CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 620

Nel solco di Camillo Cavour

A Palazzo Lascaris, una mostra dedicata allo statista piemontese nell’anniversario dell’Unità d’Italia
Inaugurata il 14 marzo scorso, qualche giorno prima dell’anniversario dell’Unità d’Italia – che ogni anno cade il 17 marzo, giorno in cui nel 1861 venne per l’appunto proclamato il Regno d’Italia – la rassegna dedicata, nella “Galleria Spagnuolo” di Palazzo Lascaris , a Camillo Benso Conte di Cavour (fra i principali artefici di quell’unità nazionale, che in verità lui godette ben poco, morendo a soli 50 anni, il 6 giugno dello stesso 1861) vuole illustrare del grande “tessitore”, ministro del Regno di Sardegna prima e poi primo ministro dal 1852 fino alla morte, il singolare percorso umano, culturale e politico, con particolare riferimento alla sua vicenda famigliare. Che s’intreccia non poco con i destini dello stesso Palazzo di via Alfieri a Torino, oggi sede del Consiglio Regionale del Piemonte, e che fu abitazione del marchese Gustavo Benso Cavour, fratello maggiore di Camillo, fino al 1833, anno di morte della moglie Adele Susanna Lascaris. Fra suggestive “evocazioni storiche e artistiche”, l’iter espositivo si apre con l’ intenso “Ritratto di Camillo Benso di Cavour”, olio su tela del 1868, appartenente a Palazzo Lascaris e realizzato a Pavia da Luigi Fognola, sicuramente ispirato dal celeberrimo “Ritratto” del Conte (dagli “occhi cerulei per non dir bigi” scintillanti sotto gli inconfondibili occhiali, secondo un’acuta descrizione dell’amico, deputato e poi Senatore del Regno di Sardegna, Michelangelo Castelli) eseguito nel 1864 da Francesco Hayez, conservato presso la Pinacoteca di Brera a Milano e di cui in mostra troviamo una perfetta copia. A seguire e a far da contrappunto a questi due iconici “Ritratti” di Cavour, in rassegna ne troviamo altri raffiguranti alcuni fra i più stretti famigliari del Conte (dal bisnonno, eroe della battaglia di Guastalla, al nonno in abiti da caccia e al padre “Michele Antonio”, effigiato in giovanile età) insieme ad altri dedicati a figure, comunque partecipi alle vicende umane e politiche del Conte e della sua famiglia; dipinti molto interessanti sotto il profilo storico ed estetico, come quello raffigurante “Carlo Piossasco” (generale e ambasciatore al servizio dell’Elettore di Baviera, appartenente a una delle tante famiglie nobili imparentate con i Cavour), olio su tela del 1747 a firma del pittore danese Johann Georg Ziesenis e quello di “Margherita Pallavicini Mossi” immortalata da adolescente nel 1908 dal ritrattista livornese Vittorio Matteo Corcos e figura importante nella storia ultima dei Benso, poiché (vedova nel 1947 del marchese Giovanni Visconti Venosta che lasciò il complesso cavouriano di Santena alla Città di Torino) fu proprio lei ad istituire la Fondazione Camillo Cavour il 18 aprile 1955. Da segnalare anche un grandioso dipinto che rappresenta “Vittorio Emanuele II in visita a Cremona” nel 1859 accanto ad alcuni capolavori di patriottica memoria come “La strage di Brescia” olio su tela realizzato da Faustino Joli nel 1849. La rassegna, per meglio guidarci sulle orme e “nel solco” del grande statista risorgimentale propone anche un’efficace grafica con la “linea del tempo”, in cui si illustrano le principali fasi della vita pubblica e privata del Conte, nato a Torino nel 1810 in quel Palazzo Benso di Cavour o Casa Cavour (all’angolo fra le odierne via Lagrange e via Cavour), in cui venne anche fondato nel 1847 lo storico giornale “Il Risorgimento”. Non mancano ovviamente, ben esposte in mostra, diverse immagini del Castello e del Parco settecentesco, residenza estiva di tutta la famiglia Benso, a Santena. Progettato il primo, fra il 1712 e il 1722, da Francesco Gallo – già architetto di Vittorio Amedeo II di Savoia – e il secondo dall’architetto paesaggista di corte Xavier Kurten, il complesso architettonico di Santena fu fatto costruire (sulle rovine di un’antica fortificazione munita di torri e circondata da mura e fossati) da Carlo Ottavio Benso, primo nobile della casata, ed è oggi una casa – museo aperta al pubblico che ospita anche la tomba di Camillo Cavour. Il Palazzo è inoltre sede della Fondazione Camillo Cavour, ente morale riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica (patrimonio materiale e immateriale della Nazione) e del Centro Studi Cavouriani “Giovanni e Margherita Visconti Venosta”.

Gianni Milani


“Nel solco di Camillo Cavour”
Palazzo Lascaris – “Galleria Spagnuolo”, via Alfieri 15, Torino; tel. 011/5757378 o www.cr.piemonte.it
Fino all’11 aprile
Orari: dal lun. al ven. 9/17
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Nelle foto:
– Luigi Fognola: “Ritratto di Camillo Benso di Cavour”, olio su tela, 1868, Consiglio Regionale del Piemonte
– Copia da Francesco Hayez: “Ritratto di Camillo Benso di Cavour”, olio su tela, 1864, Fondazione Cavour, Santena

– Johann Georg Ziesenis: “Ritratto di Carlo Piossasco”, olio su tela, 1747, Fondazione Cavour, Santena
– Vittorio Matteo Corcos: “Ritratto di Margherita Pallavicini Mossi”, olio su tela, 1908, Fondazione Cavour, Santena
– Il Castello Cavour di Santena
– Particolare del Castello Cavour

Dove il sogno di volare diventò realtà

Il trasporto merci aereo e le compagnie cargo oggi sono la regola e Boeing, Airbus ed Antonov solcano i cieli in lungo e in largo

 Eppure tutto ciò è possibile grazie alla temerarietà di qualcuno che, nel lontano 7 novembre 1910, riuscì per la prima volta a trasportare un imballaggio con 88 chili di seta per 105 chilometri da Dayton a Columbus (Ohio) in un’ora di tempo circa. Era Philip Orin Parmelee (1887-1912), detto “Skyman”, a bordo del biplano Wright Model B, pioniere di tante sfide nei cieli americani (grazie ai fratelli Wright) e dunque protagonista del primo viaggio cargo della storia. Chiunque guardi qualsiasi modello di biplano di quell’epoca, noterà senz’altro la quantità di ingranaggi e ruote dentate che consentivano il funzionamento di quei velivoli; erano anche i “gears” in movimento a realizzare l’antico sogno umano del volo. “The gears were on the move” si sarebbe detto… e lo si sarebbe ripetuto più di 50 anni dopo, quando nella primavera del 1965, sulle ceneri dei The Del Tones, si formò a Columbus la band The Gears, composta da Tom Radowski (V, chit), Bob Alwood (chit), Wes Richards (V, b), Joe Gargani (V, batt). Nell’estate 1966 si sarebbero aggiunti Joe Daniels (V, org) e Jim Lynch (chit, in sostituzione di Radowski), con la definizione di un repertorio stabile fondato sulle comuni influenze di Beatles, Rolling Stones, Rascals, Standells, Paul Revere & The Raiders. La gestione manageriale fu dapprima “home made” (affidata a Hillard Ebrom, zio del bassista Richards) poi alla DJ Productions di Johnny Garber e Dick Pickett, che ampliarono il territorio di azione dei The Gears a tutto l’Ohio e fino a Parkersburg, Ravenswood, Lesage e Huntington (West Virginia). La band prediligeva i clubs (adult o teen) in tutta l’area di Columbus e dintorni e toccava locali come “The Sugar Shack” di Chillicothe, “The Inferno” di Mansfield, “The Gators Hut” di Mt. Vernon e ovviamente il frequentato “Valley Dale Ballroom” di Columbus; svariate furono anche le partecipazioni a Battle of the Bands, soprattutto presso gli Ohio State Fairgrounds. Tra 1967 e 1968 The Gears modificarono nuovamente formazione, con l’ingresso di Randy Armstrong (chit, subentrante a Lynch) e Mike Shoaf (b, al posto di Richards) e affrontarono l’esperienza della sala di registrazione. Ne scaturirono due 45 giri, usciti probabilmente a breve distanza nell’arco del 1968: “Feel Right” [B. Alwood – J. Daniels] (1001; side B: “Explanation”), inciso presso i McKenzie Studios di Larry McKenzie a Columbus, con etichetta Hillside; “Come Back To Me [B. Alwood – J. Daniels] (813L-2546; side B: “Sooner Or Later”), prodotto da Ray Allen a Cincinnati con etichetta Counterpart records. E’ da rilevare il passaggio dal carattere garage crudo del primo singolo alla natura ibrida del secondo, che presenta fattezze psych pop/rock con arrangiamenti con fiati e alternanza di breaks di organo e chitarra. Dopo l’autunno 1968, usciti i due singoli sopra citati, la vita della band trascorse senza particolari sussulti, ma anche priva di nuovi stimoli; il raggio d’azione delle esibizioni stentava ad allargarsi oltre i confini dell’Ohio e il sound stesso faticava a trovare una propria direzione chiara e definita. Il repertorio non si arricchì più di brani originali e tendeva a languire sulle cover già più che note di Lovin’ Spoonful, Outsiders, Rascals e Paul Revere & The Raiders; inoltre i continui cambi di formazione finirono per indebolire ulteriormente la coesione interna del gruppo e portò The Gears a sciogliersi in data imprecisata, probabilmente entro il 1970.
 

Gian Marchisio


 

Quando i matti escono fuori

C’erano una volta i matti

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)

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10. Quando i matti escono fuori
Negli ultimi anni al manicomio di Collegno c’erano solo pazienti anziani, quelli che erano arrivati lì giovanissimi e lì avevano vissuto per cinquant’anni, quelli che erano più spaventati da quella inaspettata e pesante libertà, nettamente in contrasto  con la prospettiva di spirare tra le mura di Collegno, luoghi che ormai avevano imparato a conoscere bene. C’erano invece pazienti che non ebbero troppa paura di uscire all’aria aperta, come Oreste, il classico matto buono del villaggio, che viveva sotto il ponte di via XXV aprile a Cavoretto, insieme al cane Gary Cooper. L’uomo si rivolgeva alle suore per un rasoio e qualche abito pulito, e il problema dei soldi lo risolveva andando a chiedere l’elemosina nei negozi della zona, alcuni commercianti gli offrivano volentieri un po’ di cibo e un bicchierino. Oreste era arrivato a Cavoretto quando chiusero il manicomio di Collegno, si presentò alla cittadinanza con un sacchetto dorato di caffè messo in testa come la mitria di un vescovo, vestito con colori sgargianti: gli abitanti del posto lo accettarono con un misto di pena e di affetto. Quando si ammalava c’era sempre qualche donna che gli portava delle medicine, altri gli regalavano dei vestiti vecchi, un po’ tutti lo aiutavano a tirare avanti. Coloro che gli lasciavano dei soldi gli raccomandavano di non berseli subito, perché faceva male bere tanto, ma Oreste non era poi così convinto, e subito andava a spendere l’elemosina in un bar. Per sdebitarsi, in inverno spazzava la neve dai marciapiedi e durante l’autunno le foglie secche e in generale cercava di tenere pulito quanto poteva. Ogni tanto gridava e improvvisava dei discorsi complicati in cui bofonchiava di ponti da costruire, denari da elargire e in mezzo ci metteva delle parole inventate. C’erano dei momenti in cui si arrabbiava nei confronti di non si sa che cosa e imprecava contro il niente, forse verso un destino che non era stato poi tanto buono con lui. Gli venne regalata una bicicletta e lui subito la gettò nel fiume, perché ci teneva davvero tanto a quel gentile pensiero e così nessuno avrebbe mai potuto rubargliela. Un Natale aveva deciso di rendere grazie a qualcuno in particolare e così iniziò a strimpellare una vecchia chitarra, rivolto verso un angolo buio della chiesa in cui non c’era nulla: il dio dei matti forse non si mostra facilmente come il dio dei normali. Oreste morì nel 2009, vecchio e stanco, in ospedale, aveva lasciato tutto nel suo giaciglio sotto il ponte, in modo che Gary Cooper potesse farci la guardia.

