ilTorinese

Palzzo civico: vendonsi auto blu (e non) sul web

ARCHITETTURAAsta online per oltre 50 mezzi municipali

 

Asta pubblica telematica per altri cinquanta veicoli dell’autoparco comunale: auto, moto e furgoni che si aggiungono agli ottantadue mezzi la cui vendita era stata già deliberata la scorsa settimana. E’ arrivato il disco verde della Giunta al provvedimento proposto dall’assessore al Bilancio, Gianguido Passoni, che autorizza l’avvio delle procedure per la predisposizione del bando elettronico per gli altri veicoli messi in vendita da Palazzo Civico. 

 

Tra i cinquanta pezzi oggetto d’asta figurano tre Fiat Punto 1.2 (base d’asta 100 a 250 euro), quindici Fiat Stilo (base d’asta da 100 a 250 euro), tre Fiat Multipla Natural Power (base d’asta da 300 euro), tre furgoni Doblò (base d’asta 200 a 250 euro) e undici motocicli Aprilia Pegaso 650 (base d’asta 200 euro).

 

L’asta elettronica si svolgerà entro la fine del mese di novembre. Chi è interessato a parteciparvi potrà, tra qualche giorno e collegandosi al sito web del Sistema di negoziazioni elettroniche per Pubblica Amministrazione piemontese, all’indirizzo https://acquistionlinepiemonte.bravosolution.com , prendere visione delle caratteristiche dei mezzi in vendita e scegliere quello che più risponde alle proprie necessità. 

 

Poi dovrà presentare un’offerta preliminare insieme alla documentazione richiesta. Dopodiché, nel corso di una seduta pubblica si apriranno le buste. Le migliori offerte pervenute per ogni singolo mezzo determineranno l’importo a base di gara per la successiva asta elettronica, procedura on line mediante la quale saranno aggiudicati i diversi mezzi ai concorrenti che avranno presentato l’offerta più alta.

 

(mge – www.comune.torino.it – Foto: il Torinese)

Turin Marathon e StraTorino, domenica si corre

marathonIl percorso parte da piazza San Carlo e arriva in piazza Castello, lungo un tracciato che si snoda per gran parte in città con passaggi a Moncalieri, Nichelino e Vinovo

 

Si correrà domenica 16 novembre la 28a. edizione della Turin Marathon. Il percorso parte da piazza San Carlo e arriva in piazza Castello, lungo un tracciato che si snoda per gran parte in città con passaggi a Moncalieri, Nichelino e Vinovo. Sono in programma anche la StraTorino (7,5 chilometri con partenza e arrivo in piazza San Carlo) e la Junior Marathon, una volata tutta dritta di un chilometro, da piazza Carlo Felice a piazza Castello, dedicata ai bambini fino ai 12 anni.

 

Tra gli eventi collaterali la mostra fotografica di Franco Mauro e delle opere dell’artista-maratoneta Jean Paul Charles, visitabile nella Sala mostre del Palazzo della Regione. L’ente ospita anche venerdì 14 alle 10.30 Luciano Gigliotti, storico allenatore dei maratoneti azzurri, che presenta il suo libro “Mi chiamavano professor fatica”.

 

C’è una Torino vincente a 500 milioni di km dalla Terra

ROSETTA1ROESTTA GARDINILa missione era partita per lo spazio il 2 marzo 2004, e la progettazione era iniziata vent’anni fa. Dal veicolo madre è stato sganciato il lander Philae, atterrato sulla cometa. Con una trivella unica al mondo (made in Torino) si potranno effettuare i carotaggi che renderanno possibili i più importanti esperimenti programmati

 

La missione spaziale Rosetta vede un’ampia partecipazione piemontese dal punto di vista tecnologico.Dopo aver viaggiato per 10 anni nello spazio, il lander di Rosetta, sonda dell’Agenzia spaziale europea è atterrato sulla cometa 67P  Churyumov-Gersimenko per raccogliere campioni per spiegare i misteri della nascita dell’Universo. Bruno Gardini, (nella foto) piemontese della provincia di Cuneo, project manager per 15 anni del progetto ha raggiunto un traguardo senza precedenti nella storia: l’atterraggio di un modulo terrestre su una cometa a 500 milioni di chilometri dalla Terra ed a 600 milioni di chilometri dal Sole.

 

La missione Rosetta era partita per lo spazio  il 2 marzo 2004, e la progettazione era iniziata vent’anni fa. Dal veicolo madre Rosetta è stato sganciato il lander Philae, atterrato sulla cometa. Con una trivella unica al mondo (made in Torino) si potranno effettuare i carotaggi che renderanno possibili i più importanti esperimenti programmati. Rosetta e Philae lavoreranno in sinergia inviando una valanga di dati sulla Terra.

 

Il lander Philae è «saldamente ancorato» al nucleo della cometa 67/P , è atterrato a soli 4 centimetri dal punto previsto: sono le ottime notizie dal centro di controllo di Philae a Colonia, trasmesse nella diretta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). «Confermiamo che il lander è sulla superficie della cometa», ha detto il responsabile delle operazioni della missione Rosetta, Andrea Accomazzo, dal centro di controllo dell’Esa a Darmstadt.

