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Centralina in tilt, treni in ritardo
Riceviamo e pubblichiamo
“Oggi a Torino, contro le politiche di guerra e di oppressione. Incontrato il console cileno”
Questo pomeriggio, alle ore 15,30, davanti al consolato del Cile, si è tenuto un presidio di Rifondazione Comunista in segno di protesta contro la brutale repressione del popolo cileno in rivolta contro le politiche di impoverimento sociale portate avanti dal governo neoliberista Pinéra. Una repressione che ci riporta ai tempi bui di Pinochet, che finora ha mietuto 19 morti, 600 feriti, migliaia di arresti. Il presidio è stato anche l’occasione per esprimere solidarietà a tutti i popoli in lotta in diverse parti del mondo contro l’oppressione e l’iniquità del sistema neoliberista, oltre che solidarietà al popolo curdo vittima delle mire espansionistiche e degli attacchi armati della Turchia di Erdogan, paese aderente alla Nato. Contro la repressione a mano armata, le guerre scatenate contro popoli inermi, per una politica di pace e di giustizia sociale Rifondazione Comunista è scesa oggi in piazza a Torino. Una delegazione di Rifondazione Comunista, tra cui il segretario provinciale Prc Ezio Locatelli, è stata ricevuta dal console onorario cileno a cui è stato chiesto di trasmettere all’ambasciata cilena in Italia il senso della protesta contro la repressione in atto in Cile.
Ecco l’accordo per regolamentare la Cavallerizza
Tra un paio di settimane un protocollo dovrebbe normare e regolarizzare la Cavallerizza Reale di Torino. Lo ha stabilito il tavolo tecnico riunitosi a una settimana dall’incendio che ha bruciato le ex stalle. L’intesa è stata raggiunta in presenza del prefetto di Torino, Claudio Palomba, della sindaca Chiara Appendino, dell’assessore al Patrimonio Antonino Iaria e di una delegazione dell’Assemblea Cavallerizza 14:45, che occupa lo stabile da alcuni anni. Il Comune dovrà accelerare i tempi di approvazione e di attuazione del Regolamento dei beni comuni adibiti ad attività artistiche e culturali. Per tali iniziative culturali verrà messa in sicurezza l’area del Cortile dell’Aquila con i contributi del Ministero dei Beni culturali. Poichè, dice il prefetto: “sono attività che non possono continuare a essere svolte in quel modo e in quel luogo”
Il prossimo 30 ottobre
Si inaugura mercoledì 30 ottobre alle 17,30 nell’androne di Palazzo Bricherasio in Via Lagrange 20, una installazione di Carlo Gloria, Vado e Vengo, che crea un nuovo collegamento tra il passato e il presente dell’edificio.
Carlo Gloria inaugurò, infatti, nel 2002 – nell’allora sede della Fondazione Palazzo Bricherasio -, la rassegna “Outside: interventi site specific di arte contemporanea”, curata da Guido Curto. Oggi l’artista ritorna con una installazione che richiama la precedente e riapre di fatto il dialogo tra l’arte contemporanea e lo stesso Palazzo, sede istituzionale di Banca Patrimoni Sella & C.
Per ritrovare il giusto fil rouge tra ciò che è stato e ciò che è attualmente, Daniela Magnetti, già direttrice della Fondazione Palazzo Bricherasio e ora direttrice artistica di Banca Patrimoni Sella & C., riscopre quel che è rimasto dell’opera di Carlo Gloria Dodici milionesimi e chiede all’artista di rivederla in chiave attuale. Infatti, dei 12 affreschi digitali realizzati nel 2002 nelle esedre e lungo le pareti dell’ingresso, solo 3 sono ancora esistenti, parti integranti dell’edificio: le due grandi figure nelle nicchie e l’opera nella piccola cupola sopra lo scalone d’onore.
Da qui riparte il lavoro di Carlo Gloria con Vado e Vengo, una riflessione spazio-temporale che coinvolge sia il luogo sia coloro che lo frequentano e l’hanno frequentato. Le figure che animano gli spazi affrescati 15 anni fa, sono visibilmente “diverse” da quelle riprodotte allora: cambiano gli abiti e gli atteggiamenti, così come è cambiata la destinazione d’uso del Palazzo. Differente è anche lo sguardo dell’artista, che rende più “fluidi” i soggetti, trasformandoli in immagini che, seppure anonime, comunicano ancora familiarità. Realizzate partendo da fotografie scattate nei pressi del palazzo, rielaborate al computer con una post produzione che sfuoca le figure rendendole “forme cromatiche”, le immagini vengono poi stampate con il plotter a getto d’inchiostro e applicate al muro.
