CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 641

Al via il terzo anno della rassegna “Vitamine Jazz”

Giovedi’ 10 ottobre 
La chiamata di Raimondo Cesa – regista teatrale ed esperto in arti performative – rivolta nell’estate 2017 alla Comunità degli Artisti Jazz di Torino di esibirsi all’Ospedale S. Anna si è tradotta in una straordinaria gara di solidarietà.


Raggiunti in due anni 130 appuntamenti delle “Vitamine Jazz”, hanno partecipato piu’ di 230 musicisti di valenza mondiale, fra cui anche nomi storici del jazz torinese come: Paolo Dutto, Emanuele Cisi, Diego Borotti, Alfredo Ponissi, Enzo Zirilli, Barbara Raimondi, Ugo Viola, Pino Russo, Fabio Gorlier, Fulvio Chiara, Valerio Signetto, Emanuele Francesconi, Fabio Giachino, Max Gallo, Sergio Di Gennaro, Riccardo Ruggieri, Alberto Varaldo, Enrico Ciampini.
Dal Brasile: Roberto e Eduardo Taufic, Gilson Silveira.
Ci piace ricordare Mario Tavella, grande musicista e grande amico che ha partecipato assiduamente fin dall’inizio alla rassegna e che tristemente ci ha lasciati da poco.
“La musica è conversazione, comunicazione in armonia. Il jazz in particolare è condivisione continua. Dall’interazione fra musicista e spettatore nascono le successive improvvisazioni”, afferma con orgoglio Raimondo Cesa che cura la rassegna e presidia ogni incontro nel quale è frequente vedere le pazienti unirsi nel canto, leggere lo stupore sul volto dei bambini. “E’ arrivato al S. Anna, a favore delle donne, il grande patrimonio della tradizione jazzistica del territorio, di umanità, che proviene dal dialogo di molte culture che creano l’inedito. Composizioni originali e improvvisazioni, nelle quali le sonorità jazzistiche si alternano ad atmosfere mediterranee e sudamericane, portano le menti verso altri immaginari, fuori dalle mura ospedaliere. Assistiamo ad una invasione pacifica di artisti che con il loro contributo confermano l’importanza di questa musica nella storia culturale della nostra città”.

La rassegna fa parte del più ampio e longevo programma di musica dal vivo mai realizzato a livello internazionale in un ospedale: le “Vitamine musicali”, varato all’ospedale S. Anna dalla Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus in collaborazione con l’AVO-Associazione Volontari Ospedalieri.
“L’Arte, come dimostrano le Vitamine musicali e innumerevoli evidenze cliniche, è un alleato al percorso di cura” afferma la Prof.ssa Chiara Benedetto, Presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna e Direttore della Struttura Complessa Universitaria Ginecologia e Ostetricia 1, Presidio Ospedaliero Universitario S. Anna.
L’ospedale si rivela una “grande scuola di empatia” e gli appuntamenti, presentati in un programma reso pubblico ogni mese sul sito della fondazione e nei reparti, sono attesi da pubblico, personale e dagli stessi musicisti, come momenti di arricchimento per tutti.
“Le note rimangono nell’aria, cambiano i paesaggi mentali e relazionali”, “la paziente con patologie oncologiche ritrova il suo essere persona, si risvegliano risorse interne”, “la musica dà significato a ciò che pare non averne, dà espressione all’inesprimibile” come emerge dai focus group di valutazione dell’impatto condotti dall’Università IULM con il Personale impegnato nel compito di “prendersi cura dell’altro”.
Il primo concerto della terza stagione, aperto al pubblico, si terrà alle 10.00 di giovedi 10 ottobre nella sala “terzo Paradiso” della Clinica Universitaria in via Ventimiglia 3.
Parteciperanno: Emanuele Sartoris, uno dei migliori giovani pianisti del panorama jazzistico italiano, e Camillo Nespolo giovane promettente sassofonista torinese.

Emanuele Sartoris
Nel 2017 riceve l’incarico da parte del conservatorio di Torino per l’insegnamento in qualità di tutor di Pianoforte complementare Jazz affiancando il docente Nico Morelli . Si laurea con il massimo dei voti in composizione ed orchestrazione jazz il 27/10/2017 presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.
Significativa per il 2017 la partecipazione come ospite musicale a sei puntate della trasmissione “ Nessun Dorma” condotta da Massimo Bernardini e mandata in onda in prima serata su Rai 5. Tra le collaborazioni in trasmissione si sottolineano quella con l’attore Eugenio Allegri durante il suo monologo sul celebre romanzo di Alessandro Baricco “Novecento” e l’arrangiamento ed esecuzione del brano “Speakering” di Ivano Fossati innanzi all’autore stesso.
E’ stato ospite a New York agli inizi di ottobre del 2017 per la vincita di una borsa di studio venendo selezionato dalla Jullliard tra i migliori studenti del conservatorio per frequentare presso di loro una settimana di lezioni. Reduce da una tournèe a Madrid terminata il 5 novembre alla celebre sala Clamores, Il 16 novembre esce ufficialmente per la prestigiosa etichetta Dodicilune il suo disco in duo con il contrabbassista Marco Bellafiore “I suoni del male” che vanta le note di copertina del conduttore TV Massimo Bernardini ed è distribuito da IRD presso Feltrinelli e le migliori catene di vendita italiane.
Nel 2018 la collaborazione con la trasmissione “Nessun Dorma” viene sottoposto a contratto con la Rai trasformando la sua partecipazione da saltuaria ad essere ospite musicale fisso, collaborando direttamente con ospiti del calibro di Enrico Rava e Tullio De Piscopo.

