Libia, speranze dalla Conferenza di Berlino

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FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

L’obiettivo della Conferenza di pace sulla Libia in programma domenica a Berlino è quello di far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori della crisi libica, grandi potenze, potenze regionali e alleati che da quasi dieci mesi si combattono nel Paese nordafricano

Sarà il primo passo importante per avviare un processo politico che dovrà pacificare e stabilizzare la Libia. Mentre sul terreno il cessate il fuoco sembra tenere si continua a negoziare tra speranze di una tregua permanente e timori di una ripresa delle ostilità su larga scala.

 

L’ostacolo principale è costituito dall’atteggiamento del generale Khalifa Haftar che non ha firmato l’accordo di Mosca e se ne è andato sbattendo la porta. Il documento siglato nella capitale russa, secondo l’uomo forte di Bengasi la cui offensiva militare è possibile grazie all’appoggio russo, avrebbe ignorato alcune delle sue richieste tra cui quella di far entrare le sue truppe a Tripoli, di formare un governo di unità nazionale e di far ritirare le forze turche insieme alle milizie alleate giunte dalla Siria.

 

L’intesa di Mosca, poi saltata per il dietrofront di Haftar, prevedeva la sospensione dell’intervento turco nel Paese, l’invio di militari russi per la supervisione del cessate il fuoco, il rientro dei soldati nelle caserme e il disarmo delle milizie. Una forza di peacekeeping non armata dell’Onu prenderebbe posizione tra le truppe avversarie. Nonostante la fragile tregua la situazione sul terreno resta piuttosto complicata. La Libia ha due governi rivali dal 2014 e la guerra tra le forze delle due fazioni ha distrutto l’economia del Paese nordafricano alimentando il flusso dei migranti, bloccando le forniture di petrolio e favorendo i gruppi jihadisti. La Turchia appoggia Sarraj a Tripoli, sede del governo riconosciuto dall’Onu, mentre la Russia è con il generale Haftar aiutato da centinaia di mercenari russi agli ordini di Putin. Ma gli altri alleati di Haftar non sono favorevoli alla tregua. Vorrebbero infatti che il leader della Cirenaica conquistasse Tripoli per spazzare via il regime di Sarraj sostenuto dalla Fratellanza musulmana appoggiata da Turchia e Qatar. Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita consideranno terroristi i Fratelli musulmani e temono che in Libia si insedi un regime islamista filo-turco.

 

Ma al di là del processo politico in corso la Libia si sta avviando verso la divisione del territorio. La parola d’ordine che risuona con forza nel Maghreb è infatti spartizione del territorio libico in zone di influenza. Una Libia metà russa e metà turca, la Cirenaica alla Russia e la Tripolitania alla Turchia. É ciò che Erdogan e Putin vogliono per il futuro del Paese nordafricano ma prima di raggiungere l’obiettivo devono costringere Khalifa Haftar, alleato dei russi, e Fayez al Sarraj, fedelissimo dei turchi a far tacere le armi e a stabilizzare il territorio. Il negoziato di Mosca è il primo passo per arrivare a una pax russo-turca da gestire sul campo attraverso i rispettivi alleati locali che però sono nemici tra loro. I russi ci sono già da tempo in Libia attraverso gruppi di mercenari schierati con il generale Haftar mentre i primi soldati turchi sono appena sbarcati a Tripoli insieme a miliziani siriani armati da Ankara che aiuteranno le tribù vicine al primo ministro al Sarraj.

 

In Libia rispunta così il disegno geopolitico già creato nel nord della Siria da russi e turchi. Per entrambe le potenze si tratta di un ritorno dal sapore storico e nostalgico. I russi erano presenti ai tempi di Gheddafi, fin dagli anni Settanta, con basi militari, armi e consiglieri e con la caduta del colonnello libico furono costretti a lasciare il Paese nel quale sono pronti a tornare oggi per riottenere quei contratti militari ed energetici perduti con il crollo del regime di Gheddafi. I russi conoscono bene la Libia. I primi rapporti commerciali e di forniture di armamenti risalgono alla metà degli anni Settanta con Gheddafi che faceva incetta di armi russe. L’Unione Sovietica è stato il principale fornitore del colonnello libico inviando nei porti di Tripoli e Bengasi navi cariche di carri armati, mezzi blindati, cannoni, aerei ed elicotteri da assalto. Un legame privilegiato continuato fino alla caduta del Muro di Berlino. Con Eltsin al Cremlino i rapporti si sono raffreddati e sono ripresi in grande stile nel 2008 quando Putin si è recato in Libia per firmare una serie di accordi, dalla realizzazione di una ferrovia tra Bengasi e Sirte a una collaborazione sempre più stretta tra il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera nazionale libica, all’apertura di basi militari e all’aumento della vendita di materiale bellico.

