assoluta di stati di fatto più che evidenti nella loro gravità, rischiando così di rivolgerci a professionisti assolutamente non dedicati o,  peggio ancora, non preparati !

Nonostante questo, la scelta di un ottimo dentista rimane sempre una questione delicata, avendo quindi loccasione di valutare al meglio la professionalità dellodontoiatra in relazione al proprio problema. Molto spesso , ignorantemente, siamo portati a pensare che tutti i dentisti siano degli imbroglioni” e gli stessi , per altri, siano paradossalmente lesatto opposto. Nessuno però possiede una sfera di cristallo per poter giungere ad una conquista decisionale valida e senza  errori, ma sicuramente il buon senso e linformazione ne attesteranno la veridicità .

Per poter arrivare però  ad una scelta logica ed equilibrata ,  diversi sono i fattori a cui dovremmo fare appello :  alta, anzi altissima preparazione da parte del professionista sugli argomenti medici , di routine , ma anche dei più innovativi. Sofisticata tecnologia dei materiali , degli strumenti e delle attrezzature. Grande capacità di instaurare fiducia reciproca tra medico e paziente, trasparenza anche sotto il profilo dei costi e del piano terapeutico da seguire. 

In ultimo due ingredienti fondamentali : PASSIONE AMORE.Quando un servizio è praticato da professionisti che innanzitutto sono persone” che trovano importante e appassionante il proprio lavoro , sviluppandolo  con passione e amore, questultimo godrà sicuramente  di risultati che  premieranno qualità, garbo , stile e soddisfazione.

Sul panorama torinese esistono sicuramente svariati studi di odontoiatria , molti di essi sicuramente validi, ma  tra questi, quello che coglie lo stupore agli occhi , alla mente e al cuore dei suoi residenti e non solo è lo Studio dentistico BERGO (BBB). Tre iniziali uguali fra loro anche per gli stessi intenti nobili e preparati di ognuna, che si fondono innanzitutto per lunione solidale di una realtà divenuta forte per esperienza, tenacia, ricerca, preparazione , competenza e professionalità. Una famiglia composta da 3 fratelli ,che insieme , con grande determinazione, armonia ,serietà e amore per il proprio lavoro , hanno avuto la capacità di costruire unequipe altamente preparata sugli argomenti che con passione smisurata, serietà, eleganza , umanità e rispetto per i suoi pazienti (che ad oggi ammontano a più di 2000 ,provenienti da tutta Italia e non solo) ha saputo arricchire, a vantaggio del paziente , un approfondito aggiornamento tecnologico davvero molto ricercato e costante, oltre che un servizio puntuale , attento e professionale per lo stesso. 

Nel panorama di questa realtà davvero sorprendente ed entrando quindi dalla porta principale dello studio dentistico BERGO , salta immediatamente allocchio  leleganza degli spazi, la modernità e linnovazione . Ma non pare fuffa, al contrario una location invitante che sussurra il piacere per lanima , la sicurezza emotiva dei suoi pazienti e la netta sensazione di poter davvero mettere in mano la propria bocca a professionisti assolutamente affidabili. 

La cortesia e la solarità dello staff trasmettono  la capacità di poter sedare la paura e arricchire la consapevolezza di volersi bene.La pulizia delle sale e quindi ligiene, è impeccabile!  La ricchezza degli elementi di lavorazione è davvero sorprendente, per lalta tecnologia delle attrezzature e dei materiali.La passione che questa famiglia pone al proprio lavoro si palpa come luce trasparente agli occhi persino dei profani.  Una sorta di collezionismo degli elementi occorrenti alle cure dei pazienti, che certo non si sporcano di polvere , ma di lavoro duro ,  appassionante e appassionato, dedicato assolutamente alla cura del paziente e della sua salvaguardia.

Minuziosa e sorprendente è poi lattenzione e la precisione  rivolta alla cura dei vari progetti terapeutici e persino (involontariamente) psicoterapeutici di tutti i loro pazienti, ormai da tempo fidelizzati.Lo Studio Dentistico Bergo, gode quindi di tutti i confort e la professionalità , per ottimizzare tutte le tecnologie e le cure mediche ad essi appropriate  quali : 

lortodonzia infantile , lodontoiatria conservativa , lendodonzia, lortodonzia generale, la parodontologia, la protesi e lo sbiancamento dentale, limplantologia più innovativa (pur cercando, per questultima di mantenere comunque il più possibile i denti originali del paziente. Unulteriore valore aggiunto questo dei Bergo, che ancora una volta attesta la serietà degli intenti).

