CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 264

Il Tempio Guhõzan Renkõji di Cereseto

Sulle colline del Monferrato, nel caratteristico paese di Cereseto, che prende il nome dai boschi di ciliegi selvatici e coltivati che lo circondano, nel 2010 si è stabilito il Tempio Renkõji della Scuola Buddhista giapponese della Nichiren Shū. Basata sugli insegnamenti religioso-filosofici, la Scuola contempla una cultura interdisciplinare tra arte, letteratura, musica, medicina, scienza oltre ad una forte sensibilità verso il paesaggio.
Proprio perché non ne venga meno la coltivazione con la modernità e lo spopolamento delle colline, la bellezza della natura deve essere conservata, è quindi stata indetta una campagna per donare ogni anno molti ciliegi da trapiantare per continuare la tradizione paesaggistica.
La Nichiren Shū, fondata in Giappone il giorno 28-4-1253 dal Grande Maestro Nichiren Daishõnin, come in ogni Scuola Buddhista, ha scelto il fiore di loto a simbolo di fragilità, caducità dell’esistenza umana e rinascita avendo però una particolare predilezione per il fiore di ciliegio. Tutta la cultura giapponese è affascinata da questo fiore, soprattutto espresso nell’arte figurativa come vediamo nelle splendide opere di Hiroshige e Hokusai che lo scelsero come simbolo della bellezza effimera del mondo fluttuante che catturavano nel cuore per trasformarla in pittura e in incisioni su matrici di legno di ciliegio.
Non a caso il reverendo Shōryō, al secolo Tarabini, ha individuato Cereseto come luogo ad hoc per l’insegnamento del Buddhismo trasferendo qui il Tempio Renkõji dal territorio di Monza e Brianza dove era stato fondato nel 2005. Accolti all’interno del piccolo suggestivo Tempio ci si trova in un clima di bellezza, spiritualità e rispetto del prossimo, qualunque ne sia la credenza religiosa. Il reverendo Shōryō, con gentilezza e disponibilità, offre la sua saggezza senza imposizioni riuscendo a stabilire serenità d’animo ed empatia parlando della propria esperienza iniziata ancora molto giovane e svela i motivi che l’hanno spinto verso il percorso di meditazione e ricerca della sconfitta del dolore. Egli è riuscito a realizzare il proprio sogno in cui gli apparve il Venerabile Nichiren Daishõnin, inviato dal Buddha Sãkyamuni vissuto nell’India antica. La visione gli indicava una collina densa di ciliegi in fiore con un grande edificio sulla sommità rivelatasi in Cereseto, ottima posizione logistica situata tra Torino, Milano e Genova. Il Tempio Guhõzan Renkõji di Cereseto, dopo la fondazione a Londra e in Germania, rappresenta il fulcro in Europa meridionale della Scuola giapponese Nichiren Shū fondata da Nichiren stesso, con radici trasmesse dall’india alla Cina, dalla Corea al Giappone.
Tra le tante statue dei Buddha, provenienti da ogni parte del mondo, singolare è quella in resina dorata proveniente dalla Malaysia costruita e donata dai Buddhisti cinesi di Penang. Molto significativo il Buddha cinese in legno policromo in atto di insegnare e invitare con la mano destra alla calma poiché il cammino verso l’illuminazione non è frettoloso bensì meditativo osservando le quattro nobili virtù formulate dal Siddhãrtha Gautama, ossia la verità del dolore, la verità dell’origine del dolore, la verità della cessazione del dolore e la verità della via per il raggiungimento del Nirvãna. Al centro della sala, sull’altare insieme ai candelabri istoriati a fiori di loto e il braciere per l’incenso, é posta una particolare statua del Buddha Nichiren Daishõnin con il copricapo in cotone che gli viene posto il giorno 11 novembre, anniversario della sua persecuzione e tentativo di uccisione a Komatsubara e poi essere tolto prima del giorno 8 aprile, nascita del Buddha Sãkyamuni. Sulla parete una interessante pergamena Mandala Gohonzon, oggetto di concentrazione e meditativa venerazione in forma di Mandala calligrafica anziché pittoriale. Lo stemma del Tempio è raffigurato con tre fiori di ciliegio rappresentanti i tre tesori fondamentali del Buddhismo, ossia il Buddha, il Dharma, l’insegnamento del Buddha e il Sangha, comunità dei monaci e credenti laici giapponesi che seguono la pratica e gli insegnamenti osservati da Nichiren. I tre fiori di ciliegio sono inseriti in gusci esagonali di tartaruga che rappresentano la terra del Giappone e il loro fondatore.
La nascita di Nichiren risale al giorno 16-2-1222, mentre il trapasso e l’entrata in Nirvãna il giorno 13-10-1282. L’imponente statua del fondatore Nichiren Daishõnin donata dai monaci, sarà eretta nel giardino del Tempio di Cereseto per il suo ingresso sul monte Minõbu edificando il Tempio principale Kuõnji il giorno 17-5-1274, situato nella prefettura di Yamanashi in Giappone. La statua sarà inviata dall’arcivescovo reverendo Nichiyū Mochida, amministratore del Tempio Kuõnji. Secondo le tradizioni dell’Asia orientale, la nascita del Buddha Sãkyamuni risale al giorno 8 aprile e l’entrata in Nirvãna il giorno 15 aprile di 3000 anni fa, ricorrenze celebrate con la Vesak, festa che riunisce le varie tradizioni e che ripercorre l’intera vita del Buddha.
Il Sūtra del Loto, ovvero l’illuminazione del Buddha, è stato tradotto per la prima volta in lingua non indiana nel 286 d.C. in Cina e due secoli dopo introdotto in sanscrito cinese antico in sette opuscoli. Oggi è tradotto in diverse lingue, asiatica, cinese, giapponese, coreana, tibetana, mongola, cingalese, vietnamita, francese (1852) e inglese (1884). L’insegnamento si è sviluppato anche in Africa centrale, Nord America e in Estremo Oriente. Il giorno 15-2-2023, nella sala Zuccari del Senato della Repubblica Italiana con la presenza del reverendo Shōryō Tarabini, è stata conferita all’Unione Buddhista Italiana la piena libertà di svolgere la propria missione spirituale, educativa e umanitaria a dieci anni dell’intesa con lo Stato Italiano.
Armano Luigi Gozzano 
Giuliana Romano Bussola 

