CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 619

Il mito e l’attualità nel sanguinoso delitto della regina

Una grande pedana, circolare e nera, uno spazio infossato nel centro ricoperto da un velario rosso sangue, un luogo che può diventare una doccia o una fonte rigeneratrice, le luci che piovono dall’alto a creare un reticolato che è una gabbia. All’intorno il mito, la morte cruenta di Agamennone, l’esistenza di Clitennestra ancora a interrogarsi a fianco della governante Alcina, sua coscienza e azione di disturbo, l’entrata in scena di Cassandra che per l’eroe di Troia non ha il sapore di una delle tante avventure ma è l’amore vero che tra poco le genererà un figlio. Alla porta s’avvicina ormai Oreste, venuto a vendicare il padre. Questa la cornice di Clitennestra deve morire – a riecheggiare i Taviani -, tragedia “moderna” di Osvaldo Guerrieri, scrittore e critico teatrale, non nuovo al palcoscenico se si ricordano le precedenti prove di Alé Calais e Sibilla d’amore, vista e applaudita all’Astra, in programma fino a domenica per la stagione della Fondazione Teatro Piemonte Europa. Una modernità immersa a poco a poco da Guerrieri, negli abiti, nel linguaggio, nel furore dei sentimenti, nelle parole di oggi che scorrono tranquillamente lungo il testo, caffè glicemia creme di bellezza elettrocardiogramma VES le prime che tornano alla mente, nelle tappe d’esilio del figlio vendicatore, sceso da un cargo nel porto dopo esser stato a Istanbul o a Tangeri o a Casablanca; un oggi che la regia di Emiliano Bronzino non certo soltanto inquadra ma rende pieno, vivace, ricco di suggestioni, per cui non ti allarmi se dalla colonna sonora non escono solo rumori come il continuo gocciolo dell’acqua ma anche La mer di Charles Trenet. Giustamente l’autore rivendica una autonomia di scrittura, pur nella affettuosa confessione di aver tenuto d’occhio quel che i millenni ci hanno tramandato intorno a quell’uxoricidio: la sua Clitennestra è innegabilmente legata al racconto antico ma è viva e palpitante nel rivissuto, nella riflessione, nel teorema di quel dramma inteso come forma estrema d’amore.

La protagonista racconta e ricorda, ritorna al passato e al delitto compiuto, trasmette al pubblico le proprie sensazioni e le proprie certezze, ben ancorate, respinge quell’unica causa che può essere la gelosia per un’affermazione più profonda, l’aver ucciso Agamennone rifiutandone la lontananza, la freddezza, l’indifferenza. La vicenda, sul palcoscenico odierno, si dilata in un tempo assoluto, in un non-tempo, in un tempo che ci precede e ci segue, dal momento che il mito diventa parte di noi e ci spinge verso drammi che ormai quotidianamente occupano le pagine dei giornali sempre più pericolosamente. L’attualità prende il sopravvento, affonda le radici nell’antico per vivere poi di vita propria. Guerrieri ha il dono della bella scrittura, vibrante, celebra allo stesso tempo il realismo e il sogno, scrittura suggestivamente costruita su passaggi di memoria e d’azione, sulle immagini e sui fatti, su un mescolarsi teatralmente perfetto, concatenato, di passato e di presente, di improprio e di personale. Patrizia Milani, affiancata da Gisella Bein che pungola come Alcina quasi come un incubo la sua padrona, rende perfettamente la ribellione e lo strazio della sua regina, riempiendo per i 60’ di spettacolo la scena con grande autorevolezza, con momenti capaci di offrire una grande prova.

 

Elio Rabbione

Baratti, Lorenza Gentile al “caffè delle cinque”

Appuntamento domenica 2 aprile alle ore 17 al Caffè Baratti & Milano di Torino con la scrittrice Lorenza Gentile che dà il via a“Il caffè delle cinque”, ciclo di incontri letterari con scrittori nazionali, in collaborazione con la Scuola Holden. Un tavolino, da bere e infinite idee…ecco di nuovo la magia del caffè letterario, come quelli in cui tra 800/900 sedevano maître à penser di arte, letteratura, giornalismo, politica, e che Honorè de Balzac definì nientemeno che…istituzioni.

 

Oggi a rinnovare la bellezza di queste vetrine sul mondo e autentiche fornaci di cultura, da domenica fino al 25 giugno sono in programma quattro incontri con altrettanti autori che presentano i loro libri e si confrontano con il pubblico.

 

Ne ha fatta di   strada lo storico caffè fondato nel lontano 1858 dai produttori canavesani di confetti Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano che inseguirono la visione di una bottega a Torino con i migliori prodotti dolciari della città. E’nato così il Caffè Baratti & Milano, locale storico tra i più antichi e prestigiosi all’ombra della Mole, nella centralissima Piazza Castello, adiacente alla Galleria Subalpina, che fu luogo di ritrovo della borghesia e dell’intellighenzia con frequentatori della caratura di D’Azeglio, Giolitti ed Einaudi.

 

Tra specchi, marmi, dorature e stucchi del caffè dal ricco profilo architettonico e artistico, riprende la tradizione del caffè come spazio educativo, a partire dal primo incontro con la scrittrice Lorenza Gentile che domenica 2 aprile alle ore 17 presenta il suo nuovo “La felicità è una storia semplice” (Einaudi) e risponde alle domande degli allievi della Scuola Holden e del pubblico.

La giovane autrice milanese, laureata in Arti dello Spettacolo alla Goldsmith University di Londra, dopo il successo del suo libro di esordio “Teo” (romanzo che indaga la solitudine affettiva dell’infanzia e adatto a bambini, genitori ed insegnanti), questa volta affronta la vicenda del quarantaseienne disoccupato Vito Baiocchi, alle prese con la nonna ottuagenaria che pretende di essere accompagnata nel luogo natio siciliano. Un viaggio attraverso lo stivale ma più che altro preziosa occasione da non perdere per ripensare alle loro vite.

 

Il secondo appuntamento di “Il caffè delle cinque” è domenica 7 maggio con Matteo Achilli e

l’autobiografico “The Startup” (Rizzoli) in cui racconta la sua storia di successo alla Zuckerberg in salsa italiana. L’autore, nato a Roma nel 1992, è amministratore unico di Egomnia, società informatica attiva sul mercato delle risorse umane. Giovanissimo imprenditore self made, Achilli ha avuto l’idea vincente della startup multimiliardaria: una piattaforma mirata ai giovani che vogliono trovare lavoro e li mette in contatto con le aziende.

 

Domenica 11 giugno sarà l’occasione per incontrare Pietro Caliceti e saperne di più sul suo “Bitglobal” (Baldini & Castoldi) primo legal thriller italiano con al centro il bitcoin, cripto-valuta sempre più diffusa in Italia, anche se pochi sanno come funziona. Caliceti in passato è stato avvocato d’affari (con all’attivo grandi operazioni e cessioni aziendali), dal 2001 avvocato privato, poi falciato dalla crisi. E’ così che ha iniziato a percorrere una nuova strada come scrittore dando alle stampe “L’ultimo cliente” pubblicato sempre da Baldini e Castoldi, e distinguendosi come uno dei primi autori italiani di thriller finanziari.

 

L’ultimo meeting domenica 25 giugno è invece con Lorenzo Iervolino e il suo “Trentacinque secondi ancora” (66tha2d). Un appuntamento dedicato allo sport e alle sue discipline, all’autodeterminazione per conoscere e superare i propri limiti fisici e mentali. Il libro racconta la storia di una delle foto   più famose del XX secolo, quella che ritrae Tommie Smith e John Carlos sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico, datata 1968. I due atleti afro-americani, capaci di correre come il vento, facevano parte dell’Olympic Project for Human Rights e memorabile fu la loro salita sul podio con i pugni alzati, i guanti neri (simbolo   del black power), i piedi scalzi (segno di povertà), teste basse e collanine di pietre al collo (ogni pietra a ricordare un nero linciato perché si batteva per i diritti civili). Questo lo spunto per indagare le inquietudini civili dell’America di quegli anni arrivando fino ai giorni nostri, dopo aver ripercorso i momenti più incisivi delle lotte per i diritti umani di oltreoceano.

