ilTorinese

Ritorna “Scatta il tuo Natale”, il concorso fotografico per le scuole primarie

/

Ritorna “Scatta il tuo Natale”, il concorso fotografico per le scuole primarie voluto dalla Regione per tenere vivo il sentimento delle tradizioni e riscoprire il significato delle radici del Piemonte.

Presepi, addobbi natalizi e lavoretti realizzati dai bambini hanno come vetrina d’eccezione il sito e i canali social della Regione, oltre ad una pagina apposita di Instagram dove vengono pubblicate le foto più belle.

Le immagini devono pervenire entro e non oltre il 10 gennaio 2022 a scattailtuonatale@regione.piemonte.it: a tutti i partecipanti sarà consegnato un attestato di partecipazione quale riconoscimento simbolico per impegno e creatività. Le tre classi che  avranno inviato l’immagine più significativa, selezionata da un’apposita commissione di valutazione, saranno premiate con una visita al Planetario di Pino Torinese da effettuarsi entro il 30 giugno 2022.

“Anche quest’anno abbiamo voluto proporre il concorso fotografico – evidenzia l’assessore all’Istruzione Elena Chiorino – per spiegare e ricordare, attraverso gli occhi dei più piccoli, l’importanza del Natale, cercando di tener vivo il sentimento delle tradizioni e scoprire insieme il significato profondo delle nostre radici. In un periodo particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo, dove purtroppo anche l’atmosfera del Santo Natale rischia di essere compromessa dagli assalti di chi chiede di cancellare le nostre tradizioni, tentando di imporre un concetto di politicamente corretto che neghi la nostra cultura quando invece, proprio valorizzare il Presepio è il primo simbolo di inclusività”.

Libertà per i bimbi Manifestazione davanti al Tribunale dei minori

Riceviamo e pubblichiamo
Giovedì 23 dicembre un gruppo di madri e altre persone si sono radunate di fronte al Tribunale dei Minori in corso Unione Sovietica in occasione della manifestazione organizzata dall’Associazione Adelina Graziani per chiedere la restituzione di Cristian Colangelo alla madre.
Il bimbo è attualmente rinchiuso in una comunità e da mesi gli viene impedito di vedere i famigliari e frequentare la scuola. La manifestazione, però, in generale è stata organizzata per sensibilizzare e protestare contro gli allontanamenti “facili” dove bambini vengono separati dai famigliari per essere dati con troppa leggerezza in affidamento a comunità e a famiglie affidatarie. Un mondo che è stato solo recentemente “scoperto” ma del quale si sa ancora troppo poco. Nel corso della manifestazione i presenti hanno anche dato pieno sostegno alla nuova legge regionale sugli affidamenti zero che sta ricevendo troppo ostruzionismo, ma che nei prossimi mesi dovrebbe essere approvata regolando meglio il meccanismo degli affidi. I manifestanti oltre a chiedere che Cristian sia lasciato tornare a casa per Natale, dalla sua mamma e nonna, chiedevano che non ci fossero più separazioni per motivi economici e che piuttosto di pagare gli affidamenti alle comunità e famiglie affidatarie si aiutino economicamente i genitori in difficoltà lasciandogli la tutela dei figli.

I Civich aiutano anziana senza acqua e gas

Grazie all’intervento e all’interessamento degli agenti del Reparto di Prossimità della Polizia Municipale, un’anziana signora di ottant’anni potrà finalmente utilizzare l’acqua calda per lavarsi e i fornelli a gas per cucinare.

 

Qualche settimana fa, alcuni vicini di casa, avevano segnalato la situazione di difficoltà della ‘nonnina’ e il personale specializzato dei ‘civich’ si era recato nell’abitazione della donna per verificare la situazione.

 

Una volta entrati nell’appartamento situato in pieno centro, immediatamente a ridosso del mercato di Porta Palazzo, gli agenti si sono trovati di fronte a una situazione di estremo disagio. L’alloggio era privo di mobilia e di qualsiasi altro oggetto o complemento di arredo. Gli unici elementi presenti nella dimora erano il letto utilizzato dall’anziana per riposare e un fornelletto elettrico per riscaldare le pietanze. L’alloggio infatti era privo della fornitura di gas e pertanto senza la possibilità di utilizzare acqua calda e fornelli da cucina. I vestiti della donna erano riposti all’interno di scatoloni e sui muri erano appese poche foto di famiglia.

