CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 638

Ecco il paradosso di Emilio Salgari

I suoi romanzi hanno ottenuto un eccezionale riscontro popolare, soprattutto presso gli adolescenti, ma sono stati scarsamente apprezzati dalla critica letteraria

 Ecco il paradosso di Emilio Salgàri. Amato da generazioni di ragazzi almeno fino agli anni Settanta del Novecento – l’ultima cresciuta con il celeberrimo Sandokan televisivo -, spacciatore di fantasie esotiche da sfogliare sotto le coperte durante le notti insonni, eppure così poco considerato dai contemporanei. Mentre De Amicis e Carducci unificano i gusti letterari dell’Italia risorgimentale, sostenendo gli indirizzi autoritari e nazionalistici del Regno sabaudo, Salgàri compone romanzetti d’appendice per un quotidiano di Verona. Salgariello, come lo appellano ironicamente i concittadini, manifesta ambizioni probabilmente superiori alle proprie capacità e comunque bellamente ignorate dai circoli letterari. E lui che fa? Deluso e frustrato dalla mancanza di attenzione, si cuce addosso una biografia fittizia: ha abbandonato gli studi al Regio Istituto Tecnico e Nautico di Venezia, ma millanta d’essere capitano di lungo corso e di aver viaggiato per i sette mari. Si rifugia furtivamente nelle sale silenziose delle biblioteche, all’ombroso riparo di atlanti e mappe, inventandosi paesi lontani, giungle impenetrabili, belve in agguato ed acque infestate da pirati di cui si fa prigioniero a vita. Compone un libro dopo l’altro, lavorando instancabilmente ogni notte, in preda a una febbrile follia: finita una storia si catapulta in quella successiva, avido lui stesso di scorribande corsare in cui calarsi con il kriss tra i denti, covando riscosse impossibili.

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Che Salgàri fosse un gran dissipatore di fama e fortune, braccato a vista dai creditori, corrisponde più a leggenda che a verità. Va bene: forse era un mitomane, certamente un visionario, un fabbricatore di menzogne, ma non è la narrativa a essere tutta una menzogna? Scrive – questa la verità – non tanto per mantenere la moglie malata e i quattro figli, quanto per domare la tigre della depressione che gli artiglia l’anima senza dare tregua. Quella stessa depressione che gli ha già portato via il padre e di cui saranno vittime i figli Romero e Omar. È la fatica creativa a consumarlo come una candela nell’alloggio torinese di Corso Casale 205 in cui si è trasferito nel 1900. Quattro libri l’anno, impone il contratto-capestro sottoscritto con l’editore Speirani. Alla fine della sua esistenza lascerà una produzione impressionante, oltre duecento opere tra romanzi e racconti, di cui molti scritti sotto pseudonimo. Ogni giorno prende il tram e si reca alla biblioteca civica centrale per documentarsi con maniacale accuratezza. “Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere”, scrive ad un amico nel 1909. Si lamenta con Speirani d’essere osteggiato, rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore, oppresso da sentimenti di autosvalutazione. Il suo umore influenza le interazioni con il resto del mondo, soprattutto quello letterario, da cui non si sente riconosciuto. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.

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La storia triste di Emilio Salgàri finisce la mattina del 25 aprile 1911, immagino piovosa come nelle foreste di Mompracem. Possiamo seguire letteralmente i suoi passi come lui avrebbe fatto raccontando di Yanez o Tremal-Naik. Esce di casa, percorre Corso Casale sino alla chiesa della Madonna del Pilone. Oltrepassata la trattoria del Muletto piega a sinistra e comincia a salire per i prati verdeggianti del precollina, dove oggi si trovano Via Lomellina e Via Odoardo Tabacchi. Costeggia alcuni villini isolati in Strada del Lauro, quindi si inerpica per il bosco di Val San Martino. Lo ritroverà per caso una lavandaia in un burroncello: ha ancora in mano il rasoio con cui si è scannato come uno dei suoi eroi malesi, lo sguardo rivolto al sole nascente. “Vi saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma, sfortunatamente, neppure quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore che egli aveva sperato; tutta l’attenzione del mondo accademico è rivolta ai preparativi per l’imminente celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Al funerale che si svolge nel Parco del Valentino partecipano un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, è il più bel commiato che uno scrittore possa meritare.

 

(Sulla vita di Emilio Salgàri consiglio il romanzo di Ernesto Ferrero Disegnare il vento – L’ultimo viaggio del capitano Salgàri, Einaudi, 2011.)

