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TorinoFilmLab MNC: premiati 4 film con i fondi per la coproduzione e distribuzione

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Tra le attività del TorinoFilmLab – laboratorio del Museo Nazionale del Cinema che offre formazione per professionisti del cinema e supporto allo sviluppo di film e serie tv – non mancano le opportunità di finanziamento a sostegno di coproduzioni e distribuzione internazionali attraverso i TFL FUNDS: 

nel 2021 sono stati scelti quattro film che riceveranno in tutto 185.000 euro, elargiti grazie al contributo di Creative Europe – MEDIA sub-programme support to International Co-production Funds.

TRE i premi a sostegno della distribuzione (ognuno da 45.000 euro) assegnati a WHETHER THE WEATHER IS FINE, opera prima del regista filippino Carlo Francisco Manatad che sarà presentato in anteprima a Locarno il prossimo agosto in Concorso Cineasti del presente e che ha partecipato al programma TFL FeatureLab 2017 aggiudicandosi già il TFL Co-Production Award 2017 (50.000 €); il documentario BASTARD. THE LEGACY OF A CRIMINAL di Pepe Rovano prodotto tra Italia (la casa di produzione torinese Stefilm)Cile e Svezia; e DAUGHTER OF RAGE di Laura Baumeister, regista e sociologa che si è già distinta in numerosi festival con i suoi precedenti corti, e prima donna nicaraguense a girare un lungometraggio nel suo paese.

Mentre il fondo per la coproduzione (50.000 euro) è stato assegnato a PUÁN, lungometraggio co-diretto dagli argentini María Alché and Benjamin Naishtat, reso possibile grazie a una rete di produttori partner da Argentina, Italia (la romana Kino Produzioni), Germania e Bolivia.

La torinese Enerbrain alleata degli ospedali GHU di Parigi

 

La GHU Paris Psychiatrie et Neurosciences, Gruppo ospedaliero universitario di Parigi specializzato in psichiatria e neuroscienze, utilizza le tecnologie AI e IOT della torinese Enerbrain per migliorare nel tempo la qualità dell’aria e l’efficienza energetica in più di 100 edifici a Parigi

La GHU annuncia  di aver firmato un accordo di 4 anni con Enerbrain per utilizzare la soluzione di cloud energetico di Enerbrain diretta a migliorare il comfort interno, la qualità dell’aria e l’efficienza energetica degli impianti HVAC in 130 edifici.

La GHU, come parte dell’iniziativa del governo francese per migliorare l’efficienza energetica degli edifici commerciali, mira a ridurre del 25% il consumo di energia nei sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento.

«Abbiamo testato la soluzione di Enerbrain negli ultimi due anni e, dopo una rigorosa procedura di gara, abbiamo firmato una partnership quadriennale con Enerbrain affinché ci aiuti a raggiungere i nostri obiettivi di comfort interno, qualità dell’aria e sostenibilità nella maggior parte dei nostri edifici. La GHU Parigi ha scelto il sistema Enerbrain per la sua facilità di installazione, la quale non richiede alcuna modifica al BMS esistente e ci aiuta a soddisfare i nostri rigorosi requisiti in termini di comfort interno e qualità dell’aria per pazienti, medici e personale», ha detto Philippe STALLIVIERI, direttore di ingegneria, lavori, manutenzione e patrimonio presso GHU.

La GHU Paris Psychiatrie et Neurosciences

La GHU Parigi è stata creata il 1° gennaio 2019 dalla fusione dell’ospedale SAINTE-ANNE, l’istituto pubblico di salute mentale Maison Blanche, il gruppo di salute pubblica Perray Vaucluse. È uno stabilimento francese di primo livello con una reputazione internazionale nel campo della psichiatria e delle neuroscienze. La GHU di Parigi, che impiega 5.600 professionisti della salute, tra cui 600 medici, ha un budget annuale di 420 milioni di euro e 130 edifici con 1.300 letti distribuiti su Parigi.

Enerbrain

Enerbrain è un’azienda torinese nata nel 2015 che ha sviluppato un’innovativa soluzione software e hardware che gestisce e controlla in modo automatizzato e intelligente qualsiasi tipo di edificio, in modo da contribuire al risparmio energetico, all’abbattimento delle emissioni di CO2, al miglioramento della qualità dell’aria degli ambienti.

Oltre agli headquarter a Torino, l’azienda è attualmente presente in 13 mercati e conta 3 collocati tra Europa e Asia e si sta sempre più affermando sul mercato internazionale. Enerbrain ha all’attivo numerose partnership con aziende e grandi player operanti in vari settori: energia, food e grande distribuzione (es. Eataly) industria, ospedali, scuole, aeroporti, musei, uffici, comuni (Città di Torino).

Enerbrain ha ottenuto oltre 20 riconoscimenti internazionali, tra cui lo Start Up Energy Transition Award 2020, il Premio Nazionale per l’Innovazione 2020 promosso dal Presidente della Repubblica Italiana, il Premio Marzotto per l’Innovazione nel 2019.

Vallo torinese ricorda Maria Orsola Bussone

ANNIVERSARIO DELLA VENERABILE MARIA ORSOLA BUSSONE A VALLO TORINESE | APPUNTAMENTO DOMENICA 11 LUGLIO

LA TESTIMONIANZA DELLA GIOVANE E DELLA VITALITA’ DELLA PARROCCHIA CHE GENERA COMUNITA’ VIVE, ARRIVA IN IRAQ

“Incontrando Maria Orsola, giovane per i giovani” è il titolo della giornata di domenica 11 luglio 2021, promossa dalla Parrocchia di Vallo Torinese, con tutta l’Unità Pastorale Oltre Stura. Dalle ore 10 la messa nella chiesa di Vallo, poi l’aperitivo, il pranzo insieme e un pomeriggio, dalle ore 14, per i giovani al Centro Maria Orsola in via cardinal Pellegrino. 