“Non c’è più alcun asso da giocare”

Ho giocato tutte le mie carte

Ed è quello che hai fatto anche tu

Non c’è più niente da dire

Non c’è più alcun asso da giocare”

,

Amo questo brano, ma tanto. Questo è il momento di pubblicare un articolo su questo pezzone che segna gli anni ’80.

Questo è il momento perchè stamane, mentre andavo in paradiso, mi è arrivata in faccia come uno schiaffo a dieci dita. E, si sa, le canzoni ti cercano.

Il titolo, tradotto letteralmente come “il vincitore prende tutto”, corrisponde all’espressione, diffusa nella terminologia sportiva, usata per dire che “c’è un solo vincitore”.

Con il ritorno al genere europop, mescolato con qualche elemento tipico delle power ballad, l’autore del testo, Björn Ulvaeus, intendeva forse riflettere sul divorzio recente tra lui e Agnetha, per quanto l’abbia più volte negato, sottolineando che il suo travaglio non ha fatto né vinti né vincitori.

Il brano è talora utilizzato per celebrare qualche evento sportivo.

(Amore e Sport uno fianco all’altro tradotti in musica, che buffa la vita, n.d.r.)

A distanza di anni, The Winner Takes It All è una delle poche canzoni degli anni ottanta firmata ABBA a rimanere nella memoria del pubblico. Il suo lato B, Elaine, è considerato tra i migliori lati B mai incisi in un singolo della band.

Nel corso di un sondaggio dell’emittente televisiva britannica Channel Five, nel 1999, fu decretata la più bella canzone degli ABBA. La stessa emittente nel 2006 ha rivelato un sondaggio in cui The Winner Takes It All veniva intitolata migliore canzone dedicata ad una rottura amorosa, superando la concorrenza dei Queen, Céline Dion, George Michael e i R.E.M..

Ero tra le tue braccia

Pensando di appartenerti

Credevo avesse un senso

Costruirmi un recinto

Costruirmi una casa

Pensando di essere al sicuro

Ma sono stata una pazza

A giocare rispettando le regole”

Mi piace la musica perchè ti viene a cercare, ti ricorda chi sei, sempre e chi non vorresti essere.

In questo periodo in cui sono un fallimento totale mi ricorda che l’apporto di una sconfitta è solo una visione più precisa di noi stessi.

Ci vuole solo coraggio, o forse buon senso, per capire che le lezioni migliori sono di solito le più dure; e che spesso fra queste ultime c’è la sconfitta.

Ascoltatelo, vi piacerà. Ve lo dice una donna con buonsenso.

 

Chiara De Carlo

ABBA – The Winner Takes It All (1980) HD 0815007

Il mistero di San Domenico: la bandiera di Lepanto è vera o finta?

ACCADDE OGGI

Anche Torino ricorda la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. La menziona nelle vie e nelle piazze, da corso Lepanto a via San Pio V, da via Andrea Provana di Leynì a piazza Emanuele Filiberto.

E anche nelle bandiere, in un drappo molto speciale, conservato nella chiesa di San Domenico, vicino al Municipio. Con un piccolo giallo, mai risolto del tutto. Il vessillo conservato nella chiesa di via Milano, dedicato alla Madonna che mostra la Sindone, fu portato sulle galee sabaude nel memorabile scontro navale in cui i cristiani sconfissero l’invincibile flotta ottomana? È davvero una delle bandiere di Lepanto quella custodita nel sacro tempio nel centro di Torino? I torinesi ci credono e non hanno dubbi: la tradizione vuole che il tessuto decorato che si trova in San Domenico sia uno degli stendardi devozionali che sventolavano sulle tre galee piemontesi in quella mitica giornata del 7 ottobre.

Gli storici però si dividono tra coloro che lo ritengono autentico e quelli che invece mostrano non poche perplessità come lo storico Andrea Merlotti secondo il quale il vessillo “di Lepanto” risalirebbe piuttosto alla guerra civile piemontese del Seicento e sarebbe stato portato in battaglia nel 1640 dal principe Tomaso di Savoia-Carignano. Per altri studiosi invece il dibattito resta aperto, convinti più che mai che sulle galere sabaude erano state issate bandiere molto simili a quella di San Domenico. Il 7 ottobre 1571 oltre 400 galee e quasi 200.000 uomini si scontrarono nella più grande battaglia navale della storia moderna: 204 galee cristiane con sei potenti galeazze veneziane contro 205 galee turche, oltre 100.000 cristiani contro 90.000 soldati della Mezzaluna. Fu una grande vittoria per i cristiani che godevano di una netta superiorità nel numero dei soldati, nell’armamento e nella potenza di fuoco. Fu anche una carneficina: circa 30.000 turchi uccisi contro almeno 7500 cristiani. In mare, calcolano gli storici, furono versati qualcosa come 200.000 litri di sangue. Agli ordini dell’ammiraglio Andrea Provana di Leynì, nel golfo di Corinto navigava, insieme alla flotta della Lega Santa, la piccola ma agguerrita squadra navale del duca Emanuele Filiberto che combattè a Lepanto insieme alle galere cristiane che si scontrarono furiosamente con la flotta del sultano di Costantinopoli. Era composta dalla “Capitana”, comandata dal Provana che fu ferito alla testa e si salvò grazie all’elmo, la “Margarita”, guidata da Giovanni Battaglino e la “Piemontesa” che fu assalita dai turchi, distrutta e l’equipaggio massacrato, compreso il comandante Ottaviano Moretto. Quando si videro, le due flotte suonarono trombe e tamburi e innalzarono le bandiere di battaglia. Prima del combattimento andava in scena una sfida a distanza facendo sventolare, da una parte, stendardi abbelliti con crocifissi e figure religiose nel nome della Cristianità e, dall’altra, bandiere bianche e verdi con il nome di Allah ricamato migliaia di volte. Che fine hanno fatto allora i vessilli savoiardi che poco prima dello scontro venivano ritirati e messi al sicuro?

