CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 588

La scelta di Giulio

All’“Accorsi – Ometto” di Torino, l’opera di Giulio Boetto segna il “viaggio di un paesaggista nel secolo che distrusse il paesaggio”
Fino al 15 settembre


Non una semplice raccolta di opere, ma una sorta di suggestivo e ben pensato “spettacolo diffuso”. Bello e insolito. Evocativo e immersivo. Così Luca Mana, responsabile delle collezioni del Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto di Torino, descrive la mostra dedicata a Giulio Boetto (Torino, 1894 – 1967), fra i grandi della tradizione paesistica piemontese del Novecento, nelle sale (ma già a partire dal portico d’ingresso) dello stesso Museo di via Po. Rassegna che non è la consueta carrellata di opere testimoni, più o meno generose, del far pittura di un artista, ma un funambolico gioco di installazioni video – sonore ispirate a tre “soli” dipinti esposti in parete: oli su tela – celebri e di toccante vis emozionale – realizzati da Boetto nel 1918, il primo, e nel ’23 e ’47, il secondo e il terzo. Eccoli: “La casa del prete” a Polonghera, di geometrica quasi astratta essenzialità con le due figurine nere dei pretini che si perdono nel candore di una facciata che è un autentico monumento alla cultura rurale del tempo; “Luce del mattino a Sauze d’Oulx”, con lo svettante campanile romanico della Parrocchiale di San Giovanni Battista e quelle luci e quei colori e quelle nevi che tanto ci dicono della fortissima liaison umana e artistica intercorsa per tutta la vita fra Giulio Boetto e Matteo (Maté) Olivero;

“Fine del mercato a Saluzzo”, infine, un portento di bravura scenica, per l’attenzione ai minimi particolari del soggetto resi con rapidi vibranti tocchi di colore e una straordinaria capacità di creare trasparenti atmosfere sospese nell’ora e nel tempo. Quadri che la dicono tutta sul grande amore di Boetto – formatosi all’Accademia Albertina, sotto la guida di Giacomo Grosso e Cesare Ferro – per la pittura figurativa in genere e di paesaggio in particolare, da cui non volle mai allontanarsi, indifferente alle assordanti sperimentazioni delle Avanguardie artistiche che nel corso del Novecento arrivarono (in termini a volte anche molto discutibili) alla distruzione del paesaggio. A queste correnti, Boetto voltò le spalle. Anche fisicamente, scegliendo – ecco il senso del titolo dato alla rassegna – l’esilio volontario, lontano dalla città e dalla fama che già in abbondanza, alla fine della Grande Guerra, aveva comunque ottenuto con i suoi dipinti (alcuni perfino acquistati dalla Casa Reale), con le sue caricature (premiate nel ’14 all’Esposizione Internazionale di “Umorismo e Caricature” organizzata dal giornale “Numero”, fondato dal celebre Golia – Eugenio Colmo) e con le sue realizzazioni scenografiche e cartellonistiche richiestegli da alcune fra le più importanti Case di produzioni cinematografiche dell’epoca.

A trent’anni, l’artista decide di ritirarsi felice sotto le sue amate montagne, nel Cuneese, ai piedi del Monviso: a Revello prima e, dopo pochi anni, a Saluzzo nella casa e nello studio che furono dell’amico Olivero. “Scelta coraggiosa ed eroica, la sua. La scelta di un artista che, come tutti i grandi paesaggisti dell’Otto-Novecento, ha saputo trasmetterci quel particolare ‘genius loci’ sconosciuto alle tante Avanguardie del secolo scorso, interessate più che altro a fornire l’interpretazione dei luoghi e non ad esserne straordinaria testimonianza nel tempo”. A parlare è Giosué Boetto Cohen, curatore della mostra e nipote di Giulio, nonché giornalista, conduttore e regista di importanti progetti televisivi targati Rai, fra cui “La storia siamo noi” dell’era Minoli. E proprio a lui ( che già aveva curato due anni fa il debutto della mostra alla “Castiglia” di Saluzzo, per i cinquant’anni dalla morte del nonno) si devono le suggestive installazioni dialoganti, sullo schermo di avveniristici poliedri bianchi, con le tre opere esposte e accompagnate dal miracolo sonoro delle musiche di Marco Robino con l’Ensemble Architorti: repertori filmati che raccontano il “secolo breve”, insieme a novanta foto in gran parte inedite e alle riproduzioni di 83 opere di Boetto.

Promosso dal Comune di Saluzzo, insieme alla Fondazione Artea e alla Regione Piemonte con l’Associazione UrCA, al progetto hanno partecipato anche il Museo del Cinema e InTesta (Gruppo Armando Testa), che ha ideato una sorta di semi-serio divertissement proponendo un’ipotetica interpretazione dei paesaggi di Boetto così come avrebbero potuto essere realizzati da alcuni fra i maggiori interpreti delle Avanguardie artistiche Novecentesche: da de Chirico, a Picasso, a Fontana, solo per citarne alcuni, fino a Munck o a Rothko piuttosto che a Pollock. Gioco semi-serio, appunto. Che vale il tempo di un sorriso. Laddove, invece, c’è assai meno da sorridere confrontando le foto di luoghi e paesaggi così com’erano ai tempi del pittore “torinese di Saluzzo”, con gli stessi che oggi si presentano a noi. Paragoni rattristanti, per i disastri arrecati. E allora, quanto attuale potrebbe essere di nuovo, a quasi un secolo di distanza, quella famosa “scelta di Giulio”! Tanto coraggiosa. E tanto eroica.

