ilTorinese

Dafne, la fata del lago. Un omaggio alle favole e al lago Maggiore

Dafne, la fata del lago è il nuovo libro di Maria Carfora, ex insegnante, scrittrice e fotografa originaria della Sicilia e ossolana d’adozione, già autrice de Le storie di Boscobello. Il volume verrà presentato, insieme all’autrice, dal critico Giuseppe Possa alle 16 di sabato 29 novembre presso il teatro La Fabbrica di Villadossola. Il libro, dedicato ai bambini di tutte le età, propone un viaggio magico tra ricordi, promesse e fantasia. Una nonna, la signora Rita, ritrova una vecchia fotografia nascosta in un libro di favole, e la riscoperta fa riemergere un antico legame quasi dimenticato: quello con Dafne, un’amica speciale dell’adolescenza. Con i suoi cinque nipotini intraprenderà un’avventura unica sulle sponde del Lago Maggiore, nella cornice suggestiva di Stresa e delle sue ville. I piccoli scopriranno Villa Azzurra e incontreranno Dafne, la fata del lago, creatura misteriosa capace di trasportarli ogni sera in storie straordinarie, tra magia, natura e amicizia. Come scrive Giuseppe Possa “è un libro che intreccia fiaba, memoria e tradizione, capace di catturare l’immaginazione sia dei grandi che dei piccoli. Perfetto per essere letto e condiviso tra nonni, genitori e bambini. Quest’opera è un tributo al potere delle storie, della fantasia e della natura incantevole del Lago Maggiore. L’autrice rivisitando alcune favole classiche le propone attraverso il racconto della fata che, ascoltandole dalla madre, si immedesimava a tal punto che , nei suoi sogni notturni, vedeva Cappuccetto Rosso, i principi azzurri e le principesse, oppure i protagonisti di Cenerentola, Biancaneve o della Bella Addormentata in una maniera del tutto nuova e diversa. I veri protagonisti erano liberi di vivere la propria esistenza, senza i vincoli imposti dai racconti, amandosi come meglio credevano – perfino tra persone dello stesso genere – coltivando le proprie passioni, “ovviamente, nel rispetto della libertà degli altri”. Reinterpretazioni che, oltre ad allietare i nipotini di Rita, offrono preziosi insegnamenti a tutti i bambini. Il volume è impreziosito dall’illustrazione di copertina e da undici disegni interni a colori, uno per ogni capitolo, realizzati dall’artista e pittore Giorgio Stefanetta. Inoltre include la prefazione di Andrea Pelfini, figlio di Maria Carfora, e la postfazione di Giuseppe Possa.

Marco Travaglini

Ravello (FdI): “Con la ‘stanza del buco’ la sinistra certifica la resa”

 “Torino diventa laboratorio della droga istituzionale”

 

“Quello che temevamo è accaduto: nonostante gli allarmi, le denunce, i numeri drammatici sul consumo di stupefacenti, la Circoscrizione 7 ha dato via libera alla famigerata stanza del buco. Altro che contrasto alla droga: qui siamo alla sua istituzionalizzazione, con il timbro ufficiale della politica e della sinistra. Mentre i quartieri chiedono sicurezza, legalità e presìdi delle Forze dell’Ordine, la maggioranza risponde offrendo un luogo protetto dove bucarsi in tranquillità. È una resa ufficiale, politica e morale.” Così Roberto Ravello, vice capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale del Piemonte.

“Colpisce – e indigna – che a guidare questa operazione sia proprio chi dovrebbe difendere il territorio. Il presidente di Circoscrizione Luca Deri arriva addirittura a raccontare che così si ‘riduce il danno’ e si ‘agganciano’ le persone verso la disintossicazione. La realtà – continua Ravello – è l’esatto opposto: si manda un messaggio devastante, soprattutto ai più giovani, normalizzando l’idea che la droga sia un elemento con cui convivere, da gestire in spazi dedicati anziché da combattere con ogni mezzo. La chiamano stanza del consumo consapevole, ma l’unica consapevolezza è quella della sconfitta: si rinuncia alla prevenzione, si umilia il lavoro delle Forze dell’Ordine, si insultano le famiglie che ogni giorno lottano contro il dramma della tossicodipendenza.”