Laura Goria

Oggi al Cinema

LE TRAME DEI FILM

NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Ballerina – Animazione. Regia di Eric Summer e Eric Warin. Félicie vive in un orfanotrofio in Bretagna. Un giorno fugge per raggiungere la Parigi della Belle Epoque, nella speranza di veder realizzato il suo sogni di diventare una étoile dell’Opera. Con lei l’amico Victor: il suo sogno è quello di diventare un famoso inventore. Durata 89 minuti. (Massaua, Uci)

 

La Bella e la Bestia – Fantasy. Regia di Bill Condon, con Emma Watson, Emma Thomson, Kevin Kline, Stanley Tucci e Dan Stevens. Bella finisce prigioniera nel castello governato da un giovane principe tramutato in bestia come punizione del suo cuore senza sentimenti e per il suo egoismo. Fa amicizia con i servitori anch’essi divenuti un candelabro, un pendolo, una teiera, un clavicembalo, uno spolverino. Insieme a loro, saprà guardare al di là dell’aspetto orribile del principe che a sua volta svelerà un animo gentile. Durata 129 minuti. (Massaua, Eliseo Blu, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Classe Z – Commedia. Regia di Guido Chiesa, con Andrea Pisani, Alessandro Preziosi e Greta Menchi. Un preside decide di spostare in una sezione appositamente creata alcuni studenti dell’ultimo anno di un liceo scientifico. Quelli più “problematici” vengono “rifiutati” dai propri insegnanti, soltanto il nuovo supplente di lettere, fautore dei metodi libertari del professor Keating dell’”Attimo fuggente”vorrebbe garantire per loro ma non potrà far altro che decidere di abbandonare la propria missione. Ma forse non definitivamente. Durata 92 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

La cura del benessere – Thriller. Regia di Gore Verbinski, con Dane DeHaan e Jason Isaacs. Lockhart viene mandato in un centro benessere sulle Alpi svizzere con un preciso incarico, recuperare l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora. Si accorgerà subito che i metodi dell’istituto non sono proprio secondo “le norme” e farà fatica a comprendere quanto sta succedendo in quel luogo. Gli verrà in aiuto una misteriosa ragazza, paziente del dottor Volmer. Durata 146 minuti. (Lux sala 3, The Space, Uci)

 

Il diritto di contare – Drammatico. Regia di Theodore Melfi, con Octavia Spencer, Janelle Monàe, Taraji P. Hanson e Kevin Kostner. Una storia vera, tre donne di colore nella Virginia degli anni Sessanta, orgogliose e determinate, pronte a tutto pur di mostrare e dimostrare le proprie competenze in un mondo dove soltanto gli uomini sembrano poter entrare e dare un’immagine vittoriosa di sé. Una valente matematica, un’altra che guida un gruppo di “colored computers”, la terza aspirante ingegnere, senza il loro definitivo apporto l’astronauta John Glenn non avrebbe potuto portare a termine la propria spedizione nello spazio e gli Stati Uniti non avrebbero visto realizzarsi il proprio primato nei confronti dei russi. Durata 127 minuti. (Ambrosio sala 2 (da venerdì), Centrale (V.O.), Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3, Uci)

 

Elle – Drammatico. Regia di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte e Christian Berkel. Al centro della vicenda, tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, è Michèle, interpretata da una Huppert che a detta di molti avrebbe ben avuto diritto a tenere per il ruolo un luccicante Oscar tra le mani. È una scalpitante imprenditrice di mezza età nel ramo videogiochi, obbligata a gestire una più che variopinta compagine familiare, a cominciare da un ex marito di poca fama nel campo letterario, da una madre che vede non di buon occhio l’età che avanza, da un figlio che non vive certo secondo le sue aspettative, di un amante che le è venuto a noia. Da un padre che in passato con un gesto sanguinoso ha cambiato la sua esistenza. Anche la sua vita ha un segreto, lo scopriamo fin dall’inizio: un uomo mascherato, una sera, si introduce nel suo appartamento e la violenta. Chi è quell’uomo? E perché la donna non va alla polizia per una denuncia, continuando la vita di sempre? Durata 140 minuti. (Ambrosio sala 1 (da venerdì), Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Groucho)

 

Ghost in the shell – Fantascienza. Regia di Rupert Sanders, con Scarlett Johansson, Juliette Binoche e Michael Pitt. Tratto dal manga di Masamune Shirow del 1989, è la storia del Maggiore Kusanagi – cyber-guerriera che non riesce che a ricordare pochi tratti del suo passato di umano – in lotta contro un terrorista in lotta con il mondo. Durata 120 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

In viaggio con Jacqueline – Commedia. Regia di Mohammed Hamidi, con Lambert Wilson e Fatsah Bouyahmed. Un contadino algerino di nome Fatah è invitato al Salone dell’Agricoltura di Parigi, accetterà di parteciparvi ma soltanto accompagnando la sua preziosa mucca Jacqueline e affrontando un’avventura allegra quanto rocambolesca. Durata 92 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)

 

Kong: Skull Island – Avventura. Regia di Jordan Vogt-Roberts, con Tom Hiddleston, Brie Larson, John Goodman, Samuel Jackson e John J. Reilly. Ennesima rivisitazione del mito King Kong, una spedizione ambientata nel 1973 allorché le truppe americane abbandonarono il disastrato Vietnam. Una spedizione voluta dalla scienziato Randa e diretta verso una misteriosa isola, guidata da un ex capitano inglese, con al seguito una fotografa pacifista, un pilota recluso nell’isola dai tempi della fine del conflitto mondiale, il comandante di una squadriglia di piloti di elicotteri che come tutti gli altri se la dovranno vedere con l’immenso mostro. Un budget da far tremare le vene e i polsi, un paio d’anni per preparazione e lavorazione, tra Hawai, Australia e Vietnam: per il gran divertimento degli aficionados si prevede una trilogia. Durata 118 minuti. (Uci)

 

John Wick 2 – Azione. Regia di Chad Stahelski, con Keanu Reeves, Riccardo Scamarcio, Claudia Gerini e Laurence Fishburne. Nuova avventura per il killer cinofilo, questa volta è il cattivo Scamarcio a richiamarlo in azione con il compito dell’eliminazione della sorella Gerini che ha tutte le intenzioni di mettere completamente le mani sulla malavita italiana. La città che fa da sfondo all’azione è Roma. Durata 122 minuti. (The Space, Uci)

 

La La Land – Musical. Regia di Damien Chazelle, con Ryan Gosling e Emma Stone. La storia di due ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Reposi)

 

Life – Non oltrepassare il limite – Fantascienza. Regia di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Fergusson e Ryan Reynolds. Un gruppo di scienziati, imbarcati su un’astronave, ha il compito di ritrovare una sorgente di vita sul pianeta Marte. Si imbatteranno in una cellula vivente che in poco tempo assumerà forza e proporzioni impensate, e soprattutto una aggressività che gli uomini con conoscono. Durata 103 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Logan – The Wolverine – Fantasy. Regia di James Mangold, con Hugh Jackman, Richard Grant e Patrick Stewart. Un film di congedo, un eroe che depone i propri artigli e vive quasi segregato in un luogo sperduto del Messico, accudendo al suo anziano mentore, il professor Xavier, con la compagnia di un mutante che di nome fa Calibano e vorrebbe uscire dalle pagine della “Tempesta” shakespeariana. Ma c’è un’ultima avventura da combattere, accanto ad una giovanissima Laura che ha gli stessi poteri di Logan. Durata 131 minuti. (Reposi, Uci)

 

Loving – Drammatico. Regia di Jeff Nichols, con Joel Edgerton e Ruth Negga. La storia vera di Richard e Mildred, ambientata sul finire degli anni Cinquanta nello stato della Virginia, lui bianco e lei di colore, il loro amore e il matrimonio a Washington, il loro ritorno per essere arrestati e condannati per aver violato una legge che proibiva i matrimoni interrazziali, l’intervento di Bob Kennedy, il caso davanti alla Corte Suprema per arrivare nel ’67 alla libertà di matrimonio libero nell’intera nazione americana. Durata 123 minuti. (Romano sala 2)

 

La luce sugli oceani – Drammatico. Regia di Derek Cianfrance, con Michael Fassbender, Alicia Vikander e Rachel Weisz. Il regista, già apprezzatissimo autore di “Blue Valentine” e “Come un tuono”, è rimasto folgorato dal romanzo della scrittrice australiana M.L. Stedman e ha affidato al cinema un’opera che dalla sua prima apparizione a Venezia ha diviso i critici come pochi film lo hanno fatto prima. Vedremo come reagirà il pubblico. Un uomo colpito dalle ferite che la Grande Guerra gli ha inferto s’è rifugiato in un’isola lontana, a guardia di un faro, il suo incontro con una donna che lo riporta alla vita, i figli che non possono avere, il ritrovamento in mare di una piccola creatura, l’apparire della vera madre e distrugge tutti i sogni di un destino felice. Insomma un gran mélo, innegabile, che qualcuno appunto ha accolto come un capolavoro e che qualcuno al contrario ha bocciato in modo assoluto e definitivo, accusando di ridicolo situazioni e personaggio, pollice verso per attrici che hanno al loro attivo degli Oscar e considerate qui vittime di un racconto dove nulla sarebbe credibile. Durata 132 minuti. (Greenwich sala 3)