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 Lucia era un’artista, scriveva poesie e dipingeva, sosteneva di essere la Madonna e di essere la fidanzata di Dio. Adorava irrompere in chiesa e disturbare le funzioni, soprattutto i matrimoni. Una volta aveva spiegato che le pareva di essere circondata da diavoli e che le volessero tutti male, perciò dipingeva, perché non sapeva parlare. Diceva che l’arte l’aveva salvata, che le bastava quello e l’affetto di poche persone per vivere e stare in piedi. Vito indossava un cappello scuro a tesa larga e suonava la tromba sotto i portici della Certosa di Collegno, in genere si cimentava nell’Aida di Verdi e per quello era impazzito, perché non riusciva a fare gli acuti con la tromba. Vito era anche un grafomane, scriveva frasi e aforismi sui muri, tra i tanti uno aveva colpito nel segno: “Elettricità, no”.  Anche Jimmy, un vecchio marinaio, aveva conosciuto l’ebrezza dell’elettroshock, ma lui preferiva non parlarne. A Torino, tra i matti più conosciuti, c’era Zeus, acronimo di Zanetti Edoardo Unico Signore. Zeus si aggirava per le vie della città avvolto in una lunga tunica e con dei sandali ai piedi, aveva una fascetta di cotone legata in testa, la barba incolta e i capelli lunghi fin sulle spalle. Non era cattivo, né un violento, entrava nei negozi tentando di provare giacche che non avrebbe mai comprato, mangiava goloso coni gelato al gusto pistacchio, si impegnava a vendere sciarpe della Juventus davanti allo Stadio Comunale, o al Balôn, la gente lo scansava perché in effetti la tunica emanava un odore difficile da sopportare per più di qualche minuto. Al suo fianco c’era Maria, una donna più anziana di lui, con i capelli dal colore indefinito, che gli camminava davanti illuminandogli la strada con un cero acceso, e intanto che andava avanti gridava: “Zeus ti vede!” Ecco l’autore di quelle innumerevoli scritte affiancate ai disegni del triangolo con l’occhio disegnato all’interno. Zeus veniva da Collegno, sosteneva che, dopo l’elettroshock, il suo cervello fosse diventato elettrico e lui, di conseguenza, un Dio elettrico. Era molto dispiaciuto di non poter fare più miracoli, perché era stanco, non più giovane e un po’ acciaccato, ma soprattutto non poteva più fare affidamento sul nettare che gli permetteva le azioni miracolose e divine: sosteneva infatti che dal proprio liquido seminale scaturivano i suoi divini poteri, ma, con il tempo, anche quell’umore così potente si era indebolito. Un giorno si fece stampare dei bigliettini con scritto sopra: 

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DIO
PER QUALSIASI PROBLEMA TELEFONATEMI
ALLO 011.00.00.00

(In caso d’assenza vi risponderà la segreteria elettromeccanica del Paradiso).
Quando si sentì prossimo alla dipartita, Zeus disse di essere favorevole alla cremazione, poiché chi viene seppellito viene mangiato dai vermi e dà loro la propria anima, “così i vermi diventano sempre più intelligenti”.

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L’ultimo paziente dimesso da Collegno fu un operaio di sessantadue anni, l’uomo oltrepassò i cancelli il 4 giugno 1998 e dopo di lui la struttura venne ufficialmente chiusa. Qualcuno, però era rimasto dentro, e proprio non voleva andar via. Era Roberto Contartese, ex insegnante genovese di lettere e filosofia al liceo, ultimo di cinque figli, ricoverato lì da vent’anni. Roberto era stato rinchiuso a Collegno perché viveva in attesa della fine del mondo e di una guerra atomica che avrebbe distrutto tutto. Lo avevano trovato in una casa di campagna, nascosto tra il materasso e la rete, per evitare le radiazioni. Era rimasto lì immobile per giorni, senza bere né mangiare, in attesa dell’inevitabile Apocalisse. Roberto venne internato, il dottor Annibale Crosignani lo curò e parve guarito. Con il dottore, Roberto aveva instaurato un rapporto di fiducia e perfino di “rispetto intellettuale”; dal canto suo il medico gli permetteva anche di tenere delle lezioni all’interno della struttura e lo aveva in gran conto. Quando gli dissero che poteva tornare a casa, Roberto andò in crisi nuovamente, questa volta il delirio riguardava la paura dell’avvelenamento.  Quando Collegno chiuse, gli proposero un bell’appartamentino a Grugliasco, ma lui rifiutò categoricamente, così l’unica soluzione trovata dal dottor Giorgio Tribbioli fu quella di riadattargli l’ex appartamento di don Gilardi, il cappellano, all’interno dello stesso manicomio. Contartese si trasferì nel suo nuovo piccolo antro con i suoi libri e i suoi autori preferiti: San Tommaso, Kant, Shopenauer, Campanella, Moro, Bacone, Freud e Jung. Si portò dietro anche alcuni volumi di poesia e narrativa, che leggeva ogni tanto tra una sigaretta e l’altra, (ne fumava ottanta al giorno). Non ci fu storia, non uscì vivo da Collegno, lo trovarono morto lì, per un male del corpo e non della mente, a sessantanove anni. L’ultima anima di Collegno se n’era andata via in sordina, come tantissime altre che nel tempo erano spirate silenziose tra le mura del manicomio. Chissà quanti di quei fantasmi sono ancora lì, come i tristi spettri di via Giulio, che ancora non si capacitano di aver sofferto tanto. Chissà se noi normali potremmo mai comprendere la folle tragedia che i matti hanno vissuto, per colpa nostra, per la nostra paura del diverso e di essere scoperti noi stessi come diversi. Chissà quando avremo il coraggio di guardarci così da vicino per scoprire che a una certa distanza, nessuno è normale.

 

Alessia Cagnotto

Riapre al pubblico la Camera del Parlamento Subalpino

Venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 marzo

L’occasione è data, anche quest’anno, dalla ricorrenza della “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”: così venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 marzo prossimi, dalle 10 alle 19, il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano (via Accademia delle Scienze 5, a Torino) riaprirà alla visita del pubblico la Camera dei Deputati del Parlamento Subalpino, riconosciuta monumento nazionale dal 1898. Occasione eccezionale, l’iniziativa permetterà ai visitatori di vivere l’emozione unica di entrare nel cuore della storia d’Italia, per cogliere quelle che furono le gloriose radici della nostra odierna identità. E’ infatti in quest’Aula che si svolse l’attività legislativa dell’allora Regno di Sardegna, fra l’8 maggio 1848 e il 28 dicembre 1860. Ed è qui che personaggi come Camillo Benso Conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi, Angelo Brofferio, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Quintino Sella e centinaia di altri posero le basi della nostra democrazia per avviare il cantiere dell’Italia unita. Doveroso dunque per il Museo Nazionale del Risorgimento riconsegnare al pubblico anche se solo per pochi giorni questo patrimonio inestimabile, autentico prezioso gioiello della città. L’iniziativa si realizza in collaborazione con il Consiglio Regionale del Piemonte e in occasione della mostra “Nel solco di Camillo Cavour”, aperta a Palazzo Lascaris, nella “Galleria Carla Spagnuolo” dal 14 marzo all’11 aprile. Per venerdì 15 marzo, è anche prevista la visita al Parlamento Subalpino di tutti gli studenti arrivati alla fase finale del concorso “Ragazzi in Aula”, il progetto di open government che il Consiglio Regionale rivolge alle scuole secondarie di secondo grado del Piemonte. Tra gli eventi proposti, da segnalare anche domenica 17 marzo alle 15.30, nell’ambito del progetto “Il Cavour nei luoghi di Cavour”, l’esibizione del coro e dell’orchestra di archi del Liceo Musicale Cavour di Torino che eseguiranno la versione integrale de “Il Canto degli Italiani”. I settanta giovani allievi si esibiranno nell’Aula destinata alla Camera del Parlamento Italiano, un altro dei luoghi estremamente significativi che fanno parte del percorso del Museo Nazionale del Risorgimento.

Pillole di storia

La Camera Subalpina è l’unica Aula parlamentare rimasta integra in Europa tra quelle nate con le rivoluzioni del 1848 ed è riconosciuta monumento nazionale dal 1898. Dal 1938, anno del trasferimento del Museo a Palazzo Carignano divenne parte integrante dell’esposizione. Dopo un importante intervento di restauro realizzato nel 1988, che ne ha garantito la conservazione, non è più stata accessibile. I visitatori normalmente possono ammirarla da un ampio affaccio esterno che ne consente la visione di insieme. In origine era il Salone d’Onore al piano nobile del palazzo dei Principi di Carignano, progettato da Guarino Guarini ed edificato tra il 1679 e il 1683. Qui si svolse l’attività legislativa del regno sardo tra l’8 maggio 1848 e il 28 dicembre 1860. Promulgato lo Statuto Albertino, si pose infatti il problema di dove collocare in tempi strettissimi le due aule parlamentari. Per il Senato fu scelto Palazzo Madama, per la Camera il vasto spazio ellittico del salone di Palazzo Carignano. A due settimane di distanza dalla proclamazione dello Statuto, la stesura del progetto fu affidata, il 18 marzo 1848, a Carlo Sada. In cinquanta giorni fu realizzata la trasformazione dell’antico salone ovale in una sala ad anfiteatro con i seggi dei deputati posti a semicerchio dinanzi al banco del presidente e dei segretari. La prima seduta, con l’inaugurazione della prima legislatura, avvenne l’8 maggio intorno alle 13. Dal giorno seguente le sedute proseguirono regolarmente e furono aperte al pubblico, mentre erano in corso le ultime rifiniture. Rimaneggiamenti dell’aula si resero necessari quando aumentarono i deputati con le annessioni, tra il 1859 e il 1860, prima della Lombardia, poi dell’Emilia e della Toscana, fino a quando col progredire dell’unificazione al Centro e al Sud, il salone divenne troppo piccolo. All’architetto Amedeo Peyron fu affidato quindi l’incarico di realizzare un’Aula provvisoria nel cortile, mentre veniva avviato l’ampliamento del Palazzo verso piazza Carlo Alberto, per collocarvi l’Aula definitiva del Regno d’Italia. L’Aula della Camera ellittica fu chiusa, ma non smantellata; subito le si riconobbe il carattere di monumento nazionale, ratificato poi da un decreto del 4 marzo 1898 in occasione del cinquantenario dello Statuto. Nel 1911 per i cinquant’anni del Regno vi si tenne una seduta straordinaria. Un nuovo restauro venne compiuto nel 2010-2011 in occasione del riallestimento del Museo

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, via Accademia delle Scienze 5, Torino; tel. 011/5621147 (è anche possibile prenotare, allo stesso numero, visite guidate) o www.museorisorgimentotorino.it

g. m.