 

A quel punto i ‘civich’ si sono subito interessati al problema del gas e hanno scoperto che, a causa di un intoppo burocratico legato al subentro tra gestori, la fornitura del combustibile era rimasta bloccata in un limbo dal quale, senza un intervento esterno, difficilmente si sarebbe usciti.

 

Contemporaneamente, gli agenti, hanno contattato delle aziende che effettuano traslochi e lavori edili, riuscendo a mettere insieme, gratuitamente, l’intero arredamento per l’appartamento della signora, dopo aver selezionato tutti i mobili necessari, usati e in buone condizioni.

 

I ‘civich’ hanno poi dedicato il proprio tempo libero, fuori dall’orario di servizio e di propria iniziativa, al trasporto e montaggio dei mobili in casa dell’anziana signora, consentendole in tal modo di trascorrere il Natale in una casa arredata, ma soprattutto con acqua calda e i fornelli per poter cucinare.

Il Natale delle (troppe) emergenze La politica che fa?

Altro che emergenza sanitaria. Qui siamo perennemente in emergenza, punto e basta.
Quarta ondata di Covid. Chi l’avrebbe detto. Ed ora scopriamo che ogni sei mesi dobbiamo vaccinarci  per avere il green pass.

Pazienza, ce ne faremo una ragione. Dove non ce ne facciamo una ragione è l’emergenza delle morti sul lavoro. Oltre mille morti sul lavoro. Mancano i controlli. Bassi i costi e dunque poca attenzione. Emergenza emigrazione. Continuano gli sbarchi e Continuano le assegnazioni di profughi. Non sappiamo come rigirarci. Cercare di salvarli qui a Torino come nel mare è un atto dovuto. Come i senza tetto. Oltre 2500 nella nostra Città e solo 800 posti per accoglierli. E fa freddo, tanto freddo. È Natale. Un altro motivo per cercare di resistere. L’emergenza produce paure, troppe paure che molte volte si trasformano in ansia ed angoscia. Ma è Natale , come non fare gli auguri ai volontari che assistono i senza tetto. Come non augurare Buon Natale ai medici e personale sanitario. In prima linea da due anni a questa parte. Persino Buon Natale ai no vax , dannosi a sé stessi e soprattutto agli altri. Che vengano fulminati sulla via di Damasco e ritrovino la ragione persa. NON Buon Natale a chi incentiva il lavoro nero. Tragica premessa per le morti sul lavoro. Con la speranza che paghino con la galera le loro colpe. Dunque a Natale tutti buoni. Almeno per 48 ore . Con la convinzione che la solidarietà ci ritornerà moltiplicata mille. Nessuno si salva da solo.
E buon Natale al Sindaco di Torino Stefano Lo Russo. E buon Natale  al presidente Alberto Cirio. Insomma Buon Natale a tutti . Tranne per i cattivi che, fortunatamente, continuano ad essere una minoranza. Buon Natale. Come quella canzone di Venditti: Quando verrà Natale tutto il Mondo cambierà. Ripetendosi. Quando verrà Natale tutto il mondo cambierà. Sappiamo che non è vero. Ma per 5 minuti amiamo crederlo. Un po’di speranza non guasta mai.

Patrizio Tosetto

Le notti degli zampognari

A cura di: https://crpiemonte.medium.com/

Con le loro Novene annunciavano la gioia del Natale

di Mario Bocchio
Se chiedete ad un inglese di una certa età, vi darà conferma che un tempo era usanza, nella notte di Natale, ascoltare musicisti che con la cornamusa suonavano nelle strade. Erano i cosiddetti Christmas waits.
Chi studia queste tradizioni, sostiene che si potrebbero considerare come una sorta di bande musicali. Ma ancora prima, la storia d’Oltremanica ha visto i suonatori di cornamusa in cima alle torri delle città e suonare per scandire il tempo.
Nella società mediterranea la zampogna era lo strumento musicale fabbricato soprattutto dai pastori dell’Italia centro-meridionale, custodi di una tradizione diffusa già ai tempi dei Romani, che a sua volta potrebbero averla ereditata dai Greci.
Erano soprattutto le legioni di Roma a marciare e ad ingaggiare battaglia al suono delle zampogne.

 

In epoca medioevale la presenza di questo strumento è testimoniata su libri, pitture, affreschi e bassorilievi. Chi ha sentito parlare di William Millin? È stato un militare scozzese, conosciuto anche come Piper Bill. Partecipò allo Sbarco in Normandia. La cornamusa era autorizzata dall’esercito britannico solo nelle retrovie. Lord Lovat, comandante della 1st Special Service Brigade, ignorò queste disposizioni e fece suonare a Millin The Road to the IslesHighland Laddie e Blue bonnets over the border, mentre i suoi compagni cadevano su Sword Beach.