 

Tra i piani dello zar russo c’è anche quello di ottenere uno sbocco sul mare in Cirenaica con l’appoggio di Haftar dopo aver mantenuto il porto di Tartus in Siria durante la guerra civile. La Russia è pienamente rientrata nel grande gioco libico da primo attore e insegue interessi economici e strategici da spartirsi con Erdogan. Dal canto suo, il sultano turco sfoglia pagine di storia ottomana: “siamo tornati nei luoghi dove i nostri antenati hanno scritto la storia” ricordando che “Ataturk è rimasto ferito in Libia e che prima della guerra italo-turca del 1911 questi territori ci appartenevano. La difesa dei nostri interessi comincia ben oltre le nostre frontiere. La Turchia continuerà a difendere i suoi interessi in Iraq, in Siria e nel Mediterraneo”. A differenza che in Siria, Ankara non ha bisogno di occupare la Libia ma garantirsi un governo amico e alleato a Tripoli per tutelare i propri interessi direttamente dal Bosforo come avveniva al tempo dell’Impero dei sultani quando nella Tripolitania ottomana regnavano dinastie locali con al vertice un bey (governatore di provincia) che, nominato da Costantinopoli, governava la sua provincia con ampia autonomia politica. Il piano di Erdogan è quello di far tornare la Turchia in Libia per rifondare un Califfato economico e politico e mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sui contratti per ricostruire il Paese. L’eventuale accordo finale consentirebbe da un lato di soddisfare gli interessi economici e geopolitici di turchi e russi in Libia e dall’altro di dividersi un Paese ricchissimo di idrocarburi. Con questa posta in palio l’asse tra Mosca e Ankara non dovrebbe correre seri pericoli. L’incidente di cinque anni fa quando un jet russo fu abbattuto da un missile turco in Siria sembra un ricordo molto lontano. I rapporti tra le due potenze vanno a gonfie vele anche in altri settori. Mosca ha venduto alla Turchia i sistemi antimissili S-400 e sta costruendo la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu.

 

L’inaugurazione, pochi giorni fa a Istanbul, del Turkstream, il gasdotto che trasporta il metano russo in Europa attraversando il territorio turco rafforza ancora di più i già saldi legami tra Russia e Turchia e non frena le rivendicazioni di Ankara verso i giacimenti di gas nel mare attorno a Cipro dopo la contestata intesa marittima ed energetica stipulata a novembre con Sarraj. Reggerebbe un’eventuale pax russo-turca? I giannizzeri di Erdogan cavalcheranno insieme ai cosacchi dello zar nei deserti libici? Se guardiamo al passato, tra russi e turchi non regnò mai la pace e le guerre tra le armate ottomane e quelle zariste sono state innumerevoli. Va ricordato che la strana alleanza, storicamente quasi paradossale, tra la Turchia e la Russia in Siria e magari domani anche in Libia ha del miracoloso. Mai nella storia le due nazioni sono state così vicine e legate da un Patto. Antichi e potenti imperi, ottomano e zarista, rialzano la testa e tornano a giocarsi la partita da soli. Mosca e Istanbul risvegliano sogni imperiali, i negoziati che contano si fanno nelle due città e soprattutto a Istanbul, capitale di fatto come un tempo Costantinopoli, dove Erdogan riceve i potenti della terra. Il cessate il fuoco è fondamentale: se Sarraj dovesse essere sconfitto, per Erdogan sarebbe la fine delle sue ambizioni in terra libica. E se l’asse russo-turco si spezza i giannizzeri del sultano torneranno presto a scontrarsi con i soldati dello Zar.

dal settimanale “La Voce e il Tempo” 

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