 

Gardini ha evidenziato “il contributo italiano preminente con Thales Alenia Space che a Torino ha proceduto all’integrazione del veicolo spaziale e poi con Selex Galileo, le Università di Padova e Federico II di Napoli e l’Istituto nazionale di astrofisica di Roma”.«Da una parte sono sollevato – aggiunge il project manager – ma adesso bisogna fare qualche passo in più e speriamo che vada tutto bene. Ora l’importante sono i risultati scientifici, quello sarà il momento cruciale, quello che io, e non solo io, aspetto con ansia”.

 

ROSETTA, I MISTERI DELLE COMETE

 

Obiettivi Scientifici

Il principale obiettivo scientifico della missione è la comprensione dell’origine delle comete e delle relazioni tra la loro composizione e la materia interstellare quali elementi fondamentali per potere risalire alle origini del Sistema Solare. La ricerca di materiali inalterati si ottiene tramite l’esplorazione cometaria poiché le zone esterne del Sistema Solare contengono materiale ricco di sostanze volatili che non è stato processato nelle zone interne caratterizzate da alte temperature. L’esplorazione della cometa consiste nella caratterizzazione del suo nucleo e della chioma, la determinazione delle loro proprietà dinamiche, lo studio della morfologia e della composizione. In particolare, lo studio della mineralogia e dei rapporti isotopici degli elementi volatili e refrattari del nucleo fornirà informazioni preziose sulla composizione della nebulosa che, nei modelli correnti, si pensa sia stata all’origine del Sistema Solare. Per raggiungere questi obiettivi la navicella orbiterà a lungo attorno alla cometa, seguendola nel suo viaggio di avvicinamento e poi di allontanamento dal Sole, mentre il lander Philae, una volta atterrato sulla cometa, permetterà di effettuare misure in-situ e di campionare del materiale alla superficie del nucleo per una analisi chimico-mineralogica dettagliata.

 

Contributo Italiano

La partecipazione italiana alla missione Rosetta consiste di tre strumenti scientifici dell’orbiter: VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer) il cui PI è il Dott. Fabrizio Capaccioni dell’IAPS (INAF Roma), GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) il cui PI è la Dott.ssa Alessandra Rotundi dell’Università “Parthenope” di Napoli e la WAC (Wide Angle Camera) di OSIRIS del Prof. Cesare Barbieri dell’Università di Padova (PI Dr. Holger Sierks, MP Institute fur Sonnensystem). A bordo del lander, è italiano il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni (SD2), realizzato da Galileo Avionica ed il cui PI è la Prof.ssa Amalia Ercoli Finzi del Politecnico di Milano, ed il sottosistema dei pannelli solari (Politecnico di Milano). L’Italia ha anche fornito manpower al Lander Project Team.

 

(Fonte: www.asi.it)

 

A Caporetto, quasi un secolo dopo l’ultima battaglia sull’Isonzo

caporettocaporetto museocaporetto2caporetto civilicaporetto5caporetto6caporetto8C’è un modo per capire cosa sia successo, come venne combattuta quella guerra e quali furono le posizioni dell’esercito italiano in questa porzione di territorio? Sì, c’è: visitando il Museo all’aperto del Kolovrat, “la terza linea di difesa italiana“, sull’omonimo altopiano al confine tra Italia e Slovenia

 

 

 REPORTAGE DI MARCO TRAVAGLINI

 

 

Nel periodo tra maggio 1915 e novembre 1917, il Friuli Venezia Giulia e la confinante Slovenia furono teatro di scontro tra gli eserciti italiano e austro-ungarico che si fronteggiarono duramente per molti mesi. Carso, Isontino, Alpi e Prealpi Giulie, Alpi Carniche e la zona collinare lungo la linea del Tagliamento furono il teatro di guerra , mentre tutta la zona di pianura diventò una grande retrovia al servizio delle forze armate per poi venir invasa dalle truppe austro-germaniche dopo la disfatta di Caporetto. Venire fin qui , un secolo dopo, aiuta a capire un po’ di più quella terribile vicenda storica. E poco importa se ci tocca guidare per gran parte dei quasi seicento chilometri (Domenico non ha la patente, Giovanni ci vede poco ed Enrico non  ama stare al volante…pazienza). La pioggia invece, seppur indesiderata, è ospite fissa e ci accompagnerà per tutto il tempo.

 

 

Nelle valli del Natisone

 

Siamo nelle valli del Natisone (“Benečija” o “Nediske Doline” nel dialetto sloveno locale) , nella parte più orientale del Friuli Venezia Giulia. Un territorio che collega Cividale , l’antica Forum Julii romana, alla valle dell’Isonzo in Slovenia. In mezzo scorre  il Natisone (Nadison in friulano, la  Nediža in dialetto sloveno locale ) , il più importante  fiume del Friuli orientale mentre nel ventaglio delle altre valli scrosciano le acque dei suoi affluenti: l’Alberone, il Cosizza e l’Erbezzo. Su tutto e tutti domina il monte Matajur (1641 m) , dalla cui cima erbosa si può vedere l’Adriatico. Un territorio montano, ricco di fascino, dove piccoli borghi si alternano a boschi imponentidove, un secolo fa, si combattè furiosamente durante la Prima Guerra Mondiale.