 

Per la prima volta lo zampognaro venne ammesso nella sacra rappresentazione del Presepe vivente da San Francesco, il poverello di Assisi, all’incirca nella seconda decade del milleduecento, mentre nel 1720 alcuni missionari torinesi composero per il Convitto Ecclesiastico la Novena di Natale. Oltre ai testi anche la musica, così la Novena si diffuse in tutta Italia con presepi viventi e musiche di zampognari.

 

Le zone in cui è ben radicata la tradizione degli zampognari sono l’Abruzzo, il Molise e la Ciociaria. È da lì che, fedeli ad una tradizione tramandata di padre in figlio, gli zampognari salivano anche sino in Piemonte, spostandosi di paese in paese in una sorta di concerto itinerante. La gente quasi sempre offriva loro oboli in denaro ma anche cibo e vino.

 

La ricotta è sempre stata considerata cibo di re e di pastori, il suo nome deriva dal latino recocta, cotta due volte, poiché il siero del latte viene cotto due volte durante la lavorazione. La ricotta fresca, secondo la tradizione, arrivava in città il 25 novembre, giorno della festa di S. Caterina, sulle note di una pastorale. La portavano, dentro canestri di vimini, gli zampognari, scesi dai pascoli. Nei giorni che precedevano il Natale, gli zampognari al suono forte dei loro strumenti antichi – la zampogna e la ciaramella – nei loro abiti che parevano usciti da un presepio, con gli immancabili tabarri e le pelli di pecora, annunciavano a tutti che il Natale era finalmente alle porte.
La zampogna veniva suonata dal pastore più anziano. Risale al millesettecento la melodia napoletana “Quanno Nascette Ninno” scritta da Sant’Alfonso Maria de Liguori, antesignana del famosissimo “Tu scendi dalle stelle” .

Il bosco di Lucento

La manifestazione che è diventata una tradizione

Era il 2017 quando il Tavolo Culturale di Lucento (un gruppo informale di cittadini e associazioni) con le insegnanti delle scuole materne ed elementari della zona progettarono il Bosco degli Alberi di Natale, da esporre sulla cancellata delCentro Culturale Principessa Isabella, in Via Verolengo 212, per valorizzare il territorio e i lavori degli alunni.

Le sagome, realizzate con materiale di recupero, furono consegnate ai bambini e alle bambine delle scuole che le riconsegnarono decorate. All’inaugurazione, furono coinvolti anche gli allievi del CIOFS, che con la loro abilità di futuri addetti alla ristorazione distribuirono bevande e merendine.

Il successo fu tale che la manifestazione del 2018 fu inserita nel progetto NataLucento, proposto dall’associazione un Sogno per Tutti, coinvolgendo 350 bambini e bambine che crearono ben 70 alberi.

Nel 2019 il numero degli alberi esposti crebbe ulteriormente e ogni classe accolse le altre con una canzoncina di Natale.

 

Nel 2020, seguendo i protocolli anticovid, le sagome furonosanificate e consegnate alle scuole, dove mille mani si misero al lavoro. Gli alberi furono restituiti ai volontari che li disposerosulla cancellata della Principessa Isabella.

Quest’anno gli alberi esposti sono stati più di un centinaio ehanno coinvolto due scuole elementari, cinque scuole materne, una scuola professionale e varie associazioni del territorio. Alla manifestazione, che è ormai diventata una tradizione, hanno inoltre partecipato 92 esercizi commerciali che hanno esposto in vetrina un addobbo che richiama l’iniziativa de Il Bosco degli Alberi di Natale.

Ormai non è più insolito vedere dei bambini che si fanno fotografare dai genitori davanti alla cancellata dell’Isabella come se quello fosse diventato un posto speciale del Natale.

.

Il Tavolo Culturale di Lucento

“Un sorriso per i bambini del Regina Margherita” grazie al Rotary Club Torino Lagrange,

Continua anche questo Natale l’iniziativa “Un sorriso per i bambini del Regina Margherita”: il Rotary Club Torino Lagrange, per il settimo anno consecutivo, mantiene una bella tradizione alla quale ormai si sente profondamente legato.  