Filippo Re

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

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Chip Cheek “Luna di miele a Cape May” – Feltrinelli- euro 19,50

E’ da tenere d’occhio lo scrittore americano 43enne Chip Cheek perché in questo suo primo romanzo dimostra una certa abilità nell’intrufolarsi nelle pieghe dell’anima dei personaggi, raccontandone dubbi, scatti d’umore e debolezze. Siamo nel 1957 e i giovani Henry ed Effie, inesperti della vita e delle trappole matrimoniali, decidono di passare la luna di miele a Cape May, nel New Jersey, nella casa di mare dove Effie era solita trascorrere le estati della sua infanzia. Arrivano dalla Georgia rurale e sono decisamente provinciali, ingenui, privi di esperienza. Ad aspettarli è una cittadina silenziosa e fuori stagione, la noia è dietro l’angolo. Poi una casa del quartiere si anima con la festa organizzata dall’affascinante e mondana newyorkese Clara che conosce Effie da quando era piccola. I novelli sposi si imbucano al party e, senza rendersene conto, entrano nel cerchio magico di Clara e del suo amante Max. Una conoscenza dapprima superficiale che nel giro di un giorno declina in convivenza. Clara insiste per ospitarli e intorno a loro monta un teatrino di scorribande nelle altre ville chiuse, gite in barca a vela, meeting sulla spiaggia ed altri stratagemmi per debellare tedio e una vita vuota. A smuovere le acque -e soprattutto i sentimenti di Henry- è la giovane artista Alma, sorella dell’irriducibile play boy Max, con il quale Clara tradisce allegramente l’anziano e facoltoso marito. Henry intreccia con Clara una relazione che si sciorina in infuocate notti di passione in una casa al momento disabitata. Decisamente un tradimento hot agli albori di un matrimonio che sembrava promettere bene.

Preparatevi a leggere scene hard, sensualità e scoperta di corpi, sensi di colpa e indecisioni varie, fino a una bollente orgia a 4 in cui trainanti saranno i disinibiti Clara e Max, mentre ad essere travolti saranno i due sposini. E di più non anticipo, solo che sarà l’epitaffio del loro candore e   innocenza, e ne accadranno davvero di tutti i colori…

 

Christi Daugherty “Replica di un omicidio” -Corbaccio-   euro 19,90

L’autrice 44enne ha fatto tesoro della sua esperienza come cronista di nera in un giornale del Texas, e in questo romanzo distilla tutta la sua bravura, che le è valsa vari riconoscimenti e premi per l’attività giornalistica votata alla lotta contro corruzione e criminalità. Sposata con un regista inglese, da anni vive in Gran Bretagna. Nel thriller, ambientato a Savannah in Georgia, il suo alter ego è la giovane giornalista Harper Mc Clain. Ha una tragedia alle spalle che ne ha segnato l’esistenza. Aveva appena 12 anni quando tornata da scuola scopre il cadavere della madre, nuda sul pavimento della cucina, uccisa da una furia di coltellate. A soccorrerla era stato il sergente Smith che non solo aveva condotto le indagini, ma l’aveva anche presa sotto la sua ala protettrice, ospitandola nella sua famiglia e seguendone la crescita. L’assassino della madre non è mai stato individuato ed è questo il buco nero nella sua anima. Ora Harper è la cronista di punta del quotidiano locale e grazie all’amicizia con Smith (diventato capo della sezione omicidi) ha familiarità con le forze dell’ordine e una marcia in più per non bucare mai una notizia ed arrivare prima dei colleghi. Dallo scanner sintonizzato sulle frequenze della polizia irrompe la segnalazione del delitto di una giovane donna, uccisa con le stesse modalità di sua madre, anche lei scoperta in una pozza di sangue dalla figlia 12enne. Insomma una fotocopia dell’assassinio di anni prima che le ha stravolto l’esistenza. Harper è tosta, coraggiosa fino all’incoscienza e si mette ad indagare convinta che dietro le due morti ci sia lo stesso killer. Questa volta la vittima è la bellissima 32enne Marie Whitney, vicedirettrice del dipartimento Arricchimento e Sviluppo del college locale. Donna affascinate e ammaliatrice, straordinaria fundraiser, ambiziosa e arrampicatrice. Harper scava nel suo passato e scopre parecchi scheletri nell’ armadio, a partire dai tanti amanti che ha raggirato in modo spietato. Tra battute d’arresto e proibizioni di indagare ulteriormente (urlate dalla sua caporedattrice e da Smith) lei persevera sulla sua strada convinta che dietro quelle orribili morti ci sia un poliziotto. Mette a repentaglio la sua carriera e quella di chi la ama ….e capite bene che la trama è destinata ad infittirsi fino al finale…sorprendente.