 

Manchester by the sea – Drammatico. Regia di Kenneth Lonergan, con Casey Affleck, Michelle Williams e Lucas Hedges. Film in corsa per gli Oscar, sei candidature (miglior film e regista, sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Moonlight – Drammatico. Regia di Barry Jenkins, con Naomi Harris, Mahershala Ali e Trevante Rhodes. Miglior film secondo il parere della giuria degli Oscar, film teso, crudo, irritante. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, infine spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Non è un paese per giovani – Commedia drammatica. Regia di Giovanni Veronesi, con Sara Serraiocco, Filippo Scicchitano e Giovanni Anzaldo e con Sergio Rubini e Nino Frassica. Sandro e Luciano si ritrovano a lavorare nello stesso ristorante ma preferiscono lasciare l’Italia che è un paese senza futuro. Scelgono Cuba, sono gli ultimi mesi di Castro. Nella capitale trovano Sara, anche lei con qualche ferita da rimarginare. Avventure, dolori e disillusioni porteranno Sandro a tenersi ben stretto ai suo principi, sarà Luciano ad abbandonare quelle certezze in cui pareva credere e a perdersi in un’oscurità che non aveva ancora conosciuto. Durata 105 minuti. (Massaua, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Il padre d’Italia – Drammatico. Regia di Fabio Mollo, con Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Lo strano incontro tra Paolo, omosessuale introverso, e Mia, ragazza “quasi-madre” al sesto mese di gravidanza, in un locale gay di Torino. Inizieranno un lungo viaggio, fino a Roma prima per proseguire fino a Napoli e in Calabria, terra d’origine della ragazza: durante quei giorni trascorsi uno accanto all’altra nasceranno dei sentimenti cui mai nessuno avrebbe pensato. Durata 93 minuti. (Massimo sala 2)

 

Il permesso – 48 ore fuori – Drammatico. Regia di Claudio Amendola, con Luca Argentero, Valentina Bellè, Giacomo Ferrara e Claudio Amendola. Un pezzo di vita fuori dal carcere da parte di quattro reclusi. C’è l’uomo che cercherà di sottrarre il figlio ai suoi stessi errori, la ragazza viziata di buona famiglia finita dentro per problemi di droga, il ragazzo di borgata dietro le sbarre per rapina e Donato, innocente, che ha qualche debito da regolare vendicando la donna che ha amato. L’autore firma la sceneggiatura con Giancarlo Di Cataldo e Roberto Iannone. Durata 92 minuti. (Reposi, The Space, Uci)

 

Rosso Istanbul – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpeteck, con Halit Ergenç, Nejat Isler e Serra Yilmaz. Il regista turco torna a girare nella sua patria, a vent’anni di distanza dal “Bagno turco” e da “Harem Suaré”, ancora una volta avvolto nel suo realismo magico, con una storia che ha le proprie radici (rivisitate) nel romanzo omonimo, a cavallo dell’autobiografia, e che vede il ritorno a Istanbul da una Londra culla d’esilio dello scrittore Orhan richiamato dal regista Deniz al ruolo di editor per una sua nuova opera letteraria. Ma Deniz all’improvviso scompare e Ohran viene a contatto con il mondo di lui, con i suoi amici, con il suo passato. Malinconie, la realtà del quotidiano, i cambiamenti della Turchia, il passato e il presente che si guardano e si confrontano, le “madri del sabato” alla ricerca dei figli scomparsi. Durata120 minuti. (Eliseo Grande)

 

Slam – Tutto per una ragazza – Commedia. Regia di Andrea Molaioli, con Jasmine Trinca, Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Luca Marinelli. Tratto dal romanzo di Nick Hornby. Samuele, romano, sedicenne, grande appassionato di skateboard, va letteralmente nel panico quando viene a sapere la la fidanzatina Alice aspetta un bimbo: terrorizzato ma deciso a non sottrarsi alle proprie responsabilità. Anche lui è venuto al mondo quando i suoi genitori erano decisamente giovani. Grande successo all’ultimo TFF. Dirige il regista di “La ragazza del lago” e “Il gioiellino”. Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, Uci)

 

Il tesoro – Commedia. Regia di Corneliu Porumboiu, con Toma Cuzin e Radu Banzaru. Siamo a Bucarest. Un vicino di casa di Costi va da lui e lo mette al corrente che nel proprio giardino è seppellito un tesoro, è stato suo nonno a nasconderlo prima dell’arrivo del comunismo. Ci vorrebbe un metal detector, lui non ha i soldi per acquistarlo: ma se Costi volesse intervenire, al termine della ricerca farebbero senz’altro a metà. Si apre davanti ai due uomini un lungo, lunghissimo fine settimana. Durata 89 minuti. (Classico)

 

The most beautiful day – Il giorno più bello – Commedia. Regia interpretazione di Florian David Fitz, con Matthias Schweighofer e Alexandra Maria Lara. Produzione tedesca, campione d’incassi in patria. La storia di due ragazzi, malati terminali, che decidono di procurarsi un po’ di soldi e affrontare un viaggio sino in Africa per poter vivere il giorno più bello della loro vita. Durata 113 minuti. (Centrale V.O., Due Giardini sala Ombrerosse)

 

The Ring 3 – Horror. Regia di Javier Gutiérrez, con Johnny Galecki e Mathilda Lutz. Una giovane donna comincia a preoccuparsi per il suo ragazzo quando lo vede interessarsi ad una oscura credenza che riguarderebbe una videocassetta misteriosa che si dice uccida dopo sette giorni chi la guarda. Durata 102 minuti. (Uci)

 

Un tirchio quasi perfetto – Commedia. Regia di Fred Cavayè, con Danny Boon e Laurence Arnè. François Gautier, violinista, è noto per la sua tirchieria. Detestato da tutti, incontrerà una donna pronta ad amarlo e una figlia di cui non aveva conoscenza. Grande successo in Francia grazie alla comicità di Boon noto da noi per il suo divertente personaggio protagonista di “Giù al nord”. Durata 89 minuti. (Ambrosio sala 3 (da venerdì), F.lli Marx sala Chico, Uci)

 

La vendetta di un uomo tranquillo – Thriller. regia di Raùl Arévalo, con Antonio de la Torre, Ruth Diaz e Luis Callejo. Nella capitale spagnola una rapina in una gioielleria finisce male, soltanto uno dei malviventi, Curro, è catturato. Dopo otto anni di carcere, l’uomo esce dal carcere per scoprire che la sua compagna ha intrapreso una relazione con José. Inevitabile per il passato e per il presente un regolamento di conti tra i due. Vincitore di quattro premi Goya, gli Oscar spagnoli. Durata 92 minuti. (Greenwich sala 2)

 

La verità, vi spiego, sull’amore – Commedia. Regia di Max Croci, con Ambra Angiolini, Giuliana De Sio, Carolina Crescentini e Massimo Poggio. Tratto dal romanzo di Enrica Testo. Una donna abbandonata dal marito dopo sette anni di matrimonio, le imprese sentimentali e quotidiane di una vita da portare avanti, due figli da crescere, suocera da sopportare, un baby sitter da coordinare, la migliore amica come unico rifugio sempre da ascoltare. Durata 92 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Il viaggio – Commedia drammatica. Regia di Nick Hamm, con Timothu Spall, Colm Meaney e John Hurt. Il viaggio è quello che compiono, in poco più di un’ora per arrivare all’aeroporto di Edimburgo, Martin McGuinness, leader dei Sei Finn, e il reverendo protestante Ian Paisley, alla guida del partito unionista: una finale stretta di mano, faticosissima e insperata, avrebbe nel 2007 cancellato decenni di lotte e di vittime. Da un testo teatrale. Durata 94 minuti. (F.lli Marx sala Chico anche in V.O., Romano sala 1)

 

Victoria – Drammatico. Regia di Sebastian Schipper, con Laia Costa, Frederick Lau e Burak Yigit. Victoria, una ventenne spagnola che vive da qualche tempo a Berlino, incontro una sera fuori di un locale notturno Sono e i suoi amici. Sono berlinesi “veri”, così si definiscono e possono mostrarle la città che gli stranieri non conoscono. Victoria li segue divertita fino a quando qualcuno si fa vivo per esigere dal gruppo un credito: devono compiere una rapina all’alba in una banca. Cosa deciderà di fare la ragazza. Durata 93 minuti. (Classico anche in V.O.)