Nelle foto
– Aula della Camera del Parlamento Subalpino
– Museo Nazionale del Risorgimento Italiano

 

Steve McCurry. Leggere

Un mondo che legge: a Palazzo Madama, la passione per la lettura raccontata attraverso gli scatti del grande fotografo americano
 
Immagine – guida della mostra, una foto scattata a Kunduz, in Afghanistan, nel 2002. Ritrae una giovane fanciulla, un libro tenuto aperto fra le mani, unghie smaltate, due stupendi occhi neri e un velo trasparente a coprire appena appena il capo e a scendere lieve sulle spalle. Totalmente libero é il volto, fermato a fissare con dolce perplessità e un pizzico di sorpresa l’obiettivo della fotocamera che le si para (forse inaspettatamente) davanti. Negli occhi trattiene ancora le ultime parole del libro su cui fino a un attimo prima aveva fermato la sua attenzione. La foto arriva 18 anni dopo quella scattata nel 1984 alla famosa ragazza afgana dai grandi occhi verdi che scavano l’anima, rifugiata a Peshawar, in Pakistan, e diventata per quello scatto indimenticabile simbolo dei conflitti afgani degli anni Ottanta, tanto da guadagnarsi la copertina del “National Geographic Magazine” del giugno 1985. L’autore è sempre lui: Steve McCurry, classe 1950, nato nei sobborghi di Philadelphia e oggi fra i grandi in assoluto del fotogiornalismo mondiale. Viaggiatore curioso e instancabile, coraggio da vendere (camuffato e infiltrato fra i Mujahidin, è stato il primo fotoreporter occidentale a raccontare al mondo per immagini il conflitto in Afghanistan, mostrando il volto cruento e terribile della guerra), un palmarés di impressionante levatura, a lui la Fondazione Torino Musei e Civita dedicano, fino al primo luglio, una nuova ampia rassegna ospitata nella “Corte Medievale” di Palazzo Madama e dedicata a un tema specifico: la passione universale per la lettura. Se vogliamo, un omaggio a McCurry dalla Città della Mole e da McCurry un omaggio a Torino che, in virtù del suo Salone del Libro, può certamente annoverarsi fra le capitali italiane e internazionali della lettura. Ben esplicito il titolo – “Steve McCurry. Leggere” – la rassegna è curata da Biba Giacchetti e, per i contributi letterari, da Roberto Cotroneo; presenta oltre 70 fotografie realizzate in più di quarant’anni di carriera e comprende la serie di immagini che lo stesso McCurry ha riunito in un magnifico volume, pubblicato da “Mondadori” e dedicato al grande fotografo ungherese André Kertész. L’elemento umano è, ancora e sempre, al centro delle immagini scattate dal fotografo in tutto il mondo. “Nella mostra – scrive bene Guido Curto, direttore di Palazzo Madama – il soggetto non è tanto il libro, bensì la persona intenta alla lettura”, che McCurry “spia con noi – aggiunge Biba Giacchettiin una conferma del potere della lettura di astrarre dal presente e di condurre ogni individuo in un mondo a parte, personale e segreto”. Ovunque può esserci lettura. Che non è mai privilegio di pochi eletti. I contesti, narrati dagli scatti assemblati in mostra, ci portano nei luoghi più disparati e imprevedibili, quelli di preghiera in Turchia, fra le rovine prodotte dall’occupazione militare delle forze irachene a Kuwait City nel corso della prima Guerra del Golfo, così come nelle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa agli Stati Uniti. E in ogni parte del mondo , McCurry “è capace di farci leggere per un attimo– precisa Roberto Cotroneo lo stesso libro dei suoi soggetti, di lasciarci con loro per un attimo, quello che basta a riempirci di storie e passioni”. Libri, pagine di preghiera, giornali, riviste. Di tutto si legge. E la lettura è voglia e passione di tanti: giovani e anziani, ricchi e poveri, religiosi e laici. E’ solitudine positiva, linfa vitale di contenuti lungo il percorso della vita. E’ curiosità. E’ passione. E’ stimolo di emancipazione. E si legge in piedi. O sdraiati. O seduti. O coricati su un marciapiedi, le gambe in alto lungo il muro di una casa. Tutto è consentito. E tutto è cristallizzato e documentato dall’intuito creativo del grande fotografo che riesce a cogliere momenti anche i più bizzarri e suggestivi di un gesto, in fondo, di quotidiana normalità. Completa la rassegna, una specifica sezione (“Leggere McCurry”) dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto dell’artista, molti dei quali tradotti in più lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, insieme ai più recenti, fra cui il volume edito da “Mondadori” che ha ispirato la realizzazione della stessa mostra. Tutti sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, autentiche icone che hanno reso celebre McCurry in tutto il mondo e che gli sono valse perfino la nomina di “Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere” conferitagli dal Ministero della Cultura Francese e la “Centenary Medal for Liftime Achievement”, tributatagli dalla Royal Photographic Society di Londra.

Gianni Milani

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“Steve McCurry. Leggere”
Palazzo Madama – Corte Medievale, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it
Fino al primo luglio
Orari: tutti i giorni 10/18, chiusura il martedì
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Nelle foto

– Kunduz, Afghanistan, 2002
– Kuwait City, Kuwait, 1991
– Roma, Italia, 1984
– Mandalay, Birmania, 2013
– Varanasi, Uttar Pradesh, India, 1984
– Chiang Mai, Tailandia, 2012

 

Qualcuno ha ucciso il signor Marcel nella villa paralizzata dalla neve

Nel 2002 François Ozon raccolse le eccellenze dell’olimpo femminile che è di casa nel cinema francese e diede vita a 8 donne e un mistero

Le attrici si chiamavano Deneuve Ardant Huppert Béart con le giovani Ledoyen e Sagnier e quella che era stata nel ’36 una giovanissima Maria Vetsera nel Mayerling di Anatole Litvak, Danielle Darrieux, un monumento. Un tripudio di visi, tic, caratteri, abiti colorati oltre misura, una leggerezza tutta francese, una lampante spiritosaggine in mezzo al buio di un delitto, la presentazione di ciascun personaggio affidato alle canzoni di Dalida o Françoise Hardy o Georges Brassens, delicate e orecchiabili, un piccolo capolavoro. Al festival di Berlino di quell’anno tutte quante le attrici furono osannate in blocco con un Orso d’argento, l’anno successivo il film ebbe dodici candidature ai César e Ozon vinse il Lumière come miglior regista dell’anno. Con qualche leggerezza in meno e con qualche intrigante suspence in più approda oggi all’Alfieri (repliche sino a domenica 17) la commedia omonima scritta da Robert Thomas, che ha coinvolto nella produzione, con la regia di Guglielmo Ferro, pronto a firmare anche la scena che racchiude a più livelli i vari ambienti, tre realtà come La Pirandelliana, la Compagnia Molière e ABC Produzioni e un nutrito gruppo di attrici nate sui nostri palcoscenici e per nulla disorientate davanti alle colleghe d’oltralpe. Resta intatto il divertimento, l’ironia non delude intrufolandosi a dovere negli ingranaggi della commedia, la trama ed il finale inaspettato corrono spediti grazie alle ottime prove, mantenendo per le due ore il fiato sospeso dello spettatore, senza un attimo d’interruzione. Come in ogni giallo che si rispetti (i maestri sono insuperabili, sarebbe sufficiente l’”Orient Express” della Christie, e Thomas era per l’occasione sulla buona strada), la neve ricopre alla vigilia di Natale le strade che arrivano alla grande villa di campagna, il cadavere del padrone di casa viene ritrovato nel chiuso di una stanza con un coltello conficcato nella schiena, i fili del telefono sono stati tagliati, ogni comunicazione è interrotta. All’interno otto donne, pronte a sbranarsi e a nascondere segreti, a squinternare verità da tempo sepolte, tra graffi e deboli sorrisi, unioni e quattrini, vizi (tanti) e piccole virtù (molte), nel gruppo la giovane Suzon che ha deciso di avviare la propria personale indagine. La consorte del povero defunto coltivava la brutta abitudine di spillare denaro e nasconde una relazione con un giovanotto che però la tradisce con Pierrette; Pierrette, sorella del fu, in quanto a quattrini, ne aveva sempre un gran bisogno e sognava con lui vantaggiose frequentazioni; zia Augustine, sorella della padrona di casa, nevrotica e zitella all’eccesso, legge di nascosto romanzetti rosa e ha spasimato per il cognatino passato a miglior vita; c’è pure una mamma/nonna che tenta in tutti modi di mettere al sicuro i suoi titoli più che redditizi di cui il genero avrebbe avuto un gran bisogno, visto che per lui la strada d’obbligo era quella della bancarotta (ah, a proposito, la vegliarda a suo tempo aveva anche fatto fuori il proprio marito), c’è una governante madame Chanel che stravede per Pierrette e una cameriera senza peli sulla lingua, amante di Marcel e per nulla insensibile al fascino della padrona, ci sono Suzon e Catherine, la prima se la faceva col morto (è incinta) da quando aveva scoperto che non era il suo vero padre, l’altra, scopritelo voi, è l’anima della commedia. Attenzione alle pistolettate, che uccidano o no, tutte al momento giusto. Ci vogliono delle attrici che abbiano grinta, spirito e ritmo, che sappiano “giocare” e ci sono, l’abbiamo detto. Anna Galiena (che ha curato anche l’adattamento), Debora Caprioglio chiusa a riccio nella mentalità e nell’abitino di Augustine ma pronta a sbarazzarsene (un bel ritrattino acido acido, dentro cui l’attrice s’è calata con intelligenza e gusto), Caterina Murino, Paola Gassman, Antonella Piccolo, Claudia Campagnola, Giulia Fiume e Maria Chiara Dimitri, tutte compatte per il successo vivissimo della serata. I costumi, intimi ai personaggi, sono di Françoise Raybaud.
 
 
Elio Rabbione
 

Jump back in the future

Di Fabrizio Bellanca. Inaugurazione Giovedì 14 Marzo 2019 dalle 18 alle 20,30 Fino al 6 Aprile 2019 Presente l’artista

 

Paola Meliga Gallery inaugura la stagione espositiva 2019 con Fabrizio Bellanca e le sue Virtualoid

A volte basta un nome per evocare sensazioni e ricordi: il titolo di questa serie di Bellanca ci riporta agli anni ’70, stagione di sperimentazioni e di rapide trasformazioni e capovolgimenti. La fotografia diventa non solo ricerca e lunghi tempi passati nelle camere oscure per vedere finalmente il risultato di ciò che si era fissato sulla pellicola, ma si fa istante, momento vissuto e subito fermato. È la Polaroid: immagini a portata di tutti, da fruire al momento. Non si parlava di selfie ma di foto di gruppo o paesaggi che subito diventavano realtà sulla carta in piccolo formato. L’artista ci vuole riportare sullo stesso terreno, proiettato nel futuro come indica il sottotitolo della serie “jump back in the future”, un salto indietro nel futuro.  Qui i soggetti di Bellanca sono lavorati in miniatura mediante un intervento diretto con i suoi tipici materiali e le tecniche più sperimentali, dal Dremel, per incidere la cornice, ai colori per vetro, utilizzati per coprire una sezione dello scatto oppure esaltarne un’altra, e gli inchiostri da stampa rullati a mano sulla superficie dell’alluminio.Il formato rimane lo stesso, 11 x 9 cm, e in quella piccola finestra quadrata ritroviamo l’anima urbana di Bellanca: a volte sono i disegni finali di opere realizzate in grande formato, spesso idee e bozzetti di opere future, dall’architettura razionalista di Como, la sua città, a scorci urbani di metropoli, quali New York ,Londra, Milano.

