CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 640

Filippo de Pisis l’eclettico connoisseur

FINO AL 22 APRILE

 

“Nel volgere di un mattino, de Pisis compera un pesce, lo dipinge, lo cuoce e lo mangia”: così raccontava di Filippo de Pisis il collega, assiduamente frequentato a Parigi, Mario Tozzi. Certo, una boutade. Che inquadra però alla perfezione quell’ansia   del de Pisis di far quasi corsa con il tempo per colpire la tela con tratti nervosi, fulminei, quasi stenografici e“a zampa di mosca” come scrisse l’amico poeta Eugenio Montale. Una cifra stilistica unica e inconfondibile, che ben connota molte delle 150 opere ospitate al Museo Ettore Fico di Torino e realizzate nell’arco di un trentennio da Luigi Filippo Tibertelli, in arte Filippo de Pisis (dall’avo Filippo Tibertelli de Pisis il pittore recuperò la parte decaduta del cognome), fra i più originali interpreti della pittura del Novecento italiano. Curata con tutta la passione di questo mondo (attraverso un lavoro di recupero e ricerca durato un paio d’anni), da Elisa Camesasca, Paolo Campiglio e Maddalena Tibertelli de Pisis, la rassegna non vuole solo raccontare l’esperienza pittorica del Maestro, ma tutta la complessità delle passioni artistiche e della cultura che ne caratterizzarono l’intera esistenza, come “l’inclinazione poetica, la passione antiquaria e collezionistica, il mondo musicale della lirica, l’indole del botanico naturalista e l’amore per il museo e le civiltà del passato”. Obiettivi non da poco. Sottolineati dallo stesso titolo della mostra: “Filippo de Pisis. Eclettico Connoisseur fra pittura, musica e poesia”. E perseguiti passo passo attraverso articolate “sezioni” tese ad accompagnare il visitatore attraverso gli inizi ferraresi (a Ferrara de Pisis nasce nel 1896), l’incontro fondamentale (1916) con la pittura metafisica di de Chirico, Savinio e Carrà, fino alla consolidata formazione artistica maturata a Parigi (dove si ferma per quattordici anni e dove conosce mostri sacri come Matisse e i Fauves e ancor più s’avvicina all’esemplare lezione di Manet e alla scomposta passionalità di Soutine), per concludersi tristemente – dopo viaggi per città d’arte come Roma e Londra e dopo i più lunghi soggiorni milanesi e veneziani – in una casa di cura di Brugherio, alle porte di Milano, dove l’artista si spegne il 2 aprile del 1956.

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Nella sezione “Avanguardie”, a colpire è soprattutto il raffinato e minimalista “Paesaggio metafisico” del ’23 accanto a una corposa “Natura morta marina” del ‘27; ma qui e in altre opere s’intrecciano anche simpatie (sempre incanalate in un linguaggio narrativo fuori d’ogni schema precostituito) con il Dadaismo di Tristan Tzara o il Futurismo di Depero. Centrali – in relazione ai fini della mostra – sono sicuramente le sezioni dedicate alla “Poesia”, alla “Natura” e alla “Musica”. Nella prima, l’amicizia intercorsa fra de Pisis pittore-poeta e Montale poeta-pittore trova concreta espressione nell’esposizione (fra chicche varie e testimonianze epistolari) di una rara edizione di “Ossi di seppia” con dedica, donata dal poeta ligure all’artista ferrarese. Accanto, “La città delle 100 meraviglie”, il libro scritto da de Pisis in omaggio alla sua amata-odiata Ferrara. Poco oltre il materico “Beccaccino” del ’32 donato da de Pisis a Montale. Di grande suggestione nel capitolo “Natura”, i fogli dell’erbario giovanile, accettato in dono, tant’era scientificamente accurato, dall’Orto Botanico di Padova mentre in “Musica” troviamo una selezione di libretti originali della tanto amata opera lirica in dialogo con celebri dipinti come “La perla. Omaggio alla Duse” del ’43 e il “Suonatore di flauto” del ’40. Il percorso espositivo prosegue poi con i tanti “Omaggi” agli autori “da Museo” suoi costanti riferimenti: dall’“Arte antica” alla “Contemporanea”, da Michelangelo, al Sodoma a Tiziano per arrivare a Scipione, a Tosi o a Casorati. Riferimenti dichiarati con orgoglio, così come esplicita appare la forte attrazione per quei plastici “nudi maschili” che troviamo nella sezione “Studio”. Inno alla più chiara genialità espressiva sono infine le opere de “L’ambiente di Parigi” e i “Paesaggi come luoghi dell’anima”: dipinti concepiti spesso fianco a fianco con quel gruppo eterogeneo degli “Italiens de Paris” in cui spiccavano, fra gli altri, i nomi di De Chirico, di Savinio, di Tozzi e di Campigli. Nel ’39, de Pisis ritorna in Italia. A Milano prima, a Venezia poi. Sul finire degli Anni ’40 i primi ricoveri, i primi segnali di una fine che lo coglierà di lì a breve a soli sessant’anni. In mostra anche i suoi ultimi quadri. La tavolozza è sempre più rarefatta ed essenziale. In “Rose bianche” del ’51 solo qualche sottile striatura di rosso e di verde incide il candore del soggetto. Sulla tela scrive anche un ironico “W Pippo”. Ultimo flebile dolcissimo canto del cigno.

 

Gianni Milani

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“Filippo de Pisis. Eclettico connoisseur fra pittura, musica e poesia”

MEF – Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/852510 – www.museofico.it

Fino al 22 aprile –Orari: da merc. a ven. 14-19; sab. e dom. 11-19

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Le immagini:

– Filippo de Pisis: “Natura morta marina”, olio su cartone, 1927
– Filippo de Pisis: Fagiano con il quadro di Carrà”, olio su tela, 1926
– Filippo de Pisis: “Agli sulla spiaggia”, olio su tela, 1930

 

Richard Strauss, festival e mostra

Richard Strauss e l’Italia. Questo il titolo della mostra inaugurata il 2 febbraio scorso e aperta fino al 17 marzo presso l’Auditorium Vivaldi, annesso alla Biblioteca Nazionale Universitaria, nella centrale piazza Carlo Alberto.

