Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Carmen Korn “Aria di novità” -Fazi Editore- euro 20,00
E’ il terzo ed ultimo romanzo della saga della scrittrice tedesca 68enne Carmen Korn (dopo “Figlie di una nuova era” e “E’ tempo di ricominciare” pubblicati da Fazi) che ci racconta il seguito delle vite di 4 personaggi femminili di Amburgo, sullo sfondo delle vicende storiche che in questa puntata della saga vanno dal 1970 al 2000.
La Germania è ancora divisa e Berlino è tranciata in due dal muro che cadrà nel 1989, aprendo una nuova era; ma ci sono anche il terrorismo, echi della guerra del Vietnam e gli scandali della Casa Bianca visti nell’ottica europea.
In un alternarsi di flash su eventi storici e sequenze delle vite dei molti personaggi, la Korn costruisce un romanzo in cui le vite dei personaggi sono andate avanti, alcune invece sono finite con la morte.
Gli anni sono passati per Hanny che è al terzo matrimonio e festeggia i suoi 100 anni all’alba del nuovo millennio, circondata da parenti e amici. Ma che fine hanno fatto le sue amiche?
Lina, ex insegnate e libraia gay che viveva con l’amata compagna Louise che non vuole invecchiare, né tantomeno arrendersi alla malattia.
Käthe, vicina di casa durante l’infanzia, prigioniera in un campo di concentramento a causa della sua propensione al comunismo, tornata alla fine della guerra dopo varie traversie, che si ritrova con una figlia adottiva simpatizzante del gruppo Baader Meinhof.
Ida, ragazza viziata di buona famiglia alla quale la vita ha riservato qualche sorpresa. Due matrimoni e la bellissima figlia Florentine: super modella sempre in giro per il mondo, con un adorante compagno dotato di sovrumana pazienza che accudisce i figli, ma anche l’incognita della paternità di uno di loro.
E intorno alle 4 amiche una girandola di personaggi affascinanti come l’amico pianista Alex che si è scoperto omosessuale e vive con l’amore della sua vita, il più giovane Klaus, che però non ha disdegnato le donne…anzi.
Poi ci sono le nuove generazioni che vivono in pagine bellissime del romanzo. Come Katja, fotografa impegnata nelle zone di guerra più calde del pianeta; e Ruth giornalista e militante che sconta anni di carcere per la vicinanza con un terrorista…..
Aspettatevi sviluppi e vite incredibili, tutto raccontato con l’innegabile bravura della Korn, abilissima nell’intessere una trama fitta di destini individuali.
Olga Tokarczuk “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti” -Bompiani- euro 18,00
Dopo il Premio Nobel per la letteratura vinto con “I vagabondi”, viene ora ripubblicato questo romanzo che la scrittrice aveva dato alle stampe nel 2009. E’ il racconto in prima persona di
un’anziana signora della Slesia (Polonia del sud, al confine con la Repubblica Ceca), ex ingegnere di ponti, insegnante di inglese che vive in un paesino isolato su un altipiano tempestato da venti e abbondanti nevicate.
Si chiama Janina Duszejko ed è amante degli animali, compassionevole verso il prossimo, con il pallino dell’astrologia e degli oroscopi (in grado di prevedere le morti). Le sue giornate nell’isolamento della natura scorrono tra le traduzioni delle poesie di William Blake insieme a un suo ex alunno e la sorveglianza e i lavori di manutenzione nelle case dei dintorni che i proprietari abitano solo d’estate.
Uno scossone al suo tranquillo ritmo quotidiano viene datoa dal ritrovamento del cadavere di un suo vicino, strozzatosi con l’osso di una cerva che aveva cacciato di frodo. Ed è solo l’inizio di una serie di oscure morti di uomini collegati alla caccia e all’uccisione delle adorate cagnoline di Janina.
Lei è più che convinta che a vendicarsi della malvagità dei cacciatori (che odia con tutta se stessa) siano stati gli animali, volpi e cervi, a vendicarsi. La rivincita delle vittime contro i loro carnefici in un romanzo tra il noir e il filosofico in cui le sorprese non mancheranno.
Louise Penny “Il regno delle ombre” -Einaudi – euro 15,00
La scrittrice canadese Louise Penny torna con un’altra avventura ambientata nel paese fittizio di Three Pines, e rimette in campo il suo pacato, saggio ed equilibrato detective Armand Gamache, in una storia nella quale l’indagine sulle relazioni umane e i sentimenti vengono prima della violenza omicida.
Three Pines è già di per se il grande protagonista dei suoi 14 libri con Gamache. Un villaggio a pochi chilometri da Montreal, inventato in ogni minimo dettaglio: ideale per il turismo e le famiglie, con negozietti vari, natura incontaminata, asticella del termometro ampiamente sotto lo zero e nevicate memorabili.
Chi ama questa scrittrice sa già che le sue trame iniziano lente e quasi rassicuranti, poi si scatena il thriller ed entra a gamba tesa il capo della Sûreté du Québec, Gamache.
Questa volta il commissario è stato sospeso dal suo incarico a causa di una precedente indagine un po’ controversa, e viene inspiegabilmente nominato esecutore testamentario di un’anziana signora a lui sconosciuta.
La defunta è una certa Bertha Baumgartner, si faceva chiamare Baronessa, era un po’ eccentrica, eccezionale nelle pulizie delle case altrui e “..C’era nobiltà nel suo attaccamento al dovere”.
Questa atipica colf, insieme a Gamache ha coinvolto nella gestione del suo lascito anche la libraia-psicologa Myrna e il giovane impresario-manovale Benedict.