Inoltre, per sconfiggere lo stress dei pazienti, si adotta anche la sedazione cosciente per adulti e bambini. Per questi ultimi lo Studio dentistico Bergo è particolarmente sensibile e quindi specializzato , al fine di ottenere un trattamento davvero competente e assolutamente indolore.

Risolvere il problema , dicono i Bergo, spesso non basta è necessario mettere il paziente in condizione di mantenere il proprio stato di salute nel tempo.Questa loro una massima che rileva davvero lintenzione di salvaguardare il diritto del paziente innanzitutto.Un bouquet di altissima generazione quindi quello dello Studio Dentistico Bergo, ma con un valore aggiunto di autentica certezza.

Sorridere finalmente senza paura, deve divenire quindi un motto per noi stessi, la consapevolezza di un tempo nuovo che porta via il dolore ,che rende forti, che non fa paura e la decisione di riuscire a ricominciare anche se alle volte fa un pochino male, ottimizzando le  proprie scelte prendendosene cura e credendo innanzitutto in ciò che può cambiare. 

 

Studio dentistico BERGO (corso Vittorio Emanuele II, 87 (+39)011 4342395 – www.studiodentisticobergo,it –  info@studiodentisticobergo.it)

 

Monica Di Maria di Alleri Chiusano

Tanti torinesi alla Settimana dell’armonia interreligiosa

L’incontro si è svolto giovedì 6 febbraio nella cappella della Chiesa di Scientology di viale Fulvio Testi Milano

Riceviamo e pubblichiamo

“La società cambia continuamente, l’individuo sembra perso tra valori futili, vacue certezze e notizie che intendono confonderlo. Anche la politica, che in un passato non troppo lontano era terreno di confronto e crescita civile, ora è diventata terra di scontri che spesso esasperano gli animi e dividono sempre più le coscienze.

Questa perdita di punti di riferimento costituisce una sfida per tutte le religioni che ora più che mai sono chiamate a unirsi, non per annullarsi l’una nell’altra, ma per cooperare verso mete comuni, quale quella di indicare all’individuo che non è un essere malvagio e che è degno di rispetto, che ha dignità.”

Con queste parole di Luigi Brambani, portavoce della Chiesa di Scientology, si è aperto
l’incontro interconfessionale dedicato alla Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa.

Un momento ricco di spunti grazie agli interventi di studiosi, religiosi laici tra i quali Bruno Portigliatti del Centro d’Informazione Buddhista di Giaveno (TO), Luigi Berzano noto sociologo dell’Università di Torino, Elisabetta Ruspini dell’Università Milano Bicocca, e Fabrizio d’Agostini avvocato torinese esperto della religione di Scientology, e alla conduzione spigliata del giornalista Giorgio Boccaccio, direttore del mensile culturale “Vivo”.

“Dal confronto tra punti di vista differenti emerge un’esigenza fortemente condivisa in un
panorama religioso sempre più plurale e variegato – ha sottolneato Berzano –  E questa
esigenza è racchiusa nel concetto di Ana-teismo, ossia verso il teismo; verso una nuova ricerca
di Dio. Una ricerca che nonostante la propaganda materialista, non è terminata, anzi, sta ritrovando nuova vivacità nell’ambito delle stesse tradizioni religiose, forse anche grazie alle nuove forme di religiosità.”

La presentazione del libro “Anateismo Contemporaneo” (Ed. Pacini) è stata infatti lo spunto
da cui l’iniziativa ha preso vita, motivando una fattiva collaborazione interreligiosa e interdisciplinare in piena adesione allo spirito della Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa attirando l’interesse di un pubblico numeroso, variegato e attento.

“Il tema è antico quanto la storia dell’umanità, ma la chiave di lettura è completamente nuova ed  è nuovo il desiderio di capire e saperne di più, di superare barriere culturali e teologiche per riportare la ricerca del trascendente al centro della vita quotidiana e della rinascita della società.”

La settimana dell’armonia interreligiosa

Riceviamo e pubblichiamo

E’ in corso la Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa fissata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la prima settimana di febbraio di ogni anno.