Dal 2017 Banca Patrimoni Sella & C. ha iniziato a partecipare attivamente ad alcune iniziative culturali sia sul territorio torinese che nazionale, per restare fedele all’identità storica e artistica che sin dalla sua istituzione – con il cenacolo della contessa Sofia di Bricherasio – si respira nelle sale del Palazzo. “Una sorta di DNA innato – dice Federico Sella, Amministratore Delegato e Direttore generale di Banca Patrimoni Sella & C. – proteso all’arte e al mecenatismo che il nostro Istituto condivide profondamente e intende fare suo”. Sostiene ancora Daniela Magnetti: “Non esistendo più la possibilità di dedicare esclusivamente all’arte le sale interne dell’edificio, Banca Patrimoni Sella & C. esce dagli spazi canonici, allestendo la mostra di Carlo Gloria nel lungo corridoio di accesso del Palazzo, trasformandolo in un luogo espositivo fruibile da tutta la cittadinanza”. Sabato 2 novembre, in occasione della notte bianca dell’arte contemporanea, l’accesso alla mostra rimarrà eccezionalmente aperto dalle 15 alle 23. Per informazioni 347 7365180.
Nell’immagine, Carlo Gloria, bozzetto per l’installazione “Vado e vengo”, 2019.
A Brozolo apre il Mulino Valsusa
E’ collegato a un progetto di filiera alimentare: già coinvolti gli agricoltori della valle
E’ una data da ricordare per la Valle di Susa. Mercoledì 30 ottobre apre ufficialmente il Mulino Valsusa, nell’antico mulino ad acqua del 1884 di Bruzolo, rimasto attivo fino ai primi anni Ottanta e oggetto di un importante progetto di restauro. E’ il primo mulino della valle che viene recuperato non solo per fini didattici ma soprattutto la sua messa in funzione è collegata a un progetto importante di filiera alimentare principalmente valsusina. Qui, infatti, vengono, e verranno, lavorati grani antichi, tradizionali e moderni: molti arriveranno dalla stessa Valle di Susa. Massimiliano Spigolon, l’uomo che ha deciso di far tornare in vita il mulino, ha già stretto importanti collaborazioni con gli agricoltori del territorio. Oggi oltre una decina hanno aderito e così i metri quadri di terreni che sono stati seminati con antiche varietà sono 120mila. Quando fu lanciato il progetto, un anno fa, erano appena seimila e si può già dire che l’iniziativa abbia fatto centro nell’obiettivo di riattivare una parte di agricoltura che era andata persa e con essa un patrimonio di semi di qualità. Bassa e Alta valle insieme: qui, sfidando il clima, hanno dedicato importanti spazi alla semina. Tutti i contadini che hanno aderito al disciplinare hanno la certezza che il Mulino Valsusa non li lascerà soli, anzi li aiuterà nel raccolto. Per questo, Spigolon ha acquistato dal Giappone una speciale trebbiatrice parcellare in grado di lavorare piccoli terreni: può essere utilizzata anche in montagna. E’ dunque ideale per questi territori. Poi, le farine macinate a Bruzolo finiranno in panifici, pastifici, pasticcerie, pizzerie e ristoranti della Valle.
Il Mulino ha battezzato tutto il progetto “Per un futuro più buono” pensando alla salvaguardia e alla valorizzazione della biodiversità: lo scopo è ripopolare i terreni della Valle e diffondere varietà di cereali. Per ora, venderà due farine. I nomi scelti sono particolari: la Facondia e la Prosperosa. «Sono nomi italiani in disuso che così cerchiamo di recuperare, esattamente come i grani», spiega Spigolon. Entrambe le linee sono state declinate in varianti (con più o meno crusca). Sono frutto di una lavorazione che unisce tradizione e tecnologia, ovvero le macine in pietra naturale (per produrre farine di notevole pregio) e strumenti tecnologici per un miglior controllo e automatizzazione dell’attività.
Queste sono le prime farine in commercio, ma ovviamente l’obiettivo è crearne molte di più. Per questo, sono già partiti vari test con i grani antichi, castagne, antichi mais piemontesi per ottenere farine pregiate. Parallelamente, in queste settimane Mulino Valsusa butta un occhio anche ai campi e alla semina che sarà strategica per il prossimo anno.