 

Leonardo Padura “La trasparenza del tempo”   -Bompiani- euro 20,00

Ecco la nuova indagine del detective Mario Conde, il personaggio creato da Leonardo Padura, scrittore cubano nato a Mantilla, difficile quartiere dell’Avana, in una Cuba che sta cambiando.

Aperta al consumismo occidentale, con apparenti riforme, dilagante corruzione, possibilità di viaggiare oltreconfine, ma di fatto un paese ancora in difficoltà. Il 60enne MarioConde non è più un poliziotto; disilluso da tempo, guarda con angoscia la sua corsa verso il fine vita. Condivide la sua solitudine con il fedele cane Monnezza, anche lui sul viale del tramonto. Per vivere commercia in libri preziosi e di antiquariato, è attratto da donne dalla bellezza statuaria (sul genere di Sonia Braga) ma è eternamente fidanzato con la compagna di liceo, Tamara, 57enne dalla sensualità prorompente e pazienza infinita. Il suo lento tran tran quotidiano viene stravolto dalla telefonata di Bobby Roque. E’ un vecchio compagno di scuola che non sentiva da anni; ora fa il mercante d’arte tra l’Avana e Miami, è dedito alla santerìa ed è appena stato derubato dal suo amante Bobby, che gli ha letteralmente svaligiato la villa. Soprattutto ha fatto sparire un’importante reliquia, cimelio di famiglia: la statuetta della Vergine nera di Regla. Chiede aiuto a Conde ed è così che ha inizio l’indagine sotto traccia in una Cuba in cui miseria e ubriacature di rum e portulaca sono alleviate dalla musica e dal fascino inquieto di un paese fatto di vicoli, luce tropicale e vite difficili. Conde va a ritroso nel tempo e ricostruisce le tappe che hanno fatto transitare la statuetta dall’Europa a Cuba. Riporta alla luce l’affascinante storia del contadino catalano Antoni Barral, fuggito dal suo paese e imbarcatosi su un mercantile diretto ai Caraibi. Tra miracoli veri o presunti, guarigioni altrimenti inspiegabili, santeria e un coro caleidoscopico di voci, godetevi l’indagine di Mario Conde sullo sfondo di una Cuba brulicante di vita e indimenticabile.

 

 

Mantova rende omaggio alla “nuova maniera” di Giulio Romano

La figura di Giulio Romano, pseudonimo di Giulio Pippi de’ Jannuzzi (Roma, 1492 o 1499 – Mantova, 1546), il più talentuoso tra gli allievi di Raffaello, è celebrata da un importante evento in programma a Palazzo Ducale di Mantova.

Dal 6 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, si tiene “Con nuova e stravagante maniera”. Giulio Romano a Mantova, una mostra nata dalla collaborazione tra il Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova e il Musée du Louvre di Parigi, curata da Peter Assmann, Laura Angelucci, Paolo Bertelli, Roberta Serra, con la collaborazione di Michela Zurla, che intende illustrare la figura di Giulio Romano e la sua “nuova maniera” di fare arte, in particolare nella città gonzaghesca, mettendone in luce le peculiarità e l’aspetto fortemente innovativo.

Intesa Sanpaolo, nell’ambito di Progetto Cultura, è partner della mostra.

Il progetto elaborato dal comitato scientifico – composto da Peter Assmann, Laura Angelucci, Paolo Bertelli, Renato Berzaghi, Paolo Carpeggiani, Sylvia Ferino-Pagden, Augusto Morari, Roberta Serra e Luisa Onesta Tamassia – vede il coinvolgimento del Département des Arts Graphiques del Musée du Louvre che, per la prima volta, concede in prestito un nucleo di settantadue disegni, che ripercorrono, in maniera organica e completa, la carriera professionale di Giulio Romano, dagli esordi a Roma, alla lunga e intensa attività a Mantova, evidenziando la molteplicità dei suoi interessi.

Accanto alle opere del Louvre la mostra propone un’ulteriore e ricca selezione di disegni, provenienti dalle più importanti collezioni museali italiane e straniere (tra cui l’Albertina di Vienna e il Victoria & Albert Museum di Londra, oltre a dipinti, arazzi e stampe.

Sono inoltre utilizzate le più recenti tecnologie digitali al fine di ricreare, attraverso ricostruzioni 3D, oggetti e ambienti giulieschi.

“L’iniziativa di Palazzo Ducale su Giulio Romano – afferma Peter Assmann, direttore del Complesso Museale Palazzo Ducale – vuole essere un grande evento culturale che mostri al mondo l’eccezionalità della figura storica del più celebre allievo ed erede di Raffaello. Maestro del Manierismo, Giulio Romano ha lasciato a Mantova testimonianze straordinarie del suo talento di pittore, architetto e uomo di cultura. “Con nuova e stravagante maniera”, con la prestigiosa collaborazione di una rinomata istituzione europea come il Louvre, rappresenta un’importante chance per la città: andare oltre la tradizionale concezione di mostra temporanea per riunire tutte le forze produttive locali intorno a Palazzo Ducale e rafforzare l’immagine di Mantova come città d’arte in Europa e nel mondo. Al di là della sua importanza culturale specifica si tratta di un’occasione per fare rete tutti insieme verso un unico grande obiettivo di crescita collettiva”.

“La mostra Con nuova e stravagante maniera. Giulio Romano a Mantova – sottolinea Jean-Luc Martinez, presidente e direttore del Musée du Louvre di Parigi -, che si svolge a Palazzo Ducale di Mantova, è il frutto di un partenariato eccezionale tra il Musée du Louvre e il Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova. L’evento espositivo permette di presentare negli ambienti di Palazzo Ducale una scelta di settantadue fogli di Giulio Romano (1492 o 1499 – 1546) scelti all’interno del ricco fondo di disegni di mano dell’artista conservato al Louvre, il più importante oggi noto”.