 

Vi presento Toni Erdman – Commedia. Regia di Marin Ade, con Peter Simonischek e Sandra Hüller. Un padre davvero sui generis che, abbandonando la sua vera identità di Winfried per assumere quella del titolo, compare all’improvviso a Bucarest dove la figlia, donna in carriera solitaria e senza uno straccio di relazione amorosa a farle da supporto in un’esistenza senza troppe luci e molte ombre, sta trattando un grosso affare. Un rapporto e una storia fatti di comicità e di tenerezza, un incontro che scombussola, un chiarimento di intenti e di futuro. Durata 162 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse)

Frida, la socialista. Per lei meglio un ricordo a più voci

Di Pier Franco Quaglieni*

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Frida Malan  è stata una protagonista della vita politica e della vita civile torinese,dagli anni dell’impegno resistenziale,al lungo periodo passato come consigliere e assessore socialista al Comune di Torino. Nel 1968 fu la prima esclusa alla Camera perché Eugenio Scalfari , optando per il collegio di Torino, le soffiò il seggio parlamentare. Ma è stata anche una protagonista delle battaglie femminili e scolastiche ,mantenendo una sorta di straordinario equilibrio ,in  cui- scrivevo un anno fa in un suo ritratto storico-laicità e religiosità evangelica trovavano un punto di sintesi. Esprime  il meglio della grande lezione religiosa delle sue Vallate valdesi,coniugandola con la laicità dello Stato nato dal Risorgimento. Era una donna appassionata,generosa, dedita a nobili e grandi ideali. Era quasi disarmata di fronte ai profittatori, lei persona morale,in fondo anche ingenua, dalla schiena sempre diritta in ogni occasione. La dietrologia politica non la riguardava. Me lo disse molte volte  la giornalista Bona Alterocca che seguiva i lavori del Consiglio Comunale di Torino. Gabriella Poli, allora vice capo cronista de “La stampa”, la apprezzava e l’amava molto,lei donna considerata durissima dai suoi stessi colleghi.

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Malan primo assessore socialista alla Sanità di una grande città, Poli ,prima donna capocronista di un grande quotidiano dopo che Borio andò a dirigere il “ Piccolo” a Trieste. Nell’articolo di un anno fa ricordavo che nel 2017 sarebbe ricorso il centenario della nascita ed auspicavo che venisse ricordato in modo opportuno,evitando le sterili e faziose piccole commemorazioni precedenti da parte di gente che Frida forse aveva conosciuto più in fotografia che nella frequentazione quotidiana.Gente che si serviva del suo nome per darsi un’importanza che non aveva mai avuto. Un’associazione dedicata al suo nome, dopo poco, fallì miseramente. Invece è accaduto,come temevo, esattamente il contrario:la solita,stucchevole vulgata che ha coinvolto sempre  le stesse persone,escludendo a priori chi con Frida ebbe un lungo periodo di frequentazione assidua e di profonda  amicizia. D’altra parte la scelta della sede  bastava a dirci cosa sarebbe potuto essere il convegno:l’Unione culturale Franco Antonicelli. Basta la parola.Non ci sarebbe da aggiungere altro.  Promotrice un’associazioncina di professori ,la FNISM ,che pensavo morta e sepolta, dopo che, di fatto, si lasciò fagocitare dalla CGIL e abbandonò le storiche battaglie in difesa della laicità e della serietà della scuola condotte dopo il ’68 sotto la guida di uomini come Mario Gliozzi e Giuseppe Tramarollo. Loro preferirono appiattirsi sul Cidi e su altre realtà di estrema sinistra,invece di ribadire la fisionomia autonoma della Federazione.
Io fui della partita come segretario generale della Federazione quando insegnavo nei licei e diressi anche per anni il giornale “L’eco della scuola nuova”,aprendo il giornale al più ampio dibattito,come fece il suo fondatore Gliozzi.

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La FNISM  era l’aristocrazia della scuola con grandi nomi, Bobbio ebbe simpatia per lei, Tisato la rappresentò insieme a Gliozzi al Consiglio superiore della P.I.Io stesso accettai di succedere a quegli uomini come candidato al nuovo consiglio nazionale della P.I. e non venni eletto perché mancarono i voti per far scattare il seggio. Il latinista e storico Luciano Perelli fu al mio fianco con il coraggio dell’uomo che venne incarcerato durante il fascismo. Ricordo ancora ,in anni successivi, i suoi durissimi giudizi su Di Pietro e Tangentopoli,giudizi per cui venne attaccato selvaggiamente sul quotidiano di Scalfari.  Acqua passata, vecchie esperienze che però rivendico con un certo orgoglio. La Federazione era la più vecchia associazione di professori fondata da Gaetano Salvemini e Giuseppe Kirner  nel 1901. Poi il fascismo la obbligò a sciogliersi  e rinacque già nella Resistenza. Venne pubblicato un libro dedicato alla sua storia che si identificò per anni con la storia stessa della scuola italiana alla ricerca di una riforma che andasse oltre la legge Casati e a cui pose mano(mano felice) Giovanni Gentile che studiò la sua riforma negli anni della sua amicizia con Benedetto Croce. La sezione torinese della FNISM deragliò,quando venne presa da Carlo Ottino,( eletto presidente di strettissima misura solo perché votò per sé stesso)un socialista marxista che finì i suoi giorni politici a fare il consigliere di circoscrizione per Rifondazione comunista che fu il suo  ineluttabile approdo finale. I nipotini di Ottino hanno tenuto in piedi la FNISM torinese e l’hanno dedicata a Frida Malan che non occupò mai cariche nella Federazione,invece,come sarebbe stato  giusto , di dedicarla allo storico della scienza Mario Gliozzi che ne l’anima e fu il suo esponente più impegnato e più prestigioso,mancato nel 1977. Il convegno che ne è venuto fuori non merita neppure un commento.

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E’ la solita vulgata recitata da persone che sono rimaste prigioniere di una vecchia sinistra settaria, incapace di fare i conti con la scuola d’oggi ,volendo parafrasare Augusto Monti che fu impegnato presidente della sezione torinese della federazione. La FNISM era accusata di essere infarcita di massoni,ma non era vero. Oggi è infarcita dai vedovi di ideologie obsolete condannate dalla storia. La FNISM ha avuto uomini come Remo Fornaca e Igino Vergnano che divenne presidente nel congresso di Rimini del 1978 dove Tramarollo, Bozzetti, Sipala,Palumbo e chi scrive segnarono chiara la linea della Federazione. Chi scrive vergò  di proprio pugno le linee- guida contro una contestazione che stava travolgendo la scuola senza rinnovarla. Ottino non venne neppure al congresso. Dopo il congresso che vincemmo alla grande, finirono  però di prevalere Ottino e i suoi amici e noi lasciammo. Tramarollo era indignato, io, tanto più giovane  di lui, capii cheta tempo sprecato cercare di raddrizzare la gambe ai cani,per dirla con uno dei fondatori, Gaetano Salvemini.  La federazione venne per anni ospitata,per l’intervento diretto di Frida Malan,dirigente del Centro Pannunzio,nella sede di quest’ultimo perché non più in condizioni di avere una propria sede. Adesso scopro che locali pubblici,quello del liceo “Alfieri” sono sede della centenaria federazione.

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I nipotini di Ottino hanno cancellato quel passato che dimostra come l’associazione abbia deviato e sia diventata una cosetta di sinistra che annaspa alla ricerca stentata della sua sopravvivenza su terreni in cui neppure più la CGIL  riesce a sopravvivere.  Molti sindacalisti ,ottenuto il posto di dirigente scolastico, non si occupato più del loro amato sindacato.I federati subalpini  in marzo hanno superato sé stessi e  sono riusciti anche a produrre un piccolo convegno in cui hanno dato la parola solo ai loro amici. Una  grande tristezza vedere il nome di Frida sbandierato da persone che non sanno o non vogliono sapere chi davvero sia stata la socialista Malan. Socialista e non social-comunista.  Ma la parola socialista oggi risulta essere impronunciabile. Forse l’hanno etichettata come democratica progressista alla maniera di Bersani,ma questa è solo una mia ipotesi maliziosa.  Frida Malan donna straordinaria ,fuori dagli schemi angusti delle ideologie presuntuose novecentesche ,lontanissima dal gramsciazionismo torinese,come dice Dino Cofrancesco,meritava un ricordo a molte voci ricco di testimoni veri. Il passato distrugge la verità,ma chi è stato davvero suo amico non può tacere e non può non levare la sua protesta morale , in verità un po’ indignata,anche se  la situazione è solo patetica e andrebbe ignorata come hanno giustamente fatto altri giornali che hanno la memoria storica di chi sia stata effettivamente Frida nella storia torinese. 