 

Paolo Maria Iraldi

 

I beni culturali sulla piattaforma Mèmora

Nasce oggi Mèmora, la nuova piattaforma open source per catalogare e valorizzare i beni culturali piemontesi. Uno strumento innovativo, facile da usare, per descrivere e rendere disponibile sul web il grande patrimonio custodito nei musei, negli archivi e negli istituti culturali del nostro territorio. Mèmora è un prodotto della Regione Piemonte ed è stato illustrato oggi agli operatori del settore intervenuti numerosi alla presentazione ufficiale del progetto, risultato di un lungo lavoro avviato in collaborazione con la Compagnia di San Paolo e il Polo del ‘900. Realizzato dal CSI Piemonte, questo nuovo strumento digitale raccoglie e rende disponibili in un unico applicativo migliaia di documenti, fotografie, manifesti, video di centinaia di enti. Un ecosistema condiviso a livello regionale che a oggi conta 70.000 oggetti digitali, 500.000 schede descrittive di beni artistici e 500 inventari di archivi storici: un patrimonio destinato a crescere, giorno per giorno, per metterne in luce quantità, qualità e varietà. Mèmora infatti gestisce attraverso un’unica interfaccia web beni culturali di tipologie diverse, integrando i molteplici software fino a ieri utilizzati e superando così la divisione tra beni archivistici e beni museali, in favore di una visione complessiva del patrimonio, garantendone la conservazione e la fruibilità nel tempo. Quello che presentiamo oggi è un risultato importante, frutto di un intenso lavoro che ha coinvolto il nostro assessorato con la fondamentale collaborazione del CSI – dichiara Antonella Parigi, assessore alla  Cultura e al Turismo della Regione Piemonte – Ma è anche un punto di partenza per questa nuova piattaforma, Mèmora, che potrà essere non solo a disposizione degli operatori ma anche uno strumento utile per le politiche regionali tanto in ambito culturale quanto turistico e un mezzo efficace di conoscenza e valorizzazione del nostro patrimonio culturale aperto a studenti, professionisti e cittadini“. Dal punto di vista tecnico Mèmora si basa sul software open source CollectiveAccess, utilizzato da musei, archivi e biblioteche in tutto il mondo e, anche grazie alla community internazionale che lavora attorno al software, sono garantiti alti standard tecnici, aggiornamenti continui, facilità di personalizzazione e interoperabilità. La piattaforma nei mesi scorsi è stata testata anche da 27 professionisti dei principali istituti culturali e musei del territorio piemontese con l’obiettivo di raccogliere feedback e suggerimenti dagli addetti ai lavori e apportare eventuali modifiche o miglioramenti. Siamo particolarmente lieti – sottolinea Claudio Artusi, Presidente del CSI Piemonte – di ospitare oggi presso la nostra sede questa presentazione, perché rappresenta un momento importante nel lavoro che da anni realizziamo insieme alla Regione Piemonte per i beni culturali piemontesi. Vent’anni sono passati dalla nascita del primo sistema informativo regionale sviluppato dal CSI per la catalogazione del patrimonio culturale: il software Guarini, con cui a con cui a partire dal 1994 furono avviate le catalogazioni di opere d’arte ed edifici architettonici. Quello che presentiamo oggi è un progetto collettivo destinato alla comunità professionale, agli istituti culturali e ai cittadini, per una valorizzazione moderna del patrimonio artistico e culturale della nostra regione”.

www.memora.piemonte.it, un unico punto di accesso on line per mettere in luce la ricchezza e la varietà del patrimonio culturale piemontese e offrire a tutti nuove occasioni di conoscenza.

“El Cristo Ciego”

TorinoFilmLab presenta la proiezione del film  di Christopher Murray

 
Mercoledì 18 aprile il TorinoFilmLab presenterà per la prima volta al pubblico torinese EL CRISTO CIEGO di Christopher Murray (Cile/Francia 2016, 85’) in versione originale con sottotitoli in italiano. L’appuntamento è alle ore 21, nella Sala Tre del Cinema Massimo di via Verdi 18.
 
TorinoFilmLab & Cinema Massimo
In collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, questo film inaugura un nuovo ciclo di incontri mensili chiamato “TorinoFilmLab presenta…”, grazie al quale sarà possibile vedere i film sviluppati e prodotti proprio all’interno del TorinoFilmLab, che hanno viaggiato nei più importanti festival internazionali.
Il TorinoFilmLab è un laboratorio internazionale volto al sostegno di giovani talenti emergenti attraverso attività di training, sviluppo, finanziamento e distribuzione di lungometraggi e serie tv. Ogni anno attira a Torino filmmaker di tutto il mondo durante il TFL Meeting Event – che si svolge in contemporanea al Torino Film Festival – per supportarli nella presentazione dei loro progetti di opere prime e seconde a più di 300 professionisti. Finora, il TorinoFilmLab ha contribuito alla produzione di 84 film, molti dei quali sono già stati proiettati all’interno della sezione “TFL” del Torino Film Festival.
 
