ilTorinese

Ezio Bosso, “La musica magica” di Oscar Giammarinaro per festeggiare il compleanno

Lunedì 13 settembre Ezio Bosso avrebbe compiuto 50 anni, così Oscar Giammarinaro, meglio conosciuto come oSKAr già leader della storica band mod torinese Statuto, pubblica un inedito per festeggiare il suo compleanno.

La musica magica” è il nuovo singolo e videoclip di Oscar Giammarinaro, da lunedì 13

settembre in tutte le piattaforme digitali distribuito da Universal, proprio dedicato all’amico fraterno ed ex bassista degli Statuto Ezio Bosso prematuramente scomparso lo scorso anno.

La canzone composta nel 2019 e presentata all’ultimo Festival di Sanremo, era stata apprezzata dallo stesso Bosso prima della sua morte: “Avevo scritto una canzone per “Xico” commenta Oscar-, (questo il soprannome affettuoso con il quale i mod di piazza Statuto hanno sempre chiamato Bosso), come regalo per il suo compleanno, a lui era piaciuta molto, al punto che avevo pensato di proporla al Festival di Sanremo. Ezio mi disse che se il brano fosse stato scelto, l’avrebbe arrangiato lui stesso per l’orchestra. A maggio però, Xico ci ha lasciati e la canzone è rimasta lì, come una nostra foto, bella e struggente nello stesso tempo”. Da qui la decisione di provare il Festival e ora di pubblicarla per rendere omaggio alla memoria del musicista, ma, anche all’amico con il quale ha condiviso l’amore per la cultura mod.

Nel videoclip realizzato da Erika Grosso, le note e le parole di Oscar scorrono sullo sfondo di una Torino autunnale tra sonorità cool jazz e pop soul. I protagonisti della storia sono interpretati dai fratelli Julian e Zak Loggia (figli di Alex, storico chitarrista degli Statuto e componenti della band “Omini” che stanno per pubblicare il loro nuovo singolo), rispettivamente nei panni di giovanissimi Ezio e Oscar. Avanti e indietro per la città, che per un attimo ritorna a quegli Anni ’80 che fecero da sfondo al loro sodalizio, i due ragazzi si divertono a suonare e cantare condividendo quella passione per la musica che è stata alla base della loro amicizia e delle loro rispettive carriere. Tra pianoforti, spartiti e contrabbassi le scene si concludono al giardino di piazza Statuto, che da pochi mesi, porta proprio il nome di Ezio Bosso.

Tutti i diritti d’autore del testo saranno devoluti in beneficenza a Radio Parkies – Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani, realtà internazionale già supportata da Bosso negli ultimi mesi di vita.

Il nuovo singolo sarà presentato dal vivo nei prossimi giorni in tre incontri dedicati:

martedì 14 settembre ore 21, presso Il Circolo dei Lettori Torino

mercoledì 15 settembre ore 19.30, presso Gallery16 Bologna

domenica 3 ottobre ore 21, presso Arci Bellezza Milano

SOCIAL

https://www.facebook.com/oscarilmod

https://www.instagram.com/oscar_giammarinaro/

MULTILINK PIATTAFORME

https://udsc.lnk.to/MusicaMagica

VIDEOCLIP UFFICIALE

https://www.youtube.com/watch?v=dsi1HfvnOO0

L’assessora Leon rapinata in strada a San Salvario

Ieri sera l’assessora comunale alla Cultura Francesca Leon è stata rapinata a San Salvario, verso le 21,30

Stava rientrando a casa quando un uomo  ha cercato di strapparle la borsa. Il rapinatore non era armato e non l’ha aggredita ma si è fatto dare il denaro che aveva nel portafoglio, poi è fuggito. Leon ha gridato ma la strada era deserta. L’Assessora ha chiamato la polizia e poco dopo è arrivata una volante.

Rifiuti e ambiente, Marazzato alla Milano Design Week

Il ‘Gruppo’ , leader nelle bonifiche e soluzioni ambientali, ha presentato in anteprima mondiale i primi materiali edili per arredo urbano e pavimentazione ottenuti con geopolimeri da fanghi di dragaggio e segagione.