Curata dal musicologo Giangiorgio Satriani, l’esposizione propone oltre 150 tra documenti e oggetti d’epoca, per lo più provenienti dall’archivio della famiglia Strauss e per la prima volta esposti in Italia. Il rapporto tra il compositore e l’ Italia fu molto intenso; nell’arte come nella vita privata, tale rapporto attraversò l’intera esistenza del compositore e interesso’ più ambiti, dai viaggi di piacere a quelli di lavoro, dalle relazioni con il mondo culturale a quelle con l’entourage politico italiano. L’autore diresse la prima italiana della Salome’ proprio al teatro Regio di Torino, poco prima del Natale 1906. Sino ad allora l’opera non era stata mai rappresentata fuori dei Paesi di lingua tedesca. Riattribui’ inoltre il carattere di prova generale (e non di prima italiana) alla recita che Arturo Toscanini decise di eseguire della stessa Salome’ al Teatro alla Scala di Milano e che fu considerata da Strauss come uno sgarbo, avendo La Scala programmato l’esecuzione dell’opera soltanto dopo la direzione di Strauss a Torino.

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Proprio il capoluogo sabaudo poté vantare anche la presenza del compositore sul podio, in veste di direttore d’orchestra, anche nella direzione dell’opera “Ariadne auf Naxos”. La Salome’, tratta dall’opera di Oscar Wilde, causa di numerosi scandali, consacrò comunque Strauss come compositore per il teatro. Nel programma di questo Festival, oltre alla sua messa in scena in forma scenica al teatro Regio, la Salome’ sarà al centro di alcuni incontri, di un convegno internazionale, di tre pellicole cinematografiche basate sul medesimo soggetto e di un nuovo spettacolo di prosa. Altre opere si potranno ammirare in video, accanto ad omaggi al repertorio barocco francese, che fu oggetto di curiose e interessanti trascrizioni da parte di Strauss. Trenta istituzioni sono coinvolte nelle tre settimane di Festival dedicato a Strauss, fondamentale, anche se controverso, protagonista della storia musicale europea, nativo di Monaco di Baviera. Il festival di Strauss segue quelli dedicati ad Alfredo Casella, nel 2016, e, lo scorso anno, ad Antonio Vivaldi, di cui si conservano preziosi manoscritti nella Biblioteca Nazionale di Torino. Sono in programma trenta incontri e cinquanta concerti, tra musica sinfonica, da camera e vocale, in parte gratuiti, di cui alcuni verranno eseguiti al Conservatorio Giuseppe Verdi e all’ Auditorium Vivaldi.

 

Mara Martellotta

Attualità di Dante

La Divina Commedia contiene un messaggio di rinnovamento e di esortazione rivolto all’umanità , un viaggio escatologico alla ricerca della salvezza, per ritrovare la forma dell’umana felicità, operando a redimere il mondo che ” mal vive” , giunto ormai sull’orlo della rovina, per portarlo appunto  verso una redenzione individuale e sociale, morale e politica”.

L’incontro  è organizzato dall’associazione no profit “CROMIE, VIVERE A COLORI”

Saranno presenti: il regista Louis Nero, l’attore Diego Casale e l’attrice Diana Dell’Erba. Louis Nero, reduce dal successo internazionale del suo ultimo film “The broken Key”, è anche l’autore del film ” Il mistero di Dante”, interpretato dal Premio Oscar Murray Abrahams, di cui verranno proiettate alcune parti. Diana Dell’Erba, attrice e regista italiana, è una delle interpreti di entrambi i lavori del regista. A introdurre e guidare l’incontro sarà Helen Alterio, Prof.ssa di Lettere del Liceo Majorana di Moncalieri, nonché coautrice del lavoro teatrale ” E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Al termine un dibattito fra il pubblico e un rinfresco.

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L’ingresso è libero ma occorre la prenotazione al 3382539740.

Il rinfresco è offerto da Cascina Gilli e dal Bar Colibrì di Via Cristoforo Colombo 2 Torino

 

L’Adorazione del Bambino all’Albertina

Da mercoledì 7 febbraio a domenica 25 febbraio, nella prestigiosa cornice della Pinacoteca Albertina, sarà esposto per la prima volta al pubblico l’inedito capolavoro di Gerolamo Giovenone “L’Adorazione del Bambino con i Santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova”. L’opera, frutto di un recente ritrovamento, è stata acquisita da Banca Patrimoni Sella & C., che ne ha finanziato un accurato restauro e, finita la presentazione torinese, la collocherà in esposizione permanente presso il Museo Borgogna di Vercelli. Alla Pinacoteca Albertina l’Adorazione del Bambino sarà il centro di un ricco percorso espositivo che accompagnerà lo spettatore nella scoperta, nella lettura e nell’interpretazione del capolavoro ritrovato. Accanto ad esso, oltre a selezionate opere della collezione dell’Albertina normalmente non visibili, saranno esposti i disegni della bottega di Giovenone, Lanino e Gaudenzio Ferrari e una bellissima Madonna con Bambino realizzata da Gerolamo Giovenone su modello di Raffaello, prestito di Palazzo Madama. Gerolamo Giovenone, nato nel contado di Novara prima del 1490 e morto a Vercelli nel 1555, fu protagonista della pittura piemontese del primo Cinquecento accanto a Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Lanino. Lavorò in Piemonte e nel milanese, capace di interpretare con una pittura autentica e personale gli stimoli artistici del grande Rinascimento italiano. L’Adorazione del Bambino, acquisita e restaurata da Banca Patrimoni Sella & C. dopo essere riemersa dall’oblio in tempi recenti, rappresenta un’aggiunta di enorme rilevanza al catalogo di Giovenone. Opera matura e di grande impegno databile alla fine degli anni Trenta del Cinquecento, è forse la testimonianza più interessante della collaborazione di Giovenone con Bernardino Lanino e della vicinanza di questi maestri verso Gaudenzio. “Questa mostra – spiega la curatrice Daniela Magnetti – vuole essere di accompagnamento per un viaggio che, attraverso le sale della Pinacoteca Albertina di Torino giunge sino al Museo Borgogna di Vercelli, per ‘trovare casa’ a un’opera inedita di un protagonista della pittura rinascimentale vercellese, Gerolamo Giovenone, l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, oggi nella collezione di Banca Patrimoni Sella & C. E’ il racconto di un dipinto ritrovato che dopo più di 450 anni, tra molteplici vicissitudini legate al mondo delle committenze e del collezionismo privato, ritrova, grazie a un mecenatismo virtuoso, una sua destinazione pubblica. Il percorso espositivo alla Pinacoteca Albertina è stato concepito come un progressivo avvicinamento all’opera protagonista. L’accostamento con dipinti di Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Bernardino Lanino mettono in luce il profondo legame di Giovenone con gli artisti coevi operanti sul territorio. In mostra anche i materiali raccolti durante l’indagine diagnostica e il restauro della pala, che rappresentano un apporto prezioso alla comprensione storicoartistica del maestro e della sua bottega. Radiografie di particolari che consento di addentrarsi in quel mondo non visibile a occhio nudo che regala sorprese e preziosi contributi alla storia dell’arte”. L’esposizione vuole anche offrire al pubblico l’occasione di comprendere meglio la funzione e il significato dei cartoni cinquecenteschi, parte della ricca collezione della Pinacoteca, donata dal re Carlo Alberto alla Accademia di Belle Arti. La Scuola di Pittura della Pinacoteca Albertina organizzerà dei laboratori tematici dedicati alla pittura su tavola e alle caratteristiche teoriche e pratiche della tecnica. E grazie al sostegno di Banca Patrimoni Sella & C., la Scuola di Fotografia dell’Accademia ha realizzato una nuova campagna fotografica per la digitalizzazione ultra-HD dei cartoni: per celebrarla, verranno messi a confronto in mostra i nuovi scatti con preziose fotografie ottocentesche dei disegni rinascimentali, ancora conservate negli archivi dell’Albertina.