“Torino è già tra le prime città d’Italia per uso di stupefacenti, le piazze di spaccio sono sotto gli occhi di tutti, interi quartieri sono ostaggio della droga e cosa fa la sinistra? Decide di offrire un tetto ‘legale’ al consumo. Altro che politiche ‘insufficienti’, come dice Deri: qui siamo alle politiche sbagliate, pericolose, complici di un sistema che trasforma una piaga sociale in un servizio quasi para-sanitario. Fratelli d’Italia – conclude Ravello – non si rassegnerà mai a questa deriva. La droga non è un diritto da esercitare in un salottino protetto, è un dramma da estirpare. Chi oggi brinda per l’approvazione di questa mozione si assume la responsabilità di un segnale gravissimo: dire ai nostri giovani che le Istituzioni, invece di tirarti fuori dall’inferno, ti accompagna fino alla siringa. L’apoteosi della follia”.

Studio genetico per trattamenti del tumore alla prostata

Presso la Città della Salute e della Scienza di Torino

La personalizzazione delle cure è uno degli obiettivi principali della ricerca sanitaria, soprattutto quando si tratta di neoplasie diffuse come il tumore alla prostata. A confermarlo è un nuovo progetto ideato dalla Clinica Urologica dell’Ospedale Molinette dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, diretta dal professor Paolo Gontero, che intende migliorare la gestione clinica dei tumori prostatici localizzati grazie all’utilizzo di test genetici.

L’iniziativa è nata da un’idea del professor Marco Oderda con il contributo del dottor Giorgio Calleris, e punta a coinvolgere pazienti tra i 45 e i 75 anni con diagnosi di tumore prostatico ISUP 2, cioè un tumore aggressivo di grado intermedio. Lo studio prevede l’impiego del test genetico Prolaris, che analizza l’espressione di geni legati alla progressione tumorale e fornisce un punteggio utile a prevedere il comportamento della malattia e di conseguenza anche il trattamento migliore.

L’applicazione di questo approccio innovativo nasce dall’esperienza maturata in uno studio pubblicato dal gruppo sulla rivista internazionale The Prostate: su 40 pazienti in sorveglianza attiva (vale a dire pazienti non sottoposti a trattamento chirurgico, ma a visite di controllo ravvicinate), il test è riuscito a discriminare con buona accuratezza chi ha mantenuto la sorveglianza, senza necessità di trattamenti chirurgici, da chi ha dovuto ricorrere alla chirurgia per progressione del tumore.

I dati finora ottenuti sono quindi molto incoraggianti e il progetto su scala regionale permetterebbe di offrire ai pazienti un’informazione in più, basata su dati genetici e non solo clinici o radiologici: ecco perché si propone di realizzarlo sotto il coordinamento della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, che ne garantirebbe l’integrazione nei percorsi assistenziali.

L’Urologia delle Molinette è da tempo impegnata anche nello sviluppo di terapie focali sempre meno invasive per il trattamento del tumore prostatico. Tra gli studi in corso figurano l’utilizzo delle microonde (targeted microwave ablation), dell’elettroporazione irreversibile nei pazienti con recidiva post-radioterapia, e della transperineal laser ablation con laser a diodi per il trattamento combinato del tumore e dell’ipertrofia prostatica benigna.

Inoltre, grazie a una recente donazione, è stato possibile anche acquisire una piattaforma robotica single-port, che prevede l’accesso alla prostata attraverso un’unica piccola incisione cutanea, che rende la chirurgia del tumore prostatico sempre meno invasiva.

Questo fermento scientifico conferma l’impegno del centro torinese nel promuovere una sanità sempre più orientata all’innovazione e alle esigenze del paziente, anche grazie all’integrazione tra ricerca, assistenza e nuove tecnologie.

CURARSI CON LA RICERCA IN PIEMONTE

La rubrica della Regione Piemonte, in collaborazione con il DAIRI Regionale (DAIRI-R), che racconta la ricerca all’interno delle singole Aziende Sanitarie Regionali. Dopo aver raccontato l’importanza di fare ricerca e di avere Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) sul territorio al fine di migliorare sempre di più le cure e i servizi offerti, nonché il ruolo del DAIRI – R nella governance della ricerca sanitaria del Piemonte, ogni settimana verrà approfondita un’esperienza diversa, per valorizzare il lavoro svolto nelle diverse ASR e le buone pratiche che contribuiscono a costruire un sistema sanitario innovativo e fondato sull’evidenza scientifica.