La mostra si articola in tre sezioni che approfondiscono aspetti diversi dell’attività di Giulio Romano mettendo in luce la “nuova e stravagante maniera” della sua arte, secondo la definizione coniata da Giorgio Vasari nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti.

La prima, Il segno di Giulio, allestita al piano terreno del Castello di San Giorgio, analizza la produzione grafica di Giulio come progettista, designer e pittore presentando il suo fondamentale apporto all’elaborazione del linguaggio manierista. Dagli interventi architettonici agli schizzi per dipinti e oggetti, ogni singolo segno è una novità assoluta da tradurre, copiare e imitare. La forza creatrice di Giulio viene esaminata attraverso una selezione del corpus dei disegni conservati al Musée du Louvre di Parigi.

Attraverso questi disegni si illustrano i momenti immediatamente precedenti l’arrivo nella città gonzaghesca di Giulio Romano per poi presentare la sua lunga attività mantovana, in particolare il suo lavoro come disegnatore e progettista. I suoi fogli raccontano l’evoluzione del suo operare e illustrano le esperienze relative ai diversi cantieri mantovani, del territorio e fuori lo Stato dei Gonzaga, come testimoniato dai disegni per Palazzo Te.

La prima sezione si chiude indagando il suo rapporto con le arti e il passaggio tra la fase di progetto e la sua realizzazione. I disegni qui esposti trattano dell’attività del Pippi come designer, inventore di argenterie e arazzi, avendo cura di affrontare la produzione di Giulio ad ampio spettro. In mostra si trova una decina di fogli in relazione con dipinti e oggetti come vasellame o trionfi da tavola. Viene inoltre presentato un arazzo della serie dei Giochi di putti(Modena, Raffaele Verolino), esposto accanto al disegno preparatorio (Chatsworth, The Devonshire Collections) e a un frammento del cartone preparatorio oggi al Louvre.

La sezione dal titolo Al modo di Giulio, occupa la Corte Nuova e l’Appartamento di Troia, suggerendo un dialogo diretto tra i disegni dell’artista e la decorazione della residenza dei Gonzaga. Il Palazzo Ducale fu il cantiere nel quale Giulio Romano riversa la sua genialità e la sua capacità d’innovare. Sala per sala, laddove è ancora possibile, s’instaura una relazione tra i suoi disegni e gli ambienti reali. È il caso, ad esempio, della Sala dei cavalli dov’è esposto il disegno preparatorio per la decorazione del soffitto con la Caduta di Icaro, confronto che è apprezzabile tramite uno specchio.

In mostra si possono inoltre ammirare i rilievi eseguiti da Ippolito Andreasi detto l’Andreasino che hanno tramandato l’aspetto originario delle stanze progettate da Giulio, particolarmente importanti per approfondire la comprensione delle parti non sopravvissute ai secoli. Così avviene per il Camerino dei Cesari e per la Loggia dei marmidetta poi dei Mesi, ambienti per i quali i disegni dell’Andreasi permettono un confronto diretto tra l’idea di Giulio Romano e quanto sopravvive negli ambienti stessi.

La rassegna si chiude nell’appartamento della Rustica con Alla maniera di Giulio, nella quale viene approfondito, da un lato, il tema di Giulio Romano architetto, analizzato grazie a numerosi disegni provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche europee, tra cui spicca la Copia da Giulio Romano di Andrea Palladio (Londra, Royal Institute of British Achitects), e, dall’altro, quello della sua eredità, con le opere di allievi e discepoli, come Fermo Ghisoni, Giovanni Battista Bertani, Lorenzo Costa e altri.

In questa sezione è stato creato un approfondimento sulle case del Pippi, in particolare su quella di Mantova e sulla produzione di opere religiose. Si possono qui osservare alcune pale d’altare eseguite da artisti della cerchia di Giulio Romano a confronto con i disegni originali del maestro.

 

 

Anni Settanta in bianco e nero

“Nell’era velocissima dei social è sempre più difficile immortalare momenti particolari della nostra vita – ha sottolineato il presidente del consiglio regionale Stefano Allasia – situazioni ed emozioni che invece ben traspaiono da queste belle immagini in bianco e nero scattate con tanta cura da Pietro Lombardi negli anni Settanta. Queste fotografie sono importanti anche perchè ci lasciano memoria di un territorio e di un modo di vivere che oggi è così cambiato, sono preziosa testimonianza della vita delle persone”.

“Anni ’70 tra memoria e nostalgia” è una mostra fotografica promossa dal Consiglio regionale del Piemonte che espone 100 immagini in bianco e nero realizzate dal fotografo chierese (di origini lucane) Pietro Lombardi.

L’esposizione – organizzata in collaborazione con la Federazione dei Circoli delle Associazioni Lucane del Piemonte, a cura di Roberto Mastroianni – si svolge nei locali di Off Topic (in via Pallavicino 35, zona Campus Einaudi) da giovedì 19 settembre a giovedì 31 ottobre.

Orario di apertura: da lunedì a sabato dalle 10 alle 19. Ingresso gratuito.