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Dal 10 marzo il capolavoro ritrovato raggiungerà la sua definitiva collocazione al Museo Borgogna di Vercelli, la prestigiosa sede che beneficerà del deposito permanente voluto da Banca Patrimoni Sella & C. Il museo vercellese offrirà al pubblico un nuovo percorso espositivo – fino al 1° luglio 2018 – che sarà occasione di ricerca e di dialogo sia con la ricca produzione artistica di tutte le principali botteghe presenti in collezione, sia con il territorio circostante, che ha visto Giovenone scrivere una ricca pagina della storia dell’arte piemontese e italiana. La mostra ospiterà tutti i materiali e gli approfondimenti diagnostici e di restauro della ritrovata pala, prevederà incontri e percorsi per il pubblico degli appassionati e per gli allievi delle scuole e infine laboratori didattici per contestualizzare l’opera e darne una lettura a più livelli. La ricca documentazione diagnostica vede il contributo del Laboratorio Radelet di Torino, dove la pala inedita di Giovenone è stata studiata e restaurata sotto la direzione dei funzionari della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino. L’evento è anche l’occasione per la pubblicazione di un importante catalogo di studio e ricerca dedicato al capolavoro ritrovato e ai suoi artefici: Gerolamo Giovenone, Bernardino Lanino e la loro scuola. La pubblicazione ospita contributi dei maggiori studiosi dell’argomento e rappresenta una virtuosa e generosa sinergia fra tutti i partner dell’evento: la Direzione Artistica di Banca Patrimoni Sella & C., l’Accademia Albertina di Belle Arti, il Museo Borgogna, Palazzo Madama, le Soprintendenze di Torino, Novara e Vercelli e il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Editore del catalogo è Silvana Editoriale.

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 Inaugurazione alla Pinacoteca Albertina 6 febbraio alle 18,30. Anteprima stampa alle 11. Pinacoteca Albertina, dal 7 febbraio al 25 febbraio 2018 Via Accademia Albertina 8, Torino. T. 011 0897370 www.pinacotecalbertina.it – pinacoteca.albertina@coopculture.it – Facebook Pinacoteca Albertina di Torino ORARI: tutti i giorni dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17.30). Chiuso mercoledì 14 e 21 febbraio. BIGLIETTI: intero € 7,00; ridotto € 5,00 bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni, studenti universitari fino ai 26 anni, convenzioni; gratuito under 6 anni, insegnanti, possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card. Museo Borgogna, dal 10 marzo al 1 luglio 2018 Via Antonio Borgogna 4, Vercelli. T. 0161 252776 (biglietteria) www.museoborgogna.it – Facebook Museo Francesco Borgogna info@museoborgogna.it – stampa@museoborgogna.it ORARI: fino al 2 aprile da martedì a venerdì 14.30-17.30, dal 3 aprile da martedì a venerdì 15-18, sabato 9.30-12.30, domenica 10-12.30 e 14-18. Aperto Pasqua e Pasquetta, chiuso il lunedì. BIGLIETTI: intero € 10,00; ridotto € 8,00; scuole 5 €; gratuito bambini in età prescolare, possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card.

Seeyousound svela il volto eversivo della musica

Prosegue questa settimana al Cinema Massimo il giovanissimo festival che celebra il magico rapporto tra cinema e musica, il Seeyousound International Music Film Festival. Solo alla sua quarta edizione si è inaugurato in grande stile venerdì 26 gennaio con un’importante mostra che durerà un anno al Museo Nazionale del Cinema “Soundframes. Cinema e musica in mostra” e un film muto del realismo svedese, Ingeborg Holm di Victor Sjöström, accompagnato dal vivo dalla suggestiva musica di Corrado Nuccini, Iosonouncane e Enrico Gabrielli.

 

È un festival molto ricco che presenta un’ampia gamma di generi sia cinematografici sia musicali. Si passa dal biopic alla fiction, dal documentario al musical e non si fa distinzione tra musica classica, pop, jazz, folk o hip hop. In questo viaggio emozionante ci si riconcilia con la potenza eversiva e rivoluzionaria della musica, che può essere mezzo di riscatto, di salvezza, di lotta per i propri ideali, di punto di riferimento di una generazione. Per una manciata di ore ci si allontana così, nel buio della sala, dalla banalizzazione e appiattimento dei talent show, delle silent disco e delle piattaforme social che vorrebbero relegare la musica in una gabbia, quella del mero prodotto di consumo.