Si è conclusa con pieno successo la ‘Milano Design Week’, evento-satellite diffuso su tutto il capoluogo lombardo del ‘Salone del Mobile’, che ha visto la partecipazione del ‘Gruppo Marazzato’ – azienda piemontese leader nelle bonifiche e nella gestione e smaltimento di rifiuti industriali liquidi e solidi dal 1952 – con un proprio spazio specifico all’interno dell’originale mostra ‘RoGuiltlessplastic’ a firma di Rossana Orlandi, ospitata dal 4 al 12 Settembre scorsi presso il ‘Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci’, parte di un progetto internazionale atto a creare consapevolezza sulle tematiche del riutilizzo e del riciclo dei rifiuti.
“Un’utile e stimolante occasione di confronto in cui abbiamo avuto il piacere di condividere le esposizioni del TrashFormation Village, un villaggio visionario dedicato a design, architettura, arte, tecnologia, sport e musica insieme al Politecnico di Torino, che ringraziamo per la preziosa opportunità offertaci”, esordisce soddisfatta Eleonora Longo, Coordinatrice del ‘Centro Ricerca e Sviluppo’ di cui il noto brand vercellese si è recentemente dotato per ampliare nonché approfondire i propri interessi sul tema della ricerca finalizzata a nuove soluzioni per l’ambiente.
“In quel contesto – prosegue – ci è stato possibile presentare in anteprima al grande pubblico il frutto di un progetto nato un paio d’anni fa con il Politecnico di Torino dal titolo ‘Geopolimeri di fanghi di dragaggio e segagione’, consistente nella realizzazione di prototipi di piastrelle per pavimentazione urbana derivati da inerti, per produzione su scala industriale. È stato affascinante vedere i nostri manufatti sperimentali accanto a installazioni, sculture di noti artisti e architetti. Per la prima volta il mondo del design apre al rifiuto, cercandone una nuova dimensione estetica funzionale al completamento e arricchimento insieme di una delle fasi più significative dell’economia circolare: quella legata all’attenzione per il prodotto finale. Abbiamo riscontrato in loco grande attenzione da parte dei visitatori, ricevuto molteplici richieste e soprattutto inaugurato tutta una serie di relazioni umane e professionali che ci incoraggiano nel proseguire con maggiore entusiasmo, impegno e investimento nel cammino sin qui intrapreso”, conclude l’Ingegnere che coordina le attività del polo torinese di ricerca e sviluppo targato ‘Gruppo Marazzato’.

Prove di rave party nel Torinese ma la polizia lo blocca

Stavano organizzando un rave party party sulle colline del Torinese nella zona di Rosta e Villarbasse e Reano. Ma una riunione tecnica di coordinamento nella notte in prefettura ha fatto immediatamente il via  allo sgombero dell’area. Individuati gli undici organizzatori del rave sono stati sequestrati amplificatori, mixer e varie attrezzature. Non ci sono stati tensioni e incidenti.

Il ritratto di Eduardo Scarpetta, uomo di teatro tra allegria ed egoismi

Da Venezia sugli schermi “Qui rido io” di Mario Martone

 

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

 

Sulle alture del Vomero, a Napoli, sorge “Villa La Santarella”, il nome dovuto a una delle commedie di maggior successo di Eduardo Scarpetta, una costruzione mista all’esterno di colori grigi e rossastri che l’autore definì un giorno “un comò sottosopra” per quella sua forma squadrata e per quelle quattro torrette merlate e angolari che la identificano immediatamente. Su di una delle pareti vi fece apporre la scritta “Qui rido io” e quella scritta è oggi il titolo del film imperfetto di Mario Martone presentato a Venezia nei giorni scorsi, rimasto a bocca asciutta tra i Leoni e le coppe Volpi e ora sugli schermi per il giudizio di un pubblico più ampio.