Dai bambini che giocavano nei cortili (a Torino come a Trieste o a Potenza), ai lavoratori dei campi del sud e delle fabbriche del nord, i primi incontri dei giovani del Gruppo Abele (con immagini di don Ciotti, Ernesto Olivero, il cardinale Pellegrino), fino alle passeggiate sulla spiaggia di Rimini e agli sguardi intensi degli anziani al sole sulle sedie davanti a casa. Ricordi di un’Italia del passato letti dagli occhi di un fotografo che l’ha attraversato da sud a nord. In sala durante l’inaugurazione era presente anche il bambino ritratto nella immagine di copertina, a cui il fotografo ha donato le stampe orginali in grande formato.

All’inaugurazione sono intervenuti: Stefano Allasia presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Luca Spadon presidente Torino Youth Centre, Rocco Sabia presidente della Federazione dei Circoli e Associazioni Lucane del Piemonte, Roberto Mastroianni curatore della mostra, Pietro Lombardi fotografo autore delle immagini in mostra. Moderatore Francesco Candido.

Portici di-versi a Portici di carta

 Il 5/6 OTTOBRE Libreria Belgravia propone il tema della poesia come nuovo settore
In via Roma angolo via Santa Teresa con un banco di sola poesia, ma
soprattutto con reading continuativi dalle 10 di mattina in avanti, sia sabato che
domenica


“La scena poetica torinese, da anni dimostra una notevole vitalità, che pensiamo possa essere
valorizzata all’interno delle iniziative di libreria e ci auguriamo anche nelle iniziative più istituzionali dedicate
al libro.
Per questo come libreria Belgravia abbiamo cercato di mettere in rete le realtà associative e
organizzative che a questa scena danno qualitatività e continuità e assieme a loro abbiamo costruito un
calendario di letture ad alta voce fatte dagli scrittori stessi e abbinate alla possibilità di portarsi a casa
immediatamente il libro autografato dall’ autore che si è appena ascoltato”.
Questo il calendario:
Reading con i poeti, di sabato 5 ottobre:
ORE 10-11,30 Gianluca Polastri con Boston 40 edizioni
ORE 11,30-12,30 Danilo Tacchino con Associazione Arte Città Amica
ORE 15-17 Ernesto Vidotto e Cristina Codazza con Centro Studi Cultura e Società
ORE 17-18 Max Ponte e Andrea Laiolo con Poeticilibri Rassegna poetica
ORE 18-19,30 Enrico Cavallito e Patrizia Lidia Grandis con Impremix edizioni
ORE 20,30 in avanti Portici di-versi Poetry Slam a cura di Bruno Rullo con Slam Italia: iscrizioni anche sul
posto
Reading con i poeti, di domenica 6 ottobre:
ORE 10-11 Donatella Garitta con Associazione Carta e Penna
ORE 11-12,30 Marvi del Pozzo con Tempo di parole, Gruppo di lettura poetica del Circolo dei lettori
ORE 15-16 PROFUGHI tra poesia e testimonianza con Francesco Gennaccaro e Djallo Souleymane
ORE 16-17 Davide Arminio e Maria Erovereti con ATB Edizioni
ORE 17-18,30 Enrico Lazzarin con Associazione Culturale Due Fiumi
Assieme a loro, poeti delle varie associazioni e realtà partecipanti: Enrica Merlo, Renata Bolognesi,
Angela Donna, Egle Bolognesi, Patrizia Camedda, Marcella Saggese, Andrea Figari, Annalisa Valente, Angela
Suppo, Silvia Marzano, Grazia Valente, Immacolata Schiena, Fanny Ghirelli, Elena Bonassi, Eleonora Averna,
Simone Carniccio, Isa Crivellari, Armeno Nardini, Silvia Vitrò, Luca Martinengo, Mara Monella, Mario Dino,
Luciana Navone, Cristina Tessore, Donato De Palma, Franco Canavesio, Filomena Iovinella, Franco Nervo,
Ivana Dello Preite, Elisa Cipriani, Lilita Conrieri, Enrico Danna, Nadia Sponzilli. Elenco aperto ad ulteriori
aggiunte che dovessero pervenire.

Alla Gam un libro su Davico

La GAM di Torino presenta in Sala Uno al piano terra il volume edito da Allemandi dedicato a Mario Davico (1920-2010), pittore apprezzato nel panorama artistico italiano e internazionale dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Sessanta (espose nelle mostre dell’Art Club, alle Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, in Francia e altri paesi europei, in America, Giappone, Australia). La scelta di ritirarsi, pur continuando a sviluppare la sua ricerca in dialogo con alcune forme della pittura “riflessiva” contemporanea, ha fatto sì che il suo nome venisse quasi dimenticato.

Dopo l’Antologica all’Accademia Albertina di Torino di 25 anni fa, che lui stesso curò meticolosamente, questo è il primo studio sistematico dedicato alla sua opera.

Per Davico «il luogo buono» è lo studio, dove l’artista esercita la gioia elaborante della riflessione e del fare, nella cui atmosfera concentrata e confidente l’opera nasce e ha senso che esista. Mentre l’esperienza dell’esporre ha sempre in lui un tratto traumatico, di violazione e sofferenza della natura autentica dell’opera e della privatezza intellettuale: sino alla scelta radicale dell’ultima stagione. Davico d’altronde non si pensa mai veramente «d’avanguardia», soprattutto per quanto attiene agli aspetti comportamentali, mondani del lavoro. Il suo vivere informatissimo, sempre ben presente, nel milieu artistico, vale in quanto offre materia indispensabile al suo ragionare interrogativo sulla pittura, al suo vaglio ferocemente critico e autocritico che si riconosce nel fare, cioè nella zona franca intellettuale ed esistenziale dello studio, dove la pittura sola conta, oltre ogni circostanza, ogni nominalismo possibile, ogni accidente mondano.

