ilTorinese

Nuovo biglietto Gtt per viaggiare in quattro e risparmiare

A Torino viaggiare in gruppo è  più conveniente. Da ottobre, GTT introduce il nuovo biglietto “Daily X4”, ideale per famiglie, amici e turisti che vogliono scoprire la città senza pensieri.

Con un unico titolo, valido per  4 persone su bus, tram e metropolitana per un’intera giornata, si potrà risparmiare fino al 20% rispetto all’acquisto di biglietti Daily singoli digitali e al 30% rispetto ai cartacei.

Il nuovo biglietto si acquista al prezzo di 12 euro su supporto digitale (app GTT TO Move) e 14 euro e 80 centesimi su supporto cartaceo (Chip on Paper). Acquistare un biglietto Daily singolo costerebbe 14 euro e ottanta centesimi in formato digitale e 18 euro in formato cartaceo.

Il biglietto “Daily X4” consente a un massimo di 4 persone (compreso il titolare) di usufruire del servizio di trasporto pubblico urbano e suburbano GTT per l’intera giornata. Il titolo di viaggio, da convalidare una volta all’accesso e al cambio linea sui mezzi di superficie e ai varchi della metropolitana, permette un numero illimitato di corse. Si ricorda che i minori di 11 anni hanno diritto alla gratuità del servizio.

Il nuovo biglietto “Daily X4” è un’ottima opportunità per ridurre l’uso dell’auto privata e scoprire i vantaggi del trasporto pubblico: una scelta sostenibile per te e per la città.

Volo in ritardo di 4 ore, come chiedere il rimborso

Riceviamo e pubblichiamo – Giornata da incubo per molti passeggeri. Dovevano raggiungere Bari, ma il volo ha riportato oltre 4 ore di ritardo all’atterraggio. È accaduto martedì 13 agosto, con il volo Torino Bari FR6180, con pesanti disagi per i passeggeri della compagnia aerea Ryanair.

I passeggeri, quindi, sono stati costretti a trascorrere ore intere all’interno dell’aeroporto di Torino, vedendo rinviato il proprio volo in partenza inizialmente alle 10:25 e atterrato solamente alle 16:06.

Un disservizio che ha portato non pochi disagi per i passeggeri desiderosi di raggiungere Bari, che, però, grazie all’assistenza gratuita di ItaliaRimborso, possono ottenere 250 euro come compensazione pecuniaria. Sembra che il ritardo, infatti, sia dovuto a problematiche della compagnia aerea ed il team sostiene che ci possano essere gli estremi per l’applicazione del Regolamento Comunitario 261/2004.

Per contattare ItaliaRimborso e segnalare il volo in ritardo Ryanair Torino Bari è possibile farlo segnalando direttamente il disservizio con il form presente nel sito italiarimborso.it.