Non solo Vallo ricorda Maria Orsola, Venerabile, nell’anniversario della morte, il 10 luglio 1970 a 15 anni. Ci saranno i giovani delle sei parrocchie dell’Unità pastorale nonché della Diocesi d Torino, insieme a ragazzi, famiglie e sacerdoti di diverse parti d’Italia. Un messaggio di saluto ai giovani riuniti arriva a Vallo anche da mons. Ghazwan Baho, da Mosul, Iraq, amico da vent’anni della parrocchia, grazie a mons. Vincenzo Chiarle che ha ospitato il sacerdote – impegnato sul fronte iracheno più caldo – mentre era studente a Roma al Collegio Urbano. Ghazwan sarà unito ai giovani che si ritroveranno domenica e negli ultimi due decenni ha portato la testimonianza della giovane venerabile tra le parrocchie irachene che hanno accolto in primavera Papa Francesco.

Maria Orsola Bussone nasce a Vallo Torinese il 2 ottobre 1952. Cresce come ragazza normalissima, ma l’incontro della comunità con la Spiritualità dell’Unità propria del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich, la trasforma. Non solo lei. Insieme alla parrocchia guidata da don Chiarle vive con impegno e determinazione la bellezza della comunione portata dal Concilio Vaticano II. Scopre nel Vangelo vissuto – non solo letto o meditato, ma vissuto, e vissuto insieme, ogni giorno, ogni ora, ogni momento, con tutte le difficoltà e con la forza di “ricominciare”, suo motto – la forza per la scuola, il tempo libero, lo sport, la vita in famiglia, gli incontri. Una testimonianza di santità ordinaria, normalissima, nella parrocchia – unica esperienza di questo tipo al mondo – non certo bigotta o di solo “casa e chiesa”, non certo ancorata all’ottocentesco mondo cattolico dei paesi di provincia. Ma proiettata al mondo. Maria Orsola viaggia, va a Bruxelles e vive l’Europa nascente, a Roma negli incontri dell’Opera di Maria trova parrocchie e gruppi che credono in una Chiesa bella, moderna, “in uscita”. Una Chiesa del Vaticano II fatta di parrocchie vive, di doni gerarchici e carismatici uniti, rafforzati, Chiesa nella quale la messa diventa un pezzo – ma non il solo! – di una vita secondo il Vangelo, costante che dà gioia e forza. Mai da sola, Maria Orsola. In paese, nella comunità, con le sue amiche, con altri gruppi – come quelle 300mila persone passate a Vallo dal 1962 a oggi. Maria Orsola fa una vita normale che è un modello per i giovani oggi. Non un percorso in solitudine, ma insieme. In comunione, in forte unità e facendo tutto l’ordinario, quello che di normale fa una giovane che va a scuola, vive i primi amori, affronta professori e compagni di liceo, si rapporta con genitori e sacerdoti. Muore a 15 anni per un banale incidente al mare, dopo una giornata in spiaggia. Ma la sua testimonianza non muore. Varca i confini e va in tutto il mondo. La parrocchia-aperta quale cuore di nuova santità. Orientata al futuro. Niente è semplice e niente è scontato, niente è facile. Lo dicono anche migliaia di vescovi e sacerdoti arrivati a Vallo: servono testimoni semplici, autentici, con tutte le difficoltà che hanno vissuto, ricominciando. Di Maria Orsola Bussone si apre il Processo di Beatificazione il 26 maggio 1996. Prosegue dopo la Venerabilità riconosciuta da Papa Francesco. Che continua a parlare di “Chiesa in uscita”, di quella Chiesa-comunione (che era piaciuta così tanto a Padre Michele Pellegrino, ospite a Vallo dal 1977 al 1985) e di vita del Vangelo (leggerlo la domenica non basta e se la messa è pure triste e mesta, lunga e noiosa tutti scappano) che trasforma società, politica, economia, psicologia, istituzioni… Parrocchie. Diocesi. Che devono, possono guardare al futuro senza chiudersi e parlando a giovani, famiglie, preti, vescovi (anche loro meno soli), mostrando bellezza e coesione, comunione e condivisione. Di questo e altro si parlerà domenica 11 luglio a Vallo.

Lo stendardo di Giove

LIBRI / EMANUELE RIZZARDI CI RACCONTA LA STORIA DI ROMA E DEGLI ULTIMI PAGANI

Un testo profondo e drammatico che illustra le complesse dinamiche della caduta dell’Impero Romano, delle grandi invasioni barbariche, ma soprattutto della fine del mondo pagano a vantaggio dell’unica religione cristiana

Lo storico e bizantinista Emanuele Rizzardi ha pubblicato nel 2021 la sua nuova opera letteraria.

Il giovane scrittore legnanese, già ospite su queste pagine per le sue pubblicazioni meno recenti, “L’ultimo Paleologo” e “L’usurpatore”, vive nella cittadina lombarda di Legnano e propone romanzi storici non brevi, in contesti poco conosciuti.

Partiamo subito con le domande:

Nei tuoi precedenti testi ti sei occupato di terre lontane: Anatolia, Georgia, Grecia. Oggi ci proponi un’ambientazione tutta italiana, come mai?

Perché proprio in Italia assistiamo alle gesta, alle parole e ai pensieri degli ultimi pagani di Roma, ormai in piena decadenza e vicini alla scomparsa totale a causa delle persecuzioni dell’imperatore Teodosio e all’imporsi del Cristianesimo, la religione che tutti noi conosciamo, ma che per una parte dell’Occidente era solamente un culto monoteista orientale, alieno, estraneo alle radice e alle tradizioni dei padri e della patria. E proprio in nome della difesa delle loro idee, gli ultimi pagani tentarono un’ultima, vivace resistenza che culmina con la battaglia del fiume Frigido. Una storia drammatica e già segnata, intrisa di mistica e spiritualità, che è affasciante proprio per questi aspetti.

Un Impero Romano quindi molto lontano dai fasti di Augusto o Traiano; chi sono i suoi protagonisti? Hai deciso di inserirli nella tua Opera?