 

 

Kolovrat, “la terza linea di difesa italiana”

 

C’è un modo per capire cosa sia successo, come venne combattuta quella guerra e quali furono le posizioni dell’esercito italiano in questa porzione di territorio? Sì, c’è: visitando il Museo all’aperto del Kolovrat, “la terza linea di difesa italiana“, sull’omonimo altopiano al confine tra Italia e Slovenia. Lo raggiungiamo percorrendo la strada provinciale 45 che, partendo da Ponte San Quirino, località tra Cividale e San Pietro al Natisone, arriva a Drenchia, il più piccolo comune della regione per numero di abitanti, formato da diverse frazioni e borghi e posto sulla cresta di un anfiteatro morenico ai confini con la Slovenia. Si parte dal Passo Solarie, uno dei tanti valichi confinari del Cividalese, che collega la Val Cosizza con l’abitato sloveno di Volzana e quindi con la valle dell’Isonzo.

 

Il primo caduto italiano della Grande guerra

Nei pressi del rifugio s’incontra un monumento. E’ una piccola piramide tronca, posta su una roccia ai lati della strada, sormontata dalla sagoma in ferro di un’aquila in volo. Un’epigrafe recita:”Qui / gli Alpini del Cividale / caricate le armi / balzavano incontro / alla morte e alla gloria / offrendo sull’are / della Patria / il primo caduto / nella Grande Guerra / Riccardo di Giusto / 24 maggio 1915″. Sì, perché il ventenne alpino friulano del Battaglione Cividale, è stato la prima vittima italiana “ufficiale” della guerra del ’15-’18. Alle due di notte del 24 maggio 1915, appena dichiarata la guerra all’Impero d’Asburgo, l’esercito italiano mosse i primi passi all’interno del territorio austro-ungarico. Riccardo di Giusto ebbe il compito, assieme alla sua colonna, di occupare la cima del Monte Natpriciar ma un colpo di fucile sparato dai gendarmi disposti lungo il valico di Solarie lo uccise all’istante. Per questo motivo gli fu immediatamente conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Seppellita nel piccolo cimitero di San Volfango, una delle tante frazioni di Drenchia, ai piedi dell’altopiano, nel 1923 la salma fu traslata all’interno del Tempio Ossario di Udine dove riposa tutt’ora.

 

Tra le trincee del museo all’aperto

Proseguendo in leggera salita s’incontra un pannello informativodedicato alla presentazione del museo. Da quel punto si procede fino al Passo Zagradan, a quota 1042. Sulla sinistra si intravede il fianco del Monte Piatto mentre a destra si trova il Monte Klabuk, la cima dove la Fondazione “Poti miru v Posočju” di Caporetto (Sentieri di pace dell’Alto Isonzo) ha recuperato parte delle postazioni di difesa italiane. Seguendo le tracce sul terreno è possibile raggiungerlo ed ammirare da vicino questi interessanti resti perfettamente conservati e ristrutturati. Il museo all’aperto Na Gradu è sistemato sulla cresta del Kolovrat. Da qui si apre una bella veduta panoramica sul fronte che spazia dal massiccio del Krn (Monte Nero) alla Sveta Gora (Monte Santo) ed alla pianura friulana. Praticamente su tutta la linea del fronte della II armata comandata dal generale Cappello e composta da circa 800 mila uomini. Vi si trovano posti di comando e di osservazione, postazioni di mitragliatrici e di cannoni, caverne e una rete di trincee e di camminamenti a pi� piani. La particolarità degli interventi di recupero di queste posizioni consiste nell’impiego di materiale edile originale (reti metalliche per consolidare le scarpate, lamiera ondulata, lastre di ardesia) risalente all’epoca della prima guerra mondiale. E’ un lavoro eccellente di recupero e manutenzione quello che interessa le posizioni italiane del versante sloveno del Kolovrat, soprattutto trincee e ricoveri in caverna che avevano funzioni di difesa del passo Zagradan e, in generale, quelle di caposaldo della linea d’Armata nel tratto del Kolovrat. Tornati sul passo la visita alla terza linea di difesa italiana continua sul vicino Monte Piatto. Anche qui, sul sentiero che segue la sua dorsale, si vedono i resti di piazzole d’artiglieriaed i ruderi di alcuni edifici. Al ritorno, anziché scendere nuovamente dalla parte di Drenchia, ci si dirige verso Clabuzzaro e da lì fino alla piccola frazione di SanVolfango dove sorge un grande monumento ai caduti nel luogo in cui era stato costruito un cimitero militare.