UNA DELEGAZIONE DELLA CHIESA DI SCIENTOLOGY DI TORINO A MILANO PER UN INCONTRO INTERCONFESSIONALE
La Chiesa di Scientology di Torino la celebra ricordando uno scritto del fondatore L. Ron Hubbard che dedicò tutta la sua vita (1911-1986) allo studio delle religioni all’importanza del loro ruolo nella società. Nel 1973, condusse una ricerca a New York scoprì una società drammaticamente peggiore rispetto a quella degli anni precedenti. Da tale ricerca riconobbe, prevedendola, la direzione presa dall’attuale cultura: flagrante immoralità, violenza per il compiacimento personale, politica tramite terrorismo. “Il punto più critico in cui una cultura può essere attaccata – scrisse – è probabilmente la sua esperienza religiosa. Quando si possono distruggere minare le istituzioni religiose, allora l’intera struttura della società può essere rapidamente demolita condotta alla rovina. La religione è il primo senso di comunità. Il tuo senso di comunità si forma grazie all’esperienza reciproca con gli altri.” In adesione a queste parole e all’intento della Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa, Giovedì febbraio una delegazione della Chiesa di Scientology di Torino si recherà Milano per un incontro pomeridiano con rappresentanti di altre religioni e laici per sottolineare l’importanza cruciale del dialogo e cooperazione interconfessionale.

Libia, speranze dalla Conferenza di Berlino

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FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

L’obiettivo della Conferenza di pace sulla Libia in programma domenica a Berlino è quello di far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori della crisi libica, grandi potenze, potenze regionali e alleati che da quasi dieci mesi si combattono nel Paese nordafricano

Sarà il primo passo importante per avviare un processo politico che dovrà pacificare e stabilizzare la Libia. Mentre sul terreno il cessate il fuoco sembra tenere si continua a negoziare tra speranze di una tregua permanente e timori di una ripresa delle ostilità su larga scala.

 

L’ostacolo principale è costituito dall’atteggiamento del generale Khalifa Haftar che non ha firmato l’accordo di Mosca e se ne è andato sbattendo la porta. Il documento siglato nella capitale russa, secondo l’uomo forte di Bengasi la cui offensiva militare è possibile grazie all’appoggio russo, avrebbe ignorato alcune delle sue richieste tra cui quella di far entrare le sue truppe a Tripoli, di formare un governo di unità nazionale e di far ritirare le forze turche insieme alle milizie alleate giunte dalla Siria.

 

L’intesa di Mosca, poi saltata per il dietrofront di Haftar, prevedeva la sospensione dell’intervento turco nel Paese, l’invio di militari russi per la supervisione del cessate il fuoco, il rientro dei soldati nelle caserme e il disarmo delle milizie. Una forza di peacekeeping non armata dell’Onu prenderebbe posizione tra le truppe avversarie. Nonostante la fragile tregua la situazione sul terreno resta piuttosto complicata. La Libia ha due governi rivali dal 2014 e la guerra tra le forze delle due fazioni ha distrutto l’economia del Paese nordafricano alimentando il flusso dei migranti, bloccando le forniture di petrolio e favorendo i gruppi jihadisti. La Turchia appoggia Sarraj a Tripoli, sede del governo riconosciuto dall’Onu, mentre la Russia è con il generale Haftar aiutato da centinaia di mercenari russi agli ordini di Putin. Ma gli altri alleati di Haftar non sono favorevoli alla tregua. Vorrebbero infatti che il leader della Cirenaica conquistasse Tripoli per spazzare via il regime di Sarraj sostenuto dalla Fratellanza musulmana appoggiata da Turchia e Qatar. Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita consideranno terroristi i Fratelli musulmani e temono che in Libia si insedi un regime islamista filo-turco.

 

Ma al di là del processo politico in corso la Libia si sta avviando verso la divisione del territorio. La parola d’ordine che risuona con forza nel Maghreb è infatti spartizione del territorio libico in zone di influenza. Una Libia metà russa e metà turca, la Cirenaica alla Russia e la Tripolitania alla Turchia. É ciò che Erdogan e Putin vogliono per il futuro del Paese nordafricano ma prima di raggiungere l’obiettivo devono costringere Khalifa Haftar, alleato dei russi, e Fayez al Sarraj, fedelissimo dei turchi a far tacere le armi e a stabilizzare il territorio. Il negoziato di Mosca è il primo passo per arrivare a una pax russo-turca da gestire sul campo attraverso i rispettivi alleati locali che però sono nemici tra loro. I russi ci sono già da tempo in Libia attraverso gruppi di mercenari schierati con il generale Haftar mentre i primi soldati turchi sono appena sbarcati a Tripoli insieme a miliziani siriani armati da Ankara che aiuteranno le tribù vicine al primo ministro al Sarraj.