*Direttore del Centro Pannunzio

L’isterica rivoluzione della signora Nora Helmer

Tutto è felicemente ovattato, tutto è ostinatamente dolciastro in questa “casa di bambola” – e Andrée Ruth Shammah, che per il milanese Teatro Parenti e la Fondazione Teatro di Toscana ha messo in scena il testo ibseniano, visto al Carignano per la stagione dello Stabile torinese, ha con coerenza introdotto quell’articolo indeterminativo, “Una casa di bambola”, che ben lascia intravedere la strada che percorrerà -, al di qua degli alti muri di mattoni, il rosa o il verde tenue degli intonaci o dei divani, gli abiti di Nora, gli impalpabili velluti (la scena è di Gian Maurizio Fercioni, i costumi di Fabio Zambernardi con la collaborazione Lawrence Steele), i fiocchi di neve che dondolano al di là della porta, l’albero di Natale e le ghirlande, i pacchetti dei doni, anche l’arpa su cui la piccola di casa dà prova della sua bravura, anche le porte che delimitano gli spazi sembrano fatte di ovatta, aggiungendo il pregevole gioco di luci di Gigi Saccomandi, che accompagnano il cammino psicologico dei personaggi, calde, morbide prima, estese nella loro freddezza poi.In questa cornice esplode la ribellione di Nora Helmer, ostile ormai alla devozione e alla sempre amorevole protezione di Torvald, agli eterni ritrattini di allodola e bambola, ad una vita insieme in cui fino a ieri è circolata quell’aria (inconsapevole?) di tornaconto che ha aiutato la coppia a proseguire “bellamente”, alla prigione dorata cui ci si abitua, quel ruolo di bambola pienamente accettato e condiviso non soltanto all’interno della famiglia ma pure con il dottor Rank, da sempre innamorato di lei, e con il bieco strozzino Krogstad, che da lei attende lo scioglimento di un ingente debito contratto per salvare il marito, a sua insaputa. Non più nella veste quindi di “sorella spirituale del proletariato femminista” come nel 1917 la voleva Gramsci, la donna che rifiuta e sfugge alla maschera che la società norvegese degli ultimi decenni del secolo scorso le ha affibbiato, ma un calcolo in piena regola dove la “ignoranza” verso il mondo che la circonda la spinge ad aprire gli occhi e a crescere, a educare la donna che sino adesso è stata.

Marina Rocco, nella rilettura della Shammah, mentre entra ed esce di scena dalla platea quasi a volersi mescolare nelle idee e nei comportamenti con il pubblico femminile oggi in sala, segue i passi della sua donna-bambina, i suoi pianti e le sue risate, i bamboleggianti, gli affetti, mentre il popolo della servitù orecchia e getta sguardi dagli angoli delle stanze: sino all’ultimo atto, con uno slancio di ossessione e di isteria che rischiano di bloccare il personaggio nel suo percorso di logica “redenzione”, una reazione concretizzata nei tic e nell’affanno continuo delle urla. Il peccato di debordare, quasi di voler scendere a inspiegabile marionetta, coinvolge anche Filippo Timi, che raccoglie in sé i tre personaggi maschili, simboleggiando l’intero sesso forte e dominante, gli è sufficiente un collare, o un bastone a sostegno di una gamba azzoppata, o un aspetto benevolo, per triplicarsi ad effetto e dar di gomito al pubblico con l’imitazione di un cinese o con un numero sfrontato in passerella sulle note di My funny Valentine. Molto meglio l’apporto interpretativo di Mariella Valentini, quelli sono eccessi, sbrodolature, incidenti che finiscono con l’annacquare uno spettacolo che forse aveva le pretese di fare, anche lui, la rivoluzione.

 

Elio Rabbione

Alla Fondazione Amendola alla scoperta dell’arte di Libero Greco

Un enorme fungo atomico squarcia un cielo dai colori innaturali. Le tinte sono quelle del porcino: bruno il cappello; più chiara la tonalità nella parte inferiore, appena sopra il gambo;  bagliori rosso fuoco lo percorrono dall’alto in basso, come una ferita o una frustata. I tre soli personaggi del quadro, due dei quali non sono esseri viventi, occupano tutti il terzo inferiore del dipinto. Ecco sulla destra due Statue della Libertà. La prima regge la fiaccola; la seconda, come per un inquietante presagio, rivolge al cielo il braccio destro spezzato. C’è un prima e c’è un dopo. Ma il vero protagonista dell’opera, sulla sinistra, è un’enorme scimmia antropomorfa: novello dottor Stranamore, Il quadrumane afferra con la mano destra superiore la cornetta rossa di un telefono. Il volto, grugno per grugno, è quello del presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump.

(L”L’eventualità”, 88 x 108, acrilico e olio su tela).

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Non c’è dama e non c’è ermellino: lei è una first lady e tiene in braccio un ringhiante chihuahua.  Una first lady dalla pettinatura vagamente hitleriana: ma non cercate i baffetti. Resterete delusi. A ben vedere, questa donna è anzi priva di bocca. Alla fine nient’altro si chiede alla sposa di un politico: tacere.

(“L’aula parlamentare”, 80 x 100, acrilico e olio su tela).

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 L’onorevole, in gessato blu su camicia rosa, ha appena terminato il proprio intervento in aula. Getta alle sue spalle i fogli con gli appunti. Là dietro i colleghi sono semplici silhouettes. I lineamenti, se l’immaginazione non ci inganna, ricordano quelli del presentatore Corrado. Ma la postura è andreottiana. La cravatta verde, d’altra parte, farebbe pensare che la collocazione politica sia un’altra. Un ghigno si apre sotto gli occhi a fessura: e il canino che si intravede è vampiresco.

(“First lady con cagnolino”, 50 x 60, acrilico e olio su tela).

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Quelle descritte sono tre delle circa cinquanta opere di Libero Greco esposte fino al prossimo 9 aprile alla Fondazione Giorgio Amendola e Associazione lucana in Piemonte Carlo Levi in via Tollegno 52 a Torino. Dissacrante e direttissimo George Grosz da casa del popolo, Greco accetta la sfida più insidiosa, parlare di politica facendo arte satirica. Che è cosa molto diversa dalla satira, per quanto artistica. Ci riesce, secondo noi, in maniera piena e convincente.

Andrea Donna

 

Mario Martone e la giustizia nella Napoli di oggi

Chissà se Eduardo avrebbe immaginato ad aprire le immagini del suo “sindaco” la voce di un rapper, cui noi pubblico di oggi ci affidiamo nel suono ma non nella completa comprensione (e chissà come si sarebbe comportato nel ’60 il pubblico romano del Quirino di fronte alla “chiusura” di un simile linguaggio). Chissà se avrebbe immaginato il suo Antonio Barracano, colui che amministra le vicende del rione, che distingue tra “gente per bene e gente carogna”, che sa comprendere quelli che tengono “santi in paradiso e chi non li ha”, dai suoi dati anagrafici che denunciano d’aver passato ormai la settantina con abbondanza, dai modi signorili, da quella sua aria

patriarcale, dalla voce e dai modi lenti e pacati – che solo di recente, un paio di stagioni fa più o meno, ha nuovamente rivelato Eros Pagni – passato nelle vesti di un aitante uomo che ancora non ha raggiunto i quaranta, in ottima forma fisica, che trova il tempo per mostrarsi a far ginnastica, che ha abbandonato il vecchio abito gessato per delle mise certo più attuali, che ha modernizzato nel plexiglas l’arredamento di casa sua con quel tanto di kitch che Gomorra e le cronache televisive, scavando nei bunker, oggi ci mostrano. Anche quel mondo affidato alla camorra più crudele e sbrigativa è cambiato, tutto è fast si direbbe oggi, anche la sala operatoria che viene allestita sul tavolo della sala da pranzo, tra stilizzate ed emblematiche porte di ferro che chiudono e proteggono, ancor prima che il boss si risvegli al mattino, ancor prima che la rissa abbia luogo con tanto di proiettile nel vicolo accanto. Quando si dice la routine. E sono fatti che dobbiamo vedere, non ci farà né caldo freddo, ci hanno ormai abituati. Ad ogni ora del giorno. E Mario Martone, in questo modernissimo, concreto, ben saldo (macché intervallo abituale, tutto corre velocemente verso la rovina, due ore filate di rappresentazione) “Sindaco di rione Sanità” prodotto dallo Stabile torinese con il NEST Napoli Est Teatro e Elledieffe, in scena al Gobetti sino a domenica, ce li mostra questi atti di sangue, anche la coltellata che deciderà dell’esistenza di don Antonio, che s’è fatto mediatore tra un povero ragazzo iroso che ha deciso di dover far fuori il padre, fornaio arricchito. Ha visto negli occhi del ragazzo la sua stessa determinazione ad uccidere che lui aveva in gioventù: ma sarà la fine e sembrerà davvero un’”ultima cena” quella che occuperà il finale del dramma.