Naturalmente, ogni mio romanzo fino ad ora è basato sulla realtà e su quanto fatto da personaggi realmente esistiti.

Il cuore di quella che noi chiamiamo, un po’ ingenuamente “rivolta dei pagani”, ha tre protagonisti principali.

Il magister Arbogaste, comandante supremo delle legioni, che costituisce la massima autorità militare di tutto l’impero e ha il compito di difenderlo dai barbari di Germania ma anche, secondo il suo punto di vista, dalla crescente influenza del cristianesimo e della corte orientale di Costantinopoli.

Flavio Eugenio, l’imperatore che si contrappone a Teodosio e che viene supportato dai pagani. Si tratta di un uomo mite e di fede cristiana, ma di posizioni tolleranti e di buona famiglia… e proprio per questo costituisce una figura assolutamente straordinaria; un cristiano nominato in Occidente imperatore da un gruppo di pagani, per sfidare un imperatore in Oriente, a sua volta cristiano.

Infine, Nicomaco Flaviano, ricchissimo e potentissimo senatore pagano che ha previsto la caduta del cristianesimo attraverso gli oracoli…

Una lettura alla portata di tutti, ma che invita a riflettere. Quale messaggio vuoi lanciare con questo tuo testo?

L’epoca tardoantica è un vero e proprio vivaio di eventi che toccano i giorni nostri: le grandi migrazioni, i conflitti religiosi, la corruzione, il ruolo delle istituzioni, l’eterna lotta delle periferie contro il potere centrale, i movimenti separatisti… insomma, c’è proprio tutto. Con questo libro voglio lasciare aperti importanti spunti di riflessione, tra un momento di intrattenimento e l’altro.

Di certo, il messaggio più palese e l’eterno cambiamento delle cose e il fatto che tutti noi, in un tempo remoto, siamo stati qualcos’altro.

Che luoghi andiamo ad esplorare con questa narrazione? I lettori troveranno città e villaggi a loro noti?

Per la maggior parte direi che è così. Se escludiamo alcune zone delle moderne Germania e Francia, l’ambientazione è tutta italiana e le città di oggi sono le stesse del 394, grossomodo.

Milano, Roma, Ravenna, Aquileia, Torino, Vercelli, Trento, ma anche luoghi meno noti per i fatti storici del tempo come Altino, Como, Lecco, Bergamo, Castelseprio e tanti altri.

Per conoscerti, oltre a leggere i tuoi testi, come possiamo fare? Vuoi condividere qualcuno dei tuoi contatti?

La pagina del libro è su Facebook e Instagram per chi vuole essere in contatto con me: https://www.facebook.com/UltimoPaleologo

https://www.instagram.com/ultimopaleologoemanuelerizz/

Questa intervista è concessa per esclusiva autorizzazione di Associazione Culturale Byzantion a cura di L. S.

Finale Europei: no maxi schermi, lattine e bottiglie di vetro

A Torino nuovi divieti  in vista, ma non solo,  della finale degli Europei di calcio di domenica sera.

Infatti questa mattina la sindaca Chiara Appendino ha siglato un’ordinanza che prevede per oggi la chiusura alle 21 dei negozi che vendono generi alimentari nelle zone del centro più frequentate e limita dalle 24 alle 3 la somministrazione di alcolici, solo all’interno dei locali.

Il divieto di vendere beni alimentari, domani dalle 21 alle 7 riguarderà tutta la città ed alcolici e superalcolici potranno essere consumati, dalle 24 alle 3 esclusivamente all’interno dei locali, al tavolo. Saranno bloccati anche i distributori automatici di bevande. Inoltre tra le 21 di domenica e le 7 di lunedì sarà vietata ” la detenzione per il consumo, in luogo pubblico o ad uso pubblico, di bevande in contenitori di vetro – quali bottiglie, bicchieri, calici – o metallo”.  No anche ai maxi schermi per via della pandemia (e per evitare di pensare ai fatti di Piazza San Carlo del 2017)

Niente Gigafactory a Torino. Che deve cancellare la Fiat per ricominciare

Gigafactory addio. La grande fabbrica per le batterie del gruppo Stellantis si farà anche in Italia.

Non a Torino, però. A Termoli. Giusto così, in fondo. Perché non basta passare la vita a baciare metaforicamente la pantofola alla famiglia che ha distrutto la città per ottenere investimenti da parte di una proprietà che nulla ha a che fare con Torino.

continua a leggere: https://electomagazine.it/niente-gigafactory-a-torino-che-deve-cancellare-la-fiat-per-ricominciare/

Agricoltori, Cia: “Non è più maltempo ma calamità”

«Cia Agricoltori italiani del Piemonte è vicina agli agricoltori che in queste ore hanno nuovamente subito le devastazioni del maltempo nelle campagne piemontesi. Occorre che si prenda atto del fatto che ormai non si tratta più di temporali o sporadiche grandinate stagionali, ma di autentiche calamità naturali. Gli strumenti a disposizione degli agricoltori per difendersi sono palesemente insufficienti. Bisogna ripensare il sistema assicurativo, in modo che venga compresa anche la tutela del reddito aziendale e non solo il valore delle colture. Il maltempo sta producendo danni che vanno ben al di là della compromissione dei raccolti stagionali, ma riguardano le stesse piantagioni, gli impianti e le strutture di produzione che richiedono anni di lavoro e investimento per essere ripristinati. Diventa quindi fondamentale che le aziende agricole possano assicurare il loro reddito».Cosi il presidente regionale di Cia Agricoltori del Piemonte, Gabriele Carenini, sui gravi danni del maltempo in queste ore in Piemonte.