 

Gadda e Rommel

Sul monte Krasij, a nord di Caporetto,  si trovava anche il battaglione degli alpini  del sottotenente Carlo Emilio Gadda, uno dei più grandi scrittori del Novecento. Dall’altra parte della barricata si distinse un giovane tenente tedesco del Regio esercito del Württenberg che si chiamava Erwin Rommel. Sì, proprio “quel” Rommel che sarebbe diventato in seguito famoso come “la volpe del deserto”, guidando con il grado di Feldmaresciallo l’Afrikakorps nella seconda guerra mondiale. La sua abilità militare era davvero straordinaria. Con il suo gruppo di soldati del Württenberg , Rommel avanzò sul Kolovrat e conquistò il monte Matajur, la cima più alta delle Valli del Natisone. In meno di due giorni contribuì alla disfatta italiana, catturando migliaia di soldati  del Regio esercito durante la dodicesima battaglia dell’Isonzo.

 

 

La medaglia negata a Pertini

Durante l’’Undicesima battaglia dell’Isonzo, combattuta tra il 17 e il 31 agosto del ’17 sul fronte delle operazioni italiano, si mise in luce anche un socialista che aveva osteggiato la guerra e, dopo aver rifiutato il corso per ufficiali, era stato assegnato all’artiglieria: Sandro Pertini. Il capo di stato maggiore italiano, il pallanzese Luigi Cadorna, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe sull’Isonzo: 600 battaglioni (52 divisioni) con 5.200 pezzi d’artiglieria. L’attacco venne sferrato su un fronte che si estendeva da Tolmino (nella valle superiore dell’Isonzo) fino alle coste dell’Adriatico. Ma fu sull’altipiano della Bainsizza che il combattimento fu aspro e sanguinoso, fino a conquistare quel territorio e il Monte Santo. Richiamato come sottotenente, il giovane Pertini si distinse per una serie di atti di eroismo e venne proposto per la medaglia d’argento al valore militare per aver guidato, in quella battaglia, un assalto al monte Jelenik, espugnando con pochi uomini delle postazioni austro-ungariche difese da mitragliatrici. La medaglia, però, non venne approvata subito e, successivamente, il regime di Mussolini occultò la notizia, dato che Pertini era socialista e antifascista. La richiesta di medaglia venne riscoperta quando Pertini venne eletto Presidente della Repubblica Italiana ma gli venne consegnata solo nel 1985 allo scadere del suo mandato.

 

Kobarid/Caporetto

Il Kobariški muzej, il museo di Caporetto si trova al numero 10 di Gregorčičeva ulica a Kobarid, in Slovenia. In quello stesso edificio si trovava la sede del tribunale militare italiano durante la Grande guerra.  Fuori il cielo è grigio e minaccia pioggia ( più tardi, infatti, pioverà). Dentro nelle sale si può visitare la mostra permanente corredata di carte geografiche che rappresentano i fronti aperti in Europa durante la prima guerra mondiale e le modifiche dei confini politici apportate a guerra finita.  Ci sono le bandiere, i ritratti di combattenti delle diverse nazionalità, persino  le pietre tombali recuperate nei cimiteri militari dell’Alto Isonzo. Questo paese di circa quattromila abitanti,  sorto all’incrocio delle due vallate dell’Isonzo e del Natisone che mettono in comunicazione il Friuli con la Carinzia, a causa della sua posizione  fu teatro di molteplici scontri e guerre. Nella sua piazza , nel corso dell’ultimo secolo, vennero issate dieci bandiere diverse. Sì, perché  Caporetto (Kobarid in sloveno, Cjaurêt in friulano, Karfreit in tedesco), oggi è territorio sloveno ma  le distanze dal confine italiano non sono grandi. Da Cividale sono 27 chilometri, 44 da Udine, 50 da Gorizia e Tarvisio.

 

Caporetto, sinonimo di catastrofe

La località principale, Caporetto, sede comunale, conta poco più di mille abitanti ma il  comune è formato da ben  22 località: la più popolata è , appunto, il centro omonimo, mentre quella con meno persone che ci vivono  è Magosti (Magozd) , dove i residenti sono una sessantina. Posta in posizione strategica nell’alta valle dell’Isonzo, cambiò spesso – nel corso di un secolo – i colori delle  bandiere sulla sua piazza principale. Ma il suo nome è tristemente famoso per la battaglia della prima guerra mondiale che si combatté in queste zone tra il 24 ottobre e il 26 ottobre del  1917, tra le truppe italiane e quelle austriache, e si concluse con la celebre rotta delle truppe italiane che si dovettero ritirare fino al Piave perché erano naufragati i piani per la difesa delle posizioni, essendo la strategia del Regio Esercito basata esclusivamente sull’offensiva. Caporetto, da allora, è diventato sinonimo di catastrofe. L’immagine che balza in mente è quella di un disastro dai costi umani altissimi: 10.000 morti, 30.000 feriti, 300.000 prigionieri, 350.000 sbandati e disertori. Furono abbandonati o persi nella ritirata due terzi dei grossi calibri d’artiglieria, metà dei medi e due quinti dei pezzi leggeri. Non solo: sul campo restarono 1700 bombarde, 3000 mitragliatrici e un’enorme quantità di munizioni, viveri e rifornimenti di ogni genere. Il tutto avvenne in una situazione dominata dal caos, con diserzioni e fughe che sfociarono anche in fucilazioni. Un vero e proprio macello. Basta recarsi sul Colle di Sant’Antonio che domina la conca di Caporetto per vederne le tracce indelebili. Lì c’è il sacrario dei militari italiani. In quell’ossario furono traslate le salme di 7014 soldati italiani, noti ed ignoti, caduti in quelle battaglie. I loro nomi sono incisi in lastre di serpentina verde. Ai fianchi della scalinata centrale sono disposti i loculi contenenti i resti di 1748 militi ignoti.