Testo a cura di Elena Isella

In esposizione alla Paola Meliga Gallery ci saranno una quarantina di Virtualoid in rappresentanza di generi diversi: dal ritratto di personaggi famosi a scorci urbani di metropoli quali New York, Londra, Milano, Parigi, e anche un omaggio alla nostra Torino, per proseguire con il tema del paesaggio. Le Virtualoid di Bellanca, secondo la definizione data dall’autore, nascono dall’idea di applicare e adattare la polaroid, intesa come formato e come oggetto unico, e il vintage anni ’70 al mondo virtuale di oggi, in cui la polaroid viene riprodotta abitualmente in tutti i suoi modi e sensazioni nelle cornici dei vari programmi com Instagram.

Tre virtualoid sono inoltre dedicate alle due principali squadre calcistiche subalpine, Torino e Juventus, in una esplosione di tecnica grafica e pittorica.

Durante la serata inaugurale, chi avesse desiderio di una virtualoid personalizzata potrà portare con sè una foto o un’immagine che si desidera riproporre.

Info Mostra:

Paola Meliga Art Gallery

Via Maria Vittoria 46/D | 10123 Torino

Tel. Fax.: 0112079983

Orario apertura al pubblico dal martedì al venerdì dalle 15,30-19,00

 Il sabato dalle 10,30/12,30-15,30/18,30

Lunedì e Festivi chiuso

Oggi al cinema

Le trame dei film nelle sale di Torino

A cura di Elio Rabbione
 
10 giorni senza mamma – Commedia. Regia di Alessandro Genovesi, con Fabio De Luigi e Valentina Ludovini. Papà Carlo, mamma Giulia e tre figli, due dieci e tredici anni, una famiglia normale, felicità ed esasperazioni quotidiane, piccole ribellioni, un lavoro. E la vita continua: fino a quando mamma, che finora ha svolto il proprio lavoro di far quadrare ogni cosa, non decide di prendersi una vacanza, dieci giorni a Cuba con la sorella. Toccherà a “lui”, a Carlo, prima padre assente e sempre indaffarato, un po’ troppo perso nella professione, assaggiare il piacere di trasformarsi in “mammo”. Durata 112 minuti. (The Space, Uci)
 
Asterix e il segreto della pozione magica – Animazione. Regia di Louis Clichy e Alexandre Astier. Asterix e Obelix corrono in aiuto del vecchio Panoramix per trovare la persona cui tramandare il segreto della pozione magica. Sarà Pectin, una giovane ragazza. Ma nel frattempo il rude romano Tomcrus attacca con le sue truppe il villaggio mentre il perfido Sulfurix tenta di impadronirsi della ricetta segreta. Durata 105 minuti. (Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)
 
Boy erased – Drammatico. Regia di Joel Edgerton, con Nicole Kidman, Russell Crowe, Lucas Edges, Xavier Dolan e Joel Edgerton. Tratto dal libro autobiografico del giornalista Garrard Conley. Jared ha diciannove anni, è il figlio di un pastore battista in un piccola città dell’Arkansas e un giorno svela agli increduli e imbarazzati genitori la propria omosessualità. Il giovane dovrà scegliere, se abbandonare per far prevalere le proprie scelte di vita la famiglia e il rispetto e la fede in Dio o se affidarsi al programma “di cura” portato avanti in un centro chiamato “Love in Action”, un programma di rieducazione eterosessuale. Durata 115 minuti. (Ambrosio sala 1, Cinema Massimo – Museo del Cinema sala Rondolino V.O., Uci)
 
Captain Marvel – Fantasy. Regia di Anna Boden e Ryan Fleck, con Brie Larson, Jude Law, Samuel L. Jackson e Annette Bening. Carole Denvers, nell’America di metà anni Novanta, è una giovane ragazza con un passato confuso, arruolata nell’esercito dei Kree, ricca di emozioni e di un’aggressività che a stento riesce a tenere a freno. In una Terra su cui è stata catapultata, incontrerà l’agente Fury, che le starà al fianco nella lotta e nella comprensione del proprio passato, dove tra l’altro spicca un periodo di esercitazione in un campo militare agli ordini di una misteriosa donna. Successo certo per gli appassionati, in previsione del prossimo “Avengers: Endgame”, in arrivo a primavera. Durata 126 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)
 
La casa di Jack – Thriller. Regia di Lars von Trier, con Matt Dillon, Uma Thurman e Bruno Ganz. America, gli anni Settanta. Seguiamo l’astuto Jack – ingegnere con velleità di architetto – attraverso cinque “incidenti”, e cioè gli omicidi (del primo è vittima la Thurman) che definiscono il suo sviluppo come serial killer. Viviamo la storia dal punto di vista di Jack che vede ogni omicidio come un’opera d’arte in sé, anche se la disfunzione gli dà problemi nel mondo esterno. Nonostante l’inevitabile intervento della polizia (cosa che provoca pressioni su Jack) si stia avvicinando, contrariamente a ogni logica, questo lo spinge a rischiare sempre di più. Lungo il cammino scopriamo le sue condizioni personali, i suoi problemi e i suoi pensieri attraverso conversazioni ricorrenti con lo sconosciuto Virgilio (l’ultima prova di Bruno Ganz), una miscela grottesca di sofismi mescolata con un’auto-pietà quasi infantile e con spiegazioni approfondite di azioni difficili e pericolose. Per il mensile “Ciak” un’occasione per affidare a due voci critiche il giudizio del film, la prima lo ha definito “capolavoro”, l’altra una “boiata pazzesca”, confermando appeno l’iniziativa che von Trier è uno di quei registi che da sempre o si ama o si butta alle ortiche, in maniera definitiva. Il film è vietato ai minori di 18 anni. Durata 155 minuti. (Nazionale sala 2)
 
C’è tempo – Commedia. Regia di Walter Veltroni, con Stefano Fresi, Giovanni Fuoco e Simona Molinari. Il tredicenne Giovanni conosce per caso il fratellastro Stefano, alla morte del padre comune, cui è stata affidata la sua tutela. Un viaggio in comune attraverso le bellezze e i panorami italiani, lungo il quale e due impareranno a conoscersi, l’incontro con una cantante e sua figlia, la passione del regista che sperimenta la sua opera prima per il cinema, attraverso citazioni, ricordi, sensazioni. Durata 107 minuti. (Reposi)
 
Cocaine – La vera storia di White Boy Rick – Drammatico. Regia di Yann Demange, con Matthew McConaughey, Richie Merritt e Jennifer Jason Leigh. Nella Detroit degli anni Ottanta, il giovane Rick vive con il padre, un trafficante di armi, che sogna di poter aprire una videoteca. Presto il ragazzo entra in contatto con la vita violenta della città e quando viene ricattato dall’FBI, che afferma di avere delle prove concrete contro il padre, accetta di divenire un informatore sotto copertura, per smascherare delinquenti, spacciatori e poliziotti corrotti. Ma un giorno il ragazzo inizia a spacciare droga per conto proprio. Durata 111 minuti. (Uci)
 
Copia originale – Drammatico. Regia di Marielle Heller, con Melissa McCarthy e Richard E. Grant. Nella New York di inizio anni Novanta, Lee Israel, vittima dell’alcolismo e di un’eccessiva misantropia, scrittrice di un certo talento, vittima dell’insuccesso del suo libro su Estée Lauder, viene licenziata e dove trovare al più presto una nuova occupazione per pagare l’affitto, le bollette e accudire soprattutto al suo adorato gatto. Frequenta le biblioteche ed in un libro preso a caso ritrova due lettere di Fanny Brice (ricordate la Streisand e “Funny Girl”?): venderle a 75 dollari e immaginare un nuovo lavoro è tutt’uno. Perché allora non “inventare” altre lettere, prendere di mira autori famosi, Noel Coward ad esempio, e “rifarsi” ad essi? La aiuterà con amicizia e dedizione un alcolizzato al pari suo. Tre statuette Oscar forse in arrivo, ai due attori e agli sceneggiatori. Vedremo. Durata 106 minuti. (Greenwich Village sala 3, Nazionale sala 2)
 
Il colpevole – The Guilty – Thriller. Regia di Gustav Möller, con Jakob Cedergren. Asger Holm è un agente di polizia che si è messo nei guai e per questo è stato confinato a rispondere ad un numero di emergenza insieme a più anziani colleghi. Vive questo lavoro con insofferenza e agitazione, anche perché l’indomani lo aspetta il processo che deciderà della sua carriera. Quando riceve la telefonata disperata di una donna che dice di essere stata rapita, Asger decide di mettersi in gioco e fare il possibile, fino a scavalcare le regole, per non tralasciare alcuna possibilità. Il suo desiderio di redenzione si incaglia però in un caso che è molto più complesso di quello che sembra e le sue buone intenzioni rischiano di avere effetti controproducenti per sé e per gli altri. Un film perfetto, teso, con una sceneggiatura e una regia senza una sbavatura, ottimamente interpretato: assolutamente da vedere. Grande successo all’ultimo TFF. Durata 85 minuti. (Greenwich Village sala 1)
 
Il coraggio della verità – Drammatico. Regia di George Tillman jr, con Amandla Stenberg, Anthony Mackie e Regina Hall. Starr è una giovanissima afroamericana, abita in un quartiere abitato da neri e governato da pericolose gang: ma frequenta per volere della madre, che per lei sogna un avvenire diverso, una scuola di bianchi in un prestigioso quartiere di bianchi. Un giorno Starr vede ucciso dalla polizia il suo migliore amico Khalil, i giornali tutti riportano la notizia ma nessuno ha voglia di indagare per comprendere che cosa sia esattamente successo. La protesta dei giovani di colore riempie il quartiere e la guerriglia invade le strade. Soltanto la ragazza conosce la verità ma questo vorrà dire per lei uscire allo scoperto, anche con il pericolo della propria vita. Durata 132 minuti. (Uci)
 
Il corriere – The mule – Drammatico. Regia di Clint Eastwood, con Bradley Cooper, Diane Wiest e Clint Eastwood. La storia vera, apparsa su “New York Times Magazine” nel giugno del 2014, di Leo Sharp, veterano della guerra di Corea, un matrimonio alle spalle, che superati gli ottanta (Eastwood con grande immedesimazione ha girato il film a 88 anni), non supportandolo più la sua passione per l’orticoltura, si era messo in tutta tranquillità a trasportare droga con il suo bianco pick-up attraverso l’Illinois per il Cartello di Sinaloa. Incensurato, uomo tranquillo, lontanissimo dal destare sospetti, vede allungarsi le occasioni di trasporto: ma gli agenti del Drug Enforcement Administration (DEA) gli stanno alle costole e la notizia che la moglie è malata terminale lo costringerà a prendere una decisione immediata sul suo futuro. Durata 116 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Chico, Greenwich Village sala 3)
 