Nonostante il momento particolare che tutti stiamo vivendo, i Soci del Rotary Club Torino Lagrange hanno cercato di conquistare qualche sorriso tra i bambini del Regina Margherita donando loro giochi e, si spera, qualche momento di spensieratezza.

Come succede dall’inizio della pandemia, anche quest’anno i doni sono stati consegnati ai medici del Dipartimento per la Salute del Bambino, diretto dalla Professoressa Franca Fagioli, che li consegneranno ai bambini.

Il Presidente Yohan Berkol ha commentato così l’iniziativa: “Il Service dei doni al Regina Margherita è sostenuto dal Club fino dalla sua Fondazione; un progetto che mi sta particolarmente a cuore, che abbatte qualsiasi preconcetto, la rappresentazione dell’altruismo. Tendere la mano verso il prossimo, a chi ha meno di noi, a chi è in difficoltà regalando semplicemente un magico istante. Il regalo più grande ed importante non siamo noi a farlo ma a riceverlo: il sorriso di bimbi che, nonostante la malattia e le mille domande sui perché, sono grati ed in quel magico istante vivono il valore del Natale.
Da padre e da Presidente del Club non posso che essere orgoglioso.”

Nasce l’Orto della SME: un progetto di rigenerazione urbana presso la Scuola di Management ed Economia

Università di Torino

Una Nature-Based Solution per ripensare gli spazi all’insegna della sostenibilità e dell’economia circolare