 

Nel weekend il numeroso pubblico ha potuto apprezzare tutti i film in concorso che sarà possibile rivedere ancora fino a domenica 4 febbraio. La qualità è molto alta perché i film provengono dai festival più importanti come Cannes, Amsterdam, Barcellona, Nyon. Nella sezione Long Play Feature i sei film in concorso sono un caleidoscopico viaggio attraverso la cultura, le tradizioni e le passioni di Argentina, India, Stati Uniti ed Europa. È presente anche il primo musical del festival, Stuck, interamente girato in un vagone della metropolitana di New York, dove troviamo un microcosmo dell’America contemporanea e dell’umanità tutta. Diversi gli attori noti in questo film a partire da Giancarlo Esposito nei panni di un senzatetto un po’ shakespeariano. A partire da questa edizione il premio Long Play Feature è intitolato alla memoria di Francesca Evangelisti, scomparsa recentemente, aveva regalato un prezioso contributo alla crescita del festival.

 

Ma le anteprime e le sorprese non mancano anche nelle altre sezioni. Fiore all’occhiello è la sezione Into the Groove, che racconta le storie delle icone che hanno segnato un’epoca e ispirato quelle successive. Nel film di Andreas Neumann e Josh Homme American Valhalla il racconto della genesi del diciassettesimo album di Iggy Pop “Post Pop Depression” diventa pretesto per parlare del rock di ieri e di oggi; nel film England is mine il regista Mark Gill ripercorre la vita di Morrissey, leader degli Smiths in una Manchester post industriale in cui il giovane Steven riesce comunque a trovare degli stimoli creativi; c’è posto anche per un omaggio alla cantante francese Barbara nel ventennale della sua scomparsa e ad un’altra icona femminile degli anni Settanta Betty Davis nel film They say I’m different di Phil Cox. Ciliegina sulla torta di questa sezione la prima “maratona-retrospettiva” della storia del festival dedicata a Tony Palmer, il più grande regista di film e documentari riguardanti la musica. Ha lavorato con attori del calibro di Laurence Olivier, Richard Burton, Vanessa Redgrave, Peter Sellers e immortalato le performance leggendarie dei Beatles, Frank Zappa, Pink Floyd, Maria Callas, Jimi Hendrix. Tre i titoli dedicati al grande regista che mercoledì 31 gennaio incontrerà il pubblico alle 21 al Massimo 3. Da non perdere Bird on a wire, un documento storico dell’arte di Leonard Cohen, riscoperto e ottimamente restaurato nel 2010 che mostra il talento di Palmer nel saper ritrarre i grandi della musica. Sempre in questa sezione ci sarà anche l’affascinante Isabelle Huppert questa volta nei panni di una cantante che sfida gli Abba in Souvenir.

Curiosa la rassegna Radioactivity che presenta cinque film incentrati sull’universo della radio. Gli appassionati di musica anni Ottanta non possono perdere Dare to be different, la storia di una piccola stazione radio di Long Island – NY che divenne trampolino di lancio del movimento musicale e culturale che va sotto il nome di new wave.

Quest’anno tanti sono gli eventi collaterali che fanno da cornice al festival che ha trovato una confortevole casa nel salotto prestigioso del Circolo dei lettori. Qui per tutta la durata della rassegna è possibile assistere a performance musicali e a incontri con esperti o protagonisti dei film in programmazione. In più ogni sera a partire dalle 23.30 il Circolo Amantes ospita l’After Festival con aperitivi e dj set e dove è possibile visitare la mostra “Kraftwerk – The man-machine experience” in onore del mitico gruppo tedesco passato lo scorso anno dalle Ogr e l’esposizione “Hip Hop Kemp Festival”. Il party conclusivo si terrà sabato 3 febbraio al Magazzino sul Po, ospite d’eccezione nelle vesti di dj Don Letts, musicista e regista inglese di origine giamaicana che venerdì 2 e domenica 4 febbraio presenterà il documentario di cui è regista “Two Sevens Clash” sull’intreccio di reggae e punk nella Londra del 1977.

Giuliana Prestipino

 

La balaustra reale torna all’antico splendore per turisti e torinesi

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I visitatori dei Musei Reali di Torino possono tornare ad ammirare la splendida balaustra che caratterizza la sala del trono di Palazzo Reale nella sua versione restaurata, grazie al sostegno del Consiglio regionale del Piemonte. L’intervento è frutto di un protocollo di intesa che prosegue nel tempo con progetti destinati alla valorizzazione di Palazzo Reale. L’opera è stata oggetto di un intervento condotto dalla ditta Doneux con la direzione di Franco Gualano, curatore delle collezioni d’arte della residenza. Gli strati di pulviscolo atmosferico accumulatosi negli anni, specie negli interstizi del raffinato intaglio difficilmente raggiungibili durante le normali attività manutentive, ne avevano infatti offuscato lo splendore. Oggi, grazie al lavoro di attenta pulitura, si può nuovamente ammirare la lucentezza della foglia d’oro che ne ricopre l’intera superficie. Situata al piano nobile del Palazzo, la sala del trono venne riplasmata per volontà di Carlo Alberto dal bolognese Pelagio Palagi nella prima metà del XIX secolo, precedentemente l’ambiente fu utilizzato come Camera da Parata, prima delle duchesse e poi delle regine. Palagi modificò gran parte delle decorazioni rendendole adatte al nuovo uso, inserendo anche capolavori già presenti nelle collezioni palatine. Fulcro dell’intervento fu l’ideazione di un nuovo trono, disegnato dall’artista bolognese e realizzato dall’ebanista Gabriele Capello. Sormontato da un ricco baldacchino, il trono fu cinto da un prezioso arredo già presente nelle collezioni reali: la balaustra in legno intagliato, scolpito e dorato realizzata da Francesco Bolgié per racchiudere il letto di Maria Teresa d’Asburgo Lorena-Este, giovane sposa del Duca d’Aosta. Infatti, in occasione del suo matrimonio con il futuro re Vittorio Emanuele I, nel 1789, si rimodernò l’Appartamento dei duchi al secondo piano di Palazzo Reale e la balaustra, ornata da putti, girali d’acanto, vasi, fiaccole e colombe, trovò collocazione. Il restauro si inserisce tra gli interventi sostenuti dal Consiglio regionale del Piemonte, primo tra tutti il recupero della Cappella privata di Carlo Alberto, nel 2016.