Al “Roberto Caffè” il salotto letterario di Simonetta Rho

Torino – Roberto Tricarico, 53 anni, torinese, laureato in Giurisprudenza, dopo una lunga esperienza politica nelle amministrazioni locali a Torino e a Roma, da qualche anno, con il socio Roberto Amore gestisce il “Roberto Caffè”, in via Garibaldi a Torino.

Dal 13 marzo al 25 maggio, sempre alle ore 18:00, il suo bar si trasformerà in un salotto letterario, dove a fare gli onori di casa, sarà Simonetta Rho, figura storica del telegiornale regionale della RAI e autrice della trasmissione Petrarca.

“Il salotto della Simo”, inaugurerà lunedì 13 marzo alle ore 18:00, con la presentazione del libro del giornalista e autore tv Fabrizio Berruti, “Gabriel (non ho ucciso nessuno)”, la storia di Gabriel Natale Hjorth, rinchiuso in carcere da più di tre anni per un omicidio che dichiara di non aver commesso.

Il 31 marzo sarà la volta di Franco Manzone, avvocato albese, con un bel romanzo di amore e di langa “La caduta e il distacco”.

Il 7 aprile, la scrittrice romana candidata al premio Strega, Flaminia Marinaro, con letture di Carolina Zaccarini, nel salotto di Simonetta Rho, presenterà “L’ultima diva”, biografia romanzata di Francesca Bertini, straordinaria diva del cinema muto.

Il 14 aprile, torna Michele Paolino, affermato giallista torinese, con il suo nuovo libro “La versione del Professore”.

Il 4 maggio, con Marco Faccio, creativo di giorno e giallista di notte, casa editrice Read Red Road, arriva “Spaccacuori”, la storia di un’indagine lunga e complessa, in cui si alterneranno personaggi, stati d’animo e passeggiate alla scoperta dei segreti delle città in cui avvengono i delitti.

Il 25 maggio chiude Cristiano Bussola, giornalista torinese, con “Una fetta di sorriso”, la genesi della televisione privata attraverso la storia della “leggendaria” emittente Antenna 3.

Quando i Pink Floyd ci fecero vedere il lato oscuro della luna

Accadeva oggi, il primo marzo di cinquant’anni fa

Ci incontreremo sul lato oscuro della luna” ( I’ll see you on the dark side of the moon ). Con questa promessa, mezzo secolo fa (era il primo marzo del 1973) i Pink Floyd pubblicavano The dark side of the moon, disco storico del la musica rock, uno degli album più influenti e innovativi che portò al gruppo bri­tannico una meritatissima fama che continua a resistere nonostante il passare degli anni e delle generazioni.