“L’orto fascista”, romanzo a puntate di Ernesto Masina

Inizia oggi sul “Torinese” la pubblicazione a puntate del romanzo “L’orto fascista” di Ernesto Masina

 

L’AUTORE DICE DI SE’  Sono un vecchietto che a 76 anni, stanco di leggere romanzi con una infinità di personaggi difficili da ricordare (ed un inizio di arteriosclerosi non aiuta), trame complicate e finali scontati, ha deciso di tentare di scrivere il libro che gli sarebbe piaciuto leggere.
E’ nato così “L’orto fascista” che non è nè vuole essere un romanzo storico o politico. E’ una tragicommedia (più commedia che a volte sfiora la pochade) che si svolge in un piccolo paese della Valcamonica nel 1943 all’atto dell’invasione tedesca in Italia.
Il romanzo è stato accolto benevolmente dalla critica. Alcuni mi hanno paragonato a Piero Chiara (con mio immenso piacere in quanto da ragazzo ebbi occasione di frequentare lo scrittore varesino e di stimarlo), altri (con minor piacere) al “miglior” Andrea Vitali. I giornalisti del quotidiano “La Stampa” hanno collocato il mio scritto nel sito “Lo Scaffale” ove vengono ospitati solo i libri che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca privata.
Spinto dall’entusiasmo ho scritto e pubblicato “Gilberto Lunardon detto il Limena” e quindi “L’oro di Breno” che sono altrettanto piaciuti.
Quest’anno, per festeggiare i miei 84 anni, ho pubblicato il giallo “Il sosia.” Non avendo nessuna esperienza in questa tipologia di romanzi temevo un fiasco. Quindi è stata con grande meraviglia l’aver ricevuto tante mail da persone, anche sconosciute, che si congratulavano con me e che mi esortavano a continuare. Ho altri due romanzi nel cassetto ed ho intenzione di editarli il prossimi Marzo e Ottobre. Infatti a Ottobre uscito “Don Arlocchi e il mistero della statua di Minerva”.

Ernesto Masina

***

 

A mia moglie Letizia
che da 52 anni mi sopporta, ma che credo sarebbe ben lieta di avermi al suo fianco
per altrettanto tempo.

 

Questo romanzo è pura opera di fantasia. I luoghi citati appartengo- no solo alla geografia dell’invenzione letteraria. Nomi, personaggi, fatti e avvenimenti sono invenzioni dell’autore e hanno soltanto lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

 

In copertina:
Breno, Piazza Generale Ronchi, già Piazza del Mercato, fotografia d’epoca.

 

ERNESTO MASINA

L’Orto Fascista

Romanzo

PIETRO MACCHIONE EDITORE

 

I

Il Federale aveva attraversato tutto il corso principale, ergendosi a bordo della sua vettura scoperta con la boria di un conquistatore e sventolando in alto la mano destra in un prolungato saluto romano. Rispondeva con sussiegosa cordialità ai tanti “Eia! Eia! Alalà!” delle camicie nere schierate ai lati della strada, alle quali si univa, più per convenienza o curiosità che per convinzione,
qualche residente. Con la mente unicamente rivolta a Roma e al “suo” Duce, era giunto, circondato da un nugolo di camicie nere, a inaugurare il locale Orto di Guerra, detto anche Orto Fascista.
Dopo aver lanciato nel 1925 la Battaglia del Grano, Mussolini, vista la situazione economica dell’Italia, da sempre dipendente dall’estero nel settore agro-alimenta- re, aveva indetto la campagna dell’Orto di Guerra, invitando tutti i comuni d’Italia ad affidare alla popolazione la coltivazione delle aree pubbliche. Si era in piena guerra, tra il 1941 ed il 1942.
L’invito, che era sentito come un obbligo dagli ammini stratori locali, timorosi di essere giudicati dei sovversivi se non si fossero adeguati in tempo agli “alti insegna- menti del Duce degli italiani”, in Valle Camonica non era stato accettato con grande entusiasmo. Persino a Breno, considerato il paese della valle più vicino al Duce e agli ideali fascisti, tanto da annoverare tra i suoi concittadini più illustri persino un docente di Mi-stica Fascista all’Università di Milano, la creazione del- l’Orto era stata continuamente rinviata.
Alla fine il Segretario della locale sezione del Partito Nazionale Fascista aveva costretto il Podestà a prendere una decisione: altrimenti avrebbe informato il Segretario Provinciale dell’ostruzionismo del primo cittadino al volere del Duce.E fu così destinato a diventare Orto Fascista un piccolo appezzamento di terreno, pieno di sassi ed erbacce, situa- to in fondo al paese, giù verso il fiume, requisito a un contadino, tale Bettino Brichetti, notoriamente antifascista. Dopo che le squadracce in camicia nera gli propinarono tre abbondanti bevute di olio di ricino nello spa- zio di due mesi, egli abbandonò il paese rifugiandosi, così si diceva, presso un parente nella pacifica Svizzera. Giunto all’Orto Fascista, il Federale di Brescia scese dalla vettura, che aveva percorso gli ultimi cento metri della strada sballonzolandolo a causa del pessimo stato dell’acciottolato. Ad imitare il Duce – tutti i gerarchi cercavano di farlo – appoggiate le mani ai fianchi, petto in fuori, pancia in dentro, aveva, con voce tonante, iniziato ad arringare la folla sostenendo “l’importanza vitale di queste istituzioni che in tempo di guerra e in attesa dell’immancabile vittoria finale, assicuravano all’Italia combattente cibo sicuro, e ai giovani, con la coltivazione del campo, la partecipazione al raggiungimento del traguardo fascista che voleva l’Italia autosufficiente in tutto”.
In effetti il campo non misurava più di 30 metri per lato, era infestato da erbaccia ostinata, pungente e primordiale e pareva chiaro che la qualità del terreno non avrebbe potuto generare che qualche stentato tubero.