Le immagini accompagnano l’angoscia dei Sei personaggi

Da quella serata del 10 maggio del ’21, in cui l’autore sfuggì, imboccando una via laterale al romano teatro Valle, ad un pubblico inferocito che aveva preso a inseguirlo, troppo frastornato dall’eccessiva novità che aveva appena assaggiato, forse tutto è stato detto dei Sei personaggi in cerca d’autore, forse s’è inscenato in cento modi (anche in uno studio televisivo, come fece Buazzelli, come fecero De Lullo e Valli in un’edizione che rimane un esempio insostituibile), confermandosi – in casa nostra come all’estero – il campo adatto su cui possa giocare con intelligenza un attore di prima grandezza, dove si manifestino appieno la filosofia e la drammaturgia di Pirandello, dove si dispieghi inequivocabilmente il gioco (e il termine non vuol certo essere facile né riduttivo) del teatro nel teatro. Ognuno lo sa, mentre una compagnia d’attori sta provando Il gioco delle parti, un Padre, una Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina irrompono come per magia sul palcoscenico, lamentando il rifiuto dell’autore che ha dato loro vita: sulla pagina, loro la pretendono sulla scena. Quindi voglia il Capocomico dare ascolto al loro dramma e rappresentarlo. Per curiosità e per sfida, il teatrante accetta e i personaggi raccontano la loro vicenda, fino al crudele epilogo.


Luca De Fusco, proponendo questa edizione coprodotta dagli Stabili di Napoli e Genova, in scena all’Astra fino a domenica per la stagione in abbonamento, innesta un ulteriore tassello. Dando forma e rappresentabilità a questi signori, tutti vestiti di nero, con il loro trucco pesante, balzati fuori da una realtà altra dalla nostra e assai più reale se confrontata con i tiepidi risultati di una compagnia che non comprende e che non può interpretare, immersa in una finzione che è ben lontana dalla verità, individua un legame che stringe teatro e cinema, li raddoppia sin dal loro ingresso in filmati (ad opera di Alessandro Papa) che scorrono sulla parete di fondo del palcoscenico vuoto, immagini nuove che guardano al cinema muto che in quegli anni andava imponendosi sempre più. Una vicenda, dice il regista, “che si presta a essere rappresentata più attraverso l’occhio visionario del cinema che tramite quello più concreto del teatro”. Il connubio è visivamente felice ma questa volta sull’immagine continua a prevalere l’apparizione fisica, il rivivere la scena nel salottino di Madama Pace (Angela Pagano, un’apparizione) con il tavolinetto e la busta cilestrina, il dolore di una madre, i ragionamenti di un padre, la dabbenaggine di un capocomico (Paolo Serra, efficacissimo) in cerca dell’effetto. Il pensiero e le parole di Pirandello, da sole, riempiono ancora una volta, con la loro forza che sta raggiungendo il secolo, il palcoscenico, punteggiato qua e là dai pochi arredi inventati da Marta Crisolini Malatesta (firma anche i costumi) e chiaroscurito dalle luci di Gigi Saccomandi. Eros Pagni ha tutta l’autorevolezza e l’angoscia che quel Padre si porta appresso, la conferma ancora una volta di un grande attore, con la sua voce inconfondibile trattenuta e spiegata, al servizio di una grande lezione di teatro; ben salda, al sua fianco, come Figliastra, Gaia Aprea, sfrontata e appassionata, pronta a ridere delle finzioni degli attori, quella che più reclama il diritto a rivivere una vita piena di dolore e di schifo. Grande successo, e convinto.

Elio Rabbione

 

Le foto dello spettacolo sono di Fabio Donato

L’equilibrio imprevisto. Parole, musica, memoria

Nella ricorrenza della Giornata della Memoria, la Fondazione Cosso accoglie, sabato 27 gennaio alle ore 16, nelle sale del Castello di Miradolo, le “Letture Itineranti” del Circolo Laav di Torre Pellice. A fare da cornice all’evento, sarà la mostra “Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura”, prorogata fino a domenica 25 febbraio. Fra le letture proposte, per aderire idealmente alla “Giornata” istituita a commemorazione delle vittime dell’Olocausto, compariranno alcuni significativi estratti de “Il sentiero dei nidi ragno” di Italo Calvino. Le letture animate, dal titolo “L’equilibrio imprevisto. Parole, musica, memoria”, sono riservate ai visitatori della mostra. La prenotazione non è necessaria. Con la compagnia dei volontari del Laav, i partecipanti attraverseranno le sale del Castello e la cappella ottocentesca, passeggiando fra preziose sculture, carte e ceramiche. L’Istituto Lidia Poet di Pinerolo proporrà inoltre un accompagnamento musicale a cura dei giovani allievi musicisti.

g.m.

 

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“L’equilibrio imprevisto. Parole, musica, memoria”

Fondazione Cosso – Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (To), tel. 0121/376545 – www.fondazionecosso.com