Il progetto di riattivazione delle filiere del Mulino è stata portata avanti senza contributi pubblici e associazioni di categoria. Moltissime sono le collaborazioni che sono nate e che nasceranno, con soggetti pubblici e privati del territorio. «Vogliamo essere quel progetto che alla Valle di Susa mancava, in grado di generare entusiasmo e ravvivare le collaborazioni, capaci di sviluppare filiere corte e produzioni agricole locali – conclude Spigolon – Abbiamo incontrato e condiviso il progetto con moltissime persone che coinvolgono tutta la filiera, in grado di dare il proprio contributo intellettuale e pratico».
C.M. le sue iniziali, quarantottenne di origini romene, è un’infermiera professionale
La Guardia di Finanza di Torino ha appurato come la donna aveva mantenuto la propria residenza anagrafica a Ciriè (TO) e subaffittato l’alloggio dove viveva ad una sua connazionale, senza disdire il contratto di locazione a suo nome. La “Naspi”, nel frattempo, continuava ad essere accreditata sul suo conto corrente acceso presso uno sportello bancario ubicato nel ciriacese; anche la targhetta con il suo nome apposta sul citofono era stata lasciata al suo posto.
I Finanzieri della Tenenza di Lanzo Torinese, hanno però accertato come la beneficiaria dello speciale emolumento, a seguito di una chiamata effettuata dal Centro per l’Impiego di Ciriè, relativa ad una procedura di selezione per infermieri, non si era presentata e che, dal momento del suo trasferimento, era ritornata in Italia solo per ottenere il rilascio di documentazione utile ad esercitare la professione di infermiera in Romania, dove nel frattempo si era trasferita.
In ogni caso la donna era tenuta a comunicare al Centro per l’Impiego e all’I.N.P.S. il suo trasferimento dall’Italia, incombenza alla quale, invece, come acclarato dai finanzieri la destinataria dell’indennità non ha adempiuto.
L’infermiera, che fino ad oggi ha guadagnato indebitamente circa 15 mila Euro, è stata denunciata alla Procura della Repubblica di Ivrea per indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato. Rischia una reclusione da sei mesi a tre anni. La posizione della donna è anche al vaglio della Procura Regionale della Corte dei Conti al fine di quantificare il danno causato alla comunità.
L’attività svolta dalle Fiamme Gialle rientra tra le principali mission strategiche della Guardia di Finanza, a tutela della “spesa pubblica”, attraverso specifiche verifiche sul corretto utilizzo dei fondi statali stanziati a favore delle persone meno abbienti.
In mostra alla GAM di Torino
Fino al 26 gennaio 2020
In mostra troviamo il volto, o meglio uno dei volti meno noti al grande pubblico, di Primo Levi. Non solo accorato testimone con la parola scritta (fra le più alte e toccanti nel panorama letterario internazionale) degli orrori di Auschwitz e della Shoah, ma anche personaggio complesso, ricco di molteplici interessi e infinite bizzarre fanciullesche curiosità che si traducevano in svariate elaborazioni della mano e della mente, accompagnandosi ai quotidiani impegni professionali di chimico delle vernici, nonché direttore della “Siva” di Settimo Torinese.
Fra queste, l’originale creazione di lavori tridimensionali in filo di rame smaltato (metallo“sangue del mio sangue”, poiché già nell’infanzia suo compagno di giochi nel laboratorio del padre Cesare, ingegnere dirigente dell’ungherese Ganz, e anni dopo suo primo materiale di lavoro alla “Siva”) attraverso cui si divertiva a creare figure stupefacenti per la certosina pazienza della composizione e per l’esaltante carica di fantasia che a ruota libera Levi lasciava correre nella definizione di sagome di animali – dai più comuni agli improbabili vilmy o agli atoula con le loro femmine nacunu – ma anche di creature fantastiche e di soggetti umani. O umanoidi. Si tratta di lavori risalenti probabilmente al periodo 1955/’75, con un forte carattere intimo e domestico, destinati agli scaffali dello studio nell’alloggio dello scrittore in corso Re Umberto a Torino, oppure ad essere regalati agli amici più cari: mai considerati (ci mancherebbe! E men che meno dallo stesso Levi) come opere d’arte, ma come “gioco” esaltante, allegro, ironico, istrionico e visionario, senza nulla togliere alla grazia e alla squisita armonia di manufatti che rivelano la grande abilità manuale dello scrittore (“imparare a fare una cosa – diceva – è ben diverso dall’imparare una cosa”) tradotta nella precisione scientifica di particolari in cui mai è negato l’estro “impressionista”, a volte casuale, dell’esecuzione.