Mentre parlava, il Federale si accorse che, nel tentativo di mascherare una poco maschia pancetta e trattenendola il più possibile, i suoi pantaloni, non più sostenuti dalle abituali rotondità, stavano scivolando verso il basso. Si affrettò così a concludere il discorso e, dopo aver urlato con la completa estensione delle sue corde vocali “DUCE” ed aver ricevuto in risposta un altrettanto roboante “A NOI!!!!”, si era chinato rapidamente verso un cuscino nero, portato da un Figlio della Lupa, ovviamente in divisa. Dal cuscino, sul quale era ricamato in oro un fascio littorio, aveva prelevato un paio di luccicanti forbici ed aveva tagliato, tra gli applausi, un simbolico nastro tricolore che due avanguardiste, in camicia e calze bianche, basco e gonnellina nera, tenevano teso all’altezza di un varco nella siepe che delimitava il campo. Il Podestà, che era stato sino a quel momento in disparte in doveroso silenzio, si avvicinò al Federale, gli strinse, con devozione e quasi genuflettendosi, la mano e passò quindi a presentare alcune dame intervenute alla cerimonia, alle quali il Federale, battendo romanamente i tacchi dei lucidissimi stivali, fece un cavalleresco baciamano. Fra le signore spiccava per statura e bellezza la moglie del Podestà, signora Lucia, maestra presso le locali scuole, che era stata nominata “Custode dell’Orto Fascista”.
Fu quindi la volta dei notabili: il Pretore Battipede, il Direttore del locale ospedale, prof. Parola, l’avvocato Vi- tali, squadrista della prima ora, il medico condotto, dott. Pasqualicchio, il Maresciallo dei Reali Carabinieri ed il Prevosto, mons. Cappelletti che, dopo l’ossequio, chiese al Federale l’autorizzazione alla benedizione del campo “ove, con l’aiuto di Dio, per maggior gloria del Duce, senza esborso di alcun talento, giovani mani avrebbero dal terre- no tratto frutti in abbondanza”.
Dopo il pranzo presso il miglior ristorante del paese, ribattezzato per l’occasione Ristorante Impero, il Federale se ne era ritornato a Brescia, portando con sé il ricordo dell’affascinante moglie del Podestà. Da quel giorno i suoi pensieri più ricorrenti erano ispirati dal Duce e dalla sublime visione della signora Lucia.
Archiviata la cerimonia, venne abbandonato, almeno per il momento, anche ogni progetto di coltivazione dell’Orto Fascista. Le notizie che arrivavano sull’andamento della guerra, pur se efficacemente censurate, facevano intravede- re la debolezza dell’Italia e creavano qualche imbarazzo all’amministrazione fascista. Ma, passata l’estate ed avvicinandosi l’apertura delle scuole, la signora Lucia, o meglio la maestra signora Lucia, come tutti la chiamavano, si ricordò di essere stata nominata “Custode dell’Orto Fascista”. Bisognava che all’inizio dell’anno scolastico si prov-vedesse alla nomina di squadre di bambini, della quarta e della quinta classe, perché si dedicassero alla nuova incombenza procedendo alla semina di qualche ortaggio o di patate, piante adatte al povero terreno.

II

La signora maestra era diventata moglie del Podestà, il rag. Benvenuto Bertoli, ai tempi impiegato di buon livello della direzione della Banca di Valle Camonica, perché, stufatasi di “correre la cavallina”, aveva pensato bene di accasarsi con l’ultimo dei suoi amanti.
Aveva fatto la moglie fedele per qualche tempo ma, quan- do il marito le confidò le sue mire politiche, pensò di potergli dare una mano circuendo qualche pezzo grosso del fascismo locale.
Le grazie non le mancavano, l’esperienza nemmeno. Il marito, facendo finta di nulla vedere e nulla sentire, non la ostacolava certo. Il gioco le piaceva, appetiti sessuali ne aveva, trascurata sempre più dal coniuge che, finito il lavoro in banca, si dedicava anima e cuore al Partito. Cominciò quindi a darsi da fare. A 37 anni era, probabilmente, all’apice della sua bellezza. Un paio di gambe lunghe e ben tornite sorreggevano due chiappe sode che formavano un gran bel sedere. I fianchi, un po’ larghi, terminavano in una vita snella e priva di qualsiasi traccia di grasso. Il seno, alto e pieno, non era particolarmente grande ma prominente, i capezzoli piccoli sembravano, come direbbe il poeta, due ciliegie mature. Il viso, modellato da lunghi capelli neri sempre ben pettinati, era dominato da un paio di occhi verdi che, secondo la luce del giorno, sfumavano verso l’oro. Un gran bel pezzo di donna, insomma. La prima occasione si era presentata l’anno successivo al matrimonio, quando la maestra era stata mandata, insieme a due colleghe, ad accompagnare le classi quarta e quinta a Pisogne, all’inaugurazione del nuovo pontile sul lago d’Iseo, chiara opera in stile fascista con i pali di sostegno della passerella trasformati in fasci littori. Vi partecipavano tutte le autorità della valle ed era stata assicurata anche la presenza del Segretario Provinciale del partito “se non occupato in altri importanti incarichi”. Il Segretario, tale Manucelli Abramo, era un reduce della guerra di Spagna, ove si era messo in vista per la collabo- razione e per il servilismo che aveva dimostrato nei riguardi dei franchisti e si era specializzato nell’interrogatorio dei “rossi” che cadevano nelle loro mani. Non lo faceva con cattiveria, ma con la furbizia caratteristica dei contadini lombardi, e riusciva a far dire agli avversari cose che non avrebbero confessato nemmeno tra dolorose torture.
Ben altra storia aveva vissuto in Africa. Pochi giorni dopo essere arrivato in Libia aveva contratto l’ameba, una brutta infezione che dava febbri abbastanza brevi ma violentissime, precedute da brividi, tremori e spasmi muscolari che lasciavano, al loro scomparire, una spossatezza totale e dolori alle articolazioni. Dopo il primo attacco era stato immediatamente rimpatriato e la sua avventura in terra d’Africa definitivamente chiusa.Il Manucelli era soprannominato “longa manus”, sia per- ché curava gli interessi lombardi di alcuni pezzi grossi del fascismo trasferiti a Roma al seguito del Capo, sia perché, appena possibile, cercava di palpeggiare le parti morbide di qualsiasi donna gli capitasse a tiro. Egli, che già soffriva di complessi per il nome che i geni- tori gli avevano appioppato, più difficile da portare ora che le leggi razziali stavano per essere promulgate, in effetti non aveva mai combinato molto con le donne, ma lasciava che la leggenda sul suo conto proliferasse. Era sempre in caccia e attentissimo a cogliere qualsiasi occasione propizia. La maestra e le sue colleghe erano arrivate a Pisogne con il trenino che percorreva la Val Camonica e arrivava sino a Brescia, in divisa regolamentare: camicia e calze lunghe e bianche, gonna e scarpe nere, basco nero sulle ventitré, molto civettuolo. Lucia era veramente uno splendore e attirava lo sguardo compiaciuto di molti presenti, uomini e donne. Le colleghe decisero che sarebbe salita lei sul palco delle autorità in rappresentanza della loro scuola. Nonostante non ne avesse assolutamente voglia, dovette accettare per l’insistenza delle altre maestre.
Nel frattempo era arrivato il Manucelli, a bordo della so- lita vettura decapottabile, tra gli urlacci dei camerati che inneggiavano al Duce e al suo devoto Segretario della provincia di Brescia. Ancora sull’auto, rimanendo in pie- di sul predellino che gli permetteva di non mostrare la statura assai bassa, il Manucelli sfoderò ampi saluti ro- mani verso il palco, alla sua destra, alla sua sinistra e, non si sa per quale ragione, anche verso il lago. La cosa non sfuggì al solito gruppetto di elementi contrari al Regime che, pur rischiando la consueta purga a base di olio di ri- cino, sghignazzarono rumorosamente.