Ferragosto di una volta e riflessioni sul presente

Non vorrei essere considerato eccessivamente pessimista. Ma non mi sembra che la situazione globale sia sotto controllo. Cerchiamo di rifugiarci nel ricordo che è sempre un ottimo antidoto per le miserie attuali. Ricordo dei mitici anni 70. Vero che la moda non era un gran che. I residenti a Torino superavano  1 milione e 250mila. Tutto era Fiat chiamata ” La Feroce ” epiteto tutt’altro che elusivo. O il giornale La Stampa, proprietà Agnelli,  la Bugiarda, anche qui tutt ‘altro che elusivo. Tutto era cadenzato dall’ alto, soprattutto i tempi di vita di ognuno di noi. Dunque il 1 di Agosto tutti in ferie. 4 settimane secche. Il primo turno era il venerdì, alle 14 uscita ai cancelli Fiat. 850 stracolme di bagagli. Moglie e figli aspettavano i capofamiglia e poi obbiettivo casa e paese da dove si era emigrati. E si aspettava il ferragosto. Dopo il giro di boa verso la fine delle ferie di mio padre che coincidevano con la fine delle vacanze in Val di Lanzo a Viu. Dopo il 15 il tempo si mitigava ed il maglioncino di lana alla sera era d’obbligo. Quanti ferragosto, quanti ricordi. Dalle grigliate con gli amici di papà e mamma alle rarissime volte nell’osteria del paese. Niente di eccezionale. Pane e salame, agnolotti o l’immancabile buseca (il minestrone con trippa). Poi la toma di Lanzo. Mi piaceva finire le croste. La parte del formaggio più saporito. O di quel pane che sapeva di farina. Magari appena sformato. Ma ferragosto non era solo mangiare. Mio padre giocava a Tarocchi e mia madre con le amiche nel ricordare di quando, giovane sartina si sentiva un po’ più libera del presente che la costringeva a casa a fare la pantolonaia,  in nero ovviamente. Ed io via con gli amichetti. Una delle poche volte che i giochi erano insieme maschi e femmine. Libertà e quel tanto di felicità che non guasta mai. E questa libertà mista a felicità che ci faceva già vivere nel futuro. Vietato essere pessimisti. Si intuiva che il boom economico si stava afflievolendo. Poco importava. Quel presente era ampiamente sufficiente per un domani sicuramente migliore del presente. Sto proiettando i miei sentimenti attuali per allora? Forse, capita ma non è peccato ricordare ciò che eravamo e soprattutto quello che avremmo voluto essere e quello che siamo diventati. E nel ricordo trovare la forza per “reggere” questo presente che, appunto, non ci aggrada. Tutto è diventato polemica. Persino queste belle olimpiadi sono diventate motivo di scontro. Strano questo ministro dello Sport che vuole cacciare Malago’ presidente del Coni. Sarebbe stato più elegante aspettare settembre. Ma si sa che l’eleganza non è da tutti. Come i soliti razzisti che hanno nel Vanacci il loro vate. Verissimo, non tutti gli italiani sono razzisti ma i razzisti sono sempre troppi. Ma bando alle tristezze per questo sciagurato presente. Almeno per Ferragosto cerchiamo di buttarci tutto dietro le spalle. Una giornata di tregua e di felice libertà. Al lago,  in montagna, al mare e per chi è rimasto in città. Con il ricordo, con il presente e con un futuro incerto ma pur sempre futuro. Buon Ferragosto a Tutti. Anzi no, non a tutti. Non per Putin, non per i razzisti, non per odiatori seriali di destra o di sinistra. Buonista? Si sono un buonista che non sopporta urla e odio. Buon ferragosto.  Un ferragosto che mi ricorda le speranze di una intera generazione. E soprattutto un buon ferragosto ai nostri figli e nipoti.

PATRIZIO TOSETTO

Spacciatore colto in flagranza, arrestato

Lunedì sera, il Commissariato di P.S. Dora Vanchiglia ha coordinato un controllo straordinario del territorio ad “Alto Impatto” insieme al personale del Reparto Prevenzione Crimine Piemonte, del V Reparto Mobile di Torino, di un’unità cinofila della Polizia di Stato oltre a personale della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri.

L’attività esercitata nella zona di competenza concentrandosi maggiormente in Lungo Dora Napoli, Corso Giulio Cesare, Corso Emilia e vie limitrofe, ha portato a:

l’identificazione di 64 persone;

l’arresto di una persona;

il controllo di 4 esercizi pubblici; l’emissione di 3.000 euro di sanzioni amministrative; il sequestro di diversi grammi di sostanza stupefacente e somma di denaro.

In particolare l’arresto è avvenuto all’incrocio tra Corso Giulio Cesare e Corso Emilia, dove gli agenti hanno colto in flagranza un giovane ventiseienne di origini marocchine mentre consegnava diversi grammi di sostanza stupefacente ad un secondo soggetto. Il ventiseienne è stato arrestato per detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio. Il procedimento penale si trova attualmente nella fase delle indagini preliminari, pertanto vige la presunzione di non colpevolezza dell’indagato sino alla sentenza definitiva.

Sempre in Corso Giulio Cesare un locale è stato sanzionato per irregolarità amministrative e carenze igienico sanitarie per la somma di circa 3.000€.

I controlli congiunti continueranno con cadenza regolare.

Maltempo, danni anche a Mirafiori

Albero caduto in via Coggiola, albero caduto in strada Castello di Mirafiori, tetto della scuola Gaetano Salvemini scoperchiato.  Le foto sono del lettore Luigi Gagliano. Il nubifragio di ieri ha causato molti danni in diversi quartieri di Torino. Sono state decine le chiamate di richiesta di intervento dei vigili del fuoco.