 

In Libia rispunta così il disegno geopolitico già creato nel nord della Siria da russi e turchi. Per entrambe le potenze si tratta di un ritorno dal sapore storico e nostalgico. I russi erano presenti ai tempi di Gheddafi, fin dagli anni Settanta, con basi militari, armi e consiglieri e con la caduta del colonnello libico furono costretti a lasciare il Paese nel quale sono pronti a tornare oggi per riottenere quei contratti militari ed energetici perduti con il crollo del regime di Gheddafi. I russi conoscono bene la Libia. I primi rapporti commerciali e di forniture di armamenti risalgono alla metà degli anni Settanta con Gheddafi che faceva incetta di armi russe. L’Unione Sovietica è stato il principale fornitore del colonnello libico inviando nei porti di Tripoli e Bengasi navi cariche di carri armati, mezzi blindati, cannoni, aerei ed elicotteri da assalto. Un legame privilegiato continuato fino alla caduta del Muro di Berlino. Con Eltsin al Cremlino i rapporti si sono raffreddati e sono ripresi in grande stile nel 2008 quando Putin si è recato in Libia per firmare una serie di accordi, dalla realizzazione di una ferrovia tra Bengasi e Sirte a una collaborazione sempre più stretta tra il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera nazionale libica, all’apertura di basi militari e all’aumento della vendita di materiale bellico.

 

Tra i piani dello zar russo c’è anche quello di ottenere uno sbocco sul mare in Cirenaica con l’appoggio di Haftar dopo aver mantenuto il porto di Tartus in Siria durante la guerra civile. La Russia è pienamente rientrata nel grande gioco libico da primo attore e insegue interessi economici e strategici da spartirsi con Erdogan. Dal canto suo, il sultano turco sfoglia pagine di storia ottomana: “siamo tornati nei luoghi dove i nostri antenati hanno scritto la storia” ricordando che “Ataturk è rimasto ferito in Libia e che prima della guerra italo-turca del 1911 questi territori ci appartenevano. La difesa dei nostri interessi comincia ben oltre le nostre frontiere. La Turchia continuerà a difendere i suoi interessi in Iraq, in Siria e nel Mediterraneo”. A differenza che in Siria, Ankara non ha bisogno di occupare la Libia ma garantirsi un governo amico e alleato a Tripoli per tutelare i propri interessi direttamente dal Bosforo come avveniva al tempo dell’Impero dei sultani quando nella Tripolitania ottomana regnavano dinastie locali con al vertice un bey (governatore di provincia) che, nominato da Costantinopoli, governava la sua provincia con ampia autonomia politica. Il piano di Erdogan è quello di far tornare la Turchia in Libia per rifondare un Califfato economico e politico e mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sui contratti per ricostruire il Paese. L’eventuale accordo finale consentirebbe da un lato di soddisfare gli interessi economici e geopolitici di turchi e russi in Libia e dall’altro di dividersi un Paese ricchissimo di idrocarburi. Con questa posta in palio l’asse tra Mosca e Ankara non dovrebbe correre seri pericoli. L’incidente di cinque anni fa quando un jet russo fu abbattuto da un missile turco in Siria sembra un ricordo molto lontano. I rapporti tra le due potenze vanno a gonfie vele anche in altri settori. Mosca ha venduto alla Turchia i sistemi antimissili S-400 e sta costruendo la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu.

 

L’inaugurazione, pochi giorni fa a Istanbul, del Turkstream, il gasdotto che trasporta il metano russo in Europa attraversando il territorio turco rafforza ancora di più i già saldi legami tra Russia e Turchia e non frena le rivendicazioni di Ankara verso i giacimenti di gas nel mare attorno a Cipro dopo la contestata intesa marittima ed energetica stipulata a novembre con Sarraj. Reggerebbe un’eventuale pax russo-turca? I giannizzeri di Erdogan cavalcheranno insieme ai cosacchi dello zar nei deserti libici? Se guardiamo al passato, tra russi e turchi non regnò mai la pace e le guerre tra le armate ottomane e quelle zariste sono state innumerevoli. Va ricordato che la strana alleanza, storicamente quasi paradossale, tra la Turchia e la Russia in Siria e magari domani anche in Libia ha del miracoloso. Mai nella storia le due nazioni sono state così vicine e legate da un Patto. Antichi e potenti imperi, ottomano e zarista, rialzano la testa e tornano a giocarsi la partita da soli. Mosca e Istanbul risvegliano sogni imperiali, i negoziati che contano si fanno nelle due città e soprattutto a Istanbul, capitale di fatto come un tempo Costantinopoli, dove Erdogan riceve i potenti della terra. Il cessate il fuoco è fondamentale: se Sarraj dovesse essere sconfitto, per Erdogan sarebbe la fine delle sue ambizioni in terra libica. E se l’asse russo-turco si spezza i giannizzeri del sultano torneranno presto a scontrarsi con i soldati dello Zar.