Pandoro gate: richiesta di 1 anno e 8 mesi per Chiara Ferragni

Oggi Chiara Ferragni è comparsa in tribunale per l’udienza decisiva del cosiddetto “Pandoro Gate”, il caso legato alla vendita dei dolci a marchio Balocco presentati come iniziative benefiche. I pubblici ministeri Cristian Barilli ed Eugenio Fusco hanno concluso la requisitoria chiedendo per l’influencer una condanna a 1 anno e 8 mesi per truffa aggravata.

La richiesta dei pm

Secondo l’accusa, tra il 2021 e il 2022 Ferragni avrebbe fuorviato follower e consumatori con campagne di marketing relative al “Pandoro Pink Christmas” e alle uova di Pasqua, lasciando intendere che una parte del prezzo fosse destinata alla beneficenza. Per i pm, tale quota non sarebbe stata realmente compresa nel costo dei prodotti e l’influencer avrebbe tratto un “ingiusto profitto” stimato in circa 2,2 milioni di euro. Da qui la richiesta di condanna.

Ferragni è arrivata molto presto al Palazzo di Giustizia di Milano per evitare la presenza massiccia di fotografi e telecamere.

L’udienza

Il giudice Ilio Mannucci Pacini ha inizialmente valutato l’ammissione dell’associazione “La Casa del Consumatore” come parte civile, l’unica rimasta dopo che le altre hanno raggiunto accordi extragiudiziali.

La difesa ha ribadito che Ferragni avrebbe sempre agito in buona fede, senza intenzione di ottenere vantaggi illeciti, e ha richiamato le donazioni già effettuate, pari a 3,4 milioni di euro. L’influencer ha inoltre scelto il rito abbreviato, insieme agli altri imputati, per accelerare il procedimento e puntare a una pena ridotta.

La reazione pubblica

Sul piano mediatico il caso divide. C’è chi giudica grave la scarsa trasparenza nel coniugare marketing e solidarietà, e chi ritiene invece che Ferragni abbia già rimediato con le donazioni, interpretando l’inchiesta come il risultato di un errore comunicativo più che di un intento fraudolento.

In attesa della sentenza

La decisione finale è attesa per gennaio 2026. Fino ad allora il processo continuerà a essere al centro del dibattito, sollevando interrogativi sul ruolo e sulle responsabilità degli influencer nelle campagne a scopo benefico.

Cristina Taverniti

Una donna incendiaria e il povero Al Pacino intrappolato in un debole film

Emanuela Rossi – per anni giornalista freelance, da alcuni anni dietro la macchina da presa, una dei registi di “Non uccidere” per Rai 3, il suo “Buio” (2017) è stato selezionato per tanti festival del mondo, “Eva” è il suo secondo lungometraggio e secondo titolo in concorso per l’Italia al 43° TFF – confessa di alimentare il suo cinema con la somma di tanti generi, “dal dramma familiare, al thriller allo sci-fi, perché è impossibile raccontare il nostro tempo e la sua complessità senza prendere in prestito dai vari generi cinematografici i frammenti di stile e di contenuti più efficaci per raccontare ciò che ci serve.” Qui abbraccia Eva (la sceneggiatura è stata scritta con Stella di Tocco) come Eva abbraccia gli alberi che incontra per strada o nei campi immensi, le appiccica un aureola di santa, quella che nei calendari ancora non trovi, lei che è anche donna misteriosa e maga, incendiaria, appartata dalla società e protettrice di un passato a noi incomprensibile, solitaria e malata di un qualcosa che un giorno nella sua mente ha avuto un’ombra di buio. Lei che coltiva una missione, salvare i bambini del mondo, tutti? per ora quelli che incontra sulla sua strada, sulle rive di un lago o in una cava abbandonata o nelle vicinanze del mare; lei che coltiva la vita reale e l’immaginifico, la fede e la pace, e una miriade di sogni sconnessi, forse quelli che stiamo incontrando alle tante proiezione della giornata. Sembrano essere sempre più la cifra di questo festival. Spera d’inventarsi una nuova esistenza, nell’affetto di Nicola e di suo padre Giacomo, di professione apicultore, ma finisce col ritrovarsi soltanto al tavolo di un ispettore di polizia che le chiede conto di quel gruppo di ragazzini che si continua a non trovare. Recita la sinossi distribuita: “Intanto in Cina una donna è esasperata perché la sua figlioletta è malata” e del parallelo lo spettatore tocca con mano due brevissimi inserti, allucinati, difficilmente accettabili, veloci. Da noi come là: si, ma e poi? Tutto rimane inevitabilmente nel surreale e nell’assurdo, nel trasporto continuo del tempo, nell’inspiegabile anche se si va a scomodare, come fa la regista, le parole “ribellione” e “dolore devastante”, tutto rimane sospeso nel tempo, oltre quella comprensione verso un comportamento che cerchiamo di costruirci. Tutto rimane più che altro un esercizio a tavolino, con la speranza vana che il pubblico delle sale s’imbarchi verso una simile impresa. La fotografia, bellissima e confortante, è di Luca Bigazzi.

