Anche in occasione di queste festività natalizie il Partito Radicale ha promosso in tutta Italia visite nelle carceri italiane. A Torino la visita e’ prevista presso il carcere delle Vallette Lorusso Cotugno la mattina del 26 dicembre. L’ingresso della Delegazione è previsto alle ore 9.30 circa.
Alle ore 12.15 si terrà una conferenza stampa fuori dal Carcere.
Alla visita parteciperà anche il Garante dei detenuti del Piemonte Bruno Mellano.
La Delegazione del Partito Radicale sarà composta da:
Sergio Rovasio, Presidente Associazione Marco Pannella;
Mario Barbaro, Coordinatore dell’Associazione Marco Pannella e membro della Segreteria del Partito Radicale;
Roberto Capra, Presidente della Camera Penale del Piemonte e Valle d’Aosta;
Alberto Del Noce, Presidente nazionale delle Camere Civili italiane;
Claudio Desirò, Segretario di Italia LIberale e Popolare;
Alberto Nigra, già parlamentare.
Il sovraffollamento nelle carceri italiane ha raggiunto cifre spaventose: a fronte di una capienza di 51.196 di posti nelle celle sono rinchiuse 62.500 persone, nel 2024 (ad oggi) all’interno delle carceri ci sono stati 88 suicidi di detenuti.
In Piemonte all’interno dei tredici istituti detentivi vi sono 4.500 persone a fronte di una capienza di 3.979 posti; le gravissime carenze riguardano anche l’assistenza sanitaria, la mancanza di lavoro tra i detenuti, il personale degli agenti penitenziari sottodimensionato, la mancanza di operatori e specialisti.


Il latinista Luciano Perelli è stato ricordato al liceo “Carlo Botta” di Ivrea dove nacque nel 1911. Morto trent’anni fa, è ancora molto ricordato dagli ex allievi al liceo Gioberti di Torino e alla Facoltà di Lettere dove insegnò-caso raro- Letteratura latina e successivamente Storia romana alla Facoltà di Magistero. Soprattutto Perelli è ricordato per i suoi libri di testo dalla pregevolissima “Storia della letteratura latina” che non ebbe eguali per decine d’anni ai molti commenti a Cicerone ed agli amatissimi Lucrezio, poeta dell’angoscia e Catullo, poeta dell’amore tenero e disperato. I giovani nei suoi commenti ritrovavano l’humanitas autentica e la storicità di Roma senza l’eccessivo tecnicismo filologico che a volte uccide gli studi classici. Gli allievi di Perelli, similmente a quelli di Concetto Marchesi, acquisivano una cultura classica che era la base di un sapere poliedrico nel quale sarebbero cresciuti. Quando Perelli morì all’improvviso nel 1994, Luciano Canfora scrisse di lui una testimonianza ancora oggi importante che riguarda i suoi “ricordi antifascisti” incentrati sul carcere inflitto dal regime al padre e al fratello, che condizionò i suoi studi per affrettare il suo insegnamento privato, appena superata la Maturità, per dare un sostegno alla famiglia. Tuttavia egli non confuse mai l’insegnamento con un marcato impegno politico, come invece fece Marchesi. L’antifascismo per lui fu una scelta di libertà incompatibile con l’ideologismo anche se seppe difendere le ragioni della scuola classica da chi avrebbe voluto circoscriverla a pochi specialisti, di fatto uccidendola. Giovanna Garbarino, che fu docente di Letteratura latina, mi disse spesso che questa capacità di miscelare insieme letteratura e storia latina e greca era la cifra straordinaria di Luciano, forse non abbastanza apprezzato in Facoltà. Quando ancora insegnava al liceo, seppe difendere con coraggio ed anticonformismo la dignità professionale dei professori dalla tendenza già allora emergente di considerarli degli impiegati. La tutela della funzione docente fu una delle sue più grandi preoccupazioni e anche questo rende Perelli un protagonista unico della scuola piemontese. Egli capì fin dal suo sorgere l’aspetto eversivo di una parte della contestazione giovanile del ’68 insieme ai colleghi Franco Venturi, grande storico dell’Illuminismo e Giorgio Gullini, archeologo e preside della Facoltà di Lettere. Giunse a vedere delle affinità con il fascismo in certi estremismi di sinistra. Una volta con il “Corriere della Sera” in mano parlammo di un articolo del direttore Spadolini sugli opposti estremismi che corrispondeva a pieno al suo modo di vedere la violenza in quegli anni difficilissimi in cui qualcuno tentò di vedere le lotte studentesche in una sorta di continuità con la Resistenza.