Croce e delizia – Commedia. Regia di Simone Godano, con Alessandro Gassmann, Fabrizio Bentivoglio, Jasmine Trinca e Filippo Scicchitano. Il regista di “Moglie e marito” (lui nel corpo di lei, lei in quello di lui) confonde anche questa volta i generi, prende due uomini, lontanissimi tra loro, un pescivendolo rimasto vedovo e padre legatissimo al figlio e un gallerista, anche lui padre, fa nascere una grande confusione nel momento in cui i due annunciano alle rispettive famiglie la decisione del loro matrimonio. In uno scontro di idee e di comportamenti, in un forzato avvicinamento di radical chic e di rappresentanti di estrazione sociale assai più umile, i figli cercano in tutti i modi di ostacolare il progetto. Durata 100 minuti. (Lux sala 1, Reposi, Uci)
 
Domani è un altro giorno – Commedia. Regia di Simone Spada, con Marco Giallini e Valerio Mastandrea. Giuliano e Tommaso sono amici da trent’anni, il primo vive da tempo in Canada e insegna robotica, l’altro è rimasto a Roma e fa l’attore. Entrambi sono romani “dentro”, seppur con caratteri molto diversi: Giuliano estremamente estroverso, seduttore e innamorato della vita: tuttavia, condannato da una diagnosi terminale e ormai deciso, dopo un anno di lotta, ad abbandonare le cure. Tommaso, riservato e taciturno, lo raggiunge a Roma, soltanto quattro giorni per tirare le somme di una vita intera. L’incontro fa ritrovare di nuova quella complicità che li ha sempre uniti, quella capacità di scherzare su tutto che è fondamentare per esorcizzare l’inevitabile. C’è qualche conto da chiudere, soprattutto un luogo antico e ricco da ritrovare, da ripercorrere, da riconoscere come qualcosa per cui ne è valsa la pena: lo spazio intatto e inattaccabile della loro amicizia. Con loro un terzo incomodo, Pato, un bovaro bearnese che per Giuliano è praticamente un figlio. Remake di quel piccolo capolavoro che è stato lo spagnolo “Truman – un vero amico è per sempre” di Cesc Gay, cinque premi Goya all’attivo. Durata 98 minuti. (Eliseo Blu, Reposi)
 
Escape Room – Thriller. Regia di Adam Robitel, con Taylor Russell, Tyler Labine e Deborah Ann Woll. Un gioco, pare un gioco con il suo bel milione di dollari come premio in palio. Una sequenza di stanze, la ricerca di una compatta unione da parte dei contendenti, le difficolta, il tempo a disposizione per risolvere gli enigmi (o i tranelli), la paura somministrata a piccole o grandi dosi e da trasmettere allo spettatore. Durata 98 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci anche V.O.)
 
La favorita – Drammatico. Regia di Yorgos Lanthimos, con Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz. Primi anni del secolo XVIII: una fragile regina Anna siede sul trono mentre l’amica intima Lady Sarah Churchill governa il paese in sua vece e al tempo stesso si prende cura della cattiva salute e del temperamento volubile della sovrana. Quando l’affascinante Abigail Masham arriva a corte, viene accolta con benevolenza da Sarah (appartiene al ramo povero della sua famiglia), che la prende sotto la sua protezione. Per Abigail è l’occasione di tornare alle radici aristocratiche da cui discende. Mentre gli impegni politici legati alla guerra con la Francia richiedono a Sarah un maggiore dispendio di tempo, Abigail ne approfitta per diventare la confidente della regina. Grazie all’amicizia sempre più stretta con Anna, Abigail ha la possibilità di realizzare tutte le sue ambizioni e non permetterà a niente e a nessuno di intralciarle la strada. Dal contrastato regista di “The lobster” e del “Sacrificio del cervo”, il film ha ricevuto dieci nomination agli Oscar 2019, conquistando soltanto la statuetta per la miglior attrice protagonista. Durata 120 minuti. (Greenwich Village sala 3)
 
Gloria Bell – Drammatico. Regia di Sebastiàn Lelio, con Julianne Moore e John Turturro. Il regista cileno, premio Oscar per il migliore film straniero con “Una donna fantastica”, trasporta a Los Angeles il suo “Gloria” ambientato a Santiago sei anni fa. Nel riproporre la vicenda che lo aveva già fatto apprezzare, ci racconta ancora di Gloria che ama i suoi figli ormai adulti ma che si sente ancora una donna desiderabile, che ama ballare nei club per single e, tra un’avventura e l’altra, non smette di credere all’amore. Proprio in una di quelle serata, sulla pista da ballo, incontra Arnold, fresco di divorzio, e tra i due nasce una passione travolgente che farà riscoprire a entrambi una felicità quasi dimenticata. Tuttavia la ex moglie e le figlie di Arnold sono ancora presenti, il suo cellulare squilla incessantemente e lui non sembra sapersi staccare dal passato. Durata 102 minuti. (Centrale V.O., Eliseo Rosso, Romano sala 1)
 
Green Book – Drammatico. Regia di Peter Farrelly, con Viggo Mortersen e Mahershala Ali. All’inizio degli anni Sessanta, dopo la chiusura del locale di New York in cui lavora come buttafuori, l’italoamericano Tony Vallelonga detto Lip dovrà cercarsi un nuovo lavoro. Lo assolda come chauffeur un pianista raffinato, tranquillo e omosessuale, Don Shirley, dal momento che lo vede menar le mani in maniera rassicurativa e nonostante i pregiudizi razziali che riempiono i discorsi dell’uomo: Don deve andarsene nel Sud per lavoro e in quegli anni nessun uomo di colore osava avventurarsi là senza l’aiuto del “Greenbook”, vademecum necessario a conoscere gli hotel, i ristoranti, i luoghi pubblici in cui i neri erano ammessi. Tuttavia nel lungo viaggio qualcosa cambia, i due uomini imparano a conoscersi. Tratto da una storia vera, il film poggia sull’enorme bravura di Mortensen, tralasciando lo spettatore tutta la prevedibilità della storia (vera) e certi momenti (la cena di Natale nel finale) troppo zuccherosi; ha tra gli sceneggiatori Nick Vallelonga, il figlio di Tony: all’attivo cinque Golden Globe, tre Oscar conquistati, tra cui quello inatteso e certo azzardato per il miglior film. Durata 130 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Greenwich Village sala 2, Romano sala 3, The Space, Uci)
 
Momenti di trascurabile felicità – Commedia. Regia di Daniele Luchetti, con Pif, Thony e Renato Carpentieri. Alla base del film del regista del “Portaborse” sono i due libri di Francesco Piccoli (qui anche cosceneggiatore) pubblicati da Einaudi, “Momenti di trascurabile felicità” e “Momenti di trascurabile infelicità”. Momenti che coinvolgono la vita di ognuno: questa volta potrà approfittarne Paolo che, passato a miglior vita per un incidente in motorino – un furgone l’ha messo sotto mentre lui passava con il rosso -, riuscendo a convincere Qualcuno che quella non era assolutamente ancora la sua ora – una sorta di “Il paradiso può attendere” in chiave nostrana -, avrà a disposizione un surplus di 92 minuti (che è poi la durata del film) per intavolare un bilancio della propria esistenza. Durata 92 minuti. (Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Reposi, Romano sala 2, The Space, Uci)
 
Non sposate le mie figlie 2 – Commedia. Regia di Philippe de Chauveron, con Christian Clavier e Chantal Lauby. Necessario seguito alle “tragicomiche” peripezie della prima puntata: ora i coniugi Verneuil debbono affrontare quattro nuovi casi, dal momento che gli altrettanti mariti delle loro figlie hanno deciso di lasciare la Francia per vari motivi. Che succederà questa volta? Durata 90 minuti. (Centrale V.O., Massaua, F.lli Marx sala Harpo, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)
 
La promessa dell’alba – Drammatico. Regia di Eric Barbier, con Charlotte Gainsbourg e Pierre Niney. Già circa quarant’anni fa Jules Dassin aveva affrontato il romanzo di Romain Gary avendo come interpreti Melina Mercouri e Assaf Dayan, aveva portato sullo schermo quello che è stato definito “uno dei più straordinari tributi mai scritti da un uomo alla propria madre”. La storia avventurosa dello scrittore, l’infanzia in Polonia e l’adolescenza e la successiva vita di studente tra la Costa Azzurra e Parigi, la sua partecipazione al secondo conflitto mondiale come intrepido pilota, le sue tante avventure femminili, il proprio rapporto con la madre Nina, che lo ha allevato da sola, il folle amore di una madre possessiva ed eccentrica, indomabile negli sforzi di vedere il figlio affermarsi come scrittore, un rapporto che ha sempre unito due forti personalità ma che è stato altresì un faticoso peso per tutta la vita. Romain Gary morì suicida a Parigi nel 1980. Durata 131 minuti. (Nazionale sala 1)
 
I villeggianti – Commedia. Regia di Valeria Bruni Tedeschi, con Riccardo Scamarcio, Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi. Anna alla fine di un amore (è lui a lasciarla), Anna sollecitata da un produttore a presentarsi al Centro di cinematografia per convincere la commissione a finanziare il suo prossimo film, Anna che vive con la sua “corte”, con le debolezze e gli slanci che le conoscono e che lei stessa si riconosce, Anna con sua figlia tra familiari e amici durante le vacanze estive nella villa in Costa Azzurra. La vita della regista/interprete che si mescola tra realtà e finzione cinematografica, Valeria in perfetta sovrapposizione personaggio/interprete che mette ancora una volta il suo presente e il suo passato dentro un suo film, i volti della madre e della figlia adottata con Louis Garrel, la sceneggiatrice del film da fare che è l’autentica sceneggiatrice del film che vediamo oggi sullo schermo. Durata 128 minuti. (Classico, Museo del Cinema – Massimo Sala Cabiria V.O., Reposi)

Un americano a Torino. "Seeming Confines"