EL CRISTO CIEGO, opera seconda del cileno Christopher Murray, è stato sviluppato all’interno del programma Script&Pitch 2012 e ha debuttato alla Mostra del Cinema Venezia 2016. Il TFL ha accompagnato il progetto dalla fase di ideazione alla prima stesura della sceneggiatura, fino alla presentazione durante il TFL Meeting Event, il mercato di coproduzione che si tiene ogni novembre a Torino e che riunisce più di 300 professionisti da tutto il mondo per assistere ai pitch dei partecipanti.
 
Trama
Michael, da bambino, si è fatto inchiodare le mani a un albero dal suo più caro amico; poi, dolorante ma fiducioso, nei pressi di un fuoco ha ricevuto una rivelazione. Da allora parla da profeta al suo paese, che gli risponde prendendolo in giro. Quando viene a sapere che l’amico di un tempo ha subito un grave incidente, decide che lo guarirà con il miracolo dell’imposizione delle mani e attraversa il deserto a piedi scalzi per raggiungerlo. 

I”Lombardi” al Regio dopo quasi un secolo

In scena da martedì 17 aprile alle 20, al teatro Regio di Torino, l’importante lavoro giovanile di Giuseppe Verdi “I lombardi alla prima crociata”, nel nuovo allestimento in coproduzione con l’Opera Royal de Wallonie-Liege, con il contributo di Reale Mutua. Sul podio dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio Michele Mariotti, esperto interprete del repertorio del belcanto, molto apprezzato dal pubblico del teatro torinese, dove ha diretto importanti lavori di Bellini e Schubert. La regia di questa opera verdiana è firmata da Stefano Mazzonis di Pralafrera. Si tratta di una regia molto rispettosa del dettato verdiano, ben strutturata, contraddistinta da scene semplici e lineari, capaci di concentrare l’attenzione sulla drammaturgia del primo Verdi. Arvino è interpretato da Giuseppe Gipali, baritono dal temperamento straordinario, Alex Esposito, basso baritono tra i più interessanti della sua generazione, vestira’ i panni di Pagano. Il soprano Lavinia Bini interpreta Viclida, mentre il ruolo di Giselda è affidato alla soprano Angela Meade, artista dalla carriera internazionale. Il tenore Francesco Meli interpreta il personaggio di Oronte. Il titolo mancava dal teatro Regio da quasi un secolo. “I lombardi alla prima crociata” rappresenta la quarta opera composta da Verdi, su libretto di Temistocle Solera. Debuttò al teatro alla Scala di Milano nel 1843, ripetendo il successo clamoroso riscosso dal Nabucco l’anno precedente. L’opera, suddivisa in quattro atti, ognuno con un titolo, narra le vicende intricate e complesse di due fratelli, Arvino e Pagano, mossi da un profondo odio reciproco, ma alla fine capaci di rappacificarsi. L’opera vuole in realtà essere la metafora della patria lontana, dell’acceso fervore religioso e dei profondi ideali di comunione e fratellanza, che dovrebbero essere alla base di ogni popolo. I lombardi è opera di difficile e rara rappresentazione. In un certo senso si può considerare un’opera di confine, in quanto quella successiva, l’Ernani, non parlerà più in termini rassicuranti ed edificanti dei grandi temi della storia o del mito, ma sarà il primo di una lunga serie di racconti maledetti popolati di banditi, masnadieri, libertini, gobbi e donne di malaffare, verso cui si orientera’ l’opera verdiana. Nei Lombardi Verdi e’ riuscito a rendere con un’eccezionale grandiosità il sentimento religioso e la scrittura per quest’opera arriva sull’onda del successo ottenuto dal Nabucco. Verdi inizia qui a manifestare la sua consonanza con il sentire di un Risorgimento sempre più dilagante e proprio in quest’opera nacquero i problemi con la censura e le accuse che gli furono mosse di essere considerato troppo “strettamente religioso”. Soltanto per la preghiera alla Vergine affidata a Giselda egli accettò di cambiarne il titolo in “Salve Maria”. L’uso di organici militari ed il ritmo giambico trionfante, in accordo con l’eroicita’ del soggetto, costituiscono peraltro una costante del linguaggio verdiano giovanile. l massimo ne I lombardi la maggior debolezza può essere ricercata nella grandiosità del racconto di origine, un poema epico coevo a Verdi, composto da Tommaso Grossi, che costrinse il librettista Solera a drastiche riduzioni e contrazioni narrative. Tuttavia I lombardi anticipano già riferimenti tecnici che si troveranno nelle realizzazioni drammatiche della maturità verdiana, quali gli inattesi scambi di identità, il contrasto tra amore e dovere, ed il dualismo della maledizione e del perdono.