Il Segretario, nel tentativo di manifestare giovinezza e forza fisica, raggiunse il palco saltellando da uno all’altro dei pochi scalini che vi salivano. Ancora una volta si rivolse ai presenti accettando gli applausi e salutando romanamente. Il palco si era riempito delle autorità e dei rappresentanti delle varie associazioni e scuole che, strattonandosi senza alcun riguardo, cercavano di portarsi in prima fila vicino al Manucelli. In tutto questo trambusto Lucia, che avrebbe preferito rimanere defilata, si trovò spinta a fianco del Segretario che la guardò intensamente, spogliandola con lo sguardo e rimanendone assolutamente soddisfatto. L’ingegnere Domeneghini, progettista del pontile e Direttore dei lavori, nonché, guarda caso, Podestà del paese, si avvicinò al microfono e, cercando di non dare le spalle al Segretario Provinciale, iniziò a parlare dando il benvenuto alle autorità, ai capi delle rappresentanze e a tutti i presenti, passando, poi, ad illustrare la nuova opera voluta dal Fascismo e dal suo Duce per il miglioramento della navigazione sul Lago di Iseo.
Appena il Domeneghini iniziò a parlare, Lucia sentì una mano palpeggiare la sua chiappa sinistra, scendere velocemente verso la parte interna della coscia per ritornare poi da dove era partita prendendone decisamente posses- so. Il primo istinto fu di rifilare un gran ceffone al cafo- ne che si era permesso tali avances, ma, immediatamente, si rese conto che il palpeggiatore non era altri che il Segretario Provinciale e che tra lei e la folla non c’era che qualche metro. Avrebbe quindi provocato uno scandalo e una sicura ritorsione nei suoi confronti e in quelli di suo marito. E poi… tutto sommato, quella strizzatina non le dispiaceva per nulla. Per fortuna il Domeneghini non si addentrò nei partico- lari tecnici che avevano permesso la realizzazione dell’ope- ra, cosa che, pedantemente, cercava di infilare sempre nella presentazione delle costruzioni realizzate su suoi pro- getti. Progetti che, riteneva, comprendessero sempre solu- zioni ardite ed innovative.
Si limitò a spiegare come la parte mobile del pontile si sarebbe comportata in situazioni di secca del lago o, al contrario, di aumento dell’altezza della superficie dell’ac- qua, e terminò inneggiando al Partito Fascista e al suo Duce “ispirato direttamente da Dio per rendere l’Italia grande e forte tra le nazioni civili!”.
Poi il solito “DUCE!” con l’immancabile risposta della folla “A NOI!”. Dopo il Domeneghini fu il Segretario Provinciale a prendere la parola. Il discorso, nella sua ovvietà, fu brevissi- mo, come se il Manucelli avesse altro per la testa, e chi pensò questo certamente non sbagliava. “Camerati, siamo qui riuniti per ringraziare ancora una volta il nostro Duce supremo che, nonostante i grandi problemi che lo assillano, ha desiderato che venisse compiuta questa opera per il miglioramento della vita del suo popolo. Come figli grati facciamo voti perché, col soste- gno della nostra riconoscenza, possa avere la forza di continuare a guidarci verso l’immancabile vittoria finale”.
Scroscio di applausi. “Duce a noi! Eia! Eia! Alalà!” Dopo la benedizione della nuova opera da parte del Parroco di Pisogne, l’assemblea si sciolse e il Manucelli chiamò a sé un gruppo di suoi seguaci con i quali discusse animatamente per diversi minuti, dando a ciascuno un compito da portare a termine. Ci si trasferì quindi in municipio ove, nella sala consilia- re, era stato predisposto un ricevimento al quale parteciparono praticamente tutti quelli che erano stati sistema- ti sul palco delle autorità.
Lucia si staccò dal gruppo cercando di raggiungere le sue colleghe e i bambini, ma fu dissuasa dal farlo, presa let- teralmente per un braccio da un milite fascista che, senza fornire alcuna spiegazione, la accompagnò in municipio. Erano già le 17: Lucia era sulle spine perché lei e le sue colleghe dovevano prendere il trenino della linea Brescia- Edolo, detto il Gamba-de-legn a causa della sua lentez- za, che partiva da Pisogne per Breno alle 17.25.