Un film che cita arte e vita, scritto dal regista con la collaborazione di Ippolita di Majo, rovistando tra testimonianze d’epoca, tratteggiando senza mezzi termini la schiera arruffata di una famiglia che non aveva remore ad allargarsi sempre più, amanti e occasioni improvvise pronte ad aggiungersi, là dove lo sfrontato Eduardo intrecciava relazioni, con la scelta poi di riconoscere o meno, di adottare o di rifiutare con allontanamenti ed elemosine di momentaneo sostentamento (per questo Peppino De Filippo, nato con Titina e Eduardo dalla relazione avuta con Luisa, nipote della moglie legittima e sartina del gruppo teatrale, lo odiò con tutta la sua forza: per lui e per i suoi fratelli Scarpetta rimase sempre lo “zio”); guardando al carattere dell’attore fatto di allegria  – l’amore per la propria compagnia, pronti tutti a immergersi nel mestiere d’attore come in qualsiasi altro aiuto – e di scatti ombrosi che mettevano in mostra il grande egoismo, l’amoralità vissuta senza ripensamenti, le grandi ambizioni, le amicizie e le invidie, i successi e i fischi, la incredibile padronanza del palcoscenico dove lui soltanto sembrava dover trovare posto. E poi ancora lo spirito di un’epoca, la Napoli di inizio secolo, la Napoli dei campioni letterari, che mescolavano musiche e parole – Salvatore di Giacomo, Roberto Bracco,  Libero Bovio, Ernesto Murolo -, che all’occasione, come la città, dopo gli applausi gli voltano le spalle, la bellezza delle riprese all’interno del teatro Valle e gli interni ricostruiti, ricchi, abbondanti, coloratissimi (di Giancarlo Muselli e Carlo Rescigno) e i costumi di Ursula Patzak. C’è l’interpretazione di enorme spessore di Toni Servillo, umana in tutte le proprie contraddizioni (ma tutti gli attori si ritagliano il loro piccolo spazio di efficacia e di bravura, per tutti i giovani Cristiana Dell’Anna, la giovane madre dei De Filippo, che, poste radici già mature in “Un posto al sole”, il nostro cinema dovrà tenere presente con buona attenzione; e l’ultimo della stirpe, l’omonimo Eduardo Scarpetta, che qui è Vincenzo, pronto a ribellarsi ad un padre tutto chiuso nelle proprie idee), c’è, ad occupare gran parte dell’attenzione, la disputa intrapresa con D’Annunzio, il Vate acclamato della “Figlia di Iorio”, strappata alla Duse e ad una relazione ormai terminata, per affidarla a Irma Gramatica, c’è la parodia di Scarpetta, volta al maschile sin dal titolo, un insuccesso prezzolato che con la denuncia lo porterà in tribunale; c’è l’esito processuale destinato all’assoluzione, che sprigiona dalla bravura dell’attore, ma che porta ancora con sé la decisione, inspiegabile, di abbandonare nel giro di pochi mesi la scena, e di trasmettere copioni, successi e messinscene, il futuro del suo teatro, al figlio Vincenzo.

Che c’è a lasciare allora con un dubbio di sottofondo? Certi momenti non scritti con la passione o l’attenzione di altri (è un capolavoro l’arringa finale di Scarpetta), il preambolo che ruota attorno alla messinscena di “Miseria e nobiltà”, certi passaggi che sono lì a descrivere la destrezza, o l’abitudine, a passare dalla moglie all’amante, l’incontro con D’Annunzio poggiato soltanto sulle spalle di Servillo ma che non “spiega” con vera partecipazione, letterariamente, una scrittura a tratti indebolita che in fatti o in personaggi non è stata a tratti – per certi tratti – capace di trovare una sincera robustezza. Tuttavia, “Qui rido io” rimane un film da vedere, guardando all’epoca, ad un teatro irrimediabilmente terminato, ad un uomo che è vissuto giorno dopo giorno tra luci e ombre.

 

Prima chiama la polizia e poi si fa arrestare

Intorno alle ore 21 gli agenti del Commissariato Barriera Nizza vengono inviati in via Nizza per la richiesta di intervento di un cittadino. Giunti sul posto, però, l’uomo si avvicinava con fare minaccioso agli agenti. Alla richiesta di questi ultimi di indicare il motivo della richiesta di intervento, non forniva spiegazioni rifiutandosi al contempo di fornire le sue generalità. Non pago l’uomo continuava a mostrarsi agitato scagliandosi più volte nei confronti degli agenti, tanto da provocare un trauma distorsivo a uno degli agenti.

Alla luce dei fatti, il reo, un cittadino pakistano di 29 anni, irregolare sul territorio nazionale è stato arrestato per resistenza a P.U., lesioni e rifiuto di fornire le proprie generalità.

 

Lucky Luke, dalla terra promessa all’inferno di cotone

In Inferno di cotone, ultimo episodio inedito che lo vede protagonista, Lucky Luke eredita inaspettatamente un’enorme piantagione di cotone in Louisiana.