Nel torinese “Spazio Don Chisciotte”, le astratte forme colorate di David Ruff
Forme armoniosamente informi, dal vibrante e intenso tratto coloristico. Giocate, in ampie campiture, su stupendi bagliori di luce e sull’astrazione di un segno che, all’apparenza, “fatica” a prendere corpo. Compiuto e intellegibile. Forme che generano forme, che si frappongono e sovrappongono, che s’inciampano, s’indispettiscono, si spezzano e si ricompongono. Come i sogni alle prime luci del giorno. O le immagini di una natura tanto amata (“una foglia dorata, un ciottolo, una crepa in un muro, una lumaca, la forma dei campi…”) da esaurirsi nel gioco imprevedibile e suggestivo e bastevole di poetiche intime sensazioni. Sospese fra subconscio e realtà. Senza confini di mezzo. Terra libera, dove “parte della mia anima diventa un dipinto con una propria anima, e sono io che la devo nutrire. Ogni dipinto dà vita al successivo. Nasce qualcosa di nuovo, qualcosa che è sempre esistito. Poi non resta che una finitura cosciente. E’ il mio nome, la data e forse un titolo”. Così, meglio d’ogni altro, raccontava –in una personale del ’75 alla “Bergamini” di Milano – la genesi dei suoi dipinti David Ruff (New York, 1925 – Torino, 2007), cui la Fondazione Bottari Lattes dedica oggi nelle sale torinesi del suo “Spazio Don Chisciotte” di via Della Rocca, una coinvolgente retrospettiva comprendente nove lavori su carta (inchiostri e gouache) e venti dipinti, realizzati prevalentemente negli anni Settanta, accanto a diari, appunti scritti a mano e ritratti fotografici, utili a meglio comprendere il contesto storico-culturale presente nella ricerca dell’artista. Curata da Valentina Roselli e dal “David Ruff Archive” (fondato a Torino nel 2017 dalla moglie Susan Finnel), la rassegna s’incentra con saggio acume sugli oltre trent’anni trascorsi in Europa da Ruff, che artisticamente cresciuto fra New York e San Francisco (dove fonda e dirige, fra l’altro, un atelier grafico, producendo opere destinate a diventare testi fondativi della poesia d’avanguardia americana, sotto l’egida e l’amicizia di nomi sacri come Kenneth Patchen o Harold Chumbly o Ferlinghetti) nel ’69, con la moglie e la figlioletta Aleyda, si trasferisce prima ad Amsterdam e, nel ’71, in Piemonte, vivendo per oltre trentacinque anni fra Baldissero, Bagnolo e Torino. Pittore, grafico, poeta e intellettuale nel senso più lato del termine Ruff – che negli States fu anche attivista impegnato nelle grandi campagne politiche per i diritti civili, in Alabama, Mississipi, Upstate New York e Washington D.C. – “porta con sé una ricerca – scrive Valentina Roselli – alimentata dal grande fermento artistico degli Stati Uniti a partire dagli anni Quaranta, studiando dal vivo giganti come de Kooning, Pollock, De Stael, Gorky, Baziotes e Rothko”. La lezione è quella dirompente dell’informale prima e dell’espressionismo astratto poi, cui spesso l’artista viene negli anni associato, pur se il suo percorso di ricerca naviga da sempre per mari assolutamente originali, inconfondibili nella trattazione di cifre stilistiche particolarmente attente ai miracoli del colore e che negli anni europei lo avvicinano fortemente allo studio del Rinascimento italiano, così come alla pittura tonale veneta (dei Giorgione e dei Tiziano) e soprattutto ai modi di certo grande post-impressionismo, che riporta agli intensi gialli mediterranei e ai blu ineguagliabili di un Bonnard. Il tutto arricchito da una sensibilità pittorica e da un modo d’intendere il “mestiere” d’artista assolutamente singolare, come “viaggio dai confini non demarcati, senza l’urgenza di una definizione”. Di qui anche il titolo della mostra “Seeming Confines” (“Confini apparenti”) che coincide con il titolo di un olio su tela di Ruff del ’73, ispirato all’opera “Endymion (IV, 513)” di John Keats, poeta molto amato dall’artista. Un pittore che “ha saputo trasformare in immagini – ancora Roselli – l’avventura esistenziale, scardinando categorie e stereotipi con prontezza e raffinata ironia”. Con colta gioiosità e la pura fantasia di un curioso poeta fanciullo che all’amata natura guarda ogni volta con infinito stupore e un desiderio profondo nel cuore: “Ogni volta che guardo un ciottolo, una conchiglia o le stelle –scriveva Ruff – c’è qualcosa di nuovo da vedere… Spero che i miei quadri stiano nel cosmo come le piante, le stelle, le conchiglie, le persone”.

Gianni Milani

“Seeming Confines”
Spazio Don Chisciotte – Fondazione Bottari Lattes, via Della Rocca 37B, Torino; tel. 011/1977.1755 o www.fondazionebottarilattes.it
Fino al 18 aprile
Orari: dal mart. al sab. 10,30/12,30 e 15/19
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Nelle foto

– David Ruff
– “Seeming Confines”, olio su tela, 1973
– “Untitled”, gouache su carta, 1969
– “The Second Sound”, olio su tela, 1975
– “Come gli uccelli in autunno”, olio su tela, 1974

 

Slavika, la quinta edizione del festival delle culture slave

 Torna il festival Slavika a Torino, giunto alla V edizione. Il Festival è organizzato dal circolo culturale Polski Kot, con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano, l’Istituto Polacco di Roma, Klec Blazna e Sovietniko

 Contribuiscono all’ideazione del Festival: l’associazione culturale “Most”, la casa editrice Miraggi, Sottodiciotto Film Festival, libreria Trebisonda, “East Journal”, Unione Culturale Franco Antonicelli, associazione “To je to”, associazione “RetròScena”. I “luoghi” del Festival saranno molti: dal Polski Kot di via Massena allo Jazz Club, Circolo dei Lettori, CineTeatro Baretti,Polo del ‘900 e Unione Cuturale. Concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche, presentazioni di libri, incontri con gli autori, mostre di fotografia e un premio di traduzione letteraria animeranno il fitto calendario della rassegna dedicata all’Europa centro-orientale. Dal concerto di Damir Imamovic, principe della musica “sevdah” di Sarajevo, venerdì 15 marzo, fino al concerto di Babbutzi Orkestar al Jazz Club a chiudere lunedì 25 marzo, passando per una lunga serie di appuntamenti imperdibili: la presentazione del libro Proletkult del collettivo Wu Ming, gli incontri con gli autori polacchi Anna Frajlich, Mariusz Wilk e la celebre Olga Tokarczuk, le proiezioni del documentario Naked Island sull’isola di Goli Otok, e del film polacco Carte blanche alla presenza del regista Jacek Lusinski. Uno spazio di rilievo quest’anno sarà garantito alla fotografia, con ben due mostre in anteprima: quella del fotoreporter di guerra polacco Krzysztof Miller, morto suicida nel 2016 dopo aver coperto tra i più importanti conflitti negli ultimi 25 anni, e dell’artista russa Aleksandr Petrosjan. Per il teatro, il collettivo Patom Theatre inscenerà lo spettacolo I ran and got tired ispirato all’opera di Daniil Charms. Ci sarà una giornata interamente dedicata all’architettura nei Balcani: l’associazione “To je to” affronterà la tematica degli spomenik(monumenti commemorativi per i caduti della Seconda Guerra Mondiale voluti tra gli anni ’60 e ’70 da Tito), mentre Antonio Cunazza e Gianni Galleri parleranno di estetica degli stadi di calcio in quelle zone. Anche quest’anno verrà riproposto il laboratorio di traduzione con i docenti universitari Olja Arsic (letteratura serbo-croata) e Massimo Maurizio (letteratura russa).

IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL: 14-25 MARZO 2019

– giovedì 14/3 ore 18.30 Spazio Eventa, via dei Mille, 42 – Torino. Inaugurazione del Festival.Mostra fotografica: “Krzysztof Miller – Fotografie che non hanno cambiato il mondo. Storia di un fotoreporter polacco”. Ingresso libero.

Krzysztof Miller è stato uno dei fotoreporter polacchi più importanti, prematuramente scomparso a 54 anni nel 2016. Nei suoi scatti i momenti storici legati alla “Tavola rotonda” polacca, la rivoluzione in Romania, le guerre di Bosnia e Cecenia. Prima esposizione in Italia dei suoi lavori. A cura di Tiziana Bonomo (Artphoto). Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– venerdì 15/3 ore 18. Polo del ‘900, via del Carmine, 14 – Torino. Foto, racconti e video: “Borders – Sul confine. Un viaggio nell’Ucraina di oggi”. Ingresso libero, aperitivo a seguire

Quattro anni dopo le proteste in piazza Maidan, un gruppo di giovani italiani viaggia al confine dell’Unione Europea per incontrare associazioni locali di giovani impegnati a rispondere come società civile alle tensioni e ai conflitti nel paese. La serata di inaugurazione prevede la proiezione del documentario, lettura di estratti del racconto di viaggio a cura di “Nouvelle Plague” e buffet. Nei giorni seguenti la mostra sarà visitabile (fino al 24 marzo)presso la Galleria delle Immagini del Polo del ‘900 (via del Carmine, 13). Un progetto di RetròScena realizzato con Fondazione Nocentini e Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini. Con il sostegno del Polo del ‘900;

– venerdì 15/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino.Concerto: Damir Imamovic (Bosnia-Erzegovina). Aperitivo e concerto: 12 euro, prima consumazione: 5 euro. Prenotazione obbligatoria per l’aperitivo.

Damir Imamović (nato nel 1978) è un musicista, cantante e compositore della musica tradizionale della Bosnia ed Erzegovina, “sevdah” o “sevdalinka”.

Damir Imamović è nato a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, in una famiglia di musicisti. Suo padre Nedžad Imamović (1948), è un bassista, produttore, cantante e autore, mentre suo nonno paterno Zaim Imamović (1920-1994), è stato un musicista leggendario e cantante folk bosniaco tradizionale, famoso negli anni ’40 e ’60. Damir trascorse i suoi anni di formazione (1992-1995) vivendo nella città assediata di Sarajevo. Ha iniziato a suonare la chitarra quando aveva 15 anni;

sabato 16/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino.Presentazione libro di Maksim Gor’kij: “Lenin, un uomo” (Sellerio). Con il curatore Marco Caratozzolo (docente di Lingua e Letteratura russa all’Università di Bari) dialoga Massimo Maurizio (ricercatore di Lingua e Letteratura russa all’Università di Torino). Ingresso libero. Libri in libera vendita.

Ricordi, pieni di affetto e di ammirazione, per un personaggio mitizzato o vituperato nella storia per la propria azione politica. Ma in questo ritratto non è la politica al centro del mirino: è l’uomo Lenin che Gor’kij vuole, riuscendoci meravigliosamente, scolpire nella memoria. E sorprendere;

– sabato 16/3 ore 19.30. Klec Blazna, via sant’Ottavio, 37 – Torino. Festa d’inaugurazione.Musica e cucina.

“East Journal”, “Kiosk” (programma radiofonico di Radio Beckwith) e “Most” associazione presentano la festa d’inaugurazione della V edizione di “Slavika” con tanta buona musica d’oltrecortina e menù tipico balcanico: zuppa Jota (zuppa di fagioli, verza e patate), cevapcici, baklava e mezzo litro di birra a 22 euro. Prenotazione obbligatoria per chi vuole cenare. In collaborazione con: “East Journal”, “Kiosk”, “Most” associazione e Radio Beckwith;

– domenica 17/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Architettura ed ex Yugoslavia: “L’eredità degli Spomenik”. Con Diego Acampora, Eric Gobetti e Chiara Bosco (associazione “to je to”). Ingresso libero, aperitivo a seguire.

Spomenik è una parola serbo-croata, letteralmente significa “monumento”. Riferita al contesto balcanico tuttavia essa si riferisce ad una particolarissima tipologia di opera. Gli Spomenik sono infatti tutti quei manufatti costruiti durante la dittatura socialista di Josip Broz Tito. Sono solitamente memoriali di guerra, enormi totem eretti nei luoghi dove si sono tenute battaglie importanti e ideati per ricreare, in un nuovo stile architettonico a tratti futuristico e spesso indecifrabile, un’identità jugoslava trasversale. Per cui andare alla loro riscoperta equivale alla ricerca di una cultura a volte volutamente dimenticata, dei monumenti religiosi di un culto laico ormai scomparso… Fino a un certo punto. In collaborazione con associazione “to je to”;

– domenica 17/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Architettura ed estetica degli stadi slavi: “In viaggio da Nova Gorica a Istanbul, tra calcio e architettura”. Con Antonio Cunazza(Archistadia) e Gianni Galleri (Curva Est). Ingresso libero, aperitivo alla fine dell’evento precedente.