Va be’ che uno dei vanti del fascismo era la puntualità dei treni, ma ciò si riferiva alle linee primarie (che erano poi la Milano-Firenze-Roma-Napoli e la Torino-Milano- Venezia) mentre nelle secondarie, che ricoprivano la maggior parte della rete, regnava il caos più assoluto.
Immaginatevi una linea morta come la Brescia-Edolo, che collegava paesini sperduti della Valle Camonica nella quale la maggior parte degli abitanti non era in grado di leggere neppure un orario ferroviario. Il Gamba de legn viaggiava a vista e forse il macchinista era uno di quelli che ignorava gli orari e non aveva così gran fretta di raggiungere la meta. Abitualmente, comunque, portava ritardi di varie decine di minuti che potevano dilatarsi sino ad oltre un’ora, indipendentemente dalle situazioni atmosferiche. Entrata nella sala consiliare, Lucia si trovò ben presto vicino il Manucelli che con assoluta gentilezza e, quasi, deferenza volle sapere chi fosse, perché si trovasse a Pisogne… ecc. ecc.
Lucia diede tutte le risposte tenendo pudicamente il capo piegato verso il basso, e poi, spiegando che doveva aiuta- re le sue colleghe a sistemare gli scolari sul vagone del treno loro riservato per ritornare a Breno, si scusò e chiese il permesso di ritirarsi. Il Manucelli, con un sorriso ambiguo sulle labbra, si dimostrò comprensivo e, dopo aver tenuto molto più del necessario per un saluto la mano di Lucia, con un galante inchino ed un batter di tacchi gliela baciò rumorosamente, rimanendo poi lunga- mente a guardarla mentre si allontanava.
La storia, quella con la S maiuscola, non riuscì mai ad accertare se in effetti il motore del “Gamba de legn” quella sera si mise a fare le bizze motu proprio, o se qual- cuno gli diede un aiuto. Fatto sta che quella sera il treni- no, arrivato a Pisogne, non volle in alcun modo riprendere la strada verso Breno.
Non esisteva altro mezzo capace di trasportare i 42 bam- bini e le tre insegnanti sino al paese di origine, ma anche se si fosse riusciti a rintracciare una decina di automobili tra Pisogne ed i paesi vicini, sarebbe stato impensabile, in periodo di autarchia, usare un così cospicuo quantitativo di benzina per effettuare il viaggio. Si decise, quindi, di rimandare la partenza della scolaresca sino a quando il treno non fosse stato messo in condizione di ripartire.
A Pisogne esisteva una bella Colonia Elioterapica del- l’Opera Nazionale Fascista – anche se la stessa era stata costruita con la manovalanza degli alpini e con i contri- buti raccolti dall’Associazione Nazionale Alpini della Valle Camonica. Fu quindi presa la decisione di riaprir- ne un’ala e di mettere a disposizione due camerate con 42 lettini più due letti destinati alle sorveglianti.
All’indomani scolaresca ed insegnanti avrebbero fatto ritorno alle loro case. Dalla Stazione dei Reali Carabinieri di Pisogne fu inviato un fonogramma ai colleghi di Breno affinché le famiglie fossero avvisate e tutti dormissero una notte tranquilla.
Già, due letti per adulti. Ma le maestre erano tre! Nessun problema: una avrebbe dormito in albergo. Caso strano, anche questa volta fu scelta Lucia e, caso ancora più stra- no, nell’albergo destinato ad ospitare Lucia aveva la stanza anche il Segretario Provinciale.
I bambini furono rifocillati alla bell’e meglio. D’altra parte pochi avevano appetito, eccitati come erano dalla novità che li faceva sentire in vacanza.
Lucia, che era stata nominata dal Direttore responsabile della comitiva, ancora una volta non voleva lasciare bambini e colleghe ma non poté desistere, data l’insistenza delle due maestre e dato che il Segretario, che ben conosceva suo marito, le aveva fatto pervenire un invito ufficia- le alla cena che si teneva nel ristorante dell’albergo ove le era stata riservata la stanza.
Al suo arrivo in albergo, Lucia non riuscì neppure a sali- re nella camera a lei destinata per darsi una rinfrescata, perché la cena stava per essere servita e tutti i commensali erano già seduti a tavola. Entrando nella sala del rist rante si accorse che un solo posto era ancora libero, ovvia- mente a lei destinato: quello alla destra del Manucelli. Quindi vi si sedette, accolta da un gran sorriso del Segretario, un sorriso strano, quasi da conquistatore, al quale seguì una frase che la lasciò alquanto perplessa: “Uno splendido fiore dovrebbe essere circondato da miglior compagnia. Spero non mancherà tempo perché possa ricevere gli omaggi dovuti!”

 