Presso la Scuola di Management ed Economia si inaugurerà il progetto Orto della SME, una zona dedicata ad orto urbano in cassone per la comunità studentesca e per la cittadinanza con lo scopo di incentivare la produzione e il consumo di alimenti sani in aree urbane come strumento di sensibilizzazione verso una maggiore sostenibilità dei consumi. Il progetto è finanziato grazie ad EIT Food, all’interno di un asse progettuale dedicato al concetto di New European Bauhaus. All’interno degli orti si potranno produrre frutta e vegetali a disposizione per una variegata comunità di stakeholder: studenti, studentesse, personale tecnico-amministrativo, docenti, ma anche associazioni e scuole del territorio, cittadini e cittadine. Dopo i saluti istituzionali, sarà possibile visitare l’area e con l’occasione sarà possibile portare in dono all’orto un regalo, anche di natura simbolica e verrà effettuata una posa della prima “pianta”. A seguire si festeggerà con vin brulè, cioccolata e the caldo.
Lo scopo del progetto è quello di creare uno spazio multifunzionale valorizzando un’area fino ad oggi poco utilizzata, incrementando il valore sociale, culturale, ambientale ed estetico. Il gruppo di ricerca che ha portato avanti l’iniziativa si è ispirato al Nuovo Bauhaus Europeo, definito dalla Commissione Europea come quell’insieme di principi per rendere il Green Deal un’esperienza culturale concreta per tutta l’Europa, specie nel processo di ripresa rispetto alla crisi indotta dalla pandemia.
L’iniziativa si è infatti concentrata sulla realizzazione di un progetto che rispondesse ai tre principi del nuovo Bauhaus e cioè qualità dell’esperienza, sostenibilità e inclusione. Ispirandosi quindi a questi principi il progetto è stato realizzato organizzando diversi momenti di scambio che hanno visto la partecipazione attiva di diversi stakeholder, interni ed esterni all’Università. Le attività che hanno portato alla realizzazione dell’orto sono iniziate nel mese di agosto e hanno visto, in questi mesi, il coinvolgimento attivo di più di 60 persone.
Esperienza Grazie alla collaborazione con Città di Torino, i partecipanti al progetto hanno avuto modo di visitare Orti Generali e VOV 102 (luoghi cittadini già inclusi nei progetti europei ProGiReg e Fusilli). “Inoltre, sono stati organizzati alcuni momenti di co-progettazione che hanno permesso di raccogliere idee, spunti e per creare uno spazio capace di raccogliere diversi punti di vista e diverse esigenze, ispirato dalla creatività e dell’immaginazione dei singoli, ma con una visione corale” spiega la responsabile del progetto la Prof.ssa Laura Corazza (Dipartimento di Management). Durante i diversi incontri con anziani che frequentano abitualmente l’area e che sono cresciuti in questo quartiere, si è ricostruita la storia del sito, anche dal punto di vista delle specie arboricole che erano presenti. La scelta delle piante è stata ispirata dai racconti che abbiamo ascoltato e dalle diverse testimonianze di chi è cresciuto in questi spazi. Riprendere le radici storiche nella scelta delle piante è servito a dare un senso di continuità con il passato, riscoprendo una memoria storica importante.
Nel mese di Ottobre, una quarantina di persone, sia interne che esterne all’ateneo torinese hanno partecipato ad un workshop durante il quale si sono definite le migliori soluzioni gestionali per lo spazio e per la garanzia dell’accessibilità, le specie vegetali da coltivare e le strategie per favorire lo sviluppo di una comunità attiva e inclusiva. Nel mese di novembre è invece stato organizzato, grazie al supporto tecnico di Amiat Gruppo Iren, un momento di pulizia degli spazi con il coinvolgimento degli studenti e delle studentesse e il personale docente, con lo scopo di avviare simbolicamente il progetto di transizione. L’attività di pulizia ha permesso di raccogliere, in poche ore, 860 chilogrammi di rifiuti che grazie al supporto di Amiat sono stati avviati a trattamento e recupero.
Sostenibilità ed economia circolare In aggiunta, come applicazione pratica alla vocazione scientifica del Dipartimento di Management, si è deciso di adottare una filosofia di economia circolare lungo l’intero progetto di design. Per la realizzazione tecnica delle infrastrutture e degli arredi si sono recuperate traversine dei treni (opportunamente trattate), legno di scarto da segherie locali e da cantieri edili che operano in bioedilizia che altrimenti sarebbero diventati rifiuti. Il legno che è stato utilizzato per creare il camminamento che attraversa gli orti è stato realizzato grazie al recupero di 22 quintali (3 metri cubi), pari a 28 traversine, di traversine ferroviarie in rovere. Le assi per la realizzazione dei cassoni sono composte da legno che è stato recuperato da cantieri edili e da falegnamerie di Torino. Questo ha permesso di recuperare 15 quintali di legno pari a 2 metri cubi in maggioranza corteccia di larici ed abeti. La casetta degli attrezzi, il tavolo e le panchine sono stati realizzati recuperando e riassemblando componenti esistenti da scarti di cantieri edili ed invenduti. Si è stimato che questo progetto abbia permesso di risparmiare circa 52/60 quintali di legno vergine e allungare il ciclo di vita di diversi prodotti e materie prime. La stima è avvenuta considerando la percentuale di materia prima che si perderebbe durante la gestione del bosco, e le diverse fasi di taglio, trasporto e macchinaggio.
Inclusione ed estetica L’area in questione era stata dismessa e non accessibile alla comunità universitaria. Tramite questo progetto si è valorizzato il capitale naturale presente, anche attraverso la collaborazione con qualificati esperti di architettura del paesaggio che hanno offerto consigli sul miglioramento del senso estetico del luogo. Per migliorare l’accessibilità dell’area e consentire alla popolazione disabile una migliore fruibilità, si sono progettati dei camminamenti e dei cassoni disegnati per essere percorsi ed usufruiti da una popolazione con disabilità motorie. Cassoni più bassi e stretti, sono stati progettati per coinvolgere bambini e bambine delle scuole limitrofe. La storia dell’orto e le sue regole sono anche disponibili in formato audio, per la popolazione non vedente e ipovedente, accessibile con smartphone.
Il progetto è stato realizzato grazie al sostegno di EIT Food, all’interno del progetto Cross-KIC New European Bauhaus della Commissione Europea. La sua ideazione nasce dalla stretta collaborazione della Scuola di Management ed Economia, il Dipartimento di Management e il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche dell’Università degli Studi di Torino, con Obiettivo Studenti e AIESEC, e il prezioso contributo di Città di Torino. Hanno collaborato anche il Dipartimento di Cultura, Politiche e Società e il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari del nostro ateneo. Oltre ai cittadini e alle cittadine, durante gli eventi sono intervenuti: la Consulta per le Persone in Difficoltà, l’asilo nido Il Micino, REAR, Assiste SCS. Gli sviluppi del progetto in lingua inglese sono disponibili su: L’orto della SME @UniTo – Chiara Certomà (crowdusg.net). Per chi fosse interessato a collaborare al progetto e rimanere aggiornato è disponibile un canale Telegram: https://t.me/+V39i4MwGEZBiMTI8

Torino e il Natale: breve storia della festa più attesa dell’anno, tra dolci, affetti e censure

Arriva sempre, il Natale, arriva baldanzoso e ormai in costante anticipo sui nostri piani.