Il gruppo formatosi a Londra nel 1965 e composto dal cantante e chi­tarrista Syd Barrett, dal bassista Roger Waters con Nick Mason alla batteria e Richard Wright alle tastiere (ai quali si aggiunse, due anni dopo, il chitarrista David Gilmour che in bre­ve sostituì Barrett, genio sregolato che s’emarginò dal gruppo a causa del pesante uso di droghe che lo portò all’alienazione), riscrisse le tendenze musicali della propria epoca, diventando uno dei gruppi più importanti della storia. Presentatosi con un titolo intrigante e una copertina con una im­magine molto semplice e minimalista ma ricca di significati (un prisma triangolare rifrangente un raggio di luce sul fronte) tanto da diventare iconica come la celebre bocca con la linguaccia dei Rolling Stones, The Dark Side of the Moon era l’ottavo album in studio dei Pink Floyd. Un lavoro nato dopo numerose sperimentazioni musicali che i quattro ragazzi inglesi studiarono durante le loro esibizioni dal vivo e negli studi di registrazio­ne, abbandonando momentaneamente le lunghe parti strumentali che erano diventate una caratteristica peculiare del gruppo dopo l’abbandono, cinque anni prima,di Syd Barrett. L’album prima di essere pubblicato e registrato in studio venne eseguito in tourneè, con l’intento di perfezionare i brani come nel caso della celeberrima Time, in origine decisamente più lenta rispetto alla versione poi pubblicata. La prima esecuzione dal vivo, ancora in fase di gestazione, dei nuovi pezzi avvenne sul palco del Rainbow Theatre a Londra, il 17 febbraio del 1972 quando la band era impegnata a portare in tour Meddle e Obscured By Clouds. Il concerto venne replicato quattro volte, fino al 20 Febbraio, e vi assistettero dodicimila persone. Nell’occasione venne registrato anche un bootleg intitolato Pink Floyd Live del quale vennero vendute a tempo di record la bellezza di 120 mila copie, con moltissimi fans convinti che fosse il nuovo album del gruppo. The Dark Side of the Moon fu un successo immediato, mantenendo il primo posto della classifica statunitense Top LPs & Tapes per una settimana e vi rimase per altre 741 dal 1973 al 1988. Oltre al suo successo commerciale ( ben oltre 50 milioni di copie vendute) l’album è considerato, tanto dai critici quanto dai semplici appassionati, uno dei migliori di tutti i tempi. I testi vennero scritti da Roger Waters mentre il batterista Nick Mason ricevette un premio speciale come compositore solista di Speak to Me e  Alan Parsons si guadagnò un Grammy Award per il miglior album prodotto, come tecnico del suono, del 1973. Brani come Money, Time e Us and Them sono passati indenni nel tempo mantenendo forza e freschezza, suscitando una naturale empatia tra il pubblico e la rock band inglese che deve il suo nome alla scelta di unire i nomi di Pinkney “Pink” Anderson e di Floyd Council, due leggendari bluesman neri americani. Questo disco seminale della storia della musica ha affascinato e continuerà ad affascina­re diverse generazioni perché, come le più grandi opere d’arte, si fa portatore di temi universali. Parla della società e dell’uomo, del suo lato luminoso e di quello oscuro. Affronta i temi del conflitto interiore, il rapporto con il denaro, il trascorrere del tempo con straordinario il ticchettio e lo scoccare degli orologi in Time, e quello dell’alienazione mentale, ispirato in parte dai disturbi mentali di Barrett come in Brain Damage, stroncato a sessant’anni nel 2006 da un tumore al pancreas. Restano, cinquant’anni dopo, le atmosfere astrali e i testi di questo album con il finale di Eclipse che ci ricorda che il sole è eclissato dalla luna e che “ a dire il vero non c’è un lato oscuro della luna. In realtà è tutta scura”.

Marco Travaglini

Arte Ucraina alla Fondazione Amendola

Nelle sale espositive di via Tollegno 52, in mostra quattordici artisti ucraini, con un intreccio molto interessante delle loro storie artistiche

 

Dal primo al 15 aprile prossimo sarà visitabile presso la sede della Fondazione Giorgio Amendola, in via Tollegno 52 a Torino, una mostra d’arte contemporanea Ucraina.

L’evento, carico di significati, è promosso con il patrocinio dell’Accademia Albertina di Belle Arti, della Città di Torino, della Fondazione Crt e del Consolato Generale dell’Ucraina a Milano.

“Il concetto di primavera – come risulta ben spiegato nel catalogo della mostra, curato da Oksana Filonenko – è per sua natura connesso al momento del risveglio, della rinascita e della voglia di vivere.

La primavera, nell’Ucraina del 2023,ha un significato ancora piùforte. Molti artisti hanno dovuto interrompere il loro lavoro, molti sono andati a combattere, tanti sono sparsi per il mondo. E la loro arte vive di vita propria. Come i fiori portati dalle onde dei fiumi, come i messaggi trovati nelle bottiglie nel mare, come le persone che s’incontrano sui treni e condividono un pezzo di stradacomune, così le opere di questa mostra si sono incrociate durante il loro percorso espositivo, facendo una tappa del processoinsieme”.


Quattordici sono gli artisti impegnati nella mostra, tra cui l’artista di fama internazionale Ivan Turetskyy, coautore, tra l’altro, dello stemma nazionale ucraino, e il fotografo Andriy Pavlyuk, che lavora con le macchine fotografiche storiche degli anni Venti e adopera la tecnica a stampa con oro e argento, tipica dei vetrai veneziani del Seicento.

 

La mostra dal titolo “Trionfo di primavera” è  visitabile  dal primo al quindici aprile nelle sale espositive della sede torinese della Fondazione Amendola, in via Tollegno 52.