Se Caravaggio accresce lo splendore di una magnifica mostra

Capodimonte da Reggia a Museo”, alla Venaria sino al 15 settembre

Roberto Longhi scrisse che “una brutalità e una pietà infinita si dilaniano in essa” mentre due storici del Sei e Settecento la definirono “la più bell’opera che già mai fatto habbia questo illustre dipintore” e ricordarono come “la nuova maniera di quel terribile modo di ombreggiare, la verità di que’ nudi, il risentito lumeggiare senza molti riflessi, fece rimaner sorpresi, non solo i dilettanti ma Professori medisimi in buona parte.” Adesso che la “Flagellazione di Cristo” è giunta alla Reggia di Venaria a completare le sessanta opere delle collezione Farnese e Borbone portate, secondo un ben preciso asse verticale artistico Napoli-Torino, sino alle porte del capoluogo piemontese dalla Reggia di Capodimonte, ultima “ciliegina” di tutte quelle promesse da Eike Schmidt, ex direttore del museo napoletano e mancato sindaco di Firenze in questi ultimi giorni, è doveroso riprendere il discorso intorno a una delle mostre più suggestive viste in questi ultimi anni, veramente ammirata, un panorama di bellezza, “Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol”, curata da Sylvain Bellenger e Andrea Merlotti, che sta entusiasmando visitatori e appassionati, riprenderlo al di là di quanto si scrisse tre mesi fa in occasione dell’inaugurazione alla presenza del ministro Sangiuliano. Un successone che sembra aumentare proprio con l’arrivo del Caravaggio, datato 1607 – tela commissionata (sappiamo di un acconto di duecento ducati, sappiamo di un completamento durante il secondo soggiorno napoletano, sappiamo di ripensamenti dei personaggi in special modo alla base della tela), commissionato da Tommaso de’ Franchis per la cappella di famiglia che Ferdinando Gonzaga gli donò nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli: in età moderna tre tentativi di furto e dal 1972 in consegna cautelativa portata a Capodimonte -, un Grande Vecchio che nei primi mesi di quest’anno ha avuto parecchi “scossoni” – il trasporto nella capitale francese per la mostra “Napoli a Parigi” con successivo ritorno, il prestito al Museo diocesano napoletano e ora il viaggio ulteriore per la mostra di casa nostra – e ha necessitato quindi di preoccupazioni e cure. Un lungo viaggio, ancora quest’ultimo, ad attraversare pressoché l’intera penisola, fatto di mille precauzioni, la continua osservazione dal satellite, un funzionario del ministero e i carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale in un accompagnamento senza sosta, un camion con la temperatura e l’umidità controllate e un rimorchio di grandi dimensioni per contenere una tela che misura 266 x 213; e ancora il parcheggio nella Citroniera e il posizionamento nella sala posta al primo piano della reggia, tramite una gru, che lo proteggerà sino al 15 settembre. La “Flagellazione” è sola nel vasto spazio, una stanza tutta per sé, a circondarsi di pubblico, a riempire gli occhi di chi guarda.

Nel periodo più tragico e combattuto della sua esistenza, fatto di risse e di processi, di un omicidio che lo costringe alla fuga da Roma, di una pena capitale che lo mette alla mercé di chiunque lo incontri, Caravaggio pensa ed esegue questo capolavoro, anche di forte natura simbolica, “quasi un passo di danza sul fondo di tenebra”, dove ferma i gesti dei tre figuri che circondano il Cristo alla colonna – già coronato di spine, la fronte bagnate da tre minuscole tracce di sangue, e chiuso nel proprio dolore fisico e in tutta la sua debolezza umana – e procura una grandissima drammaticità in quel contrasto della luce che scende da sinistra e delle ombre, che nelle opere di quegli anni reclamano insistentemente sempre più spazio, un corpo divino illuminato nel suo biancore a contrasto con la pelle brunita dei carnefici. Un corpo classicheggiante, plasticamente inteso e reso, a contrasto con la rozzezza e i grugni, con la bestialità degli aguzzini che gli sono a lato.

Per chi ama Caravaggio è un vedere e un tornare a vedere, un soffermarsi, uno studiare, uno scoprire tracce momenti particolari che appaiono nuovi, un entrare nella storia intima della tela. Ma chiaramente la mostra è La Grande Bellezza dell’arte italiana, è la scelta calibrata e necessaria e condotta con mano estremamente esperta da parte di chi offre a Torino quel percorso: anche se, nel rivedere le mostra e riandando ai viaggi fatti a Napoli, t’accorgi che un posto vuoto lo lasciano Brueghel il Vecchio (“La parabola dei ciechi”) o, allungandoci all’Ottocento, la “Luisa Sanfelice” di Toma, i Domenico Morelli e Boldini e De Nittis: si chiude con “Vesuvius” di Andy Warhol con immenso solluchero per i contemporanei.