 

Mara Martellotta

I finalisti del “Bottari Lattes Grinzane”

Yu Hua (Cina) con “Il settimo giorno” (Feltrinelli), Andreï Makine (Russia) con “L’arcipelago della nuova vita” (La nave di Teseo), Michele Mari con “Leggenda privata” (Einaudi), Viet Thanh Nguyen(Vietnam) con “I rifugiati” (Neri Pozza) e Madeleine Thien (Canada) con “Non dite che non abbiamo niente” (66thand2nd): sono loro i cinque finalisti del “Premio Bottari Lattes Grinzane VIII edizione” per la sezione “Il Germoglio”, il riconoscimento internazionale che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri, dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno. “La proposta di quest’anno è stata un autentico giro del mondo – ha commentato la Giuria Tecnica del Premio – con un’attenzione particolare, tranne un’importante eccezione italiana, alle aree lontane, dalla Siberia alla Cina al Sud-Est Asiatico, con un contrastato e sfaccettato rapporto tra natura e civiltà. Tante le prospettive stranianti – una città di fantasmi, il limbo che ospita chi è morto da poco –, che fanno emergere le contraddizioni, le assurdità, le miserie della vita a cui siamo assuefatti”. La cerimonia di designazione del Premio, organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes, si è tenuta sabato scorso 14 aprile  a Cuneo, nella sede della Fondazione CRC, Ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017-2019, e annunciata dalla Giuria Tecnica presieduta dal linguista, critico letterario e saggista Gian Luigi Beccaria.   Ora la parola passerà ai giovani. Tra aprile e giugno, i cinque libri saranno letti e discussi dai 400 studenti delle  25 Giurie Scolastiche, delle quali ventiquattro sono state scelte in modo da coprire tutto il territorio nazionale: quattro in Piemonte e una per ciascuna delle altre regioni d’Italia. A queste si aggiunge la giuria di Atene, presso la ”Scuola Italiana Statale”. Sabato 20 ottobre, presso il Castello di Grinzane Cavour, gli studenti esprimeranno in diretta il loro voto per proclamare il vincitore. Gli scrittori in gara terranno inoltre un incontro con gli studenti delle scuole del territorio cuneese. I cinque finalisti riceveranno un premio in denaro di 2.500 euro ciascuno. Al vincitore andrà un ulteriore premio di 2.500 euro. Negli anni precedenti i vincitori sono stati: Laurent Mauvignier (Francia) nel 2017; Joachim Meyerhoff (Austria) nel 2016; Morten Brask (Danimarca) nel 2015; Andrew Sean Greer (USA) nel 2014; Melania Mazzucco nel 2013; Romana Petri nel 2012; Colum McCann (Irlanda) nel 2011.  L’altra sezione del “Premio Bottari Lattes Grinzane” è ”La Quercia”, dedicata a Mario Lattes (editore, pittore, scrittore, scomparso nel 2001): segnala un autore internazionale che, nel corso del tempo, si sia dimostrato meritevole di un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Il vincitore sarà scelto a insindacabile giudizio della Giuria Tecnica. Venerdì 19 ottobre, giorno precedente la cerimonia di premiazione, l’autore terrà una lectio magistralis su un tema letterario a propria scelta. Le precedenti edizioni della Quercia sono state vinte da: Ian McEwan (2017), Amos Oz (2016), Javier Marías (2015), Martin Amis (2014), Alberto Arbasino (2013), Patrick Modiano (2012), Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011). Il vincitore della sezione “La Quercia” otterrà un premio di 10.000 euro. Il presidente della Fondazione Bottari Lattes, Adolfo Ivaldi, ha anche annunciato le nuove iniziative collaterali al Premio. Sensibili alle tematiche della cultura della legalità e alla necessità di coinvolgere i più giovani sui temi dell’impegno sociale contro le mafie, la Fondazione Bottari Lattes e la Fondazione CRC organizzano venerdì 18 maggio al quartiere Scampia a Napoli (presso l’Istituto Alberghiero “Vittorio Veneto”) un reading-incontro tratto dal libro di Caterina Chinnici “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori, 2013), con la partecipazione dell’autrice, figlia di Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia che diede una svolta decisiva nella lotta alla mafia, assassinato da Cosa Nostra trentacinque anni fa. L’incontro sarà moderato dal libraio Rosario Esposito La Rossa e vedrà la presenza degli attori Cristiana Dell’Anna e Paolo Giangrasso che nella fiction tratta dal libro e andata in onda su RaiUno hanno interpretato rispettivamente Caterina Chinnici e Giovanni Falcone.

g.m.