La prima parola che ascoltiamo in “Cinema Jazireh” della regista turca Gödze Kural è “speranza”. “Cinema” è il racconto che la regista trae da altri racconti, da esperienze vissute, li ha ascoltati nelle case di Kabul e in giro per il paese, racconti di paura e di coraggio. La protagonista è Leila, ha assistito nell’Afganistan che sottostà al regime dei talebani e alla legge della Sharia al massacro della sua famiglia, adesso l’unico scopo per lei è ritrovare il figlio di sette anni misteriosamente scomparso. In un paese in cui è una condanna essere donna, in cui la scuola e il canto sono negati, in cui non andare accompagnata da un uomo può voler dire decisione percosse e di morte, Leila decide di camuffarsi e fingersi uomo, di vestire abiti maschili, di avventurarsi attraverso il deserto e i piccoli paesi con quei travestimenti: sarà nel vecchio cinema abbandonato che incontrerà Azid, anche lui un ragazzo rapito e costretto alla prostituzione, ancora un essere umano in altro modo ridotto al silenzio e privato della libertà: la decisione di mettere in salvo altre persone, il coraggio e l’amore di madre la spingeranno a chiedersi della possibilità di un domani, se sia giusto sperare di continuare a vivere. Ritratto di una donna forte, di una terra e di un popolo, di una realtà che forse abbiamo già dimenticato, in un film che mostra a volte segni di stanchezza e di eccessiva linearità ma che s’apprezza per il gradino un po’ più alto su cui si pone rispetto a tanti colleghi.

Di sogni più semplici ma altrettanto pericolosi vive la giovane protagonista di “Slanted”, opera prima dell’australiana Amy Wang (batte però bandiera statunitense). Joan è arrivata dalla Cina negli States quand’era piccola, con il nome di Qiqi, oggi adolescente – cresciuta ed educata da una coppia di genitori che vorrebbero ben salvaguardati i principi della vecchia patria – fatica a confrontarsi con i compagni del suo corso a scuola, a farsi accettare. Figuriamoci poi se si è messa in testa di diventare la reginetta del ballo della scuola (con il King di turno al seguito, strafico e parecchio ricercato), i lineamenti troppo asiatici la eliminerebbero dallo sperato successo, è necessario entrare nelle grazie della influencer di turno e rendersi bella e bionda e desiderabile grazie a un intervento chirurgico di alta (o più o meno bassa) sperimentazione per “sembrare” bianca, pur d’ottenere accettazione e corona sulla fronte. Ma il taumaturgo non è proprio dei migliori e, come una nipotina di Meryl Streep in “La morte ti fa bella”, tutto il mascherone facciale comincia a prendere delle brutte pieghe. Tra reginette di bellezza e social, tra sfide e nuove filosofie di vita, nel disegno esatto di una gioventù che mai come nella nostra epoca è andata dietro alle più stupide apparenze, Wang tratteggia un ritrattino corrosivo e incendiario, colpisce al segno, espone e lascia allo spettatore il tempo di pensare, con la piena volontà di rimanere quello che siamo.