Quel percorso ha tappe innumerevoli e importanti a cui fermarsi, “La crocifissione” di Masaccio e di Masolino la “Fondazione della chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma”, “San Gerolamo nello studio” di Colantonio (1445) per gustare i particolari di una pittura che guarda ai maestri fiamminghi e ai provenzali attivi alla corte di Renato d’Angiò, e poi Bellini con la luminosa e paesaggistica “Trasfigurazione” e Tiziano con “Danae” e “Papa Paolo III” in compagnia dei nipoti Alessandro, “Il Gran Cardinale”, e Ottavio, l’”Antea” del Parmigianino, serva o amante del pittore, forse donna sconosciuta che è l’allegoria della bellezza ideale, giustamente posta a immagine della mostra, Annibale Carracci e Guido Reni, Artemisia Gentileschi più “autobiografica” che mai nel tagliare la testa di Oloferne che con tutta probabilità ha le sembianze di Agostino Tassi, suo stupratore. Il giusto confronto da i due “Apollo e Marsia” di Jusepe de Ribera e Luca Giordano, il grandioso Solimena, l’Estasi di Santa Cecilia di Bernardo Cavallino, “La famiglia di Ferdinando IV di Borbone” firmato da Angelica Kauffmann sul finire del Settecento, al centro di un rigoglioso paesaggio, mentre i piccoli eredi accarezzano un cane, suonano l’arpa e giocano divertiti con un filo tra le mani.

Elio Rabbione

Al Forte di Bard Gino Cecchettin presenta il libro dedicato alla figlia

“Cara Giulia …”, ennesima vittima di femminicidio

Domenica 18 agosto, ore 21

Il viso dolce, sorridente e spensierato, ancora piacevolmente “segnato” dai tratti freschi e genuini dell’adolescenza; il berretto un po’ “a sghimbescio”, larga breccia a capelli scuri lasciati liberi d’incorniciarle il bel viso. Negli occhi la voglia, tanta voglia di vita, la generosità ben chiara di un’anima semplice e buona, affacciata a un mondo in cui riversare mille speranze e mille sogni. Tanti sogni. E’ questa l’immagine di Giulia Cecchettin, cristallizzata nel tempo dalle cronache (di quelle in cui non vorremmo mai più imbatterci) arrivata a noi, ai nostri occhi e ai nostri cuori per restarci a vita. Ed è questa anche l’immagine di copertina del libro a lei amorevolmente dedicato da papà Gino per ricordare l’unicità di quella figlia e il dolore (mai trasformato in odio e impenetrabile rancore) lasciato in eredità dalla scomparsa della piccola grande Giulia, vittima nel novembre scorso dell’amore “malato” del suo ex fidanzato, Filippo Turetta. Dal titolo “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia” (ed. Rizzoli), il libro (realizzato insieme allo scrittore padovano Marco Franzoso) sarà presentato domenica 18 agosto (ore 21) dallo stesso Gino Cecchettin, nell’ambito della rassegna “Incontri” – in collaborazione con la “Libreria Mondadori” di Ivrea – al valdostano “Forte di Bard”, nel corso di una serata guidata dal libraio Davide Gamba e dalla giornalista Cristina Mastrandrea.

“Con questo appuntamento il ‘Forte’ – sottolineano gli organizzatori – intende presentare, nell’ambito delle proprie iniziative culturali, una riflessione su una vera e propria piaga sociale nel tentativo di contribuire a costruire una società libera dalla violenza sulle donne, compiendo un passo verso quella necessaria rivoluzione culturale che può produrre un cambiamento reale”.