 

“Il Carso, spazzato dai venti..”

La visita al Museo ci accompagna sul fronte isontino  e la storia è esposta in quattro grandi sale  ( quella del Monte Nero, la sala Bianca, quella delle retrovie e la sala Nera)  e, al secondo piano,  nella caverna. Nella sala Monte Nero si incontra il periodo iniziale degli scontri lungo l’Isonzo avvenuti dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio del 1915. Gli alpini italiani conseguirono la prima brillante vittoria del fronte isontino con la conquista della cima del Monte Nero (2244 m) strappato dalle mani dei difensori ungheresi. Al centro di questa sala è collocata una riproduzione plastica su scala 1:1000 del Krn (Monte Nero, della Batognica (il Monte Rosso) e delle cime limitrofe. Proseguendo nella sala Bianca  prendono corpo le indicibili sofferenze patite dai soldati che fecero la guerra  nel duro ambiente delle montagne per ventinove mesi. Il Carso, “fatto di roccia che riflette il calore, spazzato dai venti, privo d’acqua quando non allagato, difficile da percorrere camminando e ancor più correndo, era l’ultimo posto del pianeta dove andare a combattere una guerra di trincea”, viene descritto dallo storico inglese Mark Thompson nel suo libro “La guerra bianca”, come un vero e proprio luogo infernale.

 

Retrovie, parola magica

La sala delle Retrovie descrive la realtà della zona a ridosso del fronte isontino : un vero e proprio formicaio di centinaia di migliaia di soldati ed operai dislocati lungo la linea compresa tra il Rombon ed il golfo di Trieste. Del resto il congegno militare di ambedue gli eserciti  richiedeva una ragnatela di postazioni, strade, acquedotti, funicolari, ospedali, cimiteri, officine, case di tolleranza e tanto altro ancora. “Retrovie”, quasi una parola magica che equivaleva a  riprender fiato, dormire, acqua pulita, cibo, fine o almeno pausa  della paura, divertimento. E tutto in attesa di ritornare nel fango e nel fuoco delle trincee. Nella sala Nera– la sala del monito –  si conclude la descrizione di questa guerra assurda  con i ritratti degli alpini che pregano prima di andare in battaglia, dalla porta d’ingresso di una prigione militare italiana, dall’affusto di un cannone abbandonato su una rovina di sassi e rottami di ferro e dalle fotografie disposte nella parte superiore a rappresentare gli orrori della guerra.

 

”Se tu verrai quassù fra le rocce..”

 

Al secondo piano è esposto il materiale riguardante l’evento conclusivo del fronte isontino, la 12° battaglia dell’Isonzo, quella di Caporetto, consumatasi in due settimane tra il  24 ottobre  e il  9 novembre 1917. Da parte austro-ungarica si  rivelò come la prima azione riuscita di guerra-lampo (blitzkreig) nella storia bellica e l’azione di sfondamento meglio riuscita della prima guerra mondiale. Una riproduzione plastica di 27mq che rappresenta l’Alto Isonzo su scala 1:5ooo, illustrando ai visitatori del museo la portata di quest’operazione mentre gli spostamenti e gli schieramenti delle unità combattenti sono riprodotti su grandi carte geografiche, accompagnate  da una ricca collezione di fotografie  che illustrano i preparativi e lo svolgimento della battaglia. Si tratta per lo più di fotogrammi originali scattati  nella seconda metà dell’ottobre del ‘17 e nei primi giorni della battaglia. C’è anche un filmato di una ventina di minuti,  disponibile in undici lingue mentre è particolarmente toccante la riproduzione sonora della lettera scritta al padre da un soldato collocato nella “caverna italiana” scavata sul massiccio del monte Nero. Il contenuto della lettera e l’accompagnamento musicale ( la popolare canzone friulana “Stelutis alpinis”, stelle alpine) non lasciano indifferenti , inducendo a meditare sulle angustie e le sofferenze umane vissute dai soldati di ambedue gli schieramenti. Ascoltiamo in silenzio le prime strofe della canzone che recitano:”Se tu verrai quassù fra le rocce,dove fui sotterrato,troverai uno spiazzo di stelle alpine bagnate del mio sangue. Una piccola croce è scolpita nel masso; in mezzo alle stelle ora cresce l’erba; sotto l’erba io dormo tranquillo”.