Gianni Milani

“La scelta di Giulio”
Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, via Po 55, Torino; tel. 011/837688 int. 3 o www.fondazioneaccorsiometto.it
Fino al 15 settembre
Orari: dal mart. al ven. 10/13 e 14/18; sab. dom. e festivi 10/13 e 14/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto

– “La casa del prete”, olio su tela, 1918
– “Luce del mattino a Sauze d’Oulx”, olio su tela, 1923
– “Fine del mercato a Saluzzo”, olio su tela, 1947
– “Sauze d’Oulx”, stampa fotografica su carta, 1923
– “Mercato del bestiame”, stampa fotografica su carta, 193

 

“Battuta d’arresto”, per uscire dall’oblio

E’ online il corto scritto e interpretato da Franco Lana

E’ realizzato con la collaborazione di operatori e pazienti di un centro di recupero di Torino. Il film, “Battuta d’arresto”, narra le vicende di un ex attore, che dopo aver perso fiducia nelle persone e nella società, decide di ritirarsi. Toccherà ad un giornalista tirarlo fuori dall’oblio. Così facendo, lo salverà.

 

L’Accademia della Cattedrale tra musica e spiritualità

Incontriamo Giacomo Bottino, direttore artistico-culturale dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, che ha come presidente il parroco del Duomo di Torino, don Carlo Franco

Quando è stata costituita l’Orchestra dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni?
L’Orchestra è nata nel 2017, successivamente alla costituzione dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, di cui rappresenta il primo e principale asse di sviluppo, finalizzato all’animazione del Duomo di Torino. D’altronde, l’architettura e la musica sono arti complementari: lo spazio costruito è un vuoto che ha bisogno di essere riempito e l’arte dei suoni si presta a questo riempimento in modo pervasivo. Quando musica e architettura si incontrano, lo spazio fisico e geometrico diventano “luogo” e gli strumenti musicali che vi risuonano conferiscono al luogo un’anima. Ricordo quello che scrive Palladio nel suo Trattato sull’architettura: “Le proporzioni delle voci sono armonia delle orecchie, così quelle delle misure sono armonia degli occhi nostri”.
Con queste premesse il Duomo di Torino ci è sembrato perfetto per mettere a punto un nuovo progetto di cultura e di pratica musicali.

– Quale la ragione del suo nome che è piuttosto originale?
In realtà il cantare e il suonare bene, con grande perizia tecnica ed espressiva, sono ovviamente fenomeni antichi quanto la musica stessa. Tra Sette e Ottocento questa capacità ha dato origine al cosiddetto “virtuosismo”, incentrato soprattutto su cantanti lirici, violinisti e pianisti, che hanno spettacolarizzato le loro esibizioni e dato origine a fenomeni di autentico divismo. Nel nostro caso abbiamo voluto rifarci al concetto di “virtuoso” così come si manifesta nel tardo Rinascimento e in modo particolare nel Barocco, contestualmente all’affermazione della musica d’assieme nella forma del “concerto”. Prevale, in quel tempo, l’idea che il musicista debba usare l’arte strumentale non per ostentare il suo talento, ma per eseguire composizioni in modo chiaro e distinto, secondo il metodo cartesiano, nel rispetto di quel’ “armonia prestabilita” che è la struttura portante dell’universo, secondo Leibniz.  A questi principi si attengono i nostri Virtuosi, in linea con quella grande fabbrica di esecutori che fu, per tutto il corso del XVIII secolo, la Scuola violinistica piemontese.

– Le loro esecuzioni, che hanno come fulcro la sede del Duomo di Torino, rientrano nel programma denominato “Lo spirituale nell’arte”. Che cosa si intende con questa espressione?
Si tratta, come ben noto, del titolo del saggio teorico più celebre di Kandinskij, dove si profetizza l’avvento di una nuova epoca spirituale attraverso tutte le modalità della creatività artistica,  rese funzionali dalle avanguardie del primo Novecento all’esplicita e trasgressiva manifestazione dell’interiorità. Teniamo conto che, in quegli anni, la psicoanalisi aveva scoperchiato l’inconscio individuale e collettivo, modificando radicalmente la visione del mondo borghese. Oggi questo magnifico titolo del fondatore della pittura astratta serve ad esprimere il bisogno di spiritualità, che si avverte come una corrente sotterranea sotto le false apparenze di un mondo, anzi, di un globo, dove gli esseri umani si muovono come formiche operaie di un’economia irreale e di una finanza debordante. In questo senso le arti possono svolgere un ruolo decisivo nel far ritrovare l’orizzonte perduto e nell’indicare nuovi orizzonti, vale a dire nuovi orientamenti e prospettive concrete.

