Sulla piattaforma sono disponibili 30 corsi di formazione on line, suddivisi e organizzati per ordine di scuola e che riguardano diverse discipline di insegnamento. Alcuni dei software possono essere utilizzati sia come supporto all’ attività didattica sia per migliorare l’apprendimento degli alunni
In occasione del Linux Day 2013, tredicesima edizione della principale manifestazione di promozione di GNU/Linux che si è sviluppata in 107 appuntamenti in tutta Italia per far conoscere le opportunità del freesoftware, al Politecnico di Torino si è parlato della legge regionale sul software libero che ha portato alla piattaforma Teachmood.it e alla realizzazione di corsi per i docenti sui diversi programmi utilizzabili nella didattica.
Teachmood è un’iniziativa formativa che il Laboratorio ICT della Regione Piemonte, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, propone a tutti gli insegnanti delle scuole piemontesi, per promuovere l’adozione di approcci didattici innovativi e l’alfabetizzazione informatica del mondo della scuola attraverso strumenti open source.
Il progetto nasce dall’applicazione della legge sul pluralismo informatico del 2009 e si inserisce nelle azioni che la Regione sta portando avanti per la costruzione dell’Agenda digitale piemontese. Sulla piattaforma sono disponibili 30 corsi di formazione on line, suddivisi e organizzati per ordine di scuola e che riguardano diverse discipline di insegnamento. Alcuni dei software proposti possono essere utilizzati dai docenti sia come supporto alla propria attività didattica sia per migliorare e incentivare l’apprendimento degli alunni. La piattaforma, in accordo con la logica della comunità del software libero, non è disponibile soltanto per gli insegnanti, ma è aperta a tutti coloro che hanno voglia di sperimentare le possibilità offerte dall’e-learning. La partecipazione ai corsi, libera e gratuita per tutti gli interessati, richiede la registrazione al sito www.teachmood.it. L’attività è supportata da un tutor on-line. Inoltre, è previsto un attestato di partecipazione che documenta la fruizione dei corsi seguiti.
(Ufficio stampa Giunta regionale del Piemonte)


Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.