 

Non un museo di guerra ma dell’uomo

 

Il prof.Branko Marusic, è uno storico sloveno che conosce le vicende del Novecento in queste terre a cavallo dell’Isonzo come le sue tasche. Per ventidue anni ha diretto il  Goriški muzej di Nova Gorica e ha contribuito all’allestimento delle sale storiche di Kobarid.Il museo di Caporetto non è un museo di guerra, bensì dell’uomo e delle sue angustie”,ha scritto. Aggiungendo:”Non è un museo della vittoria e della gloria, delle bandiere liberate o calpestate, della conquista e della vendetta, del revanscismo o dell’orgoglio nazionalistico. In prima fila sta l’uomo, colui che ripete ad alta voce oppure tra sé e sé, a se stesso oppure ai compagni di sventura esprimendosi nelle diverse lingue del mondo: “Maledetta guerra!” In questa concisa imprecazione sta la fondamentale testimonianza del museo di Caporetto, il suo successo ed il suo diritto e la necessità di esistere e progredire”. Usciamo dal Kobariski muzej mentre il cielo ha ricominciato a buttar giù una pioggia fredda e intensa. Tutt’attorno la vita scorre tranquilla all’ombra delle cime del Monte Nero, del Matajur e dello Stol, mentre scorrono le acque verde cupo dell’Isonzo e quelle un po’ torbide del Natisone  nello stupendo paesaggio delle Alpi Giulie . Questa località oggi attira i turisti che rifuggono dagli affollati centri turistici per dare la preferenza ad un ambiente tranquillo che offra possibilità di passeggiate o di attività sportive per il tempo libero. Eppure questi  rilievi montuosi  sono lì, come  taciti testimoni di quegli eventi di cent’anni fa che resero noto nel mondo il nome di Kobarid, Caporetto, Karfreit.

 

Marco Travaglini

 

Forza Italia Giovani: “Più tasse con Chiamparino”

forzaa italiaIrpef, Varaldo (FI): “Arriva la manovra Chiamparino, colpito pesantemente il ceto medio e contraddetto l’impegno di non aumentare le tasse” 

 

“Lo chiede il Governo” così Chiamparino giustifica la manovra varata ieri dalla giunta che porterà i cittadini piemontesi a pagare complessivamente 73 milioni in più. Aumenta pesantemente l’addizionale Irpef, al livello massimo per chi guadagna oltre 55mila euro. Ma ad aumentare è anche il bollo dell’auto ed arriva l’imposta sulla caldaia. Il gettito previsto nel 2015 è di almeno 100 milioni. Fa riflettere che nemmeno un mese fa Chiamparino annunciò che non avrebbe mai aumentato le tasse ed oggi propina ai piemontesi un salasso fiscale. La verità é che per questa politica i cittadini servono solo a fare cassa e devono essere a totale servizio dello Stato. La manovra succhia sangue al ceto medio provocando senz’altro immediate ripercussioni negative sui consumi e sulla nostra economia. I piemontesi sono stufi di essere il bancomat di una regione che ha ancora troppi sprechi all’interno della spesa pubblica regionale”. Lo afferma in una nota Tommaso Varaldo, Coordinatore dei giovani di Forza Italia di Torino.

Torino è come la Cavallerizza Reale

mole cavallerizzacavallerizzacav moleNoi sogniamo una Cavallerizza rimessa a nuovo, destinata ad accogliere eventi di portata internazionale come quelli che hanno appena coinvolto tanti nostri concittadini. Però, al di là di ciò che ci immaginiamo, vorremmo almeno che chi abbiamo eletto per prendere delle decisioni lo facesse

 

Tutti i torinesi conoscono, o dovrebbero, il complesso di edifici che, dal retro del Teatro Regio, si sviluppano a lato di via Verdi e arrivano in via Rossini. Si tratta della Cavallerizza Reale, patrimonio dell’umanità e meraviglioso esempio architettonico di complesso urbanistico per funzioni burocratiche: progettato nel 1673 dal Castellamonte e poi completato con i contributi di personaggi del calibro di Juvarra, Alfieri, Melano e Mosca.

 

Purtroppo la Cavallerizza però si ripropone su giornali e attualità per variegate ed inutili, se non negative, situazioni spesso di degrado: è cronaca il tentativo di vendita di alcune sue parti, andato deserto più volte, da parte del Comune; è cronaca l’occupazione da parte di vari e soliti personaggi di altre sue parti; è cronaca infine l’incendio che la scorsa estate ha danneggiato la struttura.

 

Non è il caso di aggiungersi nella discussione ad infiniti blog, convegni, comitati, atti pubblici, ordini del giorno (dalla Circoscrizione Uno al Comune di Torino, alla Regione Piemonte un po’ tutti i livelli amministrativi ne hanno parlato), ma si può piuttosto provare a fare una riflessione amara sull’edificio, che rappresenta perfettamente un certo atteggiamento (perdente) della Città di Torino.