Sabato 27 gennaio, ore 16

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Benedetta follia – Commedia. Regia di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere e Paola Minaccioni. Guglielmo, in depressione stabile, è il proprietario di un negozio di arredi sacri e abbigliamento d’eccellenza, per il piacere e l’eleganza della moltitudine di porporati romani. Depresso anche per il fatto che la moglie lo ha appena abbandonato perché innamorata proprio della commessa del suo negozio: quando come un ciclone entra nella sua vita una ragazza di borgata. Opera con un buon inizio se poi non prendesse la strada delle vogliose signore che in un modo o nell’altro vogliono accaparrarsi il misero quanto problematico single. Con una comicità che fa acqua da ogni parte (in sala piena ho contato un paio di risate davvero convinte), non priva di momenti quantomai imbarazzanti (oltrepassando di gran lunga, all’italiana, lo spudorato ma tranquillo divertimento della scena clou di “Harry, ti presento Sally”, la signora che nasconde il cellulare “nel posto più bello del mondo” finisce per ritrovarsi in una storiellina soltanto fuori dei limiti; l’attore/regista che si mette a fare il cicerone all’interno di palazzo Altemps a Roma denuncia tutta la sua odierna mancanza d’idee, lontanissimo dalle cose migliori; e poi le pasticche, i balletti, le cianfrusaglie tra colori e suoni…). La gieffina Pastorelli rimane se stessa in ogni occasione, immutabile se non fosse per i cambi d’abito (sempre più ristretto), alla ricerca dei begli effetti che una Ramazzotti ci ha dato in altre occasioni. Godetevi la manciata di minuti della Minaccioni. Un toccasana. Durata 109 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Passeggiate e discussioni, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate e musica, intimità. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero, in corsa verso l’Oscar con quattro candidature. La sceneggiatura è firmata da James Ivory dal romanzo di André Aciman. Chissà come risponderà il pubblico italiano? Durata130 minuti. (Eliseo Grande, Massimo sala 2 (V.O.), Nazionale sala 1, The Space, Uci)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Come un gatto in tangenziale – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola e Sonia Bergamasco. Quando gli opposti si attraggono. Ovvero l’incontro tra Giovanni, intellettuale di sinistra, abitazione nel centro di Roma, tutto quadri e libri, in riunione a Bruxelles a parlare di periferie e di quanto sia opportuna la contaminazione tra l’alto e il basso, e Monica, borgatara di una periferia stracolma di extracomunitari, piena di tatuaggi, dal più che dubbio gusto nel vestire, consorte in perenne debito con la giustizia: incontro che nasce quando i due ragazzini dell’una e dell’altra parte iniziano un filarino che punta deciso al futuro. E se l’incontro portasse l’intellettuale e la borgatara a rivedere le loro antiche posizioni? Durata 98 minuti. (Massaua, Reposi, Uci)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Downsizing – Fantasy. Regia di Alexander Payne, con Matt Damon, Laura Dern, Christopher Waltz e Kristen Wiig. In un futuro più o meno prossimo, i debiti spingono una coppia, Paul e Audrey, ad

abbracciare l’esperimento di un gruppo di scienziati norvegesi: una miniaturizzazione, il passare da un’abituale statura ai soli 12 centimetri, avrebbe i suoi bei lati positivi, non ultimo la soluzione per una vita più ricca e agiata. Ma nella sua nuova comunità, “Leisureland” (dove è rimasto solo, visto che la moglie all’ultimo minuto ha pensato bene di svignarsela), incrocia uno strambo slavo e soprattutto una rifugiata vietnamita, passata attraverso infelici esperienze, che gli insegnano come anche lì il mondo è pieno di inganni e diviso in più o meno fortunati, in poveracci raccolti in quartieri poveri e malfamati. Durata 135 minuti. Massaua, Ideal, Reposi, Romano sala 1, The Space, Uci)

 

Ella & John – The Leisure Seeker – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Donald Sutherland e Helen Mirren. Tratto dal romanzo americano di Michael Zadoorian, con alcune varianti apportate dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista in compagnia di Francesco Piccolo, Francesca Archibugi e Stephen Amidon (a lui già Virzì si rivolse per “Il capitale umano”), è la storia della coppia del titolo, svanito e smemorato ma forte John, fragile ma lucidissima Ella, è il racconto del loro viaggio, dai grattacieli di Boston ai climi di Key West, lungo la Old Route 1, anche per rivisitare con la (poca e povera) memoria il vecchio Hemingway – John è stato un professore di letteratura di successo che ha coltivato con passione lo scrittore del “Vecchio e il mare” -, un viaggio che ha la forma di una conclusiva ribellione ad una famiglia e soprattutto a un destino che ha riservato per lei il cancro all’ultimo stadio e a lui l’abisso dell’Alzheimer. Momenti di felicità e anche di paura in un’America che sembrano non riconoscere più, una storia attuale e un tuffo nella nostalgia (quella che guarda agli anni Settanta), a bordo del loro vecchio camper, mentre corpo e mente se ne vanno. Un’occasione, per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, regalando rivelazioni fino all’ultimo istante. Durata 112 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Blu, F.lli Marx sala Groucho, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Ferdinand – Animazione. Regia di Carlos Saldahna. Non ha mai avuto vita facile il libro dell’americano Munro Leaf da cui oggi nasce questo cartoon di Saldahna (già premiato autore di “Rio” e dell’”Era glaciale”), libro del ’36 su cui franchisti prima e nazisti poi non poco s’accanirono (era, inevitabilmente, nell’animo di Gandhi). La vicenda del toro decisamente pacifista diverte oggi bambini e anche adulti dal cuore pronto a rilassarsi, pronti a simpatizzare con un animale che è destinato a combattere nell’arena ma che al contrario preferisce circondarsi di fiori, fugge da chi gli impone quelle regole, stringe amicizia con una piccola animalista. Lieto fine che s’impone, al fianco del “pericolosissimo” toro altri simpatici personaggi, tra cui da non lasciarsi sfuggire la capra Lupe. Durata106 minuti. (Uci)

 