Due esperti massimi di architettura (Antonio Cunazza, curatore della pagina FB Archistadia e Gianni Galleri, autore del libro: “curva Est” e curatore della pagina Fb omonima) ci parlano di estetica e meraviglia degli stadi balcanici e di episodi a sfondo sportivo-coreografico che vi sono accaduti;

– lunedì 18/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con l’autore. Con Anna Frajlich dialoga Giulia Randone (slavista e dottore di ricerca dell’Università di Torino). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri n libera vendita.

Anna Frajlich è una poetessa polacca di origini ebraiche che da anni vive negli Stati Uniti, dove ha insegnato lingua e letteratura polacca alla Columbia University di New York. È nata nel 1942 a Katta-Taldyk, nella Reppubblica Socialista Sovietica Kirghiza, dove era fuggita sua madre in seguito all’invasione tedesca di Leopoli nel 1941. Dopo la guerra è tornata in Polonia, abitando prima a Stettino e poi a Varsavia, dove si è laureata in lingua e letteratura polacca. Sull’onda della campagna antisemita fomentata dalle autorità comuniste nel 1968 la poetessa ha lasciato la Polonia l’anno successivo, soggiornando per qualche mese in Italia per poi, nel 1970, trasferirsi in pianta stabile a New York. Anna Frajlich è autrice di dodici raccolte di poesia. La Parlesia Editore ha pubblicato quest’anno il suo primo libro in italiano: “Un oceano tra di noi”, che sarà possibile acquistare durante la serata. Con il sostegno dell’Istituto di Cultura Polacca di Roma;

lunedì 18/3 ore 21. Cinema Baretti, via Baretti, 4 – Torino. Docufilm: “Goli Otok/Naked island”. Ingresso: intero 4 euro, ridotto 3 euro (per le riduzioni consultare il sito: www.cineteatrobaretti.it)

Isola Nuda per gli slavi, Isola Calva per gli italiani d’Istria. In croato si chiama Goli Otok, in italiano più raramente isola Golli. È stato il luogo in cui il regime titino, dal 1949 al 1956, ha cercato di rieducare i filosovietici (cominformisti) al socialismo jugoslavo. E per farlo ha utilizzato, oltre all’indottrinamento politico, anche il lavoro forzato e violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo. Il documentario di Tiha K. Gudac, (Croazia 2014, col., 75′, v.o. sott. ita./eng)
è un’indagine che la regista svolge sulla sua famiglia. Tiha K. Gudac cerca di capire il segreto del nonno, che sparito per alcuni anni era poi tornato coperto di cicatrici. Un racconto delicato che porta alla luce un segreto familiare e nazionale sulla ex-Jugoslavia: quello di Goli Otok, l’”Isola Calva”, il campo per gli oppositori politici del regime di Tito. Miglior documentario al Sarajevo Film Festival e premio CEI al Trieste International Film Festival;

– martedì 19/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con l’autore. Con Dunja Badnjevic dialoga Ljiljana Banjanin (professoressa di Lingua e Letteratura Slava all’Università di Torino). Ingresso libero, aperitivo a seguire.

Dunja Badnjević, nata a Belgrado, vive da più di quarant’anni in Italia. Ha lavorato come redattrice e attualmente si occupa di traduzione e promozione della letteratura serba, bosniaca e croata in Italia. Ha tradotto per Adelphi, Editori Riuniti, Guanda, Ponte alle Grazie, Newton Compton, Jaca book e altre case editrici. Per la collana Meridiani della Mondadori ha curato: “Ivo Andrić,Romanzi e racconti”. È vicepresidente dell’associazione interculturale «Lipa». Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: “L’isola nuda”, romanzo che mette al centro proprio la realtà di Goli Otok. Lì vi fu rinchiuso per alcuni anni il padre dell’autrice, convinto internazionalista «epurato» da Tito dopo lo strappo con l’Urss nel 1948. Affascinanti le pagine finali sull’apolitudine, su quel senso di perdita e di assenza che molti di coloro che hanno vissuto la Jugoslavia e il suo disfacimento ancora soffrono; – martedì 19/3 ore 21. Circolo dei Lettori, via Bogino, 9 – Torino. Incontro con l’autore. Con Olga Tokarczuk dialoga Andrea Bajani (scrittore). Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Libri in libera vendita.

Olga Tokarczuk (Sulechów, 29 gennaio 1962) è una scrittrice polacca. È una degli scrittori polacchi della sua generazione più acclamati e di grande successo commerciale. Ha studiato psicologia presso l’Università di Varsavia. Ha pubblicato raccolte di poesie, vari romanzi, così come di altri libri con opere più brevi. Il suo libro “Bieguni” (“I vagabondi”, in uscita in questi giorni per Bompiani nella traduzione della “nostra” Barbara Delfino) ha vinto nel 2008 il premio Nike, tra i premi più importanti della letteratura in Polonia, e nel 2018 il Man Booker International Prize (l’edizione in inglese aveva il titolo: “Flights”). Olga Tokarczuk vanta numerose altre traduzioni in italiano. In collaborazione con Bompiani Editore;

– mercoledì 20/3 ore 18. Unione culturale Franco Antonicelli, via Cesare Battisti, 4 – Torino. Presentazione del libro: “Proletkult” (Einaudi). Con gli autori (Wu Ming) dialoga Daniela Steila (professoressa di Storia della Filosofia all’Università di Torino e presidente dell’Unione Cuturale). Ingresso libero, aperitivo a seguire (a cura di Sovietniko). Libri in libera vendita.

Mosca, 1927. Che le proprie storie si mescolino alla realtà fino al punto di prendere vita: non è questo il sogno segreto di ogni narratore? È ciò che accade ad Aleksandr Bogdanov, scrittore di fantascienza, ma anche rivoluzionario, scienziato e filosofo. Mentre fervono i preparativi per celebrare il decennale della Rivoluzione d’Ottobre e si avvicina la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, l’autore del celebre Stella Rossa riceve la visita di un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine del suo romanzo. È l’occasione per ripercorrere le tappe di un’esistenza vissuta sull’orlo del baratro, tra insurrezioni, esilio e guerre, inseguendo lo spettro di un vecchio compagno perduto lungo la strada. Una ricerca che scuoterà a fondo le convinzioni di una vita;

– mercoledì 20/3 ore 21. Unione culturale Franco Antonicelli, via Cesare Battisti, 4 – Torino. Conferenza. Mark Steinberg, professore di storia all’Università dell’Illinois (Urbana-Champaign), parla di: “Ha ancora senso, oggi, studiare la rivoluzione russa? E, se ha un senso, dove lo si trova?” Ingresso libero.

Ha ancora senso, oggi, studiare la rivoluzione russa? E, se ha un senso, dove lo si trova? Ne parliamo con Mark Steinberg, autore del volume The Russian Revolution. 1905-1921 (Oxford U. P., 2017). Dal 2017 Steinberg è intervenuto in giro per il mondo (in Russia, Canada, UK, nelle maggiori università americane…) in occasione del centenario della rivoluzione, proponendo un approccio innovativo incentrato sulle passioni e gli entusiasmi che animavano i protagonisti, anche oscuri, di quella vicenda. Con noi discuterà del senso che può avere per noi quella storia, nei tempi bui che stiamo attraversando, dall’esperienza di insegnamento in luoghi “insoliti” come un carcere americano, alla riflessione sul significato rivoluzionario della ricerca queer (Steinberg è il padre della famosa drag queen Sasha Velour). L’intervento sarà in lingua inglese, con traduzione consecutiva (se richiesto).

– mercoledì 20/3 ore 21. Cinema Baretti, via Baretti, 4 – Torino. Film: “Carte blanche”. Ingresso: intero 4 euro, ridotto 3 euro (per le riduzioni consultare il sito: www.cineteatrobaretti.it). Alla proiezione parteciperà il regista, Jacek Lusinski.

“Carte blanche” (di J. Lusinski, Polonia 2015, 106′). Un professore di liceo molto amato dai suoi allievi, per non perdere il suo posto e preparare bene i suoi studenti alla maturità, nasconde il fatto che sta perdendo la vista. La diagnosi medica non lascia alcuna speranza: il professore è minacciato da una cecità permanente e totale. Ma le sue reazioni avranno un’evoluzione: spaventato all’inizio, non cade nella disperazione. Al contrario, adempie alla sua missione educativa, allaccia un’amicizia vera e aiuta un’allieva ribelle. Ispirato a fatti reali, il racconto del film potrebbe avere un impatto sociale perché testimonia la situazione complicata delle persone handicappate e la loro lotta per vivere nella società. Alla proezione sarà presente il regista, Jacek Lusinski, che aveva esordito nel 2009 come regista e sceneggiatore del film: “Pixels”. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– giovedì 21/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Presentazione del libro: “Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica” (Raffaello Cortina Editore) di Gian Piero Piretto. Con l’autore dialoga Elisa Baglioni (dottore di ricerca in Lingua e Letteratura Russa, collettivo Spara Jurji). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri in libera vendita.

L’universo sovietico ha suscitato per circa settant’anni entusiasmi e avversioni. Attraverso una periodizzazione non scandita dalla banalità dei decenni, in questo libro si analizzano eventi storici, imprese, campagne promozionali e dissuasorie subite dai cittadini del paese dei Soviet, con uno speciale accento sulla percezione dei fatti nella quotidianità della gente comune. Propaganda, retorica, passioni sono prese in esame sulla base della cartellonisti-ca, delle riviste, del cinema, dell’architettura, delle arti, della cronaca. Dai trascinanti investimenti dei primi anni al binomio euforia-terrore che ha segnato l’era staliniana, dalle sottoculture giovanili degli anni Cinquanta e Sessanta ai primi passi del rock nei Settanta, si giungerà alla fatidica notte di Natale del 1991, quando venne ammainata la bandiera rossa sul Cremlino. Tutto documentato da un ricco apparato iconografico tratto dalla straordinaria produzione di grafici e artisti del tempo;

– giovedì 21/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Spettacolo teatrale: “I ran and got tired” ispirato a Daniil Charms. Di Patom Theatre. Aperitivo e spettacolo: 10 euro, prima consumazione: 5 euro. Prenotazione obbligatoria per l’aperitivo.

Due personaggi sconcertanti e surreali abitano e colmano il palco: sono il Poeta e la Donna, forse sua musa, sua ombra, sua donna, suo amore, figure che impersonano l’Assurdità dell’esistenza, la tragedia di una condizione che vede uno scontro perenne contro la censura e il potere, senza possibilità di resa. La condizione dell’autore cui la pièce “I ran and got tired” fa riferimento è, infatti, quella del surrealista, drammaturgo e poeta russo Daniil Charms (1905-1942), uno degli ultimi rappresentanti dell’avanguardia russa. E lo spettacolo si rivela, dunque, come una rappresentazione multi-linguistica che porta alla luce la lotta di un artista e l’assoluta e ineludibile necessità di combattere per le proprie convinzioni. Durante la sua attività, infatti, Charms poté vedere pubblicati solo i suoi racconti per bambini. Fu arrestato due volte, nel 1931 e nel 1941, mentre le sue opere per adulti furono rilasciate solo nel 1978;

– venerdì 22/3 ore 18. Circolo dei Lettori, via Bogino, 9 – Torino. Incontro con l’autore. Con Mariusz Wilk dialoga Carlo Grande (scrittore sceneggiatore e giornalista). Ingresso libero. Libri in libera vendita.