 

Ci stiamo proponendo come capitale dell’Arte contemporanea; ci stiamo sforzando di inventarci una vocazione turistica, con discreti risultati; ci stiamo quasi convincendo (sì, anche noi “chiusi torinesi”) che il posto in cui viviamo sia bello e meritevole di attenzioni. Eppure ci ricordiamo sempre tutti del fatto che Torino sia stata Capitale del Regno d’Italia, capitale della moda ad inizio Novecento, del cinema poco dopo, della televisione poco dopo ancora… e che tutte queste “invenzioni”, questi “ruoli di spicco” ci siano poi stati scippati da qualcun altro, in breve tempo. Un sentimento un po’ nostalgico ed un po’ risentito, di cui però, come spesso accade in queste situazioni, è da imputare solo al nostro “approccio al patrimonio che abbiamo”.

 

E’ un problema italiano, non solo locale, ma qui da noi sembra essere un’eccellenza del territorio. La Cavallerizza sarebbe da valorizzare come la Reggia di Venaria (un grande merito del primo Ghigo, portato avanti indistintamente dalla amministrazioni successive) e non dovrebbe costituire un problema. Si discute a volte sulla sua finalità, pubblica o privata, e su quanto le malconce casse comunali non possano permettersela: ma non si centra il problema. La si lascia occupare e stuprare, con concerti e degrado, abbandonandola in un’area che nessuno considera (via Verdi) e che è quasi diventata il “retro” di una via del centro secondaria (via Po) per quanto bellissima.

 

E così noi organizziamo Artissima, Paratissima, Photissima, The Others, mille progetti interessanti e diffusi sul suolo comunale, quando potremmo avere un centro unico e irripetibile (nel mondo) che fonda storia e contemporaneità. Solo un minimo esempio di ciò che potrebbe essere ciò che resta dietro i resti dell’Accademia Reale.

 

Ma ci siamo mai chiesti perché altre città ci abbiano rubato tante nostre creazioni così innovative e meravigliose? Perché offrono di più e ci credono di più. Perché investono e innovano, valorizzando ciò che hanno e non tenendo i soldi in saccoccia. Noi qui, per fare un parcheggio sotterraneo o un grattacielo, siamo arenati nelle discussioni e innamorati di un effetto NIMBY (“not in my backyard) che non ci lascia vedere anche nei ruderi del passato un futuro possibile. Il recupero si deve limitare ad un restauro, ad una diversa destinazione nel caso più ardito, ma sempre e comunque in un eterno processo di confronto tra mille particolarismi.

 

Noi sogniamo una Cavallerizza rimessa a nuovo, destinata ad accogliere eventi di portata internazionale come quelli che hanno appena coinvolto tanti nostri concittadini. Però, al di là di ciò che ci immaginiamo, vorremmo almeno che chi abbiamo eletto per prendere delle decisioni lo facesse. E smettesse di tenere, sempre più cadente, in pieno centro un fantasma che ci ricorda tutti i nostri difetti.

 

Giovanni Vagnone

 

(Foto: il Torinese)

Il venerdì nero dei trasporti: occhio alle fasce orarie

TRAM GMADRELo sciopero indetto dai Cobas coinvolgerà aerei, treni e il trasporto pubblico locale

 

È in programma per tutta la giornata di venerdì 14, in fasce orarie differenti a seconda dei mezzi pubblici,  il nuovo sciopero generale dei trasporti indetto dai Cobas e da altre sigle sindacali (tra cui Usb e Cub) in segno di protesta contro le politiche del governo. Chi dovrà spostarsi con i mezzi di trasporto pubblico andrà incontro a possibili (probabili) disagi.

 

Treni
La mobilitazione riguarderà per l’intera giornata il servizio ferroviario: Trenitalia garantirà unicamente i servizi minimi nel trasporto locale dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21, insieme con alcuni treni a lunga percorrenza.

 

Voli aerei
Incrociano le braccia per l’intera giornata anche i lavoratori del comparto aereo. Nel dettaglio, la protesta degli assistenti di volo di Easyjet durerà 24 ore, quella del personale di Techno Sky dalle 8 alle 12, mentre quella dei dipendenti Alitalia – Cai dalle 12 alle 18.

 

Trasporto pubblico locale
Modalità diverse a secondo delle città, a Torino la protesta influirà sui servizi di Gtt dalle 18 alle 22.

 

(Foto: il Torinese)

Pasticcio Tav, la telefonata di Renzi: “Voglio chiarezza”

Il ministro Lupi: “confermo davanti al Parlamento che le spese sono statie fissate”

 

messori

 

Telefonata del Premier Matteo Renzi al senatore Pd Stefano Esposito, di prima mattina: “Ore 7,45,  Renzi in partenza per l’Australia, per chiedermi notizie sulla mia posizione sul tema dei costi Tav”. A scriverlo è lo stesso parlamentare torinese, su Facebook. Dice  Esposito. “Mi ha chiesto entro oggi una nota puntuale e mi ha dato appuntamento, al suo rientro dall’Australia, tra martedi’ e mercoledi’ per fare il punto e chiarire quanto avvenuto. Dopo la pessima giornata di ieri un segnale di attenzione che mi conferma di aver fatto bene a non arrendermi alla superficialita’ sui costi della Torino-Lione.Non posso che ringraziare il presidente Renzi per l’attenzione”. In effetti la vicenda dei costi della Tav è un gran pasticcio.