– Come si inseriscono il programma musicale e i presupposti artistici dei Virtuosi nella cornice degli ideali dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni?  Esiste un fil rouge, vero, tra i due?
Direi di più: il fil rouge costituisce la ragion d’essere sia dell’Accademia sia dei suoi Virtuosi. Anche se l’Accademia, presieduta da don Carlo Franco, parroco del Duomo, ha obiettivi che non sono esclusivamente musicali. Stiamo lavorando all’estensione dell’area di intervento del nostro progetto agli ambiti delle arti figurative e del teatro. Già nel giugno 2018 abbiamo ospitato in Duomo un innovativo e suggestivo allestimento di “Assassinio nella cattedrale” di Eliot con un protagonista d’eccezione come Andrea Giordana. Così come per la Quaresima di quest’anno abbiamo esposto ai lati dell’altare due quadri sulla Passione di Cristo, appositamente creati dal pittore Renato Missaglia. Il Duomo in quanto tale e come custode della Sacra Sindone è, per un pubblico di visitatori e di spettatori, un punto di attrazione magnetica e, proprio per questo, può diventare anche un centro di produzione artistico-culturale di vastissimo respiro.

– Qual è il tratto distintivo dell’Orchestra dei Virtuosi rispetto ad altre simili?
L’orchestra di impianto classico rappresenta una delle più straordinarie invenzioni strutturali dell’Occidente.  Sia in versione cameristica che in assetto sinfonico è un’esperienza eccezionale non solo per chi vi suona e la dirige, ma anche per chi la organizza, affrontando ad ogni nuova produzione la complessità gestionale che comporta. Non è facile in così breve tempo mettere insieme prime parti di valore ed esperienza con giovani di notevole bravura e creare un clima di condivisione, dove tutti si sentano protagonisti. Di fatto i nostri concerti sono sostenuti economicamente da interventi di piccolo, ma prezioso mecenatismo. Tuttavia, siamo consapevoli che a una realtà di questo tipo, che ha il Duomo di Torino come sede istituzionale e centrale operativa, non possono essere insensibili i grandi soggetti pubblici e privati di Torino e del Piemonte. Faremo tutti i passi necessari, lavorando sodo.

– Come mai i Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni non hanno un direttore d’Orchestra stabile?
Abbiamo un direttore ospite principale nella figura del Maestro Antonmario Semolini, autentico protagonista della scena musicale ed artistica, che ha non solo condotto, ma direi “allevato” i Virtuosi in tutti i concerti finora realizzati. Però, la nostra è un’orchestra libera, il cui podio non è al servizio di certe smanie di protagonismo, ma è offerto a tutti i direttori, giovani e meno giovani, che abbiano le virtù, in senso proprio, per dirigerla, incrementandone la qualità.

– Quali le scelte del repertorio musicale verso cui l’Orchestra dei Virtuosi si orienta nell’esecuzione dei suoi concerti? 
A seconda delle intenzioni artistiche e delle disponibilità finanziarie – perché il nostro è un approccio imprenditoriale – abbiamo costruito organici orchestrali per eseguire brani composti nel lungo periodo che va dalla seconda metà del Settecento e culmina, attraverso il fervore del Romanticismo, nel Novecento storico.
In occasione del concerto di riapertura della Cappella del Guarini, abbiamo commissionato brani originali a compositori contemporanei della qualità di Giuliana Spalletti,  Fabio Mengozzi,  Marco Sinopoli e  Giancarlo Zedde. Quindi, un’impostazione aperta ed eclettica, che risente fortemente della presenza fra noi come Accademico onorario del professor Enzo Restagno, la cui autorevolezza non ha bisogno di commenti.

– La partecipazione al Festival musicale di Macugnaga ad agosto ed i programmi futuri dei Virtuosi.
A Macugnaga siamo stati invitati su indicazione di quel magnifico pianista e intellettuale che è stato Marco Giovanetti, purtroppo recentemente scomparso. In quell’occasione saranno eseguiti il Concerto per pianoforte K. 488 di Mozart, con un giovane interprete cinese, e la Sinfonia n. 5 di Schubert. Il programma sarà dedicato alla memoria dell’amico Marco. Il prossimo appuntamento di rilievo per adesso non possiamo dichiararlo, ma sarà sicuramente motivo di interesse e curiosità, perché vi saranno eseguite pagine inedite di uno straordinario compositore, che ha segnato la storia della musica colta ed extracolta dagli anni Sessanta ad oggi.

 

Mara Martellotta

 

(nella foto Giacomo Bottino, a sinistra, dialoga con la compositrice Giuliana Spalletti. Sullo sfondo il maestro Antonmario Semolini e il musicologo Enzo Restagno)