(Dal saggio di Flaminio Gualdoni)

***

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino presenta il volume

Mario Davico

A cura di Pino Mantovani

Testi di Flaminio Gualdoni, Cristina Valota, Franco Fanelli, Riccardo Cavallo

Martedì 8 ottobre alle ore 18
Sala Uno piano terra

Intervengono:

Riccardo Passoni, Pino Mantovani, Flaminio Gualdoni e Franco Fanelli

Ingresso libero fino a esaurimento posti

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Via Magenta 31 – Torino

Orario: martedì – domenica 10-18, chiuso lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima

gam@fondazionetorinomusei.it

“In viaggio con le parole” con il Progetto Cantoregi

A Racconigi serata di letture e musiche per l’Università delle Tre Età

Sabato 5 ottobre, ore 21

Racconigi (Cuneo)

Sarà un viaggio intorno al mondo attraverso le pagine di grandi autori classici e della contemporaneità. “In viaggio con le parole”, come recita, per l’appunto, il titolo: il tutto, in una serata di letture e musica, ideata da “Progetto Cantoregi” (l’Associazione Culturale fondata nel 1977 a Carignano dal regista Vincenzo Gamna e oggi presieduta da Marco Pautasso), durante la quale il Comune presenterà il Programma 2019/20 dell’Università per le Tre Età. L’appuntamento è per sabato 5 ottobre, alle ore 21, presso la Chiesa di Santa Croce, in via Morosini, a Racconigi.   La serata, attraverso letture da romanzi, saggi, poesie o poemi che hanno raccontato luoghi reali, ma anche immaginati, spazi geografici, ma anche mentali, fantastici e dell’anima “farà viaggiare lo spettatore – assicurano gli organizzatori – da una parte all’altra del globo con le parole di grandi maestri della letteratura internazionale che hanno saputo raccontare territori, paesi e città ognuno con la propria sensibilità e il proprio sguardo”. Si passerà così dal Portogallo di José Saramago (“Viaggio in Portogallo”) alla Patagonia di Bruce Chatwin (“In Patagonia”), dall’Oriente di Ryszard Kapuściński (“In viaggio con Erodoto”) agli Stati Uniti on the road di Jack Kerouac (“Sulla Strada”). Ma anche dalle profondità degli abissi dell’umanità e della disperazione raccontate da Louis-Ferdinand Céline (“Viaggio al termine della notte”), alle atmosfere tristemente apocalittiche di Cormac McCarthy (“La strada”), fino al viaggio – tra inquietudini e sogno – della baleniera “Pequod” in “Moby Dick” di Herman Melville.

La serata sarà presentata da Cristina Fenoglio, con letture da parte sua e di Fabio FerreroElide GiordanengoVincenzo Leuzzi e Andrea Piovano.

I brani musicali, scelti in sintonia con i testi proposti, sono affidati alla voce della cantante Chiara Catrambone.

Entrata libera, con rinfresco a fine serata.

 

Per info: Biblioteca Racconigi e UniTre, tel. 0172/85336 o cultura@comune.racconigi.cn.it / Progetto Cantoregi, tel. 335/8482321 o www.progettocantoregi.it o info@progettocantoregi.it

 

g. m.

 

 

 

 

Il sogno spezzato di Vincent Van Gogh tra Arles e Saint-Rémy de Provence

Arles 23 gennaio 1889 “Caro Theo, […] Hai ragione che la partenza di Gauguin è terribile, e ci fa ricominciare da capo proprio quando abbiamo creato e ammobiliato una casa per ospitare gli amici nei giorni cattivi. Ma intanto teniamoci i mobili lo stesso. E anche se oggi tutti avranno paura di me, col tempo ciò scomparirà. Tutti siamo mortali e soggetti a tutte le malattie possibili. Che ci possiamo noi se queste ultime non sono sempre di tipo piacevole. La miglior cosa è cercare di guarirle. Io pure ho dei rimorsi pensando alla pena che da parte mia ho causato, seppure involontariamente, a Gauguin”.

All’inizio del 1888 Vincent Van Gogh si era trasferito in Provenza per cercare quella luce e quei colori del Sud che avrebbero prima ripulito dalle tinte scure e cupe della nativa Olanda e, poi, incendiato la sua tavolozza negli ultimi due anni della sua esistenza e gli avrebbero consentito di creare capolavori immortali.

La ricerca ossessiva del colore e della luce era accompagnata dal desiderio, quasi un bisogno, una necessità profondamente radicata dentro di sé, di creare ad Arles una comunità di pittori che si sostenessero e si aiutassero, condividendo il difficile percorso artistico, un gruppo costituito da anime che facevano dell’arte la propria ragione di vita.

Gauguin avrebbe dovuto essere il primo adepto di quella comunità, il primo ospite, l’artista al quale Vincent guardava e che, in una sorta di esaltazione, aveva idealizzato, collocandolo su un piedistallo, come del resto, in passato, aveva già fatto con altri personaggi che, per brevi periodi, aveva considerato suoi maestri, sue guide lungo il difficile cammino della vita.

Per Gauguin Van Gogh aveva preparato una casa, la “Maison jaune” un rifugio, una stanza, per lui aveva cercato i mobili migliori e in lui aveva riposto le proprie speranze di condividere un percorso artistico in quella Provenza che tanto lo affascinava e che con il suo calore, la sua luce abbacinante, il mistral violento e frequente sollecitava i suoi nervi già fragili.