Con la crudezza e la violenza quotidiana che si porta dentro, private di quella cifra “romanzata” che Eduardo poteva avervi immerso all’interno, “Il sindaco” di Martone che “affascina” per quanto possa affascinare il male, ti prende, merito del ritmo ossessivo di una regia serrata, intelligente e materialmente bella, della verità con cui la compagnia costruisce i maggiori come anche i piccoli personaggi, dei tanti oggetti che circolano cosicché anche tutto quel denaro invisibile tirato fuori dal cassetto con tanto di cigolio ti sembra più vero del vero. Si respira, mentre la si respinge, tutta la modernità delle azioni che passano tra le mani di don Antonio, cruente, abituate a svolgere il proprio lavoro come se si fosse in un ufficio (la figlia più piccola non ha ha ancora l’età per il lavoro sporco, per adesso s’accontenta di archiviare e scartabellare i fascicoli delle differenti “imprese”, insostituibile segretaria), alle prese con il suo esercito di “ignoranti”, si rende tutto anche più tragico forzando quella lingua addolcita dall’autore per farla scivolare in una scrittura chiusa, difficile, a tratti intraducibile. Gli attori stanno nella prima linea del successo della serata, tutti quanti, a cominciare dal protagonista Francesco Di Leva, sfrontato, efficace, paterno, Massimiliano Gallo asserragliato nella propria roccaforte di padre che ha tagliato definitivamente i ponti con la prole, personaggio forte e duro, Giovanni Ludeno, il “consigliori” che da sempre vive in quella casa in un misto di deferenza e rivolta, contrario a quella “piaga” che stazione nell’anticamera nell’attesa di ottenere (una) giustizia. Il primo Eduardo per Martone, una scommessa stravinta.

 

Elio Rabbione

Elena, la regina “pacifista” dimenticata dalla scuola

Di Pier Franco Quaglieni*

Domenica 26 marzo alla Basilica di Superga c’è stata una importante ed affollata manifestazione per ricordare la seconda regina d’Italia , Elena del Montenegro, insignita nel 1937 della massima onorificenza della Cristianità dal Papa Pio XI, la Rosa d’oro della cristianità ,per la sua opera caritativa di donna di elette virtù cristiane .

Di essa è stata avviata la causa di beatificazione e nel 2001 è stata proclamata Serva di Dio, a dimostrazione della eccezionalità della sua  opera, anche se non pochi sono i santi e i beati in casa Savoia. Era presente con la fascia tricolore il presidente del consiglio comunale di Torino Fabio Versaci, un giovane che mi ha sùbito dato non solo un’ottima impressione ,ma un’apertura di idee, come si richiede a chi dirige i lavori del consiglio comunale di una grande città. Simile a lui, io ho conosciuto solo Domenico Carpanini. Dopo la Messa in basilica si è tenuta una rievocazione nella cripta in cui sono sepolti molti Savoia dispersi tra Superga, Altacomba, il Pantheon e l’esilio che ancora viene riservato ai morti, tra cui l’ultimo sovrano d’Italia Umberto II.

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C’era tanta gente, tanta gente di popolo, raccolta attorno le insegne dell’associazione o.n.l.us. “Regina Elena”, organizzazione internazionale presieduta dal principe Sergio di Jugoslavia e dal professor Ilario  Bortolan. Un’organizzazione dedita soprattutto alla beneficenza, oltre che al ricordo storico, notissima ed apprezzata a livello internazionale. Anche recentemente ha dato aiuto e soccorso ai terremoti delle Marche in modo cospicuo. Sono stato chiamato io a ricordare la regina Elena e mi sono commosso a parlare -in quel luogo per me  così inusuale, davanti alla tomba di Carlo Alberto-anche perché si tramandavano in  casa mia dei  ricordi che mio nonno mi ha trasmesso, il nonno che nel novembre del 1952 ,quando l’esule morì a Montpellier, non esitò in piena notte a  partire  per la Francia per partecipare ai suoi semplici funerali, come semplice era stata tutta  la sua vita.  Le uniche distrazioni della regina furono la fotografia, la pesca e la coltivazione dei fiori. Con il marito non visse nei fasti del Quirinale ,ma a Villa Ada, poi ribattezzata Savoia, forse nota solo perché lì il 26 luglio 1943 venne arrestato Mussolini. Ogni mattina l’”arido” marito, dopo la solita passeggiata nel giardino, le metteva in un angolo della casa un fiore raccolto per lei,  senza proferire parola.

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Scrissero della regina Fogazzaro, Capuana, Bersezio , Pascoli, d’Annunzio ed altri. Un ragazzetto  torinese, tanto coccolato da certa cultura radical-chic, che ha scritto un libello del 2014  su Vittorio Emanuele III pubblicato dal Sole 24 ore, ebbe l’ardire e la sfrontatezza di affermare che ,mentre il re era al fronte  durante la Grande Guerra, ella  ebbe una storia con un generale. Quel fatto incredibile, quel pettegolezzo che non fa onore ad uno storico, sia pure alle prime armi, che ovviamente non ho citato nella commemorazione torinese, mi ha portato a parlare con foga e passione della regina, forse troppa. Ma si è trasferita in me ,quasi senza che me ne rendessi  conto, l’indignazione che mi suscitò la lettura del passo di quel libello. La regina, giovane e bellissima, si era sposata con una austera cerimonia nuziale  dopo la sconfitta di Adua nel 1896, era ascesa al trono d’Italia nel 1900 ,quando l’anarchico Bresci aveva assassinato Umberto I, nel 1908, aveva partecipato personalmente al soccorso dei terremotati di Messina (dove nel 1960 le fecero erigere un monumento ) e di Reggio Calabria , le cui vittime furono circa centomila. Durante la Grande Guerra trasformò il Quirinale in un ospedale per curare i feriti. Nelle tenute reali di San Rossore, Valdieri, Racconigi  c’è ancora vivo il suo ricordo di donna sempre disponibile a chi fosse in difficoltà. Non a caso, sono intervenuti molto numerosi i Sindaci delle Valli di Cuneo, con in testa quello di Valdieri, tutti in fascia tricolore.

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Nel 1939 scrisse una lettera alle regine dei paesi non ancora coinvolti nella follia della II Guerra mondiale ,invocando il valore della pace, al di là delle alleanze foriere di guerra, dell’Italia fascista  con la Germania. Un atto coraggioso che va ricordato a suo onore. Ebbe 5 figli e seppe educarli personalmente nel migliore dei modi.  Fu un anticipatrice e una sostenitrice della lotta contro male secolo, il cancro. Una lotta che sostenne con generosità e con competenza, avendo studiato medicina per poter partecipare a quella che allora era una crociata avveniristica. Quando seppe, solo nell’aprile 1945, della morte della figlia Mafalda nel  terribile campo tedesco  di Buchewald dove era stata imprigionata dopo l’8 settembre 1943, pianse fino ad avere la vista ottenebrata,come è stato ricordato.  Elena- disse proprio a Torino all’indomani della sua morte,al teatro Carignano di Torino, Carlo Delcroix ,grande invalido di guerra e splendido oratore- unì  all’amore la pietà, alla fierezza di essere italiana la devozione per il popolo. Tanti anni dopo conobbi Delcroix che mi regalò e mi dedicò  alcuni dei suoi libri. Ad Albenga nel 2011, in un convegno per i 150 anni dell’Unità, conobbi anche sua figlia e ne trassi molto piacere.  La regina meritava di essere ricordata a Torino ,culla di quel  Risorgimento  che unificò l’Italia, città  in cui l’oblio del passato è diventato una regola quasi di vita. La scuola, ad esempio, non credo parli mai, ad ogni livello, della Regina di quasi cinquant’anni di storia italiana. 

