LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
Nell’arcipelago cattolico del nostro paese, storicamente, c’è una pluralità di voci, di tradizioni, di
sensibilità e anche di culture. Lo spiegava molto bene Rosy Bindi nei giorni scorsi durante la
presentazione del mio ultimo libro “Cattolici al centro”. Diceva l’ex ministro della Sanità che è
sucientemente noto che il cattolicesimo democratico non può essere confuso con il
cattolicesimo sociale e, men che meno, con il cattolicesimo popolare. Una osservazione
quantomai calzante e precisa che giustica anche, ma non solo, l’ormai profondo e radicato
pluralismo politico ed elettorale dei cattolici stessi. Da questa banale ed oggettiva considerazione
si deduce anche l’atteggiamento ridicolo, per non dire grottesco, di chi pensa – come è emerso
qua e là dal convegno di una corrente del Pd che si è svolta a Milano sabato scorso – che i
cattolici impegnati in politica si riconoscono prevalentemente, se non del tutto, nella sinistra. E,
nello specico, in una corrente che si riconosce nel Partito democratico a guida Schlein.
Ma, al di là delle vicende correntizie che riguardano il Pd e la collocazione tattica dei suoi dirigenti
cattolici o sedicenti tali, c’è un elemento quasi storico che merita anche di essere ricordato
all’interno di questo profondo e radicato pluralismo politico e culturale che caratterizza l’area
cattolica italiana. E cioè, l’esperienza della ‘sinistra sociale’ di ispirazione cristiana si è sempre
distinta – e profondamente – rispetto alla sinistra cattolica di matrice prodiana. Cioè di quella
sinistra cattolica tecnocratica, modernizzante e profondamente radicata nei gangli del potere
economico del paese. Una sinistra, quella di marca prodiana, che non ha mai avuto grandi punti
di contatto – anzi, un vero e proprio contrasto – con quella ‘sinistra sociale’ prima all’interno della
Dc nella prima repubblica e poi nelle formazioni politiche che si sono succedute dopo la ne della
Dc. Basti pensare ai contrasti irriducibili tra la ‘sinistra sociale’ di Carlo Donat-Cattin con il gruppo
dell’Arel che vedeva la presenza di gure importanti e signicative come quelle di Prodi, appunto,
di Umberto Agnelli e di molti altri dirigenti politici ed economici dell’epoca o a quella guidata da
Franco Marini nella cosiddetta seconda repubblica. Al riguardo, è appena il caso di ricordare lo
scontro frontale che avvenne nel 1999 quando proprio l’Asinello di Prodi si candidò alle elezioni
europee in aperta competizione con il Ppi guidato da Franco Marini e che decretò, come ovvio e
scontato, l’inizio della crisi dell’esperienza del Ppi. Si trattò di una operazione mirata, al di là delle
chiacchiere e delle conseguenti ipocrisie, a demolire il consenso del Partito Popolare Italiano. Ma,
al di là di questa concreta vicenda elettorale, non si può non ricordare che la lunga e feconda
esperienza della ‘sinistra sociale’ di matrice cattolica si è sempre trovata distinta e distante dalla
sinistra cattolica e progressista riconducibile alle modalità concrete del far politica di Prodi e dei
suoi riferimenti politici, economici e sociali.
Una dierenza, questa, che non è riconducibile, come ovvio e scontato, ai caratteri o alle
incomprensioni personali dei rispettivi leader. C’era, com’è altrettanto ovvio, una diversità
culturale, politica, sociale, programmatica e forse anche di natura etica tra le due esperienze. Che,
del resto, hanno costellato il cammino concreto della vicenda travagliata ma, comunque sia,
entusiasmante dei cattolici nella vita pubblica del nostro paese. Una diversità che, forse, è
presente anche oggi se è vero, com’è vero, che persiste un forte pluralismo politico e culturale, e
quindi anche elettorale, nella galassia cattolica del nostro paese. Perchè il passato, soprattutto
quando parliamo di leader e statisti come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini, non può e non
deve essere frettolosamente e qualunquisticamente archiviato o aggirato. E le dierenze che
c’erano ieri semplicemente restano anche oggi. Soprattutto quando si parla di cultura politica, di
scelte e progetti politici e dei rispettivi valori di riferimento.