Accolto dagli altri proprietari bianchi come uno dei loro il cowboy solitario dei fumetti dovrà combattere per ridistribuire la sua eredità ai contadini neri. In questa lotta contro i potenti nella regione e contro la segregazione razziale, è solo contro tutti ma grazie all’aiuto di uno straordinario alleato riuscirà a ripristinare la giustizia: lo sceriffo Bass Reeves, un personaggio autentico che fece la storia del West come primo uomo di colore a portare sul petto la stella della legge a ovest del Mississippi. Una storia di integrazione, diritti e uguaglianze. Una scelta molto politically correct che si associa al precedente albo intitolato La Terra Promessa dove si narra il viaggio del cowboy che spara più veloce della sua ombra mentre scorta una famiglia di aschenaziti in viaggio verso la Terra Promessa, la cittadina di Chelm City nel Montana.Le loro culture, al primo impatto diversissime, si incontrano e imparano a conoscersi e convivere. Non solo Lucky Luke sopporta le manie della famiglia, incuriosendosi delle loro usanze, ma anche il vecchio Moishe – un po’ svampito e incapace di rendersi conto dei pericoli che lo circondano – si dimostra ben più aperto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, accettando addirittura il fatto che il cowboy non sia ebreo. Lucky Luke è un cowboy solitario dall’aria ironica e scanzonata, perennemente alle prese con il suo ciuffo ribelle mentre cavalca Jolly Jumper, bianco destriero dalla bionda criniera su piste aride e polverose, a caccia di banditi e, soprattutto, dei fratelli Dalton. Nel tempo  Lucky Luke è entrato a buon diritto tra i classici del fumetto western. Nato dalla penna del belga Maurice de Bévère – meglio conosciuto con lo pseudonimo di Morris – , apparve per la prima volta  settantacinque anni fa, nel 1946, in una storia intitolata “Arizona 1880” ma, dopo pochi episodi, ai testi  lo sostituì René Goscinny ( il “papà” di Asterix) che, come sceneggiatore, diede una spinta decisiva alla serie a partire dal 1955. Goscinny sviluppò in maniera brillante anche i comprimari delle storie di Lucky Luke: il suo cavallo “parlante”, Jolly Jumper; i fratelli Dalton (Joe, William, Jack ed Averell), quattro malviventi tanto determinati quanto inconcludenti; Rantanplan, il “cane più stupido del mondo“. Nei paesi della frontiera, tra deserti e fitte foreste, la fama di Lucky Luke diventò nota ad ogni angolo: veloce più di tutti con la pistola non rinunciava a risolvere le situazioni ricorrendo all’astuzia ed evitando fin quando possibile il ricorso alle armi. L’abbigliamento di Lucky Luke è quello dei cowboys dell’ovest degli Stati Uniti d’America, il cosiddetto vecchio West: camicia gialla e gilet nero, fazzoletto rosso al collo, jeans e un paio di stivali con speroni, cappello bianco e sigaretta pendente tra le labbra ( fino a quando,  negli anni ’80, Morris decise di farlo smettere di fumare, sostituendo il mozzicone con un filo d’erba).  Una curiosità : per il nome Morris si ispirò a quello di Luciano Locarno, sceriffo di origine italiana che visse tra il 1860 e il 1940. Oltre al fumetto sono state realizzate diverse serie animate, una serie Tv e due film diretti e interpretati da Terence Hill e Jean Dujardin.

 

Ma sono i fumetti a fare davvero la storia. Decine e decine di albi d’avventure dove, accanto a Lucky Luke, sono comparsi anche personaggi “storici” del vecchio west (da Billy the Kid a Calamity Jane, da Buffalo Bill a Jesse James). Dopo la morte di Goscinny, nel 1977, in molti si cimentarono ai testi che accompagnavano le strisce disegnate da Morris. Nel 2001 venne poi a mancare anche il creatore di Lucky Luke che, dall’inizio della sua lunga avventura, era stato il suo unico disegnatore. Prima di morire, il fumettista belga, espresse la volontà che la serie proseguisse anche dopo la sua scomparsa. Fu così che nacquero  “Le avventure di Lucky Luke dopo Morris”. Ai testi si sono misurati Laurent Gerra, Daniel Pennac, Tonino Benacquista e Jul ( al secolo Julien Berjeaut), mentre , per i disegni, l’erede dell’autore belga è stato individuato in Achdé (pseudonimo di Hervé Darmenton). Grazie a loro, a settantacinque anni dalla sua prima apparizione – tra fuorilegge, indiani, deserti e malfamati saloon – il cowboy solitario continua ancora oggi a cavalcare. E, come nel finale di ogni storia, lo vediamo allontanarsi al calar del sole cantando “I’m a poor lonesome cowboy… far away from home…”( “Sono un povero cowboy solitario…lontano da casa” ).