Estate al Forte di Exilles 

Percorrendo le curve sinuose della statale 24, che porta al valico del Monginevro, è impossibile non restare colpiti dall’imponenza del Forte di Exilles.
 La struttura difensiva si trova in alta Valle di Susa ed è perfettamente incastonata tra i ripidi pendii delle montagne, tanto da sembrare lì da sempre. 
In realtà, le prime notizie dell’esistenza di una fortificazione ad Exilles sono contenute in una cronaca dell’abbazia di Novalesa risalente al VII secolo. Tale prima struttura era certamente molto diversa da quella visitabile ancora oggi. Infatti, lungo i secoli, il Forte fu costantemente conteso tra Savoia e Francesi, che, con ampliamenti e rimaneggiamenti, di volta in volta ne modificarono l’assetto. 
Alla fine del Settecento l’intero complesso venne distrutto: fu Napoleone Bonaparte a imporre la demolizione del Forte, inserendola tra le clausole del trattato stipulato con i Savoia in seguito alla Campagna d’Italia. Tuttavia, non appena il Piemonte tornò ad appartenere al Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele I decise di far ricostruire l’intera struttura. I lavori di riedificazione iniziarono nel 1818 e si conclusero undici anni più tardi: sostanzialmente, venne riproposta l’architettura preesistente, aggiornata secondo le nuove esigenze militari. Per oltre un secolo il Forte di Exilles fu presidiato dall’esercito. Le ultime truppe lo lasciarono nel 1943: da quel momento per l’intera struttura si aprì una fase di totale abbandono. Solo nel 2000, dopo ingenti lavori di restauro, il complesso che domina l’alta Valle di Susa è tornato a risplendere. 
Come accade da alcuni anni, anche quest’estate il Forte è pronto a riaprire le sue porte per accogliere migliaia di visitatori. Nei mesi di Luglio e Agosto la struttura sarà visitabile dal martedì alla domenica (dalle 10 alle 18), mentre a Settembre vi si potrà accedere nei weekend. L’ingresso è gratuito. Sono ad accesso libero anche molti degli eventi in programma, curati dal Circolo dei Lettori di Torino, dal comune di Exilles e dalle associazioni Amici del Forte di Exilles e Inoltra. Sin dal primo giorno di apertura, il prossimo sabato 6 Luglio, il calendario è davvero molto ricco. Ad animare il Cortile del Cavaliere, al centro della struttura fortificata, si alterneranno grandi nomi. Michele PlacidoNeri Marcorè, Alessandro Perissinotto e Bruno Gambarotta sono solo alcuni dei protagonisti della stagione 2019 del Forte di Exilles, il silenzioso gigante di pietra che torna a vivere d’estate. 
Giulia Amedeo
(Foto piccole: Associazione Amici del Forte di Exilles) 

Fo.To – Fotografi a Torino, kermesse di successo

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Finita la festa per la seconda… già si scaldano i   motori per la terza edizione. Dall’8 maggio al 21 giugno 2020

Archiviata da pochi giorni, con grande successo di pubblico e di critica, la seconda edizione di “Fo.To – Fotografi a Torino” (che già nel 2018 aveva registrato oltre 100mila visitatori), una nota stampa del MEF – Museo Ettore Fico di via Cigna, cui si deve l’idea iniziale e la promozione negli anni della grande kermesse fotografica – orgoglio tutto torinese – fa sapere che già si è al lavoro per la realizzazione della terza edizione, che si terrà dall’8 maggio al 21 giugno 2020. Date da appuntarsi ben bene in agenda. In quanto all’edizione 2019, appena conclusasi, i numeri la dicono tutta su un bilancio che può mettersi per davvero in bella cornice.

“L’edizione di quest’anno – afferma Andrea Busto, direttore del MEF – ha visto infatti un ulteriore incremento degli enti partecipanti che hanno raggiunto quota 90: circa 25 tra musei e fondazioni, 50 gallerie private, molte associazioni no-profit dedicate alla fotografia, le biblioteche civiche (novità di questa edizione), oltre agli spazi off, gli enti di formazione e spazi espositivi ubicati fuori città”. Decisamente rilevante anche l’investimento in termini di comunicazione: 40.000 brochure a colori distribuite in tutto il Nord-Italia, 20.000 cartoline e 20.000 pieghevoli distribuiti a tutte le istituzioni partecipanti e in tutti i punti turistici e informativi. Senza dimenticare le affissioni pubblicitarie per tutto il periodo della manifestazione nelle principali città del Nord-Ovest (circa 1200 manifesti tra Torino, Milano, Genova); oltre 140.000 le persone che hanno seguito la kermesse attraverso i social media (Facebook e Instagram), 50 articoli su mezzi stampa e più di 100 articoli e segnalazioni sulle testate web.

“Ancora più decisiva e fondamentale per questa seconda edizione –prosegue Busto –è stata la collaborazione con gli Enti istituzionali: RegionePiemonte, Fondazione CRT per l’Arte, Città di Torino e UBS, hanno dato un supporto indispensabile alla buona riuscita del progetto. L’edizione 2019 ha inoltre visto la nascita di una nuova fiera dedicata interamente alla fotografia, ‘The Phair’, che si è svolta proprio in concomitanza con l’apertura di ‘Fo.To’ il 3 maggio scorso e che ha permesso di dare corpo ad una collaborazione fra i due eventi estremamente proficua, con la possibilità di attivare, ad esempio, un programma di inviti per addetti ai lavori (collezionisti italiani e internazionali, curatori e esperti di fotografia) che prevedeva l’ospitalità durante il primo week-end di apertura delle mostre e della fiera”. Un buon successo si è anche ottenuto con la replica della Notte Bianca della Fotografia svoltosi in contemporanea con il Salone del Libro, sabato 11 maggio, e che ha visto una grande affluenza di pubblico durante l’intera giornata e fino a tarda notte.

