“Wildlife” diretto con grande maturità da Paul Dano eletto miglior film

Premiando (con una cifra di 18.000 euro) Wildlife, opera prima del trentaquattrenne Paul Dano – sinora attore: Little Miss Sunshine, Il petroliere, Youth di Sorrentino, tra gli altri -, la giuria presieduta dal regista cinese Jia Zhangke ha accomunato i temi del lavoro e soprattutto dello sgretolamento familiare, che visti sotto più forme e vicende sono state le voci più importanti di questa 36ma edizione del TFF. Addentro agli anni Sessanta, in un Montana fatto di piccole cittadine, di solitudini, di vallate verdi e di montagne, di esistenze che si trascinano ormai giorno dopo giorno, Dano analizza con singolare partecipazione, con un’attenzione che scava negli animi e nelle ferite, nelle crisi e nelle ribellioni, con la bravura davvero di un regista maturo e navigato, eleggendo la direzione degli attori a suo punto di forza. Per cui, inevitabile, salta fuori la domanda dell’esclusione di Carey Mulligan, moglie (e madre) chiamata a combattere contro l’assenza dello sposo Jake Gyllenhaal e disposta a cercare un riparo sotto la casa del datore di lavoro sotto lo sguardo del figlio Ed Oxenbould, testimone muto. Il premio alla migliore attrice è così andato a Grace Passô del brasiliano Temporada firmato da André Novais Oliveira. Il premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (per il valore di 7.000 euro) è stato vinto da Atlas del tedesco David Nawrath, crudele vicenda di soprusi e di speculazioni, con al centro il personaggio di Walter, uomo duro e solitario, che lavora con una compagnia di recupero crediti in affari con la malavita, obbediente a far da intruso nelle case altrui che vanno sgomberate fino al giorno in cui qualcuno dai modi troppo spicci entra nella squadra di lavoro e Walter deve bussare alla porta di un alloggio che mai avrebbe voluto sgomberare. Un’opera eccellente nei suoi ritmi narrativi, le atmosfere noir, la descrizione delle facce, con un protagonista, Rainer Bock, giustamente vincitore del premio per il miglior attore, ex aequo con Jacob Cedergren, al centro degli 85’ del danese The Guilty diretto da Gustav Möller, l’immagine fatta acuta tensione, nel chiuso di una stanza del pronto intervento telefonico a ricevere richieste d’aiuto e a tentare di indirizzare il risultato di un’indagine interna cui è sottoposto, un assolo dentro cui modulare ogni sentimento e questo attore, finora lontano da noi, lo fa con una ricchezza davvero invidiabile di voci, rassicuranti e rabbiose, di sguardi, di gesti. Il film, scritto da Möller e da Emil Nygaard Albertsen, si porta a casa anche il Premio per la migliore sceneggiatura: speriamo che qualche distributore italiano abbia voglia di importarlo. A completare il successo del film, va aggiunto il significativo Premio del pubblico da dividere con Nos batailles del francese Guillaume Senez, ancora il mondo del lavoro visto attraverso gli occhi di un padre, capo reparto e sindacalista, obbligato a reiventare per sé e per il figlio una vita nuova dopo che la moglie, inspiegabilmente, un giorno lo ha lasciato. Avevamo detto nei giorni scorsi come, in mezzo al mare magnum delle storie grondanti disperazione, violenza, solitudine, disillusioni, attraverso il panorama odierno fatto di uomini e donne e dei loro problemi, eccetera eccetera, ci fosse qualcuno in fondo al tunnel con il desiderio di ribaltare – nonostante un’idea iniziale di abbandono, sotto i cieli parigini, da parte di un’innamorata verso il proprio ragazzo – con un sorriso, di reinventare pure lui i contorni di una adolescenza e di una giovinezza, andando a rovistare tra i ricordi o inventandone di nuovi, rabberciati e più o meno consolanti, nell’intento di comprendere le ragioni della malinconia che da sempre lo affligge. La storia ha per titolo Bad Poems, diretta e interpretata da Gàbor Reisz, un’autentica boccata d’aria e di sorrisi, di divertimento, piaciuto alla giuria che gli ha decretato il suo Premio Speciale. I titoli da eleggere sotto varie forme erano questi, il cilindro racchiudeva una scelta più o meno ristretta da cui tirar su i titoli migliori, tralasciando quel che di risaputo o già troppo visto o alla lunga di insignificante ci potesse essere all’interno di certe storie (forse si è dimenticato Marche ou crève della fotografa francese Margaux Bonhomme). Le debolezze in varie pellicole non mancavano: e la giuria è andata a colpo sicuro nella distribuzione dei vari premi.

 

 

Elio Rabbione

 

 

Nelle immagini, momenti tratti dai film vincitori: nell’ordine “Wildlife” di Paul Dano (Stati Uniti), “The guilty” diretto da Gustav Möller (Danimarca), “Atlas” di David Nawrath (Germania) e “Bad Poems” di Gàbor Reisz (Ungheria).

 

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