dal settimanale “La Voce e il Tempo” 

Piemontesi in Australia: “Situazione catastrofica”

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Riceviamo e pubblichiamo

Il messaggio accorato del presidente de La Famiglia Piemontese di Sydney Giorgio Moiso. La situazione è analoga anche nelle altre parti dell’Australia

<< La situazione è catastrofica! Tante persone han dovuto fuggire dalle loro comunità in fiamme con solo gli indumenti che avevano addosso. Tante persone han perso vita, proprietà, case, cascine, bestiame. Incendi enormi ed incontenibili in numerose località. Temperature che han raggiunto 48.9 gradi nei sobborghi di Sydney. Cielo grigio ed arancione, tutto l’ambiente ricoperto da cenere portato nei dintorni dal vento, dappertutto odore di bruciato, si fa fatica a respirare. Non piove da più di un anno, gran siccità in tutto il continente, abbiamo bisogno di pioggia, tanta, ma tanta pioggia, ma le previsioni ci danno poca speranza. Oggi ha piovuto leggermente per quasi venti minuti a Sydney e dintorni e le temperature si sono abbassate ai 25 gradi, però ha fatto poco per alleviare la pessima situazione in cui ci troviamo>>.

Irruzioni nelle case di Testimoni da parte di agenti russi

Dal Mondo (Dal sito Jw.org)

Negli scorsi 18 mesi, in Russia, agenti della polizia locale e del Servizio Federale di Sicurezza (FSB) hanno fatto in totale 613 irruzioni nelle case di nostri fratelli e sorelle. Dal gennaio 2019 le autorità hanno fatto irruzione in 332 case superando così il dato del 2018, in cui i raid erano stati 281.

Negli ultimi mesi le azioni da parte delle autorità nei confronti dei nostri fratelli si sono intensificate. A giugno sono state fatte 71 irruzioni e a luglio 68, un aumento significativo in paragone alla media di 23,4 irruzioni al mese effettuate nel 2018.

Autorità russe mentre irrompono in una casa a Nižnij Novgorod

Generalmente durante i raid agenti delle forze di sicurezza a volto coperto e armati fino ai denti irrompono in una casa o in un appartamento. A volte, dopo essere entrati, gli agenti hanno puntato le armi in faccia ai Testimoni, tra cui bambini e persone anziane, come se fossero criminali incalliti e pericolosi. Non sorprende quindi che diversi esperti siano d’accordo con il dottor Derek Davis, ex direttore del J.M. Dawson Institute of Church-State Studies presso la Baylor University, che ha affermato: “L’aggressiva persecuzione da parte della Russia di un gruppo pacifico come i Testimoni di Geova è palesemente ‘estremista’”.

Purtroppo, oltre al numero di irruzioni, sono aumentati anche i procedimenti penali a carico dei nostri fratelli. Attualmente sono 244 i fratelli e le sorelle oggetto di accuse penali in Russia e in Crimea. Questo numero è più che raddoppiato dal dicembre 2018, quando i procedimenti penali a carico di Testimoni erano 110. Dei 244 fratelli e sorelle sotto processo, 39 sono detenuti, 27 si trovano agli arresti domiciliari e a più di 100 sono state imposte varie restrizioni.

Sebbene i nostri fratelli e le nostre sorelle continuino a essere presi di mira dalle autorità russe, non siamo “[scossi] da queste tribolazioni”. Al contrario, ci incoraggia sapere che i nostri fratelli stanno continuando a perseverare e a rimanere leali. Lodiamo e ringraziamo Geova che ha ascoltato le tante preghiere rivolte a loro favore e siamo certi che continuerà a farlo (1 Tessalonicesi 3:3, 7).