*Direttore del Centro Pannunzio

Oggi al Cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Ballerina – Animazione. Regia di Eric Summer e Eric Warin. Félicie vive in un orfanotrofio in Bretagna. Un giorno fugge per raggiungere la Parigi della Belle Epoque, nella speranza di veder realizzato il suo sogni di diventare una étoile dell’Opera. Con lei l’amico Victor: il suo sogno è quello di diventare un famoso inventore. Durata 89 minuti. (Massaua, Uci)

 

La Bella e la Bestia – Fantasy. Regia di Bill Condon, con Emma Watson, Emma Thomson, Kevin Kline, Stanley Tucci e Dan Stevens. Bella finisce prigioniera nel castello governato da un giovane principe tramutato in bestia come punizione del suo cuore senza sentimenti e per il suo egoismo. Fa amicizia con i servitori anch’essi divenuti un candelabro, un pendolo, una teiera, un clavicembalo, uno spolverino. Insieme a loro, saprà guardare al di là dell’aspetto orribile del principe che a sua volta svelerà un animo gentile. Durata 129 minuti. (Massaua, Eliseo Blu, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space anche in 3D, Uci anche in 3D)

 

La cura del benessere – Thriller. Regia di Gore Verbinski, con Dane DeHaan e Jason Isaacs. Lockhart viene mandato in un centro benessere sulle Alpi svizzere con un preciso incarico, recuperare l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora. Si accorgerà subito che i metodi dell’istituto non sono proprio secondo “le norme” e farà fatica a comprendere quanto sta succedendo in quel luogo. Gli verrà in aiuto una misteriosa ragazza, paziente del dottor Volmer. Durata 146 minuti. (Lux sala 3, The Space, Uci)

 

Il diritto di contare – Drammatico. Regia di Theodore Melfi, con Octavia Spencer, Janelle Monàe, Taraji P. Hanson e Kevin Kostner. Una storia vera, tre donne di colore nella Virginia degli anni Sessanta, orgogliose e determinate, pronte a tutto pur di mostrare e dimostrare le proprie competenze in un mondo dove soltanto gli uomini sembrano poter entrare e dare un’immagine vittoriosa di sé. Una valente matematica, un’altra che guida un gruppo di “colored computers”, la terza aspirante ingegnere, senza il loro definitivo apporto l’astronauta John Glenn non avrebbe potuto portare a termine la propria spedizione nello spazio e gli Stati Uniti non avrebbero visto realizzarsi il proprio primato nei confronti dei russi. Durata 127 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale (V.O.), Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3, The Space, Uci)

 

Elle – Drammatico. Regia di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte e Christian Berkel. Al centro della vicenda, tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, è Michèle, interpretata da una Huppert che a detta di molti avrebbe ben avuto diritto a tenere per il ruolo un luccicante Oscar tra le mani. È una scalpitante imprenditrice di mezza età nel ramo videogiochi, obbligata a gestire una più che variopinta compagine familiare, a cominciare da un ex marito di poca fama nel campo letterario, da una madre che vede non di buon occhio l’età che avanza, da un figlio che non vive certo secondo le sue aspettative, di un amante che le è venuto a noia. Da un padre che in passato con un gesto sanguinoso ha cambiato la sua esistenza. Anche la sua vita ha un segreto, lo scopriamo fin dall’inizio: un uomo mascherato, una sera, si introduce nel suo appartamento e la violenta. Chi è quell’uomo? E perché la donna non va alla polizia per una denuncia, continuando la vita di sempre? Durata 140 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Uci)

 

Kong: Skull Island – Avventura. Regia di Jordan Vogt-Roberts, con Tom Hiddleston, Brie Larson, John Goodman, Samuel Jackson e John J. Reilly. Ennesima rivisitazione del mito King Kong, una spedizione ambientata nel 1973 allorché le truppe americane abbandonarono il disastrato Vietnam. Una spedizione voluta dalla scienziato Randa e diretta verso una misteriosa isola, guidata da un ex capitano inglese, con al seguito una fotografa pacifista, un pilota recluso nell’isola dai tempi della fine del conflitto mondiale, il comandante di una squadriglia di piloti di elicotteri che come tutti gli altri se la dovranno vedere con l’immenso mostro. Un budget da far tremare le vene e i polsi, un paio d’anni per preparazione e lavorazione, tra Hawai, Australia e Vietnam: per il gran divertimento degli aficionados si prevede una trilogia. Durata 118 minuti. (Reposi, The Space, Uci)

 

John Wick 2 – Azione. Regia di Chad Stahelski, con Keanu Reeves, Riccardo Scamarcio, Claudia Gerini e Laurence Fishburne. Nuova avventura per il killer cinofilo, questa volta è il cattivo Scamarcio a richiamarlo in azione con il compito dell’eliminazione della sorella Gerini che ha tutte le intenzioni di mettere completamente le mani sulla malavita italiana. La città che fa da sfondo all’azione è Roma. Durata 122 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, The Space, Uci)

 

La La Land – Musical. Regia di Damien Chazelle, con Ryan Gosling e Emma Stone. La storia di due ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Reposi)

 

Life – Non oltrepassare il limite – Fantascienza. Regia di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Fergusson e Ryan Reynolds. Un gruppo di scienziati, imbarcati su un’astronave, ha il compito di ritrovare una sorgente di vita sul pianeta Marte. Si imbatteranno in una cellula vivente che in poco tempo assumerà forza e proporzioni impensate, e soprattutto una aggressività che gli uomini con conoscono. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala1, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)

 

Logan – The Wolverine – Fantasy. Regia di James Mangold, con Hugh Jackman, Richard Grant e Patrick Stewart. Un film di congedo, un eroe che depone i propri artigli e vive quasi segregato in un luogo sperduto del Messico, accudendo al suo anziano mentore, il professor Xavier, con la compagnia di un mutante che di nome fa Calibano e vorrebbe uscire dalle pagine della “Tempesta” shakespeariana. Ma c’è un’ultima avventura da combattere, accanto ad una giovanissima Laura che ha gli stessi poteri di Logan. Durata 131 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Loving – Drammatico. Regia di Jeff Nichols, con Joel Edgerton e Ruth Negga. La storia vera di Richard e Mildred, ambientata sul finire degli anni Cinquanta nello stato della Virginia, lui bianco e lei di colore, il loro amore e il matrimonio a Washington, il loro ritorno per essere arrestati e condannati per aver violato una legge che proibiva i matrimoni interrazziali, l’intervento di Bob Kennedy, il caso davanti alla Corte Suprema per arrivare nel ’67 alla libertà di matrimonio libero nell’intera nazione americana. Durata 123 minuti. (Centrale in V.O., F.lli Marx sala Chico, Romano sala 2)

 

La luce sugli oceani – Drammatico. Regia di Derek Cianfrance, con Michael Fassbender, Alicia Vikander e Rachel Weisz. Il regista, già apprezzatissimo autore di “Blue Valentine” e “Come un tuono”, è rimasto folgorato dal romanzo della scrittrice australiana M.L. Stedman e ha affidato al cinema un’opera che dalla sua prima apparizione a Venezia ha diviso i critici come pochi film lo hanno fatto prima. Vedremo come reagirà il pubblico. Un uomo colpito dalle ferite che la Grande Guerra gli ha inferto s’è rifugiato in un’isola lontana, a guardia di un faro, il suo incontro con una donna che lo riporta alla vita, i figli che non possono avere, il ritrovamento in mare di una piccola creatura, l’apparire della vera madre e distrugge tutti i sogni di un destino felice. Insomma un gran mélo, innegabile, che qualcuno appunto ha accolto come un capolavoro e che qualcuno al contrario ha bocciato in modo assoluto e definitivo, accusando di ridicolo situazioni e personaggio, pollice verso per attrici che hanno al loro attivo degli Oscar e considerate qui vittime di un racconto dove nulla sarebbe credibile. Durata 132 minuti. (Greenwich sala 2)

 

Manchester by the sea – Drammatico. Regia di Kenneth Lonergan, con Casey Affleck, Michelle Williams e Lucas Hedges. Film in corsa per gli Oscar, sei candidature (miglior film e regista, sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Moonlight – Drammatico. Regia di Barry Jenkins, con Naomi Harris, Mahershala Ali e Trevante Rhodes. Miglior film secondo il parere della giuria degli Oscar, film teso, crudo, irritante. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, infine spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Non è un paese per giovani – Commedia drammatica. Regia di Giovanni Veronesi, con Sara Serraiocco, Filippo Scicchitano e Giovanni Anzaldo e con Sergio Rubini e Nino Frassica. Sandro e Luciano si ritrovano a lavorare nello stesso ristorante ma preferiscono lasciare l’Italia che è un paese senza futuro. Scelgono Cuba, sono gli ultimi mesi di Castro. Nella capitale trovano Sara, anche lei con qualche ferita da rimarginare. Avventure, dolori e disillusioni porteranno Sandro a tenersi ben stretto ai suo principi, sarà Luciano ad abbandonare quelle certezze in cui pareva credere e a perdersi in un’oscurità che non aveva ancora conosciuto. Durata 105 minuti. (Massaua, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci) – Sabato 25 marzo, al Cinema Massimo, prima della proiezione delle 20,20, Giovanni Veronesi incontrerà il pubblico e presenterà il film.