Insidious – L’ultima chiave – Horror. Regia di Adam Robitel, con Kirk Acevedo e Lin Shaye. Il regista continua il proprio viaggio nella paura, con porte cigolanti o che sbattono all’improvviso, occhi sgranati e biancastri, abiti che ballano, vocine tremolanti e piene di terrore, demoni terribili, legami indissolubili tra qui e l’Altrove. Elisa ha il potere di richiamare i morti, per questo viene convocata nel New Mexico da una famiglia che abita la casa che l’ha vista bambina. Reincontrerà tutti i fantasmi del suo passato e proverà a sconfiggerli. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Gli invisibili – Drammatico. Regia di Claus Räfle, con Aaron Altaras, Alice Dwyer e Max Mauff. Il film segue il destino di quattro degli oltre 7000 ebrei che nel giugno 1943 “scomparvero” nella città di Berlino, nella speranza di sfuggire ai campi di concentramento nazisti. Quattro ragazzi, chi s’impegna politicamente, chi si rifugia in una sala cinematografica, chi fabbricherà passaporti utili a sé e agli altri, chi si nasconde con estremo coraggio e spregio nella casa di un alto ufficiale. Durata 110 minuti. (Centrale, Greenwich sala 3)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Made in Italy – Commedia. Regia di Luciano Ligabue, con Stefano Accorsi, Kasia Smutniak e Filippo Dini. L’autore di “Radiofreccia” guarda al nostro paese tra malinconia rabbia e qualche speranza con il ritratto di Riko, fortunato per quel lavoro che possiede ma che gli consente con fatica di mantenere la propria famiglia. Una moglie e un figlio e un gruppo di amici che all’occorrenza lo aiutano: ma qualcosa s’inceppa e se Riko vorrà sottrarsi ad altre sconfitte dovrà necessariamente condurre la propria vita in maniera diversa. Durata 104 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Morto Stalin se ne fa un altro – Commedia. Regia di Armando Iannucci, con Steve Buscemi, Micael Palin, Olga Kurylenko, Simon Russel Beale. Scozzese di nascita ma napoletanissimo per origini paterne, Iannucci ci ha dato una delle opere più godibili degli ultimi anni, ricca di effetti sulfurei, di una sceneggiatura che supera con facilità la risata fine a se stessa per immergersi nella satira più corrosiva, per graffiare e far sanguinare un mondo ben sistemato sugli altari. Il vecchio castiga ridendo mores, in folclore politico. Ovvero la morte del baffuto Stalin, che ha appena impartito l’ordine che gli sia recapitata la registrazione di un concerto che però registrato non lo è stato. Orchestra, pubblico e pianista dissidente, tutti di nuovo al loro posto. Ma le preoccupazioni sono e saranno ben altre: quella sera stessa, era il 28 febbraio 1953, il dittatore è colpito da un ictus e le varie epurazioni delle vette sanitarie in odore di tradimento fanno sì che le cure non possano arrivare che in ritardo e infruttuose. Cinque giorni dopo, passato lui a miglior vita, può così cominciare l’arrembaggio alla poltrona tanto ambita da quanti tra i collaboratori l’hanno vistosamente sostenuto o tacitamente avversato, a cominciare da un atterrito Malenkov chiamato da un ridicolo Consiglio a reggere le sorti dei popoli. Senza dimenticare, tra il tragico e il ridicolo, le mosse dei tanti Mikoyan, Zukov, Bulganin, Molotov e Berija in atteggiamenti da vero macellaio sino a Nikita Kruscev (un impareggiabile Steve Buscemi, ma ogni personaggio si ritaglia un momento di gloria), astutissimo nel saper raccogliere le tante intenzioni, lotte, sospetti, accuse, sparizioni dei propri colleghi, e capace di afferrare il primo posto. Tutto questo sullo schermo, applaudito al recente TFF, risate e sberleffi come non mai: apprezzato, ma allo stesso temo ti chiedi quanto sia stato giusto cancellare la vena tragica di quelle giornate. E del poi. Durata 106 minuti. (Centrale, anche in V.O.)

 

Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Romano sala 3)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è già visto per il ruolo assegnare un Globe, sta sopravanzando sugli altri papabili per quanto riguarda gli Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: gorse un altro Oscar assicurato. Durata 125 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Harpo anche V.O., Lux sala 2, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Poesia senza fine – Biografico. Regia di Alejandro Jodorowsky. A Santiago del Cile, all’inizio degli anni Cinquanta, l’autore della “Montagna incantata”, ventenne, coltiva il desiderio di diventare poeta in opposizione al padre che per lui sogna un futuro di medico. Fermo sulle proprie decisioni, abbandona la famiglia, si rifugia in una comune di improbabili artisti e inizia il viaggio della sua vita. Durata 100 minuti. (Classico)

 

La ruota delle meraviglie – Drammatico. Regia di Woody Allen, con Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi e Juno Temple. Inizio anni ’50, pieni di colore nella fotografia di Vittorio Storaro o rivisti in quelli ramati di un tramonto, un affollato parco dei divertimenti a Coney Island, quattro destini che s’incrociano tra grandi sogni, molta noia, paure e piccole speranze senza sbocco. Ginny è una ex attrice che oggi serve ai tavoli, emotivamente instabile, madre di un ragazzino malato di piromania, frequentatore di assurde psicologhe; Humpty è il rozzo marito, giostraio e pescatore con un gruppo di amici, che ha bevuto e che ancora beve troppo, Carolina è la figlia di lui, rampolla di prime nozze, un rapporto interrotto da cinque anni, dopo la fuga di lei con un piccolo ma quantomai sbrigativo gangster che adesso ha mandato due scagnozzi a cercarla per farla stare zitta, ogni mezzo è buono. Rapporto interrotto ma la casa di papà è sempre quella più sicura. E poi c’è il giovane sognatore, Mickey, che arrotonda facendo il bagnino e segue un corso di drammaturgia, mentre stravede per O’Neill e Tennessee Williams, artefice di ogni situazione, pronto a distribuire le carte, facendo innamorare l’ultima Bovary di provincia e poi posando gli occhi sulla ragazza. Forse Allen costruisce ancora una volta e aggroviglia a piacere una storia che è il riverbero di ogni mélo degli autori anche a lui cari, impone una recitazione tutta sopra le righe, enfatizza e finge, pecca come troppe volte nel suo mestiere di regista, non incanta lo spettatore. La (sua) vittima maggiore, che più risente del debole successo è la Winslet di “Titanic”, che pur nella sua nevrotica bravura non riesce (o non può, obbediente alla strada tracciata dall’autore) a calarsi appieno nel personaggio, come in anni recenti aveva fatto la Blanchett in “Blue Jasmine”. Durata 101 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Da parte di molti “Tre manifesti” è già stato giudicato come il miglior film dell’anno, i quattro recenti Golden Globe spianano la strada verso gli Oscar. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Rosso, Greenwich sala 1, Uci)

 

Un sacchetto di biglie – Drammatico. Regia di Christian Duguay, con Dorian Le Clech, Batyste Fleurial e Christian Clavier. Joseph e Maurice hanno rispettivamente dieci e dodici anni, la loro famiglia è ebrea, abitano a Parigi. Quando la pressione delle persecuzioni diventa insostenibile, i genitori decidono di mandarli al sud, nella Francia libera, perché raggiungano i fratelli. Non è soltanto un viaggio attraverso il paese occupato, è anche un percorso per una crescita interiore. Incontri, difficoltà di ogni genere, sorprese inaspettate, il quotidiano aiuto reciproco per sfuggire alle truppe di occupazione, l’ingegno e il coraggio per sfuggire al nemico e ricongiungersi con la famiglia. Durata 110 minuti. (Greenwich sala 3, The Space, Uci)

 