Diya” arriva dal Ciad, è il primo lungometraggio di Achille Ronaimou, è ambientato in una località in cui continuano a essere ben radicati gli opposti che presero vita dopo la guerra del 1979, quando i cristiani del sud si opposero ai musulmani del nord, è la legge del taglione, è l’usanza antica dell’occhio per occhio. Dane è un autista per conto di una ONG, tutti i giorni s’immerge nel traffico per portare aiuti, conduce una felice esistenza accanto alla moglie incinta: fino a che una distrazione, una chiamata al cellulare durante il lavoro e un viaggio, un bambino che attraversa la strada davanti a lui. Il ragazzino muore e i parenti reclamano un risarcimento, cospicuo e nel giro di un paio di settimane. Dane, per saldare il debito, dovrà affrontare il deserto e nuovi villaggi, verità che non conosceva. Racconto di ampio respiro e autentico, assolato e caotico, carico di tinte gialle e soprattutto d’odio e di tradimenti in cui camuffarsi, il (quasi) eroe intrappolato dentro a ingranaggi più forti di lui e inspiegabili, come tanto cinema ci ha mostrato, all’interno di un’intelaiatura che non prevede grosse sorprese ma che si lascia guardare con qualche piacere. Dispiace invece che un attore del calibro di Al Pacino sia rimasto invischiato nelle maglie di “Billy Knight” del giovane regista americano Alec Griffen Roth, che il cinema dovrebbe averlo nel sangue e succhiato sin da giovanissimo se, ci informano le cronache, il padre è lo sceneggiatore Eric Roth e la madre la produttrice Debra Greenfield, con fratelli al seguito. Qui è al suo primo lungometraggio e in tutta sincerità – glielo chiedeva anche il direttore Base presentandolo al pubblico – si fatica a credere che il ragazzo abbia avuto dalla sua l’insuperato attore, anche qui di vulcanico ed eccezionale peso. Un’isola a sé. Perché la storia – leggi: sceneggiatura – è di una semplicità sconcertante, l’andamento quanto mai debole, aggirandoci noi in quell’area “cinema sul cinema” che ha sfornato capolavori (e lasciamo anche solo per un attimo il venerato Fellini – e tralasciamo pure che il regista si ostini a definire la sua opera “un omaggio al cinema, un racconto sospeso tra realtà e immaginazione”) come il non troppo lontano Spielberg dell’autobiografico “Fabelmans”, etcetera etcetera. Perché qui si parla di un Alex che alla morte del padre scopre una scatola piena di sceneggiature, incompiute e tutto lascia credere mai proposte, neppure nella speranza di, e un fazzoletto con ricamato sopra un nome, Billy Knight: gli verrà voglia di volarsene a Hollywood dietro la spinta del “chi era costui?”, deciso a scoprire chi in passato si sia nascosto dietro a quel nome. A noi, di andare a cercare i pochi o tanti rimandi cinematografici sparpagliati nella storia, non è proprio venuto voglia: e non chiediamo nemmeno scusa.

Elio Rabbione

Nelle immagini, scene da “Billy Knight” del regista americano Alec Griffen Roth, “Eva” di Emanuela Rossi in concorso per l’Italia, il turco/iraniano “Cinema Jazireh”, “Slanted” (USA).

Due morti e una ragazza grave, tragico bilancio di un incidente nel Torinese

Sono sempre numerosi gli incidenti che, purtroppo, continuano a verificarsi sulle strade piemontesi. L’ennesima tragedia si è consumata oggi a Rivarolo Canavese, dove un’auto è uscita di strada schiantandosi contro un muretto di cemento ai bordi della carreggiata. Il bilancio è gravissimo: due persone hanno perso la vita e una terza è rimasta ferita in modo serio.

L’incidente è avvenuto nel tardo pomeriggio di oggi martedì 25 novembre 2025, in via Rivarossa. L’allarme è stato lanciato poco prima delle 17. Per ragioni ancora da chiarire, il conducente di una Ford Focus diretta ad  Argentera ha  perso il controllo del veicolo, finendo contro un muretto di cemento posto lungo una roggia. L’impatto è stato violentissimo.