MARA MARTELLOTTA

Occulto e Torino, il processo alle sonnambule

L’Ottocento è stato un secolo affascinante proprio per le sue enormi contraddizioni. Infatti lo sviluppo di un metodo scientifico rigoroso e il declino della fede religiosa hanno portato allo sviluppo del positivismo. Al contempo però a questa tendenza si è affiancata una visione spiritista, portata avanti dall’intento di indagare il mondo al di là della cornice del reale. Per questo da metà secolo sono nate delle istituzioni che hanno provato ad interessarsi scientificamente a fenomeni come il medianesimo o ad indagare la possibile esistenza di creature sovrannaturali. In Inghilterra sono infatti iniziate delle ricerche nelle campagne per confermare l’esistenza delle fate, di cui possono trovare ancora oggi delle interessanti “prove” fotografiche. In Italia invece c’è stato un caso giudiziario di estremo interesse per gli amanti del paranormale. Si è infatti svolto a Torino il processo alle sonnambule, evento che ha suggestionato l’intera città.

torino processo sonnambule I Il Torinese

Le teorie dell’ipnosi e della magnetizzazione

Per comprendere al meglio quest’avvenimento è però necessario fare un salto indietro di cinquant’anni, alla scoperta del fenomeno del mesmerismo. Il suo nome è dovuto al suo inventore, il medico tedesco Franz Anton Mesmer, che determinava l’equilibrio psicofisico di un paziente a seconda degli equilibri del suo “fluido” interno, mosso da una forza di tipo magnetico. Da qui deriva anche il nome di “magnetismo”. Il trattamento di ogni malattia quindi veniva operato tramite un’ipnosi, volta a riequilibrare queste forze. Questo processo nel corso del tempo venne poi spettacolarizzato, diventando praticamente un numero di prestigio nei teatri. Il magnetizzatore induceva le sue assistenti in uno stato di trance, rendendole di conseguenza in grado di guarire i problemi degli spettatori.

torino processo sonnambule I Il Torinese

1890, Torino: il processo alle sonnambule

In questo contesto si colloca l’episodio svoltosi all’ex teatro Scribe, all’epoca situato in via Giuseppe Verdi 16. Dopo uno spettacolo molte persone fra il pubblico ebbero degli effetti collaterali a causa del contatto con le guaritrici. Questo malessere provocò delle dicerie che volevano che l’uomo avesse dei poteri sovrannaturali, dovuti ad un piatto con il diavolo. L’isteria collettiva portò dunque ad un clamore mediatico tale da indurre la gente a denunciare l’accaduto alle autorità competenti.

L’illusionista Donato venne dunque portato al banco degli imputati con le sue complici verso la fine di febbraio nel 1890. Il processo fu al centro dell’opinione pubblica per lungo tempo, ma ebbe un esito inaspettato: pochissime persone vennero effettivamente dichiarate colpevoli. Nonostante i successivi ricorsi e le richieste di revisione, i magnetizzatori furono tranquillamente autorizzati a continuare la propria attività senza essere considerati dei truffatori. Il Tribunale emise infatti una sentenza dove non si esprimeva riguardo alla liceità della pratica. Il caso però passò alla storia proprio per le varie parti in causa: gli scettici, i curiosi e i ferventi sostenitori di questa usanza.

Leggi anche – Torino e le leggende fondative: il toro rosso e la discendenza egizia

Francesca Pozzo

 

“Beppe Fenoglio 22”, ecco il traguardo

Al “Teatro Sociale” di Alba una davvero “speciale serata” a conclusione del “Centenario Fenogliano”

Mercoledì 1° marzo

Alba (Cuneo)

Dodici intensi mesi ricchi di un’incredibile varietà di appuntamenti: “Beppe Fenoglio 22”, omaggio al centenario della nascita dello scrittore e partigiano albese (Alba, 1922 – Torino, 1963), promosso dal “Centro Studi Beppe Fenoglio” di Alba in sinergia con il “Comitato Promotore del Centenario Fenogliano” (composto da accademici e ricercatori da sempre vicini e attenti all’opera fenogliana), vede ormai il traguardo.