Dati e cifre, dunque, più che positive. Che non permettono, tuttavia, larghe pause. E la macchina organizzativa ha già riavviato i motori. Dall’8 maggio al 21 giugno del 2020, sarà ancora un buon mese e mezzo di grande fotografia, coniugata nelle sue varie anime, a Torino. “E, per l’occasione sono già allo studio nuove forme di collaborazione – conclude il direttore del MEF – con Istituzioni straniere, per uno sviluppo di interazione e scambio con altre realtà internazionali”

g.m.

 

Per info: MEF-Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o info@museofico.it o www.museofico.it

 

Nelle foto
– “Ufficio Protezione Antiaerea, incursione aerea del 13 luglio 1943 a Torino”, courtesy Archivio Storico della Città di Torino
– Andrea Busto

I concerti di Flowers Festival

Anche quest’anno Flowers Festival – da giovedì 27 giugno a sabato 20 luglio, nel Cortile della Lavanderia a Vapore nel Parco della Certosa di Collegno (To) – offre una serie di eventi unici con i migliori artisti della scena italiana e internazionale

 Cinque concerti che a cui sarà possibile assistere solo al festival di Collegno (To): Olafur Arnalds (28 Giugno), Jack Savoretti (5 Luglio), Ezio Bosso & Europe Philharmonic Orchestra (11 Luglio), Giuseppe Cederna + Willy Mertz + Clg Ensemble (14 Luglio), Joan Baez (19 Luglio).

 

Il titolo dell’edizione di quest’anno, “Building a new society”, è stato suggerito dal luogo in cui si svolge il Festival ovvero il Cortile della Lavanderia del più grande e celebre manicomio italiano, quello di CollegnoFranco Basaglia, chiudendolo insieme alle altre strutture manicomiali italiane, distrusse nei fatti quei luoghi creati dalla nuova società ottocentesca per la segregazione di soggetti non utili alla sua costruzione nei canoni etico/economici, quali folli, derelitti e soggetti marginali.

Il Festival intende quindi superare la sua dimensione di spettacolo e intrattenimento e, nei suoi limiti, vuole contribuire al dibattito sulle trasformazioni sociali che sta attraversando tutti i settori del nostro vivere quotidiano proponendo artisti che si stanno interrogando nella propria opera su come costruire una nuova società, su quali valori farlo, percorrendo quali strade in futuro e quali sono state percorse in passato.

Ecco quindi che sul palco del Cortile della Lavanderia a Vapore del Parco della Certosa di Collegno (To) si potrà assistere all’odierna scena musicale e alle sue risposte relative alla necessità di avviare la costruzione di una nuova società.

La Vie en Rose

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TORINO CELEBRA LE GRANDI VOCI AL FEMMINILE

Quattro spettacoli, una lettura, tre concerti.  Al Conservatorio Giuseppe Verdi, Quattro coppie di artiste ci intratterranno e ci delizieranno con le loro voci, i loro strumenti e il loro amore per l’arte e la musica.

Apertura il 3 luglio con Laura Morante ed Eugenia Costantini che saranno Rosine e Antoinette, madre e figlia adolescente ma soprattutto rivali, protagoniste del romanzo Il Ballo di Irene Némirovsky, uno spaccato di borghesia francese del primo novecento, fatua e superficiale, un dramma del risentimento e dell’ambizione. Saranno accompagnate al pianoforte da Francesca Giovannelli.

Il 9 luglio, il soprano Erika Grimaldi e il mezzosoprano Martina Belli con la pianista Jeong Un Kim, interpreteranno Mimì e Manon, Norma e Violetta, Fiordiligi e Dorabella, eroine dell’opera ottocentesca. “Dall’opera buffa al melodramma romantico al verismo”, il mondo delle donne, le sfumature, la ricchezza emotiva, la dolcezza, l’innocenza ma anche la sfacciataggine e le contraddizioni. La meravigliosa lirica al femminile.

Il 15 luglio si esibiranno invece Ginevra Di Marco e Cristina Donà, cantautrici e interpreti, stili diversi che si intrecciano. Brani nuovi e altri rivisitati per l’occasione. Due protagoniste della scena rock indipendente italiana che condivideranno il palco “attraverso voci e sguardi, naturalezza, empatia e potenza espressiva a svelare intesa e sancire amicizia”.

Infine il 23 luglio arriva il jazz con due voci italiane, Ada Montellanico e Maria Pia De Vito, che celebreranno Billie Holiday, la Lady Day, la Signora del Blues, a 60 anni dalla sua scomparsa, e Joni Mitchell, la Lady of the Canyonnel dai tempi di Woodstock fino alle raffinate sonorità jazz.

 

Maria La Barbera

E’ possibile acquistare i biglietti, posto unico numerato € 5 presso:
Urban Lab
Piazza Palazzo di Città 8/F dal lunedì al sabato dalle 10.30 alle 18.30
tel 011 011 24777- estatetickets@comune.torino.it
Infopiemonte
Via Garibaldi angolo piazza Castello – tutti i giorni dalle 10.00 alle 17.00
pagamenti accettati esclusivamente con bancomat o carta di credito
Numero Verde 800 329 329
Online
www.torinoestate.it – www.vivaticket.it
Il costo del servizio di acquisto è di € 1 per ciascun biglietto

Ultimi giorni per visitare Leonardo

Ultimi giorni di apertura della mostra Leonardo Da Vinci. Disegnare il futuro nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda e visitabile fino a domenica 14 luglio

 

Un’occasione irripetibile per ammirare il nucleo di disegni autografi di Leonardo da Vinci conservati alla Biblioteca Reale di Torino, comprendente tredici fogli acquistati dal re Carlo Alberto nel 1839, tra cui il celebre Autoritratto, oltre al Codice sul volo degli uccelli donato da Teodoro Sabachnikoff al re Umberto I nel 1893. Per restituire il senso del lavoro di Leonardo, inoltre, la genesi dei disegni torinesi è indagata in relazione con analoghe esperienze di altri artisti, attraverso l’esposizione di maestri fiorentini quali Andrea del Verrocchio e Pollaiolo, lombardi come Bramante e Boltraffio, fino a Michelangelo e a Raffaello.