L’uomo sul treno – Azione. Regia di Jaume Collet-Serra, con Liam Neeson, Vera Farmiga e Dean-Charles Chapman. Sul treno di pendolari che prende regolarmente da dieci anni, l’assicuratore Mc Cauley è avvicinato da una bella donna, una psicologa, che gli promette una bella quantità di soldi se lui vorrà fare con lei un gioco: su quel treno viaggia un tale che non ha proprio le caratteristiche di un normale pendolare, a lui scoprire di chi si tratta. Come nelle storie del maestro Hitchcock, l’uomo entrerà negli ingranaggi di un gioco più grande di lui, se volesse sottrarsene ne andrebbe della sua famiglia. Durata 105 minuti. (Massaua, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Il vegetale – Commedia. Regia di Gennaro Nunziante, con Fabio Rovazzi, Luca Zingaretti e Ninni Bruschetta. Fabio è laureato in scienze della comunicazione e all’improvviso si ritrova a gestire la società paterna, cresciuta a suon di malaffare. Lui è forte della propria onestà, lascia Milano e se ne va al sud, in cerca d’aria nuova: finirà a raccogliere frutta agli ordini di un caporale di colore, unico bianco in mezzo a cento immigrati. Dovrà tenere a bada una sorellina pestifera che per lui non ha nessuna considerazione, ma in compenso troverà anche una maestrina dal cuore tenero. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Uno sguardo su Cechov nostro contemporaneo

Simon Stone è un giovane regista trentatreenne, nato a Basilea e vissuto tra Cambridge e l’Australia, ha allestito l’ibseniano John Gabriel Borkman ricevendone onori ed è stato eletto miglior regista per il 2016 dalla rivista “Theater heute”, idolo ancora con Ibsen all’ultimo Avignone, oggi sta saggiando Strindberg, ieri ha intrapreso la strada del cinema e qualcuno sussurra di un film con Nicole Kidman ma nulla di certo. Credo che in questi giorni sul palcoscenico del Carignano ci stia regalando un capolavoro. Con Les trois soeurs, prodotto ammirevolmente dallo Stabile torinese e dal parigino Teatro Odéon (in lingua francese con soprattitoli), con l’universo cechoviano che si dilata sulle infelicità e sui sogni abbattuti di Irina, di Olga e di Macha, sui loro fallimenti e il desiderio di fuga (“La vita è altrove”, ha scritto Milan Kundera), una re-invenzione purissima, una re-scrittura nell’oggi che ti appassiona, che ti può inizialmente disturbare perché ti sei accomodato in poltrona nella piena fiducia del rispetto del testo originale ma che di lì ad una manciata di attimi ti cattura. E non può non essere così. “Tutte le sue opere si svolgono nel tempo presente: il presente non finisce mai. Se fosse vivo, sicuramente Cechov vorrebbe che i suoi drammi fossero ambientati nel presente”, ne è sicuro il regista. Quello che fino a ieri era classico, diventa umanamente nostro, attuale, ripensato nella nostra contemporaneità, lungo i nostri giorni. Dimenticate ogni precedente edizione, scordatevi l’obbligatoria atmosfera legata alla noia di vivere (o al mestiere) e ai silenzi e preparatevi a vedere altro. Eliminate quelle certezze che vi può suggerire quel “da Anton Cechov” posto in locandina, è un inganno. Il senso di Stone per l’autore sta in quell’ansia voyeuristica che condividerà con lo spettatore, con quello sguardo fissato dentro la casa vetrata delle tre ragazze, un luminoso parallelepipedo – pressoché perennemente e simbolicamente ruotante – a due piani fatto di cucina soggiorno bagno doccia camera pianoforte sedie tavoli libri letti (la scena è firmata da Lizzie Clachan, eccezionale), sta in quel desiderio di catturare temi, appunti, sprazzi esplicativi per virarli e immergerli nel nostro presente. Nel rincorrersi di arrivi e di presenze maschili e femminili, degli amici che ruotano attorno alle protagoniste, del fratello che vede morire un’unione e la certezza di paternità, degli amori sperati ma che non possono vedere un domani, dei compleanni che non sono più una festa e i fuochi d’artificio che si spengono subito, del sesso consumato in fretta o vagheggiato, dei legami etero e omo, delle troppe parole, delle chiacchiere e delle urla, delle confessioni e dei rimpianti, dei sogni concentrati sul futuro, si inseriscono Instagram e facebook, Donald Trump e i rifugiati, si parla di ex sessantottini e di progetti svaniti, di qualcuno che ha abbracciato la dieta vegana. Si mescolano grandi discorsi, tra filosofia e politica, in una stanza mentre in quella accanto si rovesciano banalità, si confondono droga e ricerca della felicità, non si sogna più di andare a Mosca, oggi la meta è New York, magari San Francisco, un tempo poteva andar bene Berlino, per un weekend, Irina quella scelta l’ha già abbandonata anni prima. Si beve birra insieme, qualcuno coca-cola, qualcuno esce in giardino a preparare il barbecue, tutti abbondano giustamente di parolacce e di situazioni esplicite. La disperazione da sempre non lascia spazio all’arrivo di un sorriso. Mentre i riti seguono ai riti, sotto una nevicata la casa è venduta, gli arredi vanno liberati, pezzo dopo pezzo, si ricrea fisicamente il vuoto di sempre, qualcuno nel disordine di abbandoni e di ultime parole si chiude in bagno e si spara un colpo in testa. Nella grande casa si spegne ogni luce. È il mondo fatto di nulla di Cechov, trasportato nel nostro mondo fatto di nulla. La vendita ti riporta al Giardino, qualcuno che rischia di esser dimenticato dentro al vecchio servo Firs, lo sparo a quello di Kostia nel Gabbiano. È sempre il mondo di Cechov. Cui undici interpreti da capogiro prestano incredibile adesione, per chi scrive solo dei nomi e me ne scuso (segnatevi per tutti Amira Casar, da oggi sugli schermi nel film di Luca Guadagnino), immedesimati come raramente capita di vedere e ascoltare su di un palcoscenico con i propri personaggi, in una recitazione che non è più tale ma diventa immediatamente vita. Lo spettacolo è ancora a Torino oggi (alle 19,30) e domani (alle 20,45): un consiglio per chi ama le imperdibili occasioni teatrali, cercatevi un biglietto e correte a vederlo. E davvero a caricarlo d’applausi, come ho sentito alla seconda replica. Interminabili.

 

Elio Rabbione