A chiudere idealmente il cerchio delle celebrazioni, come già in apertura, sarà una speciale serata teatrale – mercoledì 1° marzoalle 20.45 al “Teatro Sociale Giorgio Busca” di Alba (piazza Vittorio Veneto, 3) – che ripercorrerà le tappe più emozionanti dell’anno trascorso tracciando un bilancio e anticipando il nuovo secolo fenogliano con l’aiuto di scrittori, musicisti e protagonisti del mondo della cultura. In sintesi, fra letteratura teatro musica storia e manifestazioni artistiche, sono stati ben 250 gli eventi dedicati, nel corso dell’anno da poco trascorso e nei primi mesi di questo, allo scrittore de “Il partigiano Johnny”. Tra gli incontri anche 60 appuntamenti didattici con Istituti Scolastici piemontesi e italiani, 6 appuntamenti con gli “Istituti di Cultura italiana all’estero” e 7 convegni di cui l’ultimo “Una parte per il tutto” organizzato dall’“Accademia delle Scienze” e dall’“Università degli Studi” di Torino in collaborazione con la “Fondazione Ferrero” e il “Centro Studi Beppe Fenoglio”, si è concluso proprio pochi giorni fa. Oltre 50 Associazioni e Istituzioni hanno collaborato con il “Centro Studi” in ognuna delle quattro stagioni che hanno caratterizzato il Centenario e sono state 10 le mostre che hanno raccontato l’opera e la vita dello scrittore, fra le quali “Una maniera di metter fuori le parole” in “Palazzo Banca d’Alba” e “Canto le armi e l’uomo. 100 anni di Beppe Fenoglio” in “Fondazione Ferrero”. La figura di scrittore è stata inoltre omaggiata nel corso dell’anno da numerosi esponenti del mondo della cultura e delle Istituzioni, come Roberto Vecchioni, Beppe Rosso, Aldo Cazzullo e Alessandro Baricco, nonché, primo fra tutti, il “Presidente della Repubblica” Sergio Mattarella, invitato, il 7 ottobre dell’anno passato, ad Alba proprio per ricordare insieme alla figura di Michele Coppino (deputato e ministro del Regno d’Italia, che nel 1877 promulgò la legge che rese obbligatoria e gratuita l’istruzione nel triennio inferiore delle scuole elementari), quella di Beppe Fenoglio, nella duplice ricorrenza dei natali, 200 anni per Coppino (Alba, 1822 – 1901) e 100 per Fenoglio. “Il prossimo 1° marzo – dichiara la figlia di Beppe, Margherita Fenogliosarà per me un giorno da ricordare perché segna la conclusione di un anno entusiasmante, travolgente oltre che commovente. È meraviglioso rendersi conto che una vita spezzata così presto sia stata in grado di lasciare un segno che va oltre il tempo e sa guardare al futuro”. La serata conclusiva del “Centenario” sarà presentata dall’attrice Lella Costa, vedrà l’intervento di illustri nomi della Letteratura e della Cultura italiana, legati dal grande amore per Fenoglio, come lo scrittore Sandro Veronesi ed i giornalisti Enrico Mentana e Massimo Giannini.

In apertura andrà in scena un estratto dello spettacolo teatrale “Raccontami com’era vestita”, omaggio alla figura femminile nei romanzi di Fenoglio, ideato e interpretatoda “TUTTE”, un collettivo di dieci donne provenienti da sei diverse associazioni con sede ad Alba che hanno ideato e diretto la pièce, mentre spetterà a Walter Porro, musicista e compositore, introdurre gli interventi con le note della sua fisarmonica. L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti con richiesta di prenotazione sul sitowww.beppefenoglio22.it

“Siamo all’ultima pagina di un libro che sappiamo non finire davvero: questi dodici mesi ci hanno regalato nuovi incontri e sfide  – dichiarano il presidente Riccardo Corino e la direttrice del “Centro Studi Beppe Fenoglio” Bianca Roagna – stimoli che ci permetteranno di approfondire sempre di più lo studio sullo scrittore e la divulgazione della sua opera. Un ringraziamento speciale va ai lettori, ai fenogliani, che ci hanno messo il cuore organizzando tantissimi eventi in collaborazione con noi, creando un calendario ricco ed entusiasmante”.

g. m.

Per info: “Centro Studi Beppe Fenoglio”, piazza Pietro Rossetti 2, Alba (Cn); tel. 0173/364623 o www.beppefenoglio22.it

Nelle foto:

–       Beppe Fenoglio

–       Lella Costa

–       Margherita Fenoglio

Note di Classica: Sergey Khachatryan e Sol Gabetta le “stelle” di marzo

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI 

Mercoledì primo marzo alle 20.30, al Conservatorio G. Verdi per l’Unione Musicale, il pianista Alexander Gadjiev eseguirà musiche di Chopin e Musorgskij. Giovedì 2 alle 20.30 e venerdì 3 alle 20 all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Stanislav Kochanovsky e con Sergey Khachatryan al violino, eseguirà musiche di Schnittke, Schumann, Rachmaninov. Martedì 7 alle 20 al teatro Vittoria, il pianista Giuseppe Guarrera, eseguirà musiche di Bach, Beethoven, Chopin e Liszt. Mercoledì 8 alle 20.30, al conservatorio per l’Unione Musicale, Elisso Virsaladze al pianoforte con il Quartetto David Oistrakn, eseguirà musiche di Schumann e Sostakovic. Giovedì 9 alle 20.30 e venerdì 10 alle 20, all’auditorium Toscani, l’Orchestra Rai diretta da Costantinos Carydis e con al pianoforte Francesco Piemontesi, eseguirà musiche di Beethoven, Borboudakis e Sostakovic. Sabato 11 alle 18 al teatro Vittoria, sesto episodio di “Punto e Virgola , Le interpretazioni” (le cadenze) con Maria Josè Palla al pianoforte, con Antonio Valentino. Mercoledì 15 alle 20.30, al conservatorio per l’Unione Musicale, Sol Gabetta al violoncello e Bertrand Chamayou al pianoforte, eseguiranno musiche di Mendelssohn e Brahms. Giovedì 16 alle 20.30 e venerdì 17 alle 20 all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Juraj Valcuha e con Yulianna Avdeeva al pianoforte, eseguirà musiche di Cekovskà e Rachmaninov. Martedì 21 alle 20 al teatro Vittoria, Tetraktis Percussioni e Enrico Baiano al clavicembalo, eseguiranno musiche di Bach, Panfili, Gardella, De Cecca, Marino, Solbiati, Colombo Taccani. Mercoledì 22 alle 20.30, al conservatorio per l’Unione Musicale, Alexandre Kantorow al pianoforte, eseguirà musiche di Brahms, Schubert e Schubert-Liszt.