L’isola del libro

Rubrica settimanale sul mondo dei libri. A cura di Laura Goria

 

 

Karina Sainz Borgo “Notte a Caracas” -Einaudi-   euro 17,00

Karina Sainz Borgo è nata nel 1982 a Caracas, ma da 12 anni vive in Spagna dove collabora come giornalista a “El Nacional” e “El Mundo”, ed è anche autrice di alcuni saggi politici. “Notte a Caracas” è il suo primo romanzo pubblicato (ne ha scritti altri due che speriamo di leggere presto), un successo internazionale tradotto in 22 paesi. Un testo politico, ma non politicizzato, che racconta la violenza e l’impunità in cui è sprofondato il Venezuela. E’ si, una storia di finzione, come chiarisce l’autrice, ma alcuni fatti e personaggi sono comunque ispirati alla realtà. Ed è una sorta di lettera d’amore per il suo paese che avrebbe potuto essere ricco e grande, invece è sempre più allo sbando. Un Venezuela in cui la vita non ha più alcun valore, dove manca tutto a partire da cibo e medicine. Invece abbondano violenze, saccheggi, criminalità mascherata da credo politico, corruzione e repressione feroce che sfocia nella morte di tanti giovani innocenti. Un inferno in terra. La protagonista Adelaida ha appena perso la madre, stroncata dal cancro, e il suo mondo privato si frantuma. Era stata una donna colta, la prima a laurearsi della sua famiglia. Aveva cresciuto da sola la sua unica figlia, dopo che lo studente con cui l’aveva concepita si era eclissato. La famiglia erano sua madre e lei, il loro albero genealogico cominciava e finiva con loro, non aspettavano nessuno e si bastavano a vicenda. Il romanzo inizia con la sepoltura della madre in un paese in cui neanche la morte ottiene rispetto. Perché in Venezuela si assaltano a mano armata i funerali, le tombe vengono aperte e depredate, si derubano pure i morti. Adelaida non perde solo la madre, ma anche il lavoro di traduttrice e soprattutto la casa che le viene sequestrata con violenza da un gruppo di donne legate al regime. Sono guidate da una spietata, corrotta e avida Marescialla: donna orribile e sfatta che distruggerà ogni cosa nell’appartamento e ne farà il magazzino dei suoi traffici illeciti al mercato nero. Ad Adelaida non resta che rifugiarsi dalla vicina, Aurora Peralta. Ma quando varca la sua porta ne rinviene il cadavere. Non vi anticipo cosa ne farà. Però posso dirvi che nelle pagine di questo portentoso libro sono raccontate le torture e le violenze più brutali: perpetrate in un paese in cui la democrazia è cancellata e sostituita da ronde notturne, sequestri, torture e incarcerazioni di innocenti. Karina Sainz Borgo volutamente non riporta date e nomi di personaggi politici Venezuelani, perché ha scelto di rendere il libro più universale. L’allegoria della perdita della madre e di tutto il suo mondo fa della protagonista un’orfana a tutti gli effetti….e la sua storia non lascia certo indifferenti.

 

Andre Dubus III “E’ passato tanto tempo” -Feltrinelli- euro 19,50

Antefatto di queste 440 pagine è un fatto di cronaca avvenuto molti anni prima e che ora presenta una sorta di resa dei conti. Susan aveva solo tre anni quando la polizia la strappò dalle mani del padre Daniel, che viene arrestato e incarcerato per 15 anni. La piccola Susan è stata cresciuta, non senza difficoltà, dalla nonna materna Lois che cova un sordo rancore verso l’uomo che le ha portato via la sua giovane e bellissima figlia Linda. Era la madre di Susan, che a sua volta la ricorda tantissimo sia fisicamente che nella passione per i libri. Nonna e nipotina si sono rifugiate nella tranquilla provincia americana, ad Arcadia, in Florida, dove Lois ha aperto un negozio di antiquariato. E’ così che ha regalato alla ragazza un’infanzia e un’adolescenza più normali possibile. 40 anni dopo Susan è una 43enne smarrita, sposata con Bobby Dunn, uomo solido e paziente, capace di starle vicino anche quando lei, avvinghiata dai suoi demoni, lo respinge. Della tragica notte che ha sfaldato la sua vita per sempre ricorda quasi nulla, ma sa che da lì sgorga il dolore e il nemico che si porta dentro e decide così di scrivere un romanzo autobiografico. D’altro canto Daniel è stato scarcerato dopo 15 anni e si è ritirato sulla costa del New England a vivere da solo, in libertà vigilata, a lavorare e convivere con la sua colpa. Ma la sua vita è agli sgoccioli, è invecchiato corroso dai tormenti, sta morendo e decide di andare alla ricerca della sua bambina. E’ combattuto tra mille pensieri, ma convinto di dover fare qualcosa per sua figlia, altrimenti resterebbe “solo il fantasma di un sogno e niente più”. E’ il crocevia da cui finiscono per passare i tre personaggi. Susan che chiede alla nonna di ospitarla per un po’, e riceve una lettera dal padre che le chiede di incontrarlo. Lois che farà fuoco e fiamme per impedire il riavvicinamento dei due, tanto da procurarsi armi e munizioni, tale è l’odio che cova per Daniel per il quale avrebbe voluto la pena di morte. Poi c’è lui, Daniel che insegue riscatto e perdono, che cerca disperatamente di lasciare qualcosa di positivo dietro di sè. Non anticipo nulla…ma ancora una volta Andre Dubus III (nato in California nel 1959, che oggi vive con la moglie e tre figli nel Massachussetts, dove insegna all’università) ha raccontato una struggente storia in cui gli uomini amano poco-niente (come l’ex marito di Lois, Gerry) o troppo e male, come Daniel che ha perso la testa divorato da gelosia e possessività.