Orbene, un piccolo suggestivo nucleo di queste “figure metalliche” le troviamo esposte, per la prima volta in Italia, fino al 26 gennaio del 2020, negli spazi della Wunderkammer della GAM di Torino, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi e in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore, nato a Torino il 31 luglio del 1919 e a Torino tragicamente scomparso l’11 aprile dell’ ‘87. Curata da Fabio Levi e Guido Vaglio, con il progetto di allestimento di Gianfranco Cavaglià in collaborazione con Anna Rita Bertorello, la rassegna accosta 17 opere, che sono esaltazione del lavoro libero e del confronto ludico “alla Bruno Munari” (autore, fra l’altro, nel ’58 della sovracoperta di “Se questo è un uomo”, in edizione Einaudi) con la materia, che, se compresa, rivela per davvero i segreti più profondi atti a interpretare il mondo. A commento delle “figure”, sono state scelte dai curatori citazioni letterarie – tratte per lo più dall’opera di Levi e, in alcuni casi, da alcuni dei suoi autori prediletti – anziché puntuali didascalie. Scelta che lo stesso scrittore avrebbe condiviso.
Lui che affermava: “Non conosco noia maggiore di un curriculum di letture ordinato e credo invece negli accostamenti impossibili”. Così accanto alla figura del “ragno”, leggiamo “meraviglia, meditazioni, stimoli e brividi”; a quella del “gufo”, “ho sentito il gufo ripetere la sua concava nota presaga” e a quella del “guerriero”, “Noi propaggine ribelle Di molto ingegno e poco senno”. Citazioni che pure aiutano a scoprire tratti inediti di una personalità così sfaccettata e complessa come quella di Levi, aprendoci un piccolo varco in quell’“ecosistema – asseriva arguto lo stesso scrittore – che alberga insospettato nelle mie viscere, saprofiti, uccelli diurni e notturni, rampicanti, farfalle, grilli e muffe”.
Gianni Milani
“Primo Levi. Figure”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 26 gennaio 2020
Orari: dal mart. alla dom. 10/18; lunedì chiuso
– Foto: Pino Dell’Aquila
Il libro di Barbara Castellaro è pubblicato da Infinito Edizioni
Nel suo libro “Requiem per la Bosnia” Barbara Castellaro racconta le emozioni degli incontri e dei luoghi che ha conosciuto nel cuore dei Balcani. Lì, nel bel mezzo della terra degli slavi del sud, s’incontrano l’Oriente e l’Occidente e ci si accorge che molta della storia europea inizia e finisce in quel luogo.
Un tempo era il territorio al centro di un Paese che non c’è più, la parte più jugoslava della Jugoslavia. Lì si può incontrare la quintessenza dei Balcani e si può immaginare quello che sono stati da sempre: un luogo d’incontro, scambio, mescolanza e di appartenenza a un destino comune. “Bratstvo i jedinstvo”, “fratellanza e unità”, come recitava il motto coniato ai tempi di Tito per indicare il tratto d’unione dei popoli della Repubblica federale. Era lo spirito laico, interetnico e tollerante sul quale si fondava la Jugoslavia. Poi, tutto precipitò in una escalation che portò alla guerra con tutto il suo carico di orrori e tragedie, fino a quando tacquero le armi e venne la “terribile pace”. Barbara Castellaro, nel suo libro ( pubblicato da Infinito Edizioni nella prestigiosa collana “Orienti” con l’introduzione e le foto di Paolo Siccardi) non ha inteso affrontare il tema dei conflitti, guardando al “tempo del dopo”, a ciò che rimane di quello spirito balcanico che, come un’aurea, avvolge cose e persone. Sono volti e storie di quei Balcani che, nelle pagine di “Requiem per la Bosnia”, offrono immagini esplosive come lampi, dove si avverte la corposa densità dei sentimenti. Uno spessore emozionale che, però, non oscura il bisogno di guardare e riflettere a mente fredda, ben oltre vent’anni dopo, sulla guerra che insanguinò quell’angolo d’Europa e sulla lunga e terribile scia che si è lasciata dietro. Una guerra che ha rappresentato l’evento più cruento del lungo processo disgregativo che ha messo fine alla Jugoslavia. Sono passati più di quattro lustri dagli anni più bui della “decade malefica” delle guerre che hanno insanguinato quella parte d’Europa. E dieci anni dal tempo del racconto di Barbara Castellaro, anche se le istantanee che hanno scattato i suoi occhi non appaiono molto diverse da quelle di oggi. La situazione si è solo complicata e i fili spezzati dalla guerra alla metà degli anni ’90 si sono solo riannodati malamente, senza risolvere i problemi di fondo. Anzi, ora la crisi è più dura, i rancori crescono e quel fuoco che non si è mai spento continua a covare sotto la cenere. Nella repubblica Srpska mettono al bando i libri di testo editi dalla Federazione Bosniaca perché nessuno possa leggere o studiare cos’è avvenuto a Srebrenica.