Giovedì 23 alle 20.30 e venerdì 24 alle 20, all’auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Ottavio Dantone e con Roberto Ranfaldial violino, eseguirà musiche di Kraus, St. Georges, Luchesi e Haydn. Domenica 26 alle 16.30 al teatro Vittoria, Alexander Gadjiev al pianoforte ( con attore da definire), presenta “Nell’Anima Di Chopin” (letture e musiche di Chopin). Mercoledì 29 alle 20.30, al conservatorio per l’Unione Musicale, Augustin Hadelich al violino eseguirà musiche di Bach, Perkinson, Ysaye. Giovedì 30 alle 20.30 e Venerdì 31alle 20, all’auditorium Toscani, l’Orchestra Rai diretta da Ottavio Dantone, eseguirà musiche Haydn e Mozart. Il 31 alle 20 al teatro Regio, debutto in 2 atti de “Il Flauto Magico “ di Mozart. L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Sesto Quatrini. Repliche fino al 14 aprile.

Pier Luigi Fuggetta

Camera, 170 immagini della fotografa Eve Arnold fino al 4 giugno

Sono in mostra presso Camera 170 immagini, alcune mai esposte prima, della fotografa Eve Arnold, la prima donna, insieme a Inge Morath, ad aver fatto parte della prestigiosa Magnum Photos.

Eve Arnold ha saputo delineare i ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo, da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crowford a Orson Welles, ai reportage di inchiesta su temi ancora centrali nel dibattito pubblico odierno, dal razzismo negli Stati Uniti all’emancipazione femminile e all’interazione fra due diverse culture del mondo. Eve Arnold ha saputo raccontare persone e il mondo con un approccio appassionato personale, l’unico strumento da lei considerato indispensabile per un fotografo.

Determinazione, curiosità e la volontà di sfuggire a qualsiasi stereotipo hanno permesso a Eve Arnold di produrre un eclettico corpus di opere, a partire dai ritratti delle grandi Star del cinema al reportage d’inchiesta, in cui ha affrontato temi e questioni centrali nel dibattito di ieri e di oggi.

La carriera di Arnold rappresenta un inno all’emancipazione femminile e i suoi soggetti sono per lo più le donne, le lavoratrici, le madri, le dive, modelle e studentesse immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni.

L’intento è quello di restituire la ricchezza dell’opera di questa autrice, sottolineata attraverso documenti di archivio, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la leggenda della fotografia.

L’esposizione è accompagnata dal catalogo Eve Arnold, edito dalla casa editrice Dario Cimorelli editore.

Risulta aperta tutti i giorni, dalle 11 alle 19 e il giovedì dalle 11 alle 21.

L’esposizione, curata da Monica Poggi, è realizzata in collaborazione con Magnum Photos.

Mara Martellotta

 

“Sta succedendo qualcosa Non so cosa sia, ma sta diventando più forte”

MUSIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE

 

“Sta succedendo qualcosa

Non so cosa sia, ma sta diventando più forte

Lo sento nelle mie ossa

Spero che tu lo faccia durare un po’ di più”

Tre giorni di pace amore e musica: il 15 agosto di quattro anni fa si celebrava il 50° anniversario del Festival di Woodstock l’evento simbolo della controcultura americana degli anni ’60 e che ha segnato una generazione e più.

Il movimento hippie ha influenzato profondamente non solo il mondo della moda e della musica, ma anche il modo di parlare, portando alla nascita di termini che sono diventati di uso comune.

Per festeggiare l’anniversario di Woodstock, Babbel stilò una lista dei termini che hanno caratterizzato il movimento e che voglio condividere con voi.

Hippie: termine che deriva dalla parola “hipster”, si riferiva originariamente a coloro che appartenevano al movimento giovanile sorto negli Stati Uniti negli anni sessanta, il quale rifiutava istituzioni, norme e costumi della società del consumo, e promuoveva forme non violente di protesta e l’amore universale.

Oggi il termine si usa per indicare qualsiasi giovane dai capelli lunghi, con abbigliamento e atteggiamenti anticonvenzionali.

Flower Child: letteralmente “Figlio dei fiori” questa definizione veniva usata per descrivere gli hippie che erano soliti indossare vestiti con stampe a fiori o colori vivaci.

Il loro ideale di pace e libertà era sintetizzabile in slogan quali “Put flowers in your guns” (mettete dei fiori nei vostri cannoni) e “Make love, not war” (fate l’amore, non la guerra), diventati tra le citazioni più celebri e rappresentative del movimento.