Giulia aveva solo 22 anni, era una studentessa di “Ingegneria Biomedica” dell’Università di Padova, prossima alla laurea, con discussione della tesi già fissata per il 16 novembre 2023. Sennonché, due giorni dopo, il 18 novembre, un sabato mattina poco prima di mezzogiorno, il suo corpo privo di vita (colpito da numerose coltellate alla testa e al collo) viene ritrovato dalla squadra cinofila della “Protezione Civile” del Friuli Venezia-Giulia in un anfratto roccioso nei pressi del lago di Barcis, nel Pordenonese. Di lei non si avevano più notizie dall’11 novembre. Da una settimana esatta, quando Giulia insieme all’ex fidanzato Filippo (oggi in carcere a Verona), si era recata in un “Centro Commerciale” di Marghera per acquistare un paio di scarpe in vista dell’ormai imminente cerimonia di laurea. L’ultima uscita con quel ragazzo che diceva di amarla e il cui amore era diventato ossessione. Ossessione senza limiti. Ossessione omicida. Orfana da soli pochi mesi della mamma Monica, Giulia lasciava in un oceano di disperazione papà Gino, la sorella Elena ed il fratello Davide e il suo caso, l’efferatezza del suo omicidio, turbò a tal punto le coscienze da diventare simbolo “in assoluto” del femminicidio, trasformando la manifestazione del 25 novembre contro la violenza sulle donne (contro i “figli sani del patriarcato e della cultura dello stupro”, come gridò ad alta voce la sorella Elena) in un’assordante “onda di rumore”.

Il libro, presentato a Bard, è parte di un progetto più ampio a sostegno delle vittime di violenza di genere (compresa la realizzazione in corso di una specifica “Fondazione” in memoria di Giulia) e contiene le parole di un padre che ha scelto di non restare in silenzio. Un appello potente alle famiglie, alle scuole e alle Istituzioni. Dal giorno dei funerali della figlia, Gino Cecchettin ha scelto di condividere il proprio dolore cercando di affrontarlo e renderlo costruttivo perché possa essere di aiuto alle giovani e ai giovani del nostro Paese. In questo libro, attraverso la storia di Giulia, si interroga sulle radici profonde della “cultura patriarcale” della nostra società.

“Giulia era una portatrice di valore aggiunto – ebbe occasione di dire papà Gino, presentando il libro nel maggio scorso al ‘Salone del Libro’ di Torino – ed io mi sono ispirato a lei per tutto quello che è venuto dopo. Lei negava la violenza sotto qualsiasi forma … Ho vissuto il suo valore per 22 anni e penso che gli italiani in una sola settimana abbiano capito chi sia stata e chi sia Giulia”.

L’ingresso all’incontro è gratuito.

Per info: tel. 0125/833811 – prenotazioni@fortedibard.it

Gianni Milani

Nelle foto di Laura Panno: Cover libro e Gino Cecchettin

Autonomia differenziata: un progetto che viene da lontano

Proviamo a fare chiarezza sulla bollente questione delle autonomie regionali.

E partiamo, come doveroso se vi vuole capire l’essenza del problema, da dati storici.

Realizzata l’unità d’Italia, lo Stato emanò la prima legge che regolamentava gli enti locali con L.20/3/1865 (“Legge Ricasoli”), ripartendo il territorio in provincie, circondari, mandamenti e comuni. Le provincie, in particolare, si configurarono come “sede di decentramento dell’amministrazione centrale” con a capo il prefetto, un funzionario nominato dal governo per verificare la rispondenza degli atti degli enti locali alle leggi statali.

I poteri degli enti locali furono fissati con un decentramento amministrativo con le leggi del 21 maggio 1908 n. 269 e la legge 4 febbraio 1915, n. 148 (i Testi unici delle leggi comunali e provinciali).

Nel Regno d’Italia, pertanto, le regioni non esistevano come enti territoriali.

La nascita delle regioni può essere fissata nel 1870, quando un certo Pietro Maestri raggruppò a fini statistici e didattici le provincie in “circoscrizioni territoriali”, rimpiazzando i precedenti compartimenti che ricalcavano gli stati preunitari.

Il termine “regione” apparve come sostituto del termine “compartimento” per la prima volta nell’Annuario statistico italiano del 1912. Fino a quel momento le regioni erano una pura espressione geografica, del tutto priva di contenuti in termini di compiti istituzionali e poteri amministrativi.

La nascita ufficiale delle regioni come enti territoriali risale al 1948, quando l’art.114 della Costituzione stabilì che “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”, precisando che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione.” (art. 115)

Si fissarono anche in 19 le Regioni: Piemonte; Valle d’Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzo e Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna. (art. 131)

A Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige/Südtirol (costituito dalle Provincie autonome di Trento e di Bolzano) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste furono concesse forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.

Peraltro l’innovazione rimase lettera morta per decenni, in assenza delle leggi ordinarie che precisassero con chiarezza, compiti, funzioni e poteri della nuova entità.