 

Info al pubblico: 0173.789282 -WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes

Torino che legge, dal centro alle periferie

Più di 300 iniziative che coinvolgeranno 78 scuole e laboratori – 31 biblioteche – 27 librerie 73 tra associazioni, musei, enti e luoghi vari Per celebrare la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore istituita dall’UNESCO, dal 16 al 23 aprile torna Torino che legge, la settimana della lettura, con reading, incontri con l’autore, conferenze, musica, cinema, teatro, spettacoli e iniziative rivolti a grandi e piccini. Giunta alla quarta edizione, la manifestazione coinvolgerà l’intera città, dal centro alle periferie, con oltre 300 appuntamenti in spazi pubblici e privati: biblioteche, librerie, scuole, musei, teatri, cinema, case del quartiere, enti, associazioni e fondazioni, circoli, piazze, corsi, giardini e tram storico. Torino che legge 2018 è organizzata dalla Città di Torino con le sue Biblioteche civiche e dal Forum del Libro, in collaborazione con le Circoscrizioni, la Fondazione per la Cultura Torino, partner Intesa Sanpaolo per il Progetto Tutta mia la città e con il contributo di Fondazione CRT. La manifestazione – che con una locandina dedicata sostiene una campagna annuale di promozione della lettura a favore di biblioteche e librerie – coinvolgerà una rete ampia di soggetti pubblici e privati, fra cui il Salone Internazionale del libro di Torino, il Circolo dei Lettori, la Scuola Holden, TorinoReteLibri, il Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia: un grande laboratorio cittadino sulla lettura che pone in evidenza la forza della filiera del libro e la sua azione sinergica e ampia, leva fondamentale per promuovere e rafforzare una collaborazione continuativa fra i diversi soggetti ed enti culturali cittadini. “Alla sua quarta edizione Torino che legge è un appuntamento ormai consolidato che porta la lettura in tutta la città – afferma Francesca Leon, assessora alla cultura del Comune di Torino -. Si tratta di una preziosa occasione per valorizzare la vivacità e il fermento del tessuto culturale cittadino – continua l’assessora –. Torino che Legge nasce dall’esperienza maturata negli anni sul territorio grazie al lavoro capillare svolto quotidianamente dalla rete delle biblioteche civiche, dalle librerie, dalle scuole, dalle case del quartiere e dai numerosi centri culturali che operano con competenza e dedizione in questo settore. Iniziative come queste fanno del nostro capoluogo uno dei poli all’avanguardia nella promozione alla lettura”.

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Numerosi saranno gli ospiti in città durante la settimana letteraria, fra tutti ricordiamo: Gianrico Carofiglio, Giuseppe Culicchia, Sandra Petrignani, Margherita Oggero, Bruno Gambarotta, Maurizio De Giovanni, Enrico Pandiani, Tiziano Scarpa, Marco Balzano, Paolo Di Paolo, Enrico Remmert, Martino Lo Cascio, Giusi Marchetta, Marcello Simoni, Laura Pariani, Andrej Longo, Guido Quarzo, Sofia Gallo, Giua e Pier Mario Giovannone.

Il messale Rosselli, capolavoro in mostra

Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria

 

Lunedì 16 aprile 2018 ore 19,30

Biblioteca Nazionale Universitaria

Auditorium Antonio Vivaldi − Piazza Carlo Alberto 5/A

 

Il Messale Rosselli, prezioso codice appartenente al fondo storico delle collezioni della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, rappresenta uno dei capolavori della miniatura avignonese della seconda metà del Trecento. L’evento si propone di illustrare gli esiti del restauro, degli studi e dell’approfondita indagine scientifica a cui di recente il manoscritto è stato sottoposto. Il significativo intervento conservativo e di indagine sul codice, effettuato presso il Laboratorio di Restauro della Biblioteca a cura del restauratore Valerio Capra del Laboratorio di restauro del libro dell’Abbazia S.S. Pietro e Andrea di Novalesa (TO), è stato programmato nell’ambito di un progetto interdisciplinare svolto in collaborazione tra Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Studi Storici, Abbazia della Novalesa, Sacra di San Michele, Studio Vellum e Associazione Amici Biblioteca Nazionale Universitaria Onlus Torino. La presenza di competenze di più settori scientifici e di più discipline di studio ha permesso di esaminare il codice nel suo complesso materico e di contenuto, con importanti esiti delle ricerche sia tecnico-scientifiche sia storico-artistiche sia paleografiche e liturgiche. Il restauro è stato sostenuto completamente dal Rotary Club Torino Castello.