Flower Power: espressione tipica del movimento hippie che significa letteralmente “potere dei fiori”, usata durante la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta come simbolo di una ideologia non violenta.

Beatnik: termine utilizzato per indicare una persona appartenente alla “beat generation” (fine anni cinquanta – primi anni sessanta) che si distingue per esser nonconformista sia nello stile che nel pensiero. Sono, in un certo senso, i precursori degli hippie.

Psychedelic: termine che descrive una categoria di musica e arte visiva originariamente associata agli anni sessanta e alla cultura hippie il cui immaginario è ispirato alle visioni e alle sensazioni causate dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Groovy: termine colloquiale molto popolare negli anni sessanta e settanta, era sostanzialmente sinonimo di parole come “cool”, “fantastico”, ” trendy” o “incredibile”, a seconda del contesto.

Square: contrario di groovy, questo termine veniva utilizzato in riferimento a tutto ciò che non era considerato “cool” o alla moda.

Mi piace ricordare questo evento di ridondanza mondiale e temporale, perchè Woodstock fu molto più che una rassegna musicale.

Il Woodstock Festival era a Bethel, nello stato di New York, distante oltre 160 km da New York City. Chi proveniva da un altro stato doveva trovare i mezzi per raggiungere l’evento e, soprattutto, trovare un modo per tornare a casa.

Non molti avevano una macchina e, per questo, molti cercavano un modo per tornare a NYC cercando di farsi notare tra la folla per avere un passaggio gratis, dato che vi erano un centinaio di autostoppisti. Molti erano persino disposti a farsi dare un passaggio nei bagagliai aperti. Sembra divertente, non è vero?

Era un luogo dove il pregiudizio non era presente e vedere come tra la folla ci fossero persone che andavano in giro senza vestiti.

Il festival aveva ampiamente pubblicizzato Janis Joplin come star del concerto. Joplin si esibì la domenica mattina cantando Ball and Chain affascinando il pubblico con una performance straordinaria. Durante le sue esibizioni, Joplin indossava abiti coloratissimi e poco prima di salire sul palco si versava un bicchiere di vino per stendere i nervi. Esibirsi davanti a 500.000 persone può essere snervante per chiunque.  Sfortunatamente la Joplin morì solo un anno dopo.

Jimi Hendrix doveva essere la star del festival, ma sfortunatamente i ritardi accumulati hanno portato la sua esibizione ad essere eseguita solo l’ultimo giorno. Verso l’ultima giornata la folla si era ridotta ad un totale di 40.000 persone, ma Hendrix ha fatto lo stesso la sua bella figura. Prima di arrivare all’evento, sembra che sia stato preso dall’ansia perché aveva appreso che il numero di partecipanti al festival era salito a circa 400.000 persone.

Anche se inizialmente il festival doveva durare tre giorni, venne aggiunta una quarta giornata. Se vi chiedete quale sia stato il motivo è per via della forte e incostante pioggia che mise a dura prova il flusso del festival.

Dato che l’evento si teneva in una fattoria, il terreno divenne bagnato con l’arrivo della pioggia e le persone furono costrette ad avere a che fare con il fango. Sicuramente le condizioni metereologiche non erano delle migliori per godere di un concerto all’aperto, ma i partecipanti non permisero alla pioggia di rovinargli la festa!

Gli organizzatori dell’evento avevano anticipato che ci sarebbero stati dei bambini e per questo hanno allestito un parco giochi al festival.

Mentre i genitori vivevano la loro miglior vita e facevano festa con sconosciuti, i piccoletti potevano giocare gli uni con gli altri nel parco, ballare e divertirsi. La storia narra che ci fosse anche una cucina che dava cibo gratis e una tenda per coloro che non avevano intenzione di consumare droga.

Woodstock è stato il festival conosciuto per la pace, l’amore e per la buona musica. Fu un movimento sia non violento sia di resistenza passiva conosciuto per il suo grande simbolismo.

“se usi il tono giusto, puoi dire qualsiasi cosa”

Ho scelto questo tra i tanti brani di quei giorni, spero vi piaccia oltre a portarvi in un mondo bellissimo.

https://www.youtube.com/watch?v=kGbK5y94LOE&ab_channel=PavlikB

CHIARA DE CARLO

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La sofferenza dell’Uomo di Dostoevskij nella rilettura dei Marcido