 

«Il costo finale della Torino-Lione non è ancora determinabile con precisione: ci sono fattori ancora incerti e soltanto quando ci sarà una certificazione si potrà stabilire con certezza». È quanto afferma Marcello Messori (nella foto) presidente del gruppo Fs durante l’audizione alla commissione Trasporti del Senato sui costi  lievitati o presunti tali non si sa della Torino-Lione.

 

Per Messori esiste anche incertezza sui ricavi futuri dell’opera perché l’analisi costi benefici è stata fatta prima della crisi e ora il quadro è cambiato decisamente. Comunque l’opera è tra quelle considerate  strategiche dall’Ue e proprio per questo motivo è indispensabile una certificazione terza per poter chiedere fondi all’Ue.  

 

Sulla necessità dell’opera non ha dubbi il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi: “Tra le priorità del Governo c’è la Torino-Lione e confermo che i costi sono stati fissati e che a febbraio-marzo su questi costi Francia e Italia chiederanno il co-finanziamento all’Europa”. Lo ha detto ieri in Parlamento.

Il Comune cerca un palazzo unico (senza costruirne uno nuovo)

palazzo civicoServe un edificio adatto allo scopo, che non necessiti di eccessive ristrutturazioni. Si parla con una certa insistenza dello stabile  di corso Ferrucci, ex Fiat

 

Non si arriverà a tanto. No, il Comune non costruirà come la Regione, un suo grattacielo in cui raccogliere tutti gli uffici e i dipendenti. Ma un minimo di razionalizzazione dei costi è necessaria, in questo clima di crisi nera. E così l’intento di Palazzo Civico è quello di vendere almeno due dei propri palazzi trasferendo  circa 1.500 degi 12mila mila dipendenti municipali in un unico edificio comunale, non ancora meglio identificato.

 

Il Comune ha avviato una «call» pubblica e a partire dai prossimi giorni cercherà sul mercato immobiliare torinese  un palazzo adatto allo scopo, che non necessiti di eccessive ristrutturazioni. Si parla con una certa insistenza dello stabile  di corso Ferrucci, ex Fiat, attualmente di proprietà di Beni Stabili. La Città intende vendere ai privati l’ex Curia Maxima, via Corte d’Appello 10-12,  i palazzia di via San Francesco da Paola 3, via Bazzi 4, piazza San Giovanni 5, piazza IV marzo e piazza Palazzo di Città 7. Tutti edifici prestigiosi in cui trovano sedi principalmente gli  assessorati. Ma i costi di gestione sono diventati davvero proibitivi.

 

Quindi, poichè costruire da zero sarebbe molto più costoso che utilizzare strutture già esistenti Palazzo Civico vorrebbe realizzare il piano nel giro di poco tempo, considerando anche la prossima riforma delle circoscrizioni che dovrebbe portarle da dieci a sei. Con conseguente razionalizzazione degli uffici. 

 

(Foto: il Torinese)

Evasione fiscale, le Fiamme gialle scovano 1 miliardo e 400 milioni

guardia_finanza_Numerosi i casi di frode fiscale compiuta attraverso fatturazioni per prestazioni di servizi inesistenti nel settore degli appalti e delle cooperative di produzione e lavoro

 

Nei primi 10 mesi dell’anno il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Torino ha recuperato un miliardo e 400 milioni a tassazione e circa 150 milioni di euro di Iva evasa. Sono in crescita i fenomeni di ‘treaty shopping’, l’azione fittizia di società intermedie tra l’impresa italiana che eroga dividendi, interessi, royalties o canoni e il reale beneficiario.

 

Verifiche sono state eseguite nei confronti di gruppi che operano a livello multinazionale.Sono state riscontrate,  accanto a comportamenti legittimi e virtuosi, anche pratiche e condotte volte esclusivamente all’ottenimento di vantaggi fiscali non consentiti.

 

Numerose anche le contestazioni in materia di prezzi di trasferimento (transfer pricing), che hanno riguardato rapporti economico- commerciali con Paesi aventi un regime fiscale assai più favorevole di quello italiano (come la Svizzera ed il Lussemburgo). Non sono mancati casi di elusione realizzata attraverso compravendite di titoli, scorrette qualificazioni giuridiche di operazioni contrattuali in materia di imposta di registro ed interposizioni di società create ad hoc per poter, in apparenza legittimamente, rinviare sine die il pagamento delle imposte avvalendosi del principio di competenza in luogo del previsto principio di cassa.

 

Infine, numerosi i casi di frode fiscale compiuta attraverso fatturazioni per prestazioni di servizi inesistenti nel settore degli appalti e delle cooperative di produzione e lavoro.