 

Interverranno:

Saluti istituzionali: Guglielmo Bartoletti (direttore BNUTO), Franco Cravarezza, (presidente ABNUT) e Fabio Ferrarese (presidente Rotary Castello)

 

Franca Porticelli (Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino), Le fonti documentarie

Fabrizio Crivello (Università degli Studi di Torino), Il manoscritto e i primi studi

Valerio Capra (Laboratorio di restauro del libro di Novalesa), Supporto e costruzione

Maurizio Aceto (Università degli Studi del Piemonte Orientale), Alla ricerca dei materiali pittorici

 

L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.

Informazioni: eventi@abnut.it, tel. 011 8101161, sito www.abnut.it e www.bnto.librari.beniculturali.it

 

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I soci dell’associazione  Cromie potranno chiamare al 3382539740 in modo tale da  prenotare i posti. La mostra è allestita nell’Auditorium Vivaldi che può ospitare 100 persone circa.

“Scoprimasino”, i segreti di una dimora millenaria

Dopo il successo delle precedenti edizioni torna per il sesto anno al Castello e Parco di Masino, Bene del FAI – Fondo Ambiente Italiano a Caravino (TO), l’evento che permette ai visitatori di conoscere tutti i segreti della residenza millenaria svelando le stanze abitualmente chiuse al pubblico con un percorso tra locali solitamente inaccessibili, passaggi segreti, cantine e l’antica fortezza medievale

A partire dal 15 aprile, ogni domenica, dalle 10 alle 18, gli ospiti potranno provare l’emozione di poter percorrere i piccoli passaggi della servitù che un tempo erano animati dalle oltre 70 tote che accudivano la dimora, come testimonia nei suoi scritti Beatrice Niccolini, cugina del Conte Luigi Valperga che ha ceduto il castello al FAI. Il percorso si snoderà attraverso gli antichi cunicoli dell’imponente fortezza medievale provando l’emozione di percorrere le scale delle antiche torri circolari dove i gradini sconnessi e irregolari erano un’ulteriore difesa contro gli invasori e ammirare la parte “aziendale” della residenza attraverso le cantine e il grande torchio, anima pulsante della produzione vinicola della collina di Masino. Le visite sono guidate ed esclusive per piccoli gruppi al fine di poter avere un coinvolgimento intimo con la dimora storica, il percorso non è adatto a bambini e a soggetti con ridotta mobilità.Il Caffè Masino, con le sue panoramiche terrazze, sarà aperto per gli ospiti che vorranno gustare un pranzo o una pausa golosa con una scelta di piatti caldi e freddi, panini, torte, bibite e gelati.

Con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino, Comune di Caravino e Città d’Ivrea. Il calendario “Eventi nei beni del FAI 2018”, è reso possibile grazie al significativo sostegno di Ferrarelle, partner degli eventi istituzionali e acqua ufficiale del FAI, e al prezioso contributo di PIRELLI che conferma per il sesto anno consecutivo la sua storica vicinanza alla Fondazione. Si aggiunge quest’anno la prestigiosa presenza di Radio Monte Carlo in qualità di Media Partner.

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CASTELLO E PARCO DI MASINO, CARAVINO (TO)

Giorno e orario: tutte le domeniche da aprile a settembre 2018, dalle ore 10 alle 18

Ingresso: 8 € in aggiunta al costo dell’ingresso ordinario; 5 € Iscritti FAI e ragazzi

Per informazioni: Castello di Masino, Caravino (TO) tel. 0125.778100; faimasino@fondoambiente.it