La cena si trascinò tra insulsi discorsi e numerosi brindi- si, naturalmente al Duce, all’opera quel giorno inaugura- ta, al suo progettista… ecc. ecc. Mentre stavano servendo il caffè, o meglio, il surrogato del caffè – un miscuglio di estratto di cicoria e di altre erbe di prato – il Manucelli sussurrò a Lucia:
“Io devo risolvere qualche piccolo problema, ma quando arriverò alla mia camera, la 122 – e qui depositò nella mano di Lucia la chiave della stanza – spero, anzi sono sicuro, di trovarci il fiore più bello che mai abbia incontrato”. Lucia arrossì violentemente, e salutando con un inchino tutti i presenti, lasciò la sala del ristorante.
Prima di salire le scale dovette fermarsi a sedere su una poltrona che si trovava ai piedi della scala, perché le gambe non la reggevano. Doveva calmarsi, ragionare più freddamente possibile per decidere se ignorare la propo- sta – l’ordine? – del Manucelli o se assecondare il suo desi- derio. Di mezzo ci poteva anche essere il futuro politico del marito e poi, se avesse deciso di incontrare il Ma nucelli, sarebbero state corna quelle fatte a un coniuge che gradiva qualsiasi sua collaborazione per ingraziarsi le alte sfere? Doveva sentirsi un’eroina, perché si immolava per il bene del marito, o una poco di buono perché, in fin dei conti, l’invito ricevuto la intrigava? Ci pensò su per una decina di minuti e poi decise di giocarsi l’avven- tura. Con le gambe che ancora le tremavano salì le scale e si diresse alla camera 122. Intanto il Manucelli stava discutendo con i suoi accoliti del programma del giorno seguente, ma non si sentiva molto bene. Aveva qualche brevissimo brivido di freddo ed un certo nervosismo interno, ma ritenne che i primi potessero attribuirsi al cibo pesante e abbondante che ave- va ingurgitato, e il secondo all’avventura che stava per vi- vere. Lasciò anche lui la sala da pranzo ma stava ancora meno bene e faticò a salire le scale.
Quando aprì la porta della sua stanza e intravide, nel buio, la sagoma di Lucia, dimenticò qualsiasi malessere e si sentì rinascere. Rimase un attimo al buio, quasi incre- dulo di quale fortuna gli fosse capitata, ma poi accese decisamente la luce ed ammirò con vivo piacere quanto aveva davanti. Non sapeva bene come iniziare l’abbordag- gio, ma decise di essere gentile e, se possibile, spiritoso. “Vado un attimo in bagno ma quando ritorno spero di poter vedere qualcosa di più di questo bel fiore”.
Anche Lucia non sapeva bene come comportarsi. Tanto per cominciare, si sbottonò il vestito e lo lasciò cadere a terra, rimanendo in guêpière e calze di seta e si rimise ferma, quasi sull’attenti, in mezzo alla stanza, dando le spalle alla porta del bagno come a lasciare qualsiasi inizia- tiva al suo prossimo amante.
Il Manucelli intanto, in bagno, si stava lavando i denti ma, improvvisamente, fu scosso da brividi violenti e da un tre- more che non riusciva a controllare. Capì subito che una violenta febbre lo stava assalendo e gli venne impellente il desiderio di stendersi per non cadere. Spalancò la porta e crollò sul letto quasi privo di conoscenza.
Lucia non si mosse per qualche secondo, non riuscendo a comprendere quale gioco amoroso il suo partner volesse praticare. Non aveva la forza di girarsi. Sentiva il letto scricchiolare sotto gli spasmi del Manucelli e un suono quasi di nacchere che, ben presto se ne rese conto, era pro- vocato dallo sbattere dei denti dell’uomo. Alla fine si voltò e vide il Segretario Provinciale, terreo in volto, ballonzola- re sul materasso, il viso contratto in un ghigno che dimo- strava grande sofferenza.

Lucia non sapeva cosa fare. Gli si accostò, istintivamen- te gli mise una mano sulla fronte e quasi si scottò. Il Manucelli doveva avere la febbre a quaranta! Che fare? Corse in bagno, bagnò una salviettina da bidet e la pose sulla fronte del malato che rispose con un mugolio di piacere e riconoscenza. Ben presto la salviettina divenne calda e lei la rimosse, corse in bagno, la mise sotto il rubinetto dell’acqua fredda, la strizzò e ritornò in camera riposizionandola sulla fronte.
Il tremore stava esaurendosi, probabilmente perché la temperatura aveva raggiunto una certa stabilità. Trovò in bagno un’altra salvietta e una bacinella. La riempì, vi immerse la salviettina ed andò a sedersi sul letto di fianco al Manucelli. Cominciò a cambiare sistematicamente ogni dieci minuti le pezzuole sulla fronte del malato, il quale sembrava essersi assopito e solo ogni tanto allungava una mano per accarezzare la coscia di Lucia, quasi volesse accertarsi della sua presenza.
Così passò la notte. Alle sei la donna, in punta di piedi per non svegliare il Segretario che sembrava caduto in un sonno ristoratore, lasciò la stanza, uscì dall’albergo e si incamminò verso la Colonia Elioterapica. Alle otto il Manucelli si svegliò. Si sentiva come se lo avessero bastonato in tutto il corpo ed era debole come non si era sentito mai.
Con estrema fatica si alzò, andò in bagno e si fece, con mano malferma, la barba. Si pettinò e scese al bar dell’albergo per prendere un caffè. Al bar erano già presenti buona parte dei suo scagnozzi che avevano saputo dall’albergatore che il loro capo si era portato in camera la bella maestra di Breno, con la quale aveva passato la notte.
All’apparire del Manucelli stavano per applaudirlo per la nuova avventura, ma rimasero bloccati nel vederlo invecchiato di 10 anni, bianco in volto, con un paio di occhiaie violacee e quasi incapace di restare diritto. Che femmina doveva essere quella maestra signora Lucia per essere riuscita a ridurre il leggendario Segretario Provinciale in quelle condizioni!

(continua)

 

 

 

 

 

 

 

Scavolini apre a Rivarolo

Scavolini prosegue il piano di sviluppo del canale retail nazionale con l’apertura a giugno dello Scavolini Store Rivarolo, nuovo punto vendita monomarca interamente dedicato a cucine, living e bagni firmati dall’Azienda punto di riferimento del settore in tutto il mondo e da sempre sinonimo di qualità Made in Italy.

Lo Scavolini Store Rivarolo, situato a Rivarolo Canavese in provincia di Torino, in Corso Re Arduino 47, nasce dalla collaborazione con TMT di Tattoli Marco, realtà operante nel settore montaggio arredamento da due generazioni.

Qui, l’attenzione ai dettagli, al design e alla massima libertà compositiva che caratterizza Scavolini è racchiusa in un’esposizione di oltre 225 mq, che include le migliori proposte del brand per la cucina, il bagno e il living. Tra queste, le nuove collezioni FormaliaDandy Plus DeLinea, ma non mancano i modelli cucina best seller come Carattere LiberaMente e le sofisticate proposte living.

Arricchiscono l’offerta, le soluzioni per l’arredo bagno tra cui le nuove collezioni Tratto Juno.