 

Brunella Schisa   “Non essere ridicola” – Terzo tempo Giunti- euro 13,00

La giornalista e scrittrice napoletana ci racconta una storia come ce ne sono tante, fatta di tradimento, dolore e ripresa. La protagonista è Emma, ha 61 anni, lavora in una libreria con soddisfazione, è felicemente appagata dal suo matrimonio con Pietro e può contare sulla complicità delle sue amiche con cui pranza una volta a settimana. Poi irrompe la tragedia ed ecco il terremoto. Dopo 25 anni insieme, scopre che Pietro ha una relazione con una giovane e tonicissima maestra di pilates 35enne. Diciamo pure che questo è un cliché già visto e che spesso gli uomini difettano di originalità. Comunque, la tresca va avanti da un anno ed Emma non si era accorta di nulla, anzi si crogiolava beata nell’idea di una famiglia da “mulino bianco”. Va da sé che non la prende bene. Anzi, il mondo le si rovescia addosso, e quando Pietro le dice che la sua non è semplicemente un’infatuazione passeggera, ma molto di più….Emma esplode. Gliene dice di tutti i colori (proprio lei sempre così controllata e mai una parola volgare) e lo caccia via da casa. Poi viene la parte più difficile…..dopo il tradimento, come andare avanti? Tanto più che a complicarle la vita c’è anche la figlia adolescente in classico complesso edipico, odiosa più che mai, scarica tutte le colpe sulla madre. Le cose con Giulia poi miglioreranno, anche se, com’è giusto che sia, la ragazzina mette in pool position i suoi progetti per il futuro, con il suo ragazzo e in un’altra città. Per Emma è un vuoto in più all’orizzonte. Anche il lavoro che adora e le presentazioni degli scrittori che organizza in libreria non riescono a lenire lo sfracello della sua vita. Oltre al buio e solitario futuro, dietro l’angolo ci sono poi problemi pratici come quello del denaro e della dipendenza economica dal marito. Supporter di Emma sono soprattutto le sue amiche che fanno di tutto per consolarla, dal presentarle altri uomini (come se questa fosse la soluzione…ma magari anche no) all’aiutarla a non sentirsi finita e al capolinea. Più facile a dirsi che a farsi…Perché shopping sfrenato, attività ricreative a gogò e nuovi fugaci incontri di letto mettono solo in stallo il problema senza risolvere nulla. La Schisa è bravissima a sviscerare stati d’animo, pensieri e progetti che si annidano a intermittenza nella testa di una donna tradita e abbandonata… non propriamente nel fiore degli anni, anche se ancora molto piacente. Però preparatevi a sviluppi imprevisti, ripensamenti, andate e ritorni….perché nella vita mai dire mai più.

Antonmario Semolini, il maestro che dialoga con la musica

Alla direzione dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni. Un omaggio al valore artistico e spirituale del Duomo di Torino

 

Reduce dal recente successo riscosso dal concerto diretto in Duomo venerdì 21 giugno scorso, preludio alle festività patronali di San Giovanni, alla guida dell’Orchestra dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni, incontriamo il maestro Antonmario Semolini, di recente nominato primo direttore ospite di questa Orchestra, che è espressione musicale dell’Accademia, con sede nel Duomo di Torino.

 

Lei che ha da sempre avuto tra i suoi estimatori personalità del mondo culturale, quali il direttore d’orchestra GIuseppe Sinopoli, il flautista Severino Gazzelloni, l’artista Ugo Nespolo, von Matacic, il musicologo Enzo Restagno, come sta vivendo questo periodo ricco di soddisfazioni? Poche settimane fa, infatti, sono stati eseguiti in prima mondiale due suoi brani per violino solo, da una grande concertista italo-svizzera, Irene Abrigo, al festival internazionale di Brunegg.

– Premetto, intanto, che non mi ritengo un compositore; so scrivere la musica come ogni buon musicista dovrebbe saper fare. Soltanto il tempo potrà decretare o meno il successo di un lavoro che, come il mio, rappresenta per me un momento di grande libertà intellettuale. Nel caso dei “Two fragments of an Ancient Legend” sono rimasto lusingato dal successo che hanno ottenuto grazie alla bravura della solista Irene Abrigo.