 

Omicidio all’italiana – Commedia. Regia di Maccio Capatonda, con Capatonda, Herbert Ballerina, Nino Frassica e Sabrina Ferilli. Succede qualcosa di strano nel solitario paesano abruzzese di Acitrullo, dimenticato davvero da Dio e dagli uomini: un omicidio. Perché non sfruttare la situazione, si chiede il sindaco Piero Peluria, mentre arrivano folle di curiosi e soprattutto la televisione con la sua bella trasmissione “Chi l’acciso?”. Durata 99 minuti. (Reposi)

 

Il padre d’Italia – Drammatico. Regia di Fabio Mollo, con Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Lo strano incontro tra Paolo, omosessuale introverso, e Mia, ragazza “quasi-madre” al sesto mese di gravidanza, in un locale gay di Torino. Inizieranno un lungo viaggio, fino a Roma prima per proseguire fino a Napoli e in Calabria, terra d’origine della ragazza: durante quei giorni trascorsi uno accanto all’altra nasceranno dei sentimenti cui mai nessuno avrebbe pensato. Durata 93 minuti. (Massimo sala 2)

 

Rosso Istanbul – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpeteck, con Halit Ergenç, Nejat Isler e Serra Yilmaz. Il regista turco torna a girare nella sua patria, a vent’anni di distanza dal “Bagno turco” e da “Harem Suaré”, ancora una volta avvolto nel suo realismo magico, con una storia che ha le proprie radici (rivisitate) nel romanzo omonimo, a cavallo dell’autobiografia, e che vede il ritorno a Istanbul da una Londra culla d’esilio dello scrittore Orhan richiamato dal regista Deniz al ruolo di editor per una sua nuova opera letteraria. Ma Deniz all’improvviso scompare e Ohran viene a contatto con il mondo di lui, con i suoi amici, con il suo passato. Malinconie, la realtà del quotidiano, i cambiamenti della Turchia, il passato e il presente che si guardano e si confrontano, le “madri del sabato” alla ricerca dei figli scomparsi. Durata120 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 1)

 

Slam – Tutto per una ragazza – Commedia. Regia di Andrea Molaioli, con Jasmine Trinca, Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Luca Marinelli. Tratto dal romanzo di Nick Hornby. Samuele, romano, sedicenne, grande appassionato di skateboard, va letteralmente nel panico quando viene a sapere la la fidanzatina Alice aspetta un bimbo: terrorizzato ma deciso a non sottrarsi alle proprie responsabilità. Anche lui è venuto al mondo quando i suoi genitori erano decisamente giovani. Grande successo all’ultimo TFF. Dirige il regista di “La ragazza del lago” e “Il gioiellino”. Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Il tesoro – Commedia. Regia di Corneliu Porumboiu, con Toma Cuzin e Radu Banzaru. Siamo a Bucarest. Un vicino di casa di Costi va da lui e lo mette al corrente che nel proprio giardino è seppellito un tesoro, è stato suo nonno a nasconderlo prima dell’arrivo del comunismo. Ci vorrebbe un metal detector, lui non ha i soldi per acquistarlo: ma se Costi volesse intervenire, al termine della ricerca farebbero senz’altro a metà. Si apre davanti ai due uomini un lungo, lunghissimo fine settimana. Durata 89 minuti. (Classico)

 

The Ring 3 – Horror. Regia di Javier Gutiérrez, con Johnny Galecki e Mathilda Lutz. Una giovane donna comincia a preoccuparsi per il suo ragazzo quando lo vede interessarsi ad una oscura credenza che riguarderebbe una videocassetta misteriosa che si dice uccida dopo sette giorni chi la guarda. Durata 102 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

T2 Trainspotting – Drammatico. Regia di Danny Boyle, con Ewan McGregor, Robert Carlyle, Jonny Lee Miller e Ewen Bremmer. Il precedente “Trainpotting” aveva lasciato Mark Renton scappava con il malloppo, abbandonando i compagni in un un mare di rabbia, di droga e di sballo. Non tutti l’hanno digerita. La nuova puntata di quel film che è diventato un cult vede il nostro nel tentativo di riallacciare i contatti, e per quanto si può in vera pace, con loro rimettendo piede a Edinburgo. Quello che non ha proprio voglia di incontrare è Begbie (Carlyle), appena uscito di galera, il più legato al mondo di un tempo. Durata 117 minuti. (Greenwich sala 1)

 

Un tirchio quasi perfetto – Commedia. Regia di Fred Cavayè, con Danny Boon e Laurence Arnè. François Gautier, violinista, è noto per la sua tirchieria. Detestato da tutti, incontrerà una donna pronta ad amarlo e una figlia di cui non aveva conoscenza. Grande successo in Francia grazie alla comicità di Boon noto da noi per il suo divertente personaggio protagonista di “Giù al nord”. Durata 89 minuti. (Ambrosio sala 3, F.lli Marx sala Chico, Uci)

 

Victoria – Drammatico. Regia di Sebastian Schipper, con Laia Costa, Frederick Lau e Burak Yigit. Victoria, una ventenne spagnola che vive da qualche tempo a Berlino, incontro una sera fuori di un locale notturno Sono e i suoi amici. Sono berlinesi “veri”, così si definiscono e possono mostrarle la città che gli stranieri non conoscono. Victoria li segue divertita fino a quando qualcuno si fa vivo per esigere dal gruppo un credito: devono compiere una rapina all’alba in una banca. Cosa deciderà di fare la ragazza. Durata 93 minuti. (Classico V.O.)

 

Vi presento Toni Erdman – Commedia. Regia di Marin Ade, con Peter Simonischek e Sandra Hüller. Un padre davvero sui generis che, abbandonando la sua vera identità di Winfried per assumere quella del titolo, compare all’improvviso a Bucarest dove la figlia, donna in carriera solitaria e senza uno straccio di relazione amorosa a farle da supporto in un’esistenza senza troppe luci e molte ombre, sta trattando un grosso affare. Un rapporto e una storia fatti di comicità e di tenerezza, un incontro che scombussola, un chiarimento di intenti e di futuro. Durata 162 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse)

 

Monferrhollywood

Casale ed il Monferrato come luogo ideale per girare pellicole cinematografiche. Questa potrebbe essere una destinazione per il futuro. Intanto si sta per alzare ufficialmente il sipario di “Te Absolvo”, opera del regista Carlo Benso, interamente realizzata nel Casalese con il patrocinio del Comune di Casale. Tra le location presenti nel lungometraggio sono presenti la Biblioteca del Seminario, la Cattedrale, piazza Mazzini con le vie del centro cittadino, il lungo Po a Casale Monferrato e molti scorci di Conzano come la chiesa parrocchiale. Inoltre c’è stato un notevole coinvolgimento di tutto il territorio, sia per quanto riguarda le maestranze che per gli attori (con casting a cura dell’Accademia Le Muse). La pellicola, prodotta da Francesco Paolo Montini, per Movie Factory, in associazione con Gruppo Stat, Studio Lanteri ed in collaborazione con film Commission Torino Piemonte e con il patrocinio del Comune di Conzano, racconta di due uomini intrappolati nei loro ruoli: un confronto lacerante e doloroso che porta i due protagonisti della storia al centro dell’eterno conflitto tra la legge e la propria coscienza. Due preti, uno giovane e uno anziano, due figure incastonate come icone nell’immaginario tradizionale e popolare alla ricerca di una assoluzione capace di sedare i sensi di colpa. Nel cast, assieme ai protagonisti Toni Garrani e Igor Mattei, figurano Karolina Cernic, Fabio Fazi, Calogero Marchesi, Claudia Giaroli, Lara Miceli, Emanuela Solerio, Alessandra Tartaglia, Alberto Pelliteri, Mattia Rosellini, Fabrizio Milano, Marco De Martin Modolado, Loredana Marcarini. Il film Te Absolvo, del regista monferrino Carlo Benso, viene presentato ufficialmente sabato 25 marzo, a a Conzano e a Casale. Nella mattinata di sabato, dalle ore 10, a Villa Vidua di Conzano il sindaco Emanuele Demaria organizzerà una presentazione aperta al pubblico con il produttore Francesco Paolo Montini, il regista Carlo Benso e i protagonisti del film Toni Garrani, Igor Mattei, Karolina Cernic e l’attore casalese Fabio Fazi per “raccontare” al pubblico i momenti più caratteristici dell’esperienza vissuta sul set.. Anteprima del film dunque sabato 25 marzo, ore 21, al Teatro Municipale di Casale Monferrato, con ingresso a invito, e nelle sere di lunedì 27, martedì 28 e mercoledì nella multisala casalese di Cinelandia con unico spettacolo alle ore 20.30. E’ possibile prenotare i biglietti direttamente a Cinelandia o sul sito www.cinelandia.it. Inoltre sarà possibile l’accesso alla sala nelle tre sere, dalle ore 20, dove il regista e alcuni interpreti del film incontreranno il pubblico. Il regista monferrino Carlo Benso sarà ospite della diretta televisiva del Tg Rai Piemonte delle ore 14 di sabato 25 per raccontare alcuni momenti delle riprese di una storia che si innesta nella tradizione popolare del territorio.

Massimo Iaretti