Il negazionismo si presenta con il suo volto più scuro, qualificandosi come prassi e punta più avanzata di quel nazionalismo estremo che ha prodotto violenze, drammi e lutti. La crisi si mangia le vite e ipoteca il futuro, soprattutto dei giovani. Persino la grande ondata di profughi dirottati dalla tradizionale rotta balcanica ora passa per Sarajevo. Le stime dei numeri non sono certe perché la polizia non riesce a registrare tutti, ma si calcolano tra i quindici e i ventimila richiedenti asilo entrati in Bosnia nel corso dell’ultimo anno. Donne, bambini, uomini dalle “vite senza sponda”, quelle dei migranti che cercano rifugio in Europa, in fuga da bombardamenti e carestie, da cambi di regime, guerre e povertà, violenze tribali. I muri, i fili spinati, le ostilità e i rigurgiti di razzismo hanno solo reso il loro viaggio più arduo e pericoloso. Come dar torto ad Azra Nuhefendić quando scrive che “gli uomini sono come l’acqua: trovano sempre la strada”? Tante, troppe domande sollevate da quei conflitti sono rimaste aperte e senza una risposta; molti insegnamenti di quel che accadde rimangono ancora lì, in attesa di essere indagati e capiti fino in fondo. Barbara Castellaro, descrivendo ciò che ha visto e chi ha incontrato sui suoi passi in terra bosniaca ha colto il “genius loci”, lo spirito di quei luoghi, la vitalità di un popolo che ha sofferto pene indicibili, la sua necessità di non dimenticare e, al tempo stesso, di non sotterrare la cultura del rispetto delle differenze, delle diversità che diventano ricchezza in quel crogiuolo di religioni, culture, storie che era il cuore di un Paese che non c’è più. In Bosnia la memoria del dolore è del tutto contemporanea e non cancella il ricordo di uccisioni, saccheggi, violenze, torture, sequestri, detenzione illegale e sterminio. Ci sarà mai giustizia? Quasi cinque lustri dopo, rimane un profondo senso di ingiustizia e di impotenza nei sopravvissuti e un pericoloso messaggio di impunità per i carnefici di allora, in buona parte ancora a piede libero e considerati da alcuni persino degli “eroi”.
Le donne incontrate e raccontate da Barbara Castellaro chiedono ancora verità e giustizia, accertamento delle responsabilità, condanne per i criminali. Predrag Matvejević scrisse parole amare e sagge: “I tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”. Soprattutto in un Paese che vive tempi difficili, stretto tra crisi economica, corruzione politica e incertezze istituzionali figlie del trattato di Dayton. La storia recente della Bosnia è segnata dal fallimento dell’Occidente e dell’Europa. La rimozione nasce anche dalla fatica di ammetterlo. La Bosnia è l’unico Paese europeo con una forte radice musulmana, mescolata alla cultura slava e mitteleuropea e con una millenaria storia di contatto tra le tre religioni monoteiste: l’ebraica, la musulmana e la cristiana. Non tener conto di tutto questo equivale a togliere spazio a chi cerca il dialogo e lasciare campo aperto alle reti criminali che rappresentano, quelle sì, l’unico e vero pericolo. Ecco perché il racconto di Barbara Castellaro è utile e prezioso. Non pretende di riassumere quanto è accaduto, ma aiuta ad aprire una finestra, induce a guardarvi attraverso, spinge a conoscere. E’ un buon approccio per chi desidererà poi approfondire la storia dell’imbroglio sanguinoso di un massacro costruito in laboratorio e sdoganato all’opinione pubblica come conflitto di civiltà, scontro tribale o generica barbarie.