 

E di questa nomina importante che cosa pensa?

– Debbo ammettere che l’ho trovata una piacevolezza inaspettata. In un mondo dove persiste tanta vanità, mi fa piacere indubbiamente godere dell’attenzione positiva di coloro che sono stato chiamato a dirigere. I Virtuosi, anche se saranno necessarie alcune minime limature, sono tutti eccellenti musicisti e persone con le quali il momento dell’incontro è piacevole, oltre che costruttivo per la preparazione di un progetto musicale comune, nella certezza che mirino, insieme a me, al migliore dei risultati.

 

Come ottiene questi risultati, vista l’esiguita’ dei tempi di prova che lei deve spesso affrontare?

– Ricavo dall’intimo della musica le sue magie, i sortilegi, gli incantamenti che raggiungo con prove volutamente essenziali per mantener salda l’attenzione dei musicisti, appropriandomi del pensiero di ciascun compositore attraverso un approccio estetico-estatico.

Come si  articola il suo lavoro?

– Ciò che risulta fondamentale è la prima lettura, magari cantando insieme all’orchestra i punti più connotati della mia interpretazione, quindi rieseguo questi stessi punti per poi dirigere il tutto, usando il gesto come medium dei miei intendimenti. Al momento del concerto mi concentro poi utilizzando le mie antiche conoscenze di telepatia.

 

Lei nasce come flautista, poi si approccia alla composizione e, quindi, alla direzione d’orchestra. Non male per una persona che ha iniziato “tardi”, a diciassette anni, a studiare musica.

-Ogni tanto qualcuno mi chiede quando abbia deciso di fare il musicista. Sinceramente non mi ricordo d’essermi avvicinato alla musica, io sono nato nella musica. Mio padre era un eccellente violinista e mia madre una melomane accanita, per non parlare di mio nonno materno, che conosceva praicamente a memoria tutte le opere di Verdi e Puccini. Con questi presupposti mi meraviglio di aver iniziato così tardi!

 

Dirigere è  molto emozionante, ma può creare anche paura e tensioni, vero?

– Non ho mai avuto paura, né tantomeno mi emoziono perché sono troppo impegnato ad emozionare gli altri ed ho, sin da subito, avvertito molto forte su di me la responsabilità di donare agli altri quello che la musica ha donato a me. Anche di fronte alle grandi platee immagino che almeno uno spettatore possa comprendere realmente ciò che sto facendo ed è per lui che debbo eseguire, in modo tale che egli non abbia da sentirsi tradito nelle sue aspettative.

 

Quale è il suo rapporto con la musica?

– Essa scaturisce nel mio intimo dal silenzio e si tramuta in suono; la musica è amore e, come tale, essa rappresenta un moto interiore dell’anima e non necessita di troppe parole.

 

E il suo rapporto con gli orchestrali?

– È  quello che dovrebbe avere ogni musicista che ha vissuto dal di dentro l’esperienza orchestrale: mai annoiare l’orchestra, mai estenuarla con troppe ripetizioni, ma dimostrare la capacità di adattamento alle risorse umane che si hanno di fronte. La disciplina la si ottiene con uno sguardo ed un sorriso. Non tutti, soprattutto i giovani, hanno avuto buoni insegnanti di solfeggio, ma non per questo si debbono scartare, vanno solo educati e poi funzionano perfettamente. Sempre che chi sbacchetta sappia ciò che sta facendo.

 

 

E con il pubblico?

– Semplicissimo.  Non amo essere ascoltato, ma amo che mi si viva, come io vivo e condivido l’isolamento intellettuale con la musica, mia fedele amica e preziosa compagna d’una vita.

 

Un ottimo risultato, direi, è, per una compagine che ha segnato il suo debutto poco più di un anno e mezzo fa, quello di aver accompagnato nella Sinfonia Concertante di Mozart due solisti quali Irene Abrigo e Jurg Dahler, oltre che essere invitati a partecipare ad un importante festival estivo quale il Macugnaga Piano Trail ed essere già stati contattati per una tournée oltreoceano. Non le pare?

– Per la musica, come per ogni altro aspetto nella vita, vale, secondo me, il detto evangelico “Vi riconosceranno dalle opere”. Soltanto le opere di valore permettono, infatti, di raggiungere determinati obiettivi; i Virtuosi dell Accademia di San Giovanni lo hanno ben compreso,  gratificando chi sa guidarli con prestazioni eccellenti. Da alcuni filmati pubblicati in rete si può notare la loro “spalla ” Massimo Bairo (e non soltanto lui) con uno sguardo sempre rivolto alla parte e l’altro al direttore, permettendo così a quest’ultimo di poter mettere in atto soluzioni interpretative anche improvvise, come in un seducente scambio di idee.

 

In  conclusione chi è oggi un buon direttore?

– Quello che per la prima volta di fronte ad una partitura ne ha il risultato sonoro immediato nella mente. Il resto sono solo chiacchiere e mestiere e, in certi casi, neppure quello; ahimè ormai un diploma non lo si nega a nessuno!

 

Mara Martellotta