Gauguin giunse in Provenza il 29 ottobre 1888, spinto più dal sostegno economico assegnatogli dal fratello di Vincent, Theo, che da un effettivo desiderio di diventare il primo membro della comunità di artisti, e definì Arles “il luogo più sporco del Mezzogiorno”, mal adattandosi fin dall’inizio alla vita disordinata dell’inquilino.

Altri desideri si stavano, infatti, facendo strada nella mente di Gauguin, quelli di luoghi lontani e misteriosi dove creare una pittura nuova e primitiva.

Nel 1891 annuncerà all’amico Odillon Redon di avere “deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui”.

Già nel dicembre 1889 il sogno di Van Gogh naufragava: iniziavano i primi scontri tra i due artisti, si susseguivano litigi violenti e furibondi che culminarono nell’episodio del taglio dell’orecchio.

Il 23 dicembre, dopo un violentissimo scontro Vincent rincorse per strada Gauguin con un rasoio e, successivamente, si tagliò il lobo dell’orecchio sinistro, portandolo, poi, in dono a Rachel, la prostituta di un bordello che i due artisti frequentavano.

Gauguin lasciò la Provenza e Van Gogh, dopo una breve degenza nell’ospedale di Arles, tornò a casa, pieno di energia creativa e di desiderio di riprendere a dipingere.

Tuttavia, trenta abitanti di Arles, per paura e pregiudizi nei confronti dell’artista strano, eccentrico, sicuramente “diverso”, firmarono una petizione per chiederne l’allontanamento.

La petizione non andò a buon fine, ma fu Vincent stesso a chiedere di essere ricoverato e l’8 maggio 1889 entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Rémy-de-Provence.

In 53 settimane di ricovero a Saint-Rémy Van Gogh realizzò circa 140 tele, continuando a domandare incessantemente al fratello Theo il materiale per dipingere.

“Mandami, ti prego, trentatré tubetti di colore, bianco, rosso lacca, verde smeraldo, arancione, cobalto, malachite, cromo e blu oltremare”: i colori violenti, quelli degli ultimi capitoli della sua vita.

L’arte continuava a rappresentare per l’artista olandese, prigioniero nel manicomio, uno strumento di evasione, il modo per impossessarsi delle ali della libertà e superare le pareti, i muri dell’orto conclusus, i viali del luogo nel quale volontariamente si era rinchiuso per sfuggire ai pregiudizi della gente, alle malignità di una società prevenuta e bigotta, in un ultimo estremo tentativo di guarire, circa un anno prima di diventare quello che Antonin Artaud, nel suo bellissimo saggio, definirà il “suicidato dalla società”.

Le opere del periodo di Saint-Rémy sono di dolorosa e sconvolgente bellezza e preludono ai capolavori-testamento degli ultimi mesi ad Auvers sur Oise, a quel “Campo di grano con volo di corvi” nel quale ogni luce è scomparsa per lasciare il posto all’oscurità definitiva.

La realtà inizia a piegarsi a deformarsi, in un visionario anticipo di quelle che saranno le opere di Chaim Soutine, di Edvard Munch, di Oskar Kokoschka, di Egon Schiele e dei grandi maestri dell’Espressionismo.

Gli alberi si protendono, enormi, nodosi, cupi e terrificanti verso cieli blu cobalto, la pittura si fa materica, risultato di un colore schiacciato dal tubetto direttamente sulla tela, diventa viva, avvolge, cattura, imprigiona lo sguardo.

A Saint-Rémy le stelle, punti luminosi e benigni nella “Notte Stellata sul Rodano” di pochi mesi prima, si trasformano in spirali travolgenti, vortici e controvortici che lacerano il cielo e che sembrano avvolgere l’albero in primo piano, un cipresso, la pianta dei cimiteri, un simbolo forse della morte imminente, come simbolo della morte è la luna, una falce fredda e lontana.

Il 9 maggio 1889 da Saint-Remy Vicent scriveva al fratello Theo “Quando sono colto dal mio “terribile bisogno di religione”, vado fuori di notte a dipingere le stelle… e sogno sempre un quadro così, come con un gruppo di amici vivi”.

Nel maggio 1890, ad Auvers sur Oise, Van Gogh dipingeva un’altra notte stellata, una variazione del dipinto di Saint-Rémy “Cipresso su un cielo stellato” e ne inviava una descrizione, accompagnata da uno schizzo a Gauguin: “Un cipresso con una stella, un’ultima prova – un cielo notturno con una luna che non emana luce: nient’altro che una piccola mezza luna che sorge dall’ombra scura della terra. Una stella esageratamente luminosa – se vuoi – un barlume di rosa pallido e di verde nel cielo blu oltremare percorso da nubi. In basso una strada fiancheggiata da alte canne gialle che si stagliano contro il blu chiaro delle Alpilles; un vecchio casolare con le finestre illuminate arancione e un altissimo cipresso molto diritto e molto cupo. Sulla strada una carretta gialla tirata da un cavallo bianco e infine due persone che camminano”.

Le stelle che ad Arles erano punti luminosi, inaccessibili, a Saint-Rémy e ad Auvers sur Oise si trasformano in stelle comete, più vicine, più semplici da afferrare e da raggiungere perché quella morte che consente di andare in una stella è ormai dietro l’angolo.

Barbara Castellaro