Marco Travaglini

Allarme siccità, fiumi al minimo Pioggia forse a metà settimana

La siccità  preoccupa soprattutto nel sud del Piemonte

Molte  vallate cuneesi e torinesi sono  in condizioni di carenza idrica “estrema”, se  si considerano i 6 mesi di primavera ed estate.

E’ quanto emerge dal rapporto mensile di Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) dopo il terzo agosto più secco degli ultimi 65 anni, peggio solo  il 1961 e il 1962 e sulla stessa linea di 1991 e 2011.

I livelli dei corsi d’acqua sono normali solo nei  bacini di Toce, Cervo. Orco e Dora Baltea, , ma con tendenza al deficit idrico.

 Gli  invasi montani con capienza superiore al milione di metri cubi hanno riserve  al 50%. Nel sud Piemonte in  agosto è mancato l’80% delle piogge, nella zona centro-settentrionale il 50-60%. Ai minimi termini la portata di diversi fiumi: il calo della Bormida a Cassine (Alessandria) al 31 agosto era dell’88%, la Stura di Demonte a Fossano (Cuneo) – 85%. il Pellice a Villafranca Piemonte -80%., il Varaita a Rossana (Cuneo) – 66%. Si attendono piogge  solo per metà  settimana.

(foto Fabio Liguori)

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Hilary Mantel “Un esperimento d’amore” -Fazi Editore- euro 18,00

La scrittrice inglese –autrice della fortunata trilogia dedicata ai Tudor- questa volta narra la storia, in parte autobiografica, di tre ragazze inglesi che per la prima volta si allontanano da casa per andare all’università a Londra. Siamo negli 70 in cui diventano dirompenti i concetti come liberazione sessuale, pillola, diritto all’aborto, emancipazione a largo raggio. In Inghilterra il libro fu pubblicato nel 1995; ora tradotto in italiano aggiunge un interessante tessera in più per conoscere più a fondo questa scrittrice che passa agevolmente dai romanzi storici alla narrativa.
Protagonista è la giovane Carmel McBain, nata in una famiglia di origine irlandese della classe operaia, che la madre spinge ad aspirare a un futuro migliore rispetto a quello riservato a lei e possibile nel ristretto raggio del paesino in cui vivono.
Carmel per non deluderne le aspettative studia e ottiene una borsa di studio, poi l’iscrizione alla London University; ma per questo pagherà un prezzo.
Catapultata nella vita della metropoli, si trova spaesata, incerta, e reagisce mangiando sempre meno e dimagrendo a vista d’occhio. Un po’ lo fa per risparmiare, ma non è solo per quello e lo capirete man mano che la Mankel entra nel suo animo, nei suoi pensieri, nelle sue aspettative e nel suo disagio.

Poi ci sono Julia, ricca, spigliata e dalla vita facile in cui tutto le riesce al meglio; e Karina che si porta dentro un passato difficile e di sofferenza, è “la diversa” del gruppetto.
Intorno alle tre ragazze il romanzo si sviluppa su più piani e sciorina gli alti e bassi dell’amicizia e della solidarietà, si intrecciano le storie personali e i rapporti con giovani rappresentanti dell’altro sesso, spesso inadeguati e come travolti dal cambiamento epocale in atto in quegli anni.