Inutile dire che neanche loro conoscevano Bertha e si ritrovano a gestire una situazione complicata. La Baronessa ha tre eredi Anthony, Caroline e Hugo, ed ha scritto un testamento bislacco, lasciando una casa pericolante, il titolo al suo primogenito, e 5 milioni a ciascun figlio. Una fantomatica fortuna di cui i tre avevano sentito parlare fin da quando erano piccoli.
Poi la storia si complica ulteriormente, ci scappa il morto ed ecco scattare l’indagine, e Gamache si ritrova a dover risolvere parallelamente anche l’emergenza di una partita di droga che sta seminando morte nelle strade di Montreal….
Il luogo riflette la magica, intatta suggestione delle dolci e generose colline di Langa. Di origine medievale e trasformato fra Sette e Ottocento in dimora residenziale – passata nel ‘95 dall’editore Giulio Einaudi, che ne fece la sede gemella dello “Struzzo” di via Biancamano a Torino, alla famiglia svizzera Menziger e dal 2012 acquisito da Gregorio Gitti, docente universitario politico e noto avvocato bresciano, per farne centro di vinificazione ad altissimo livello ma soprattutto prestigiosa “Casa della Cultura” – sarà il Castello di Perno, nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, ad ospitare sabato prossimo, alle ore 18, la cerimonia di premiazione della prima edizione del “Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione”.
Torino e i suoi musei
La prima volta che mi hanno portato al Museo Egizio ho pianto. Più avanti vi dirò perché. Quando frequentavo i primi anni delle elementari, come la maggior parte dei bambini, avevo una stereotipata curiosità nei confronti di quel popolo antico e strano, all’epoca per me nient’altro che un “purpurrì” di piramidi e bislacchi esseri zoomorfi. Naturalmente poi, nel corso del tempo, tante altre furono le visite all’Egizio che ho fatto con sempre maggior consapevolezza e desiderio di conoscenza. Il Museo è situato in Via Accademia delle Scienze 6, dove sorge il “Collegio dei Nobili”, edificio realizzato su progetto di Michelangelo Garove a partire dal 1679 e, in seguito, modificato e ampliato, nella seconda metà dell’Ottocento, grazie agli interventi di Giuseppe Maria Talucci e Alessandro Mazzucchetti. Si tratta del più antico Museo dedicato alla civiltà dell’antico Egitto, tappa obbligata per turisti e torinesi.
Ma torniamo a noi, la gita scolastica si concluse con un lieto fine, ero riuscita a vedere i miei “mostrini” ed ero quindi soddisfatta di aver lenito la mia curiosità bambinesca. Come mai questa passione per le bizzarre creature che dovrebbero intimorire? La risposta ha a che fare con l’incipit del discorso. Avevo circa tre anni quando mio padre mi portò per la primissima volta al Museo Egizio e proprio in quell’occasione accade “il fattaccio”. La memoria si confonde con i racconti posteriori, ma leggenda vuole che i fatti siano andati così: in mezzo ad una sala ricolma di teche, c’ero io, piccola e maneggevole, in braccio a mio padre, lui guardava gli oggetti alle pareti e io in direzione opposta, con il capo reclino sulla sua spalla. E lì, in mezzo a quel vetroso labirinto a metà tra Lewis Carroll e il giardino dell’Overlook Hotel, pronunciò una frase che in famiglia è ormai un “cult”: “Che belli questi papiri”. Sì, perché non si era accorto che proprio alle sue spalle, e quindi nella direzione del mio sguardo, c’erano dei corpi accartocciati e rattrappiti, in cui le unghie e i capelli avevano continuato a crescere come in un sortilegio di cui nessuno mi aveva mai parlato. Probabilmente mi sentii osservata da quelle orbite vuote sgraziatamente sbendate e ebbi come l’impressione che tutti quei mostri inscatolati stessero ridacchiando della mia paura. Non c’era altro da fare che scoppiare in un pianto disperato. E così finì la mia prima visita al Museo Egizio di Torino.
Vi segnalo gli “ostraka”, (schegge di calcare illustrate con scene inusuali, libere dai canoni tradizionali) e le statuette delle divinità protettrici della famiglia (come Renenutet, Bess o Tuaret), scoperte nel villaggio di Deir El-Medina; nello stesso sito archeologico è stato ritrovato un papiro amministrativo di Amennakht (vissuto durante il regno di Ramesse III), in cui sono riportate le notizie riguardanti il primo sciopero della storia: gli operai del villaggio protestarono perché non ricevettero le dovute razioni alimentari, pagamento per il loro lavoro. Triste ed interessante testimonianza dell’eternità dell’ingiustizia che aleggia in questo mondo.
In effetti l’elenco dei reperti che hanno ri-catturato la mia attenzione rischia di diventare eccessivamente lungo e tedioso ed è quindi bene che mi fermi e lasci scoprire a voi le altre meraviglie che non ho citato. Prima di concludere trovo obbligatorio spendere due parole su quello che è “il fiore all’occhiello” del Museo: la Galleria dei Re. L’enorme sala espositiva si trova alla fine del percorso, immensa e fiocamente illuminata, dove le imponenti statue emergono dalla penombra e ipnotizzano con la loro mistica bellezza i visitatori. Tra queste spicca l’effige di Ramesse II, uno dei faraoni più noti di tutta la storia dell’antico Egitto. Raffigurato seduto sul trono, è rappresentato con gli elementi canonici del potere, il volto sorridente e i lobi delle orecchie forati – dettaglio ripreso dall’arte Amarniana- ai lati delle sue gambe sono rappresentati la moglie e il figlio, in scala ridotta, a simboleggiare la continuità dinastica.
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