Al Teatro Marcidofilm! sino al 5 marzo

Scrivevo nel novembre del ’21, all’indomani della prima al Gobetti di “Memorie del sottosuolo” che Marco Isidori aveva rielaborato e riconformato obbedendo ai canoni teatrali dei Marcido: “Un alternarsi di esaltazione e di disperazione, le confessioni e le parole da sempre taciute, un urlo contro quel positivismo che costruiva sentieri ottimistici e ingannatori, incapace di giungere alla sempre sperata società del benessere, la consapevolezza di una sofferenza che l’uomo va ricercando, di un bel carico di autoumiliazione e di autodistruzione, l’afflizione di una incalzante accidia che lo rende ben lontano da quegli uomini d’azione che sono pronti a prefissarsi e a raggiungere certe precise mete. Un Uomo che si rispecchia in quanto di negativo c’è in lui ma che anche si definisce “evoluto”, un uomo che soffre della propria irrazionalità ma che sembra reclamarla, nella negazione di ogni certezza, semplificata dal prodotto 2 x 2 = 4 contrapposto nel 2 x 2 = 5 e dettato dall’imposizione della volontà individuale. Di fronte all’impianto negativo dell’Uomo, l’Isidori riconosce a “Dosto” – ormai c’è dimestichezza tra i due! – “un merito speciale”: “gli riuscì di calibrare il suo occhio d’artista in modo da penetrare al micron la misura dell’angoscia che ci spacca il petto allorquando comprendiamo che il punto della nostra posizione nel pelago esistenziale ci viene fornito soltanto, unicamente, diabolicamente, dal “male” che siamo in grado di portare in dote ai nostri simili”.

 

Da stasera (repliche sino a domenica 5 marzo) lo spettacolo viene riproposto e ripensato “sulla misura” del particolarissimo palcoscenico del Marcidofilm! di corso Brescia, insostituibile Paolo Oricco del ruolo del protagonista. Ancora una volta riconfermando nel piccolo spazio come le pagine dell’immenso Dostoevskij sin dalla fondazione siano state un prepotente richiamo per il gruppo dei Marcido, un percorso vagamente sotterraneo che qui erutta dal basso ed esplode, pagine che fuoriescono e si concretizzano visivamente, in tutto il loro “straordinario fascino drammatico”. Una quindicina di mesi fa avevo cercato di spiegare che “c’è Dostoevskij e c’è l’Isidori, il secondo ad acchiappare, anche lui, – rutilante e famelico quanto spudorato autore in cerca di un personaggio, che non esita a farsi complementare nel desiderio e nella necessità di una riscrittura -, la materia scritta che il russo gli offre e adattarla alla filosofia e alla teatralità dei Marcido, stiparla in tutto quel bagaglio di palcoscenico che da sempre il gruppo costruisce e disfa per poi ricostruire, in una lodevolissima sperimentazione, efficace e guerriera, che gli si è sempre riconosciuta, adeguarla al modointerpretativo che della compagnia è proprio. Conseguenza (felice) prima, è “un’oralità dispiegata, pietra angolare è la “voce, ricerca sempiterna, cui è anche per questa occasione affidato il nucleo primario. E la voce’ è l’attoredice lIsidori: e lattore diventa voce, affascinante, spasmodica, mai ripiegata su se stessa ma esplosiva in ogni accento”. La voce “è” Paolo Oricco, un successo tutto personale, un eccellente tour de force, una gimkana che attraversa il testo in pienissima libertà, in un saliscendi ininterrotto di vette e di profondità: “sarei propenso – ricordavo – a pensare che, questa volta, lattore con tutto il suo lavoro, orale e fisico, la sua negazione a risparmiarsi, il suo saper costruire un personaggio fuori di ogni dimensione, agghindato di ogni libertà interpretativa e arricchito della ricerca, e della riuscita, sulla sua propria voce, superi il testo e il non facile compito del co-autore, dellIsidori, affascinante, chi mai lo negherebbe?, ma affaticante al tempo stesso, ricco di una scelta finissima di parole che a tratti finiscono collaffastellarsi oltre ogni argine, debordanti in quel loro incessante rotolare in platea.”

Alle spalle di Oricco, la grande pala/sipario realizzata e rivisitata per l’occasione da Daniela Dal Cin, una vera opera pittorica ispirata al “Trionfo della Morte”, affresco quattrocentesco di Palazzo Abatellis a Palermo, grottesco e ossessivo, un livido marasma bruegeliano modernamente inteso, dove l’uccellaccio della preistoria viene a recidere vite con quei falcetti che tiene tra gli artigli. Al di qua del palcoscenico, si avverte la ricerca ormai perenne dei Marcido ma intelligentemente difficile, il desiderio di penetrare e di sviscerare, di conquistare alla fine. Per strade che non sono certo ricoperte di tappeti. Ancora le parole di Isidori:” I Marcido hanno voluto che il teatro mostrasse appunto che al gorgo altalenante della gioia e della disperazione, l’uomo non può sottrarsi. Certamente il Teatro, se deve portare un simile peso, non può accontentarsi dell’usuale canonica, deve, almeno tendenzialmente, fare lo sforzo di sporgersi oltre se stesso; magari rinunciando, magari fallendo, magari equivocando, comunque sempre tentando di mostrare quel che nella normale prassi delle scene, resta celato. Questa almeno è stata la nostra scommessa.”

Elio Rabbione

Nelle immagini, Paolo Oricco in alcuni momenti dello spettacolo.

Teatro MARCIDOFILM! – Torino – corso Brescia 4/bis (int. 2)

orari recite: da martedì a sabato ore 20.45 – domenica ore 16.00

ingresso: intero euro 20 / ridotto euro 15
info e prenotazioni: 011 8193522 – 339 3926887 – 328 7023604

info.marcido@gmail.com
www.marcido.it