Per gli amanti della Mankel il consiglio è quello di cogliere l’occasione e leggere anche il suo “Otto mesi a Ghazzah street” -Fazi Editore- euro 19,00.
In questo romanzo la grande scrittrice inglese racconta il difficile mondo saudita e lo fa attraverso la protagonista, la londinese Frances Shore, di professione cartografa, che segue il marito trasferito in Arabia per motivi di lavoro.
Francis è abituata a spostarsi un po’ ovunque nel mondo, senza problemi e con uno spirito di adattamento notevole, (fino a poco tempo prima lei e Andrew vivevano in Africa).
Ma a Ghazzah si trova come risucchiata in una condizione distante anni luce dalle sue aspettative. Sprofondata in una realtà per lei difficilissima: è l’impatto brutale con una società che alle donne nega praticamente tutto.
Il romanzo però non vuole essere un confronto impari tra i valori che reggono il mondo occidentale e quello orientale. Niente di banalmente scontato e queste pagine non vanno nella direzione del titanico scontro tra due culture tanto diverse.
Qui è narrata la vicenda tormentata di una donna che finisce per trovarsi prigioniera relegata nel limitato perimetro dell’appartamento in cui vive col marito, che però è spesso assente per lavoro.
Frances si scontra con le regole islamiche rigidissime che non consentono spazi di azione alle donne, comprese le forestiere, viste con sospetto e portatrici di “pericolosa” libertà femminile.

In Arabia Saudita per esempio, non possono prendere un taxi perché un uomo non può far salire una donna che non conosce, e se lo fa rischia la galera. Solo la punta dell’iceberg di una società per la quale una donna non è vista come una persona.
Frances si trova costretta a rintanarsi al sicuro, non esce quasi mai, anche perché non potrebbe andare molto lontano, pena insulti …se non peggio.
I conoscenti che invita a casa sciorinano aneddoti sulle violenze perpetrate contro le donne nel suk. Ha contatti con le vicine; di alcune diventa amica, si affaccia al loro mondo, alle dinamiche della convivenza tra le ristrette mura domestiche, inclusi litigi, intrighi, sofferenze.
Si barcamena tra un caldo soffocante, le sue confidenze affidate al diario, un disagio permanente……

 

Dorothy West “Le nozze” -Mondadori- euro 18,00

Dorothy West –nata a Boston nel 1907, deceduta nel 1989- è ricordata come importante esponente del movimento artistico e intellettuale Harlem Renaissance, fondato negli anni 20 per tutelare la libertà di espressione e la creatività degli afroamericani.
La West dopo uno strabiliante esordio con “The living is Easy” nel 1948 scivolò nell’oblio per lungo tempo. Fu Jacqueline Kennedy -all’epoca editor della prestigiosa casa editrice Doubleday- a riscoprine il talento e il potenziale. La spinse a scrivere il secondo romanzo, “Le nozze”, che uscito in America nel 1995 balzò subito in vetta alle classifiche, diventando un bestseller internazionale.

“Le nozze” è ambientato negli anni 50, verso la fine di agosto a Martha’s Vineyard; l’isola dei miliardari e delle persone che grondano successo e fama.
Lì c’è anche la zona residenziale chiamata l’Ovale, un anello di case di vacanza articolato in 13 villini intorno a un parco e a due passi dal mare. Qui hanno comprato la seconda casa di vacanza un pool di neri diventati ricchi. E su tutti spicca la famiglia Coles, la cui casa domina l’Ovale.
La villa più bella è stata acquistata da tempo dal dottor Shelby Coles, il cui albero genealogico va all’indietro di 4 generazioni e racconta una strada di costante emancipazione. Sono agiati, hanno studiato e vivono ad alto livello.
I Coles hanno due figlie che potrebbero passare per bianche. La prima ha seguito la tradizione familiare e sposato un medico di colore; la minore Shelby – capelli chiari e occhi blu- sta per andare all’altare con Meade, un pianista jazz bianco …e i genitori di lei non approvano per niente la sua scelta.

Altri personaggi entrano in scena con tutto il loro spessore, a partire da Nonnina: la nonna di Shelby, di pelle bianca e discendente impoverita di una blasonata famiglia proprietaria di una vasta piantagione del Sud.
La sua non è stata sempre un vita facile: a spaccarle il cuore ci ha pensato la figlia Josephine che l’ha profondamente amareggiata facendo un percorso inverso; andando verso Nord per poter sposare un uomo di colore.
Poi vi aspettano ulteriori sviluppi interessanti, legati a personaggi che irrompono sulla scena e scompigliano le carte.

Questo è un romanzo di continue sfumature che ripercorre la significativa storia di un’intera famiglia, toccando snodi importanti come il conflitto razziale. Dalle piantagioni sudiste dove i negri erano schiavi, poi la sanguinosa guerra di secessione che ha spaccato in due l’America, per arrivare alla nascita di una borghesia afroamericana che ha salito la scala sociale, formando una classe di persone agiate e istruite.