Mariusz Wilk (1955, Breslavia) è uno scrittore giornalista, saggista, viaggiatore polacco. Dal 1978 attivista dell’opposizione democratica. Co-fondatore delle letture di opposizione “underground”: “Biuletyn Dolnośląski”, “Podaj dalej”, “Tematy”. Dopo la legge marziale rimase nascosto, in qualità di direttore della rivista „Solidarność. Pisma Zarządu Regionu”, fino all’arresto nel dicembre 1982. Fu rilasciato nel 1983 e nuovamente arrestato nel 1986. Negli anni ’90 del XX soggiorna all’estero, negli Stati Uniti e infine in Russia, sulle isole Soloveckie. Durante questo periodo è stato corrispondente russo di “Kultura”, fino all’ultimo numero della rivista nel 2000. Nel 2006, il Presidente della Repubblica di Polonia, Lech Kaczyński, ha premiato lo scrittore con la Croce degli ufficiali dell’Ordine della Rinascita della Polonia. Il 4 giugno 2015, Mariusz Wilk è stato privato del diritto di vivere in Russia per cinque anni. Per la prima volta in Italia viene tradotto e pubblicato un libro di Wilk, “Uomini renna” (La Parlesia editore), grazie al lavoro di Barbara Delfino e Giulia Randone. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano;

– venerdì 22/3 ore 20.30. FIAF, via Pietro Santarosa, 7 – Torino.Mostra fotografica di Aleksandr Petrosjan, “Racconti di Pietroburgo”. Ingresso libero.

Aleksandr Petrosjan è considerato il più grande fotografo contemporaneo di tutta la Russia. Nato in Ucraina nel 1965, vive a San Pietroburgo da oltre 40 anni ed i suoi scatti hanno vinto numerosissimi premi in tutto il mondo. Inizia per caso a cimentarsi con la fotografia, immortalando semplicemente il suo quartiere ed i passanti; solo nel 2000 decide di affrontare la sua passione in maniera professionale. Lavora così per giornali come “Newsweek”, “National Geographic”, “GEO”, “Russian Reporter”, “Kommersant”, “Komsomolskaya Pravda”, and “Business Petersburg”. Ha vinto per due anni consecutivi, nel 2006 e nel 2007, il premio come “Fotografo dell’anno” ai St. Petersburg Awards. La mostra sarà visitabile fino al 5 aprile.

Sito di riferimento: http://aleksandrpetrosyan.com/en/;

– sabato 23/3 ore 10. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Seminario di traduzione letteraria (russo, serbo-croato) con Olja Arsic Perisic (professore a contratto di Lingua serbo-croata all’Università di Torino) e Massimo Maurizio (ricercatore di Lingua e Letteratura russa all’Università di Torino). Ingresso libero.

Anche quest’anno una giornata del festival sarà dedicata alla traduzione letteraria. Ci si ritroverà alle 10 del mattino per formare i due gruppi che lavoreranno fino al primo pomeriggio con i due esperti. Il pranzo sarà offerto da Polski Kot. La partecipazione è gratuita, ma occorre segnalare la propria partecipazione entro e non oltre lunedì 18 marzo, così da poter ricevere per tempo il materiale su cui verterà l’incontro;

– sabato 23/3 ore 17. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Assegnazione del premio Polski Kot alla miglior combinazione traduttore-editore riguardante un’opera slava letteraria edita nel 2018 in lingua italiana. Ingresso libero.

Il premio Polski Kot, giunto alla V edizione, vanta quest’anno una long-list di altissima qualità:

1. “Non esistono buone intenzioni” di Katarzyna Bonda. Editore: Piemme, Traduttore: Walter Da Soller e Laura Rescio
2. “Viljevo” di Luka Bekavac, Editore: Mimesis, Traduttrice: Ljiljana Avirović
3. “Toximia” di Margo Rejmer. Editore: La Parlesia, Traduttore: Francesco Annichiarico
4. “La Rivolta” di W.S.Reymont. Editore: Edizioni della sera, Traduttrice: Laura Pillon
5. “L’esercizio della vita. Cronisteria di Nedjeljko Fabrio”. Editore: Oltre, Traduttore: Silvio Ferrari
6. “Nel primo cerchio” di Aleksandr Solzenicyn. Editore: Voland, Traduttrice: Denise Silvestri
7. “La corsa indiana” di Tereza Bouckova. Editore: Miraggi, Traduttrice: Laura Angeloni
8. “Le donne di Lazar’” di Marina Stepnova. Editore: Voland, Traduttore: Corrado Piazzetta
9. “Più silenzioso dell’acqua” di Berislav Blagojević. Editore: Stilo, Traduttore: Danilo Capasso
10. “E dal cielo caddero tre mele” di Narine Abgarjan. Editore: Francesco Brioschi, Traduttrice: Claudia Zonghetti;

– sabato 23/3 ore 18.30. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Presentazione del libro: “Il bruciacadaveri” (Miraggi Editore) di Ladislav Fuks. Intervengono Alessandro De Vito (Miraggi, traduttore e curatore) e Luca Ragagnin (scrittore). Ingresso libero, aperitivo a seguire. Libri in libera vendita.

In una Praga di cattivo umore, il signor Karel Kopfrkingl, creatura pemurosa e ammanierata, impiegato al Crematorio, mette in atto, con soave candore, il suo perfido disegno: l’eutanasia. Campione attardato del Biedermeier praghese sciropposo e idillico, manipolatore di zuccherosi aggettivi che indirizza alla propria moglie, prima, durante e dopo averla fatta fuori, il signor Karel nutre una profonda comprensione per gli infermi e per i derelitti, si rammarica che le bestie soffrano, crede nella reincarnazione e le sue letture preferite sono un libro sul Tibet e un corpus di leggi che regoano le cremazioni. Necroforo attento e puntiglioso, Kopfrkingl offre a chi gli vive intorno una visione della vita seminata di bare e catafalchi, musiche per organo, fuochi purificatori e innumerevoli dolcezze dell’aldilà. Premuroso e untuoso accarezza i suoi cadaveri e li brucia. Aperitivo a seguire;

– sabato 23/3 ore 21.30. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Concerto: AcCello Duo (Polonia). Aperitivo e concerto: 10 euro, prima consumazione: 5 euro.

AcCello Duo è una coppia di strumentisti creata nel 2011 da un fisarmonicista, Konrad Merta, e un violoncellista, Piotr Gach. I musicisti realizzano varie idee artistiche ispirandosi ad accattivanti spettacoli di musica etnica e musica popolare, modificando le proprie composizioni in solenni progetti musicali realizzati con un uso classico senza età. Konrad Merta – nato nel 1989 – fisarmonicista, arrangiatore, compositore. Ha completato i suoi studi di dottorato presso il Dipartimento di Fisarmonica presso l’Accademia di Musica di Katowice. Piotr Gach (violoncello), nato nel 1986 a Słupsk, dove ha iniziato a suonare il violoncello all’età di 6 anni. Durante la scuola elementare e la scuola media, è stato vincitore del I Premio nelle gare di Malbork e Koszalin. Nel 2002 ha iniziato a sviluppare le proprie abilità nella Scuola secondaria di musica a Danzica. Con il sostegno del Consolato Generale della Repubblica di Polonia in Milano.

– domenica 24/3 ore 18. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Incontro con il collettivoVolna Mare“Suto Orizari – L’unico comune in Europa a guida rom”. Ingresso libero.

Volna mare è un giovane collettivo costituito da Simone Benazzo, Marco Carlone e Martina Napolitano, tutti con interessi inerenti la fotografia, la storia e le bellezze del mondo dell’Europa centro-orientale. Hanno all’attivo la pubblicazione di un libro: “Il futuro dopo Lenin. Viaggio in Transnistria” (DOTS edizioni) e molti articoli sui giornali e le riviste più prestigiose d’Italia e oltre. La storia recente di Šuto Orizari inizia nel 1963, quando un terremoto ridisegnò gli equilibri demografici di Skopje. La comunità rom si trovò allora costretta ad abbandonare il proprio feudo tradizionale, il quartiere di Topaana, reso inagibile dal sisma. Il progetto di ricostruzione prevedeva inizialmente l’assimilazione della componente rom, per cui si preventivava di costruire condomini ad hoc in quartieri abitati principalmente dalle comunità maggioritarie della piccola repubblica (al tempo) jugoslava, ovvero albanesi e slavi macedoni. I rom rifiutano. Le autorità decisero allora di assegnare ai rom un intero quartiere, Šuto Orizari, quasi interamente evacuato dalla popolazione originaria e ridotto a un rione fantasma di case pericolanti e fatiscenti. Nel 1996 è stato riconosciuto come uno dei dieci distretti di Skopje, diventando così la prima municipalità al mondo dove il romanì, la lingua dei rom, è lingua ufficiale assieme al macedone. Il censimento del 2002 sancisce che più dell’80% degli abitanti è di nazionalità rom. Aperitivo a seguire;

domenica 24/3 ore 21. Polski Kot, via Massena, 19 – Torino. Proiezione del film: “Tito ed io”. Aperitivo e film: 10 euro, prima consumazione 5 euro.

1954, Belgrado. Zoran è un bambino di dieci anni. Cresce in una famiglia borghese che disapprova il sistema comunista. Il bambino racconta la sua vita quotidiana: la scuola, gli amici e il primo amore. Prende parte al concorso che premia il miglior tema in madrelingua “Vuoi bene al compagno Tito e perché?”. Colui che vincerà il concorso avrà l’occasione di partire per la marcia verso Kumrovec, la terra natia del Compagno Tito. Zoran rivela, nella sua poesia, di amare Tito “più che la mamma e il papà…” Il film (di G. Markovic, 1992, 104′, v.o. con sottotitoli IT) tratta le vicissitudini di un bambino che tramite i propri occhi offre uno scorcio sulla Jugoslavia degli anni ’60. I sottotitoli in italiano sono stati curati da Mia Vujovic.

– lunedì 25/3 ore 21.30. Jazz Club, via San Francesco da Paola ang. Via Giolitti – Torino. Concerto : Babbutzi Orkestar. Ingresso con offerta libera.

La BABBUTZI ORKESTAR nasce nel 2007 e ha solcato importanti palchi quali Hidrellez Festival ad Istanbul, I am Art Festival in Umbria, MEI a Faenza, Guca Na krasu a Trieste, Auditorium La Flog a Firenze, Bloom a Mezzago, BalkanbeatsLondon a Londra, Laborbar a Zurigo, Tipi Festival a Bolzano, Balkan Caravan, Magnolia a Milano, End Summer Fest a Varese, e molti altri oltre a tutte le più importanti piazze d’Italia. Ha suonato sugli stessi palchi di Shantel, Modena City Ramblers, Dubioza Collectiv, Boban & Marko Marcovic, Goran Bregovic, Magnifico, Figli di Madre Ignota, Brooklin Funk Essential, Baba Zula, Can Bonomo, Fanfare en Petard, Robert Soko, Kocani Orkestar, Mad Sound System, Ghiaccioli e Branzini, Motel Connection e molti altri. Un appuntamento imperdibile per chi ama la balkan music! Tra ballate melodiche, polke e infuocati ritmi surf, psychobilly, punk, hip-hop, funky, soul, pop e a volte anche balkan, “Vodka, Polka & Vina”, il loro ultimo album, trascinerà il pubblico in una dimensione delirante e folle da cui sarà difficile uscire.