La svolta avvenne solo negli anni ’70, con un primo parziale trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni e con le prime elezioni che sancirono l’avvio dell’amministrazione decentrata e la realizzazione della prima autonomia (o, volendo usare una terminologia oggi ossessivamente usata negli slogan, si approvò un decreto “spacca Italia”).

L’impianto decentrato fu ulteriormente potenziato nel 2001 con legge costituzionale n. 3/2001 che riscrisse l’intero Titolo V della Costituzione, sovvertendo i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici.

Infatti l’art.114 venne riscritto come segue: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.”

La modifica sembra di poco conto, con la nascita delle città metropolitane e con l’inversione dell’ordine degli enti territoriali rispetto al testo originario fissato dai padri costituenti, ma in realtà fu l’inizio di una rivoluzione che creò enormi problemi nella ”coabitazione” fra potere centrale e potere locale, anche per la mancata chiarezza delle sfere d’influenza, con l’avvio di centinaia di contenziosi e cause presso il TAR.

Un primo, importante cambiamento riguarda la struttura dello Stato, non più identificato con la Repubblica ma come parte di quest’ultima, sullo stesso piano delle altre entità territoriali che la compongono. Un palese declassamento per valorizzare e potenziare l’autonomia locale. In quell’anno finì la posizione di primazia dello Stato, che fu spezzettato fra venti Regioni, un centinaio di Provincie, una decina di migliaia di Comuni.

Un secondo sostanziale cambiamento fu l’introduzione di nuove materie in cui le Regioni potevano ottenere autonomia, prevista dall’art.116 della Costituzione; e non in maniera e con procedura uniforme, ma ognuna per conto suo, su espressa richiesta da approvare con accordo con il governo da ratificare in Parlamento.

Le materie in questione sono:

  • quelle oggetto di “potestà legislativa concorrente”, (previste all’art.117 della Costituzione). Le materie in questione sono rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione professionale, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, alimentazione, protezione civile, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, previdenza complementare e integrativa, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
  • alcune tra quelle indicate al secondo comma dell’art. 117, ovvero organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Fu in quel momento, e non oggi, che nacque il cosiddetto “regionalismo differenziato”.

Insomma, la Costituzione è stata stravolta, ma ben pochi hanno protestato, anche perché la Costituzione stessa prevede, saggiamente, che il testo possa essere modificato, rispettando precise procedure!

Procedure rispettate anche con il disegno di legge presentato dal Ministro Calderoli ed approvato in via definitiva dal Parlamento nel giugno 2024, scatenando un movimento di pesante opposizione con raccolta di firme per indire un referendum abrogativo.

Ogni opinione è lecita, ma i fatti sono indiscutibili: la riforma è legittima, l’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione, è stata approvata vent’anni fa da governi diversi da quello attuale formati dai partiti che oggi vogliono bloccare il completamento della riforma del Titolo V della Costituzione da loro modificato…

Gianluigi De Marchi 

demarketing2008@libero.it

Prorogata la mostra “Palazzo Lascaris e i suoi abitanti”

La mostra storica e artistica intitolata “Palazzo Lascaris e i suoi abitanti”, allestita nelle sale del piano terreno di via Alfieri 15, è stata prorogata al 3 gennaio 2025. Orario di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 (festivi e 16 agosto esclusi). Ingresso gratuito.

In questi mesi (la mostra è stata inaugurata il 25 marzo) centinaia di persone hanno apprezzato le ricerche storiche e gli approfondimenti legati ai quattrocento anni di vita di uno dei più sontuosi e meno noti palazzi barocchi del centro di Torino, trasformato nel tempo da residenza aristocratica in sede di uffici. La mostra ha la curatela del direttore della Fondazione Cavour di Santena Marco Fasano ed è stata allestita grazie ai numerosi prestiti di oggetti e documenti forniti dalla Camera di Commercio di Torino. Ai visitatori viene dato in omaggio il catalogo.

Il presidente Davide Nicco e l’intero Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, che si è insediato lo scorso 22 luglio, ha deciso di prorogarne l’apertura per permettere ai nuovi consiglieri di conoscere la storia del palazzo che li ospiterà per i prossimi cinque anni ed anche per riaprire le visite alle scolaresche: al link http://www.cr.piemonte.it/prenotazionevisite/scuole/scegli-data le classi possono prenotare la visita gratuita il giovedì o il venerdì mattina tra il 26 settembre e il 20 dicembre 2024.