Jane Gardam “L’uomo col cappello di legno” -Sellerio- euro 15,00

Questo è il secondo volume della trilogia di Old Filth, della scrittrice 92enne Jane Gardam (nata nello Yorkshire nel 1928) che da noi è ancora poco conosciuta ma in Inghilterra è una figura di grande spicco nel panorama culturale e letterario. Autrice di racconti per l’infanzia, per ragazzi e adulti, tendente a scrivere romanzi dal sapore vittoriano, ha vinto numerosi e prestigiosissimi premi.
Sellerio ha già pubblicato il suo precedente “Il figlio dell’Impero Britannico” nel 2019, il primo dei 3 volumi che in Inghilterra era stato dato alle stampe nel 2004, inserito nella rosa dei primi 100 libri più importanti del secolo.

“L’uomo col cappello di legno” non va necessariamente inteso come il seguito; piuttosto è la medesima vicenda, questa volta però vista dalla prospettiva diversa di Elizabeth detta Betty, moglie del protagonista sir Edward Feathers “Old Filth”, avvocato e giudice di spicco del sistema forense.
Nel libro precedente lei compariva come moglie che viveva all’ombra del consorte e moriva all’inizio; il resto era un caleidoscopio di flash back del marito ottuagenario e tutto il romanzo era impostato sul suo punto di vista.
Nel terzo volume della trilogia scopriremo poi il modo di vedere la storia di questa coppia raccontata dal versante degli amici.

Significativo è che il soprannome di Edward Feathers, “Old Filth” tradotto letteralmente significa “vecchia schifezza; ma è anche l’acronimo di “Failed in London Try Hong kong” (fallito a Londra ci riprova a Hong Kong) appellativo con cui ci si riferiva a coloro che avevano fatto fortuna nelle colonie.
Edward è un uomo integerrimo e irreprensibile, figlio del Raj; così venivano etichettati a Londra i bambini nati da genitori inglesi funzionari della Corona, mandati in India, Malesia e nelle lontane provincie dell’Impero.
Intorno all’età di 5 anni venivano spediti in Inghilterra per studiare, ospitati da famiglie che per questo si facevano pagare. Non sempre un’esperienza felice e più che altro l’educazione inglese faceva buon gioco all’Impero senza curarsi dell’infelicità dei piccoli.
Anche Betty è nata lontano dalla patria, a Pechino da genitori inglesi; medesimo imprinting del marito ma sensibilità e mondo interiore diversi.
La storia poi si dipana tra amori, guerre, tormenti, delusioni e dubbi, e un certo vacillare di Betty all’interno del matrimonio, tutto sullo sfondo del disfacimento del dominio britannico nelle colonie lontane.

Con questo secondo romanzo la scrittrice –paragonata spesso a Jane Austen, anche se lei dice di essere stata influenzata da Kipling- ha voluto dare più risalto alla figura di Betty che nel libro precedente era stata sacrificata e relegata decisamente in secondo piano rispetto al marito.
Qui si entra nella testa e nei meandri più nascosti del suo animo, alle prese con un consorte prevedibilissimo e noioso, mentre sulla scena si affaccia anche un altro avvocato di grido, amico-nemico che smuoverà le acque……

 

Questa potrebbe essere l’occasione giusta per leggere anche il primo volume della trilogia “Il figlio dell’Impero Britannico” -Sellerio- euro 15,00.
E’ il ritratto anche un po’ malinconico di Edward Feathers che ultraottantenne ricorda tratti della sua vita e della sua lunga carriera di successo, a partire dai risultati eccelsi raggiunti nella colonia britannica di Hong Kong come barrister, avvocato e giudìce.
Ripercorre lo strappo traumatico dalla Malesia al tempo dell’infanzia, quando viene allontanato dalla famiglia per essere educato in patria, con tutto il dolore e il disagio che questo ha comportato, gli anni del collegio e il rapporto con il suo migliore amico.
Oltre a vari personaggi che hanno attraversato la sua lunga, laboriosa e irreprensibile vita, c’è anche la presenza dell’enigmatica moglie Betty, la cui anima non è mai riuscito a decodificare e morta all’improvviso.
E’ soprattutto la vita di un uomo in bilico tra due mondi e due epoche che vive sulla sua pelle il tramonto dell’Impero coloniale più importante del mondo.