Lunedì , giorno della memoria, tra le tante manifestazioni programmate a Torino c’è una manifestazione speciale: il ricordo degli Imi, gli 800 mila internati militari italiani in Germania tra il 1943 e il 1945. Ornella Pozzi leggerà al Centro Pannunzio delle pagine di “Diario clandestino “ di Giovannino Guareschi deportato in Germania come ufficiale fedele al giuramento prestato al Re. Guareschi ci ha lasciato una testimonianza unica. Era un umorista, ma sapeva affrontare le situazioni drammatiche come la sua prigionia, scrivendo persino pagine di delicato lirismo. L’inventore di “Don Camillo” era stato prigioniero dei tedeschi , anche se gli internati non godettero delle garanzie sancite dalla convenzione in quanto considerati “badogliani” traditori. Alessandro Natta che fu anche lui internato, ha parlato di un’altra Resistenza, sia pure con molto ritardo, perché i comunisti mai avrebbero equiparato gli internati ai partigiani. Gli internati, oltre che militari, erano dei veri patrioti, orgogliosi delle stellette portate con grande dignità. Il libro dovrebbe essere letto nelle scuole. Anni fa mi invitarono a parlare in prefettura a Savona nel giorno della memoria. Il fatto che io avessi citato Guareschi e la principessa Mafalda di Savoia non venne gradito da alcuni antifascisti intolleranti savonesi e non mi invitarono più in quella città che ha ancora una via intitolata a Stalingrado. Dovetti aspettare il 2024 per tornare a Savona invitato a parlare dal Comando dell’Esercito Liguria. Forse quegli antifascisti erano anche un po’ fascisti, come diceva Flaiano.
diede alla storia il generale che sconfisse i Francesi all’Assietta e uno dei fondatori della Fiat escluso in modo un po’ banditesco da Giovanni Agnelli dalla conduzione dell’azienda a cui aveva dato i suoi capitali all’atto della fondazione. Paolo l’ho ricordato in più occasioni come un grande amico colto e raffinato che si dedicò totalmente agli studi filosofici e storici come un un umanista del Rinascimento. Venerdì mi sono ricordato di un episodio di cui mi ero dimenticato. Nel 1975 tenevo un seminario a Scienze Politiche sui manifesti di Gentile e Croce usciti nel 1925. Lo invitai a parteciparvi, ma quando seppe che il seminario era “fiscalizzato” e dava un 27 garantito senza sostenere l’esame di Storia dei partiti e dei movimenti politici , mi disse che non si iscriveva perché vedeva il seminario “fiscalizzato” come una furbata sessantottina. Era un po’ indietro in qualche esame perché amava lo studio più che laurearsi in fretta , ma rifiutò quella che riteneva come una facilitazione non dignitosa. Una grande lezione anche umana in una università preda dei contestatori che volevano anche lo sconto sugli esami, come una volta disse il mio maestro Franco Venturi che di fronte alla richiesta dei contestatori di ridurre i programmi d’esame rispose beffardamente: sono d’accordo, potete ridurre del 50 per cento i libri, leggendo una pagina si’ e una pagina no. Paolo era un grande uomo di studi severi ed austeri. Ma quando andavamo alla “Posta” di Cavour, non lontana da Bricherasio dove viveva, mangiavamo, bevevamo e ridevamo di gusto, come diceva il Verri del Caffè. Era nipote di Edoardo Calleri di Sala primo presidente della Regione Piemonte e mio collega in Comune. Non mi parlò mai dello zio durante tutto il periodo in cui fu presidente. Anche con Edo nacque un’amicizia rigorosamente fuori dalla politica. Questo era lo stile di una famiglia di grandi piemontesi, anzi di grandi italiani.
senatore Cravero. Oggi tutto è decaduto. Il centro nelle mani di Del Rio, quello che ha abolito le Province, fa sorridere. Non suscita neppure il riso o il pianto. E’ il nulla. Renzi al confronto un piccolo statista.
Mussolini tenne un discorso in cui si assunse le sue responsabilità , sfidando la Camera a porlo in stato d’accusa per il delitto Matteotti ai sensi dell’articolo 47 dello Statuto e quindi processato dall’alta corte di giustizia. La Camera e il Senato non raccolsero la sfida . Rimasero a “cercare farfalle sotto l’arco di Tito” per dirla con Mussolini che cito’ Carducci. L’opposizione antifascista dopo il sacrificio di Matteotti fu vile e velleitaria. Più che resistere fuggi’ sull’Aventino a commemorare Matteotti, ma fu incapace di raccoglierne il testimone. Durante il discorso del 3 gennaio tacquero e dopo incominciarono a pensare di andare all’estero. I combattenti antifascisti militanti furono quasi esclusivamente i comunisti, pochi socialisti pochi cattolici, pochi liberali. Il discorso di Mussolini l’ho riletto storicamente di recente. E’ una sfida a cui gli antifascisti non seppero rispondere in modo adeguato. Questa purtroppo è la verità storica. Filippo Turati disse, quando era già esule in Francia, che erano stati loro a consegnare l’Italia al fascismo. Molti storici alla De Luna e Barbero dovrebbero rifletterci su invece di replicare la solita vulgata, come se non fossero passati cento anni. Un secolo.
del Circolo e del presidente Sinigaglia al Polo. Hanno anche età da pensione, ma saranno forse destinati a restare a vita? Questa lotta per il posto è mortificante. I risparmi del bilancio regionale c’è da sperare che riguardino anche questi due enti. C’è un direttore che scalpita per andare al circolo. Era di estrema sinistra e scriveva di terroristi rossi suoi parenti, adesso è passato all’altra sponda. Voleva anche la direzione del Salone del libro.