Per maggiori informazioni sul FAI consultare il sito www.fondoambiente.it

I presagi a sud del Lago Michigan

I confini fra molti States sono netti, rettilinei, inesorabili. Li puoi vedere su una mappa e noti che tagliano in due vallate, laghi, persino città; eppure sovente l’urbanizzazione avvicina nuclei abitati prima ben separati, fino al punto che due cittadine vengono quasi a fondersi a ridosso del confine e non distingui più l’una dall’altra. A sud-ovest del lago Michigan domina Chicago, la cui area metropolitana si estende quasi senza limiti verso sud-est inglobando parchi naturali, riserve e laghi, da Eggers Grove a parte del Wolf Lake, fino a Burnham Woods e al Powder Horn Lake; la vasta area è a ridosso del confine tra Illinois ed Indiana e, tuttora, sembra che lì attorno “tutto” sia Chicago. Figuriamoci 50 anni fa… Anche allora poteva essere considerato originario della “Windy City” chiunque fosse nato a Calumet City o Hammond, al di là o al di qua del confine. Non facevano eccezione The Omens, band garage “meteora” tra il 1964 e il 1966, formatasi a Hammond (Indiana) eppure a lungo ritenuta originaria di Chicago. Come per molti altri gruppi nascenti, l’età media dei componenti (Don Revercomb, V, chit; Gene Cooper, chit; Larry Allen, b; Tim Jones, batt; Al Patka, org) era attorno ai 17 anni e il raggio d’azione insisteva particolarmente nell’ambito dei teen clubs o delle feste delle high schools della zona. Si esibirono specialmente tra Chicago, Gary, Blue Island, Calumet City, Hammond, Lake Station, Glen Park e Portage; in un concerto a Cedar Lake (Indiana) furono support band degli Yardbirds e in una “Battle of the Bands” ad Hammond affrontarono, senza fortuna, nientemeno che i futuri The Jackson 5. Come nel caso di tante altre bands “meteore” del garage rock, la produzione discografica fu ridottissima (due 45 giri dell’etichetta Cody records di Tom Cleary incisi entro l’autunno 1966), sebbene significativa del suono garage di quegli anni. Non a caso “Searching” [D. Revercomb – L. Allen] (Cody records C007; side B: “Girl Get Away”, luglio 1966) è diventato brano emblematico e quasi archetipico del genere, caratterizzato da un insistente riff introduttivo di chitarra che apre al succedersi di voci frenetiche e screamings, assolo di organo e i tipici effetti di chitarra ottenuti tramite l’allora diffusissimo Gibson Maestro Fuzztone. Non è raro scoprire che proprio in quel periodo nacquero brani “tipici” e caratterizzanti che, indipendentemente dalla notorietà o dalla longevità di una band, ebbero la forza di riemergere anche a distanza di anni, quando ormai di una band “meteora” si conserva a malapena qualche informazione biografica o discografica. L’altro 45 giri targato The Omens di etichetta Cody records, probabilmente inciso poco dopo il precedente, omaggia anche la “British Invasion” (come era d’altronde frequente). La cantante solista è Carol Buehler (allora fidanzata del band leader Don Revercomb) che esegue l’originale “September” [D. Revercomb – C. Provenzano] e la cover di As Tears Go By di Jagger-Richards; l’assenza di numero di catalogo del disco indica la natura essenzialmente promozionale dell’incisione. Dall’autunno 1966 gli impegni, gli studi, il rischio di licenziamento dal lavoro per gli eccessivi permessi e le dolci attese di fidanzate e future mogli chiusero la breve parentesi della band, che tuttavia nell’arco di un biennio seppe movimentare e scuotere il nord-ovest dell’Indiana e buona parte dell’area nord-est del “Prairie State”.

Gian Marchisio

Ascolta il brano: https://www.youtube.com/watch?v=FViWdhKvC-U

Il Ponte del diavolo

5 /  Questa è una storia di scelte, quale versione fare propria? Il detto dice: “vedere per credere” e io aggiungo “e per decidere”. È domenica ed è un bel giorno per un pick-nick all’aria aperta, prendo la macchina, raccolgo gli amici fidati, compagni di avventura e mi avvio verso le Valli di Lanzo

Qui si trova un ponte, detto Ponte del Diavolo, è fatto di grossi ciottoli di pietra, il suo arco è a tutto sesto, gli passa sotto l’acqua fredda e tumultuosa della Stura, la sua presenza scenografica si staglia nel panorama della valle, ma il fascino della costruzione risiede nel mistero della sua edificazione. Il luogo è decisamente turistico, per trovarlo è sufficiente seguire i cartelli stradali.Quando arriviamo è proprio ora di pranzo, spinti un po’ dalla fame e un po’ dalla curiosità, scendiamo dalla macchina velocemente ed imbuchiamo a piedi il sentiero che dalla strada ci conduce al ponte. Rimaniamo un attimo straniti dal bizzarro ritrovamento che facciamo immediatamente: sotto il cartello turistico di spiegazione della storia del sito troviamo un gruppo di ossa di mucca, dalla disposizione sembrano state lanciate a casaccio, come dadi durante un gioco da tavola. Stupiti, continuiamo il nostro percorso. In lontananza si sente già il fragore del fiume, l’erba si muove sinuosa sotto le carezze ruffiane del vento. Dopo poco tempo troviamo un tavolino con panche di pietra posto vicino alla strapiombo della collina: addento il panino più panoramico che abbia mai mangiato. Finito il pranzo ci rimettiamo in marcia, seguiamo il frastuono dell’acqua che aumenta, oltrepassiamo una piccola chiesetta, chiusa ed abbandonata, fatta di pietroni e cemento; al suo interno si intravvede un affresco, imprigionato dietro delle grosse sbarre che impediscono l’accesso ai visitatori, e a lui di essere restaurato. Il sentiero aumenta l’inclinazione e per poco non inciampo sui miei stessi passi, distratta dal guardarmi attorno; mi ricompongo e finalmente vedo il ponte per cui abbiamo fatto tanta strada.