Sono accorsi i vigili del fuoco di Rivarolo, Bosconero e Ivrea, insieme ai carabinieri e agli operatori della Croce Rossa Italiana. Per il guidatore e uno dei passeggeri non c’è stato nulla da fare: sono deceduti sul colpo. Una terza occupante, una ragazza, è stata estratta dalle lamiere dai pompieri e successivamente stabilizzata dal personale del 118. È stata trasportata d’urgenza, in codice rosso, all’ospedale di Ciriè.

Lessolo, scontro sulla Torino-Aosta: furgoncino distrutto nell’impatto

Sull’autostrada Torino-Aosta in direzione Torino, poco prima dello svincolo di Ivrea, un camion e un furgoncino si sono scontrati nella tarda mattinata di oggi. L’impatto, avvenuto all’altezza di Lessolo, è stato violento: il furgoncino è rimasto distrutto ed è finito di traverso, con il muso fuori dalla carreggiata. Nell’impatto il conducente non è rimasto ferito e non si sono registrati rallentamenti al traffico. Sul posto sono arrivati i vigili del fuoco di Ivrea, insieme agli ausiliari Itp, ai soccorritori del 118 di Azienda Zero e agli agenti della polizia stradale di Torino-Settimo, impegnati a ricostruire le circostanze dell’incidente.

VI.G

Parella, schianto contro un semaforo: l’auto si ribalta, conducente ferito

Si schianta contro un semaforo, lo abbatte e la vettura si ribalta: conducente in ospedale. L’incidente è avvenuto nel quartiere Parella, all’incrocio tra corso Appio Claudio e via Cossa. Nessun altro mezzo risulta coinvolto: la Fiat 500, dopo l’impatto, si è capovolta finendo su un fianco a lato della carreggiata.

Il conducente è stato trasportato in ambulanza all’ospedale Maria Vittoria dal personale sanitario di Azienda Zero; le sue condizioni non sono gravi. Sul posto sono intervenuti gli agenti della polizia locale, impegnati a ricostruire la dinamica e le cause della sbandata del veicolo.

VI.G

Ricoverato in ospedale l’ex sindaco Diego Novelli

E’ ricoverato in prognosi riservata Diego Novelli, lo  storico ex sindaco comunista di Torino. E’ stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Martini dopo che gli è stata riscontrata una grave insufficienza respiratoria. Le sue condizioni sono sotto controllo. L’ex primo cittadino ha  94  anni.

Riparte Mirafiori? La 500 Hybrid dà slancio, ma il futuro è da costruire

La Fiat 500 ibrida rappresenta una speranza — seppur non si sa quanto fondata — per il rilancio di Mirafiori. Stellantis ha presentato il nuovo modello, la cui produzione è iniziata a novembre: a regime, lo stabilimento torinese potrà aumentare la capacità produttiva annuale di circa 100.000 unità, con le prime consegne previste per gennaio 2026.

Per il debutto ufficiale sono arrivati a Torino l’amministratore delegato Antonio Filosa, il presidente John Elkann e Olivier François, responsabile del marchio Fiat. Presenti anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, il sindaco Stefano Lo Russo e i rappresentanti sindacali nazionali e locali.

Con l’avvio della 500 ibrida riprenderanno inoltre le assunzioni: 400 giovani entreranno a febbraio con un percorso di formazione dedicato, in vista dell’attivazione del secondo turno di lavoro. Intanto, a Mirafiori è partita anche la riqualificazione della Palazzina, sede storica del gruppo costruita nel 1939 e centro nevralgico di una produzione che ha superato i 29 milioni di veicoli. L’intervento rientra nel programma grEEn-campus, volto a trasformare gli spazi lavorativi e a rafforzare le radici degli enti centrali di Stellantis.

La nuova gamma della 500 Hybrid sarà disponibile in tre varianti di carrozzeria — Hatchback, 3+1 (ordinabile dall’inizio del prossimo anno) e Cabrio — con allestimenti Pop, Icon e La Prima. A queste si aggiunge la serie di lancio “Torino”, un omaggio alla città che da sempre è la casa di Fiat, proposta esclusivamente nella versione Hatchback.

(foto TorinoClick)