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Da quell’angolazione ricorda l’illustrazione di un vecchio sussidiario, un acquerello antico, dai colori che fanno fatica a mantenersi vividi. Secondo la versione ufficiale fu edificato nel 1378, con il consenso del vice castellano di Lanzo, Aresmino Provana da Leynì, collaboratore di Amedeo VI di Savoia, conosciuto come il Conte Verde. La spesa per costruirlo fu ingente, tanto che per sostenere i costi venne imposta una tassa sul vino per dieci anni. Il ponte metteva in collegamento Lanzo e Torino, e permetteva di non passare attraverso territori all’epoca ostili, come Balangero, Mathi o Villanova, località governate dai principi d’Acaja, e nemmeno da Corio, in cui vigeva la giurisdizione dei marchesi del Monferrato. Nel 1564 venne ordinata, da parte del Consiglio di Credenza di Lanzo, la costruzione di una porta sul ponte, per controllare il passaggio dei forestieri, possibili portatori di peste, morbo che si era diffuso in quel periodo ad Avigliana e nelle zone limitrofe. Lo scorcio che sto guardando è davvero suggestivo, non a caso una ricerca condotta da “La Repubblica” colloca il ponte del Diavolo tra i trenta più belli d’Italia. I raggi del sole cadono a picco nell’acqua, il grigio cangiante dei ciottoli levigati lungo la riva risplende sotto il calpestio dei nostri passi, gli unici altri colori sono il marrone del terriccio e il verde degli alti e magri fili d’erba. Giochiamo a guardarci attorno, ci arrampichiamo per lo stretto sentiero che ci porta attraverso i roccioni limitrofi, quasi interamente ricoperti di lichene, di qui ci affacciamo a guardare le “Marmitte dei Giganti”, allunghiamo in giù il collo, come fanno i gatti quando stanno per fare un salto molto alto.

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In questo punto il rumore del fiume è assordante, gorgoglia come un mostro marino; osservo l’acqua che turbina nei mulinelli, posso assaporare la forza della corrente che risucchia verso il basso; mi piace il colore del fiume, un azzurro opaco striato di increspature bianche. Percorriamo il ponte più volte, dalle due estremità si vede solo fino a metà tragitto, fino al punto in cui la curva dell’arco precipita. Secondo alcune leggende le anime dei morti iniziavano il proprio percorso nell’aldilà a partire da quel punto preciso, si incamminavano incerte e fino a che non arrivavano a metà strada non sapevano se sarebbero finite all’Inferno o in Paradiso. Dal punto più alto del ponte mi fermo a guardare la valle, sezionata a metà dalla Stura, i fianchi delle colline profumano di alberi ombrosi, di lì, il resto del mondo sembra tanto distante. Per vari motivi, -l’ampiezza della struttura, la forma dell’arco che doveva sostenere la costruzione, la gittata nella sua totalità-, la realizzazione del ponte fu molto difficoltosa, tanto che esso crollò due volte e la soluzione a tali problemi non veniva trovata. Fu il Diavolo ad intervenire. Egli promise che avrebbe costruito il ponte nel trascorrere della notte in cambio dell’anima del primo che lo avrebbe oltrepassato; alle prime luci del mattino il collegamento tra le due sponde era stato eretto e per non venir meno ai patti, il capomastro, decise di far oltrepassare il ponte ad un ignaro cagnolino. Il Diavolo si infuriò per essere stato ingannato, sbatté forte le sue zampe nel terreno e formò le ora caratteristiche “Marmitte dei Giganti”. Il sole sta calando e anche il fragore del fiume pare tranquillizzarsi, la giornata sta per volgere al termine ed è ora di andare via. Penso all’ingenua bellezza delle storie antiche, penso che mi piacciono sempre e che vorrei conoscerle tutte. Penso a chissà quanti altri luoghi che ho visitato hanno in sé storie che non conosco. Penso che un po’ di fantasia non può far male e scelgo di credere alla seconda versione di questa storia.Penso che, se il detto ha ragione, probabilmente a sovrintendere i lavori, sarà stata una donna.

 

Alessia Cagnotto