Sono passata dal centro in questi giorni, frettolosa come la folla torinese riversa per le vie, mi sono lasciata trasportare dalla corrente degli acquisti, dentro e fuori i negozi, ingurgitata dalla fiumana sorridente e sregolata. In via Roma c’era un chiosco di caldarroste, il profumo inebriava il vociare festoso, ho sorriso guardando l’uomo che quasi scompariva sotto la giacca voluminosa, ho desiderato una piccola e calda tregua da sbucciare, ma non si può arrestare il passo nella ressa, chi si ferma è perduto.

Il Natale è arrivato anche per i torinesi, per chi era già preparato e per chi invece è già in ritardo, il Natale è giunto per chi lo aspettava dall’anno scorso e per chi invece non vede l’ora che finisca.
Dopo aver annaspato nella corrente delle compere, armata di pacchetti e pacchettini, finalmente sono riuscita a rifugiarmi al Torino, ho ordinato un caffè con panna e ho osservato i miei vicini sconosciuti. L’interno elegante dello storico bar cittadino risplende delle decorazioni natalizie, palline rubiconde e brillantate si inerpicano sul mancorrente della scala interna, complici le ghirlande che si allungano come edere sinuose. Scambio un rapido sorriso con i tavolini a fianco, non ci conosciamo ma condividiamo questo prezioso momento dell’anno, un caloroso sospiro di pausa dalla quotidianità e per un attimo gli ostacoli ci paiono superabili. Mentre affondo il cucchiaino nella panna mi accorgo che ormai fuori è sera, le luminarie natalizie si accendono all’improvviso, e l’aria si tinge di colori al neon. Il Natale è arrivato anche a Torino. Le installazioni artistiche fanno ormai parte del paesaggio, le vetrine sono incorniciate da decorazioni sfavillanti, esse riluccicano negli occhi delle fanciulle e incupiscono gli sventurati accompagnatori, che temono di dover entrare nell’ennesimo negozio.
In piazza Vittorio troneggia l’appuntito albero della discordia, l’abete “i-tec” non sconfinfera l’intera cittadinanza, ma comunque fa festa e tutti, per un motivo o per un altro, lo utilizziamo come sfondo per il “selfie” di quest’anno. Anche stavolta la nostra bella città non si fa cogliere impreparata, e invita i suoi torinesi a partecipare a feste ed eventi, consiglia spettacoli, film e mostre, propone attività da svolgere insieme o in solitaria, affinché il periodo di vacanza non deluda nessuno. Il mio caffè è ormai finito, la panna sul fondo della tazzina mi impedisce di giocare a fare l’indovina. È ormai tempo di andare, cari concittadini, bisogna tornare a casa, prima che arrivino i nostri cari, e nascondere i regali appena acquistati negli armadi, per poi posizionarli sotto l’albero a tempo debito.
Mi rituffo nella bolgia in festa e penso:

Arriva sempre, per fortuna, il Natale. Arriva, e noi lo dobbiamo solo accogliere. C’è chi faceva il conto alla rovescia già da Ferragosto. I “social” pullulano di vignette e immagini inneggianti l’imminente festa che si passa “con i tuoi”. Eccolo dunque il giorno tanto atteso dai bambini, ma anche dai più grandi, quel giorno che la Coca-Cola ha tinto di rosso araldico e che assicura abbuffate spropositate in compagnia di amici e familiari. C’è chi lo ama particolarmente questo Natale e chi – come me – fa più la parte del Grinch e bofonchia e guarda di sottecchi chi invece eccede nell’ilarità. In ogni caso nessuno può esimersi dal lieto evento: tra il 24 e il 25 dicembre le case si faranno più calde per l’affetto dei parenti e le luci rimarranno accese a lungo, il buio della notte sarà giusto sufficiente per fa sì che Babbo Natale distribuisca i regali a tutti i bimbi buoni. Eppure abbiamo rischiato, cari lettori, che questa celebrazione venisse se non censurata, quanto meno livellata verso un grado basso d’importanza e svuotata della sua componente essenziale: l’augurio del “Buon Natale”. Ribadisco, mi sento il Grinch in questo periodo dell’anno, le persone che mi stanno accanto lo possono confermare, tuttavia anche se preferisco altre festività, ho trovato doveroso schierarmi dalla parte del termine “Natale”, perché si sa, le parole non sono mai “solo” parole. Esse nascondono significati e principi, esplicano i dettami morali che rendono l’uomo “cosa bella”, parafrasando Menandro. E se fatico ad abituarmi al tran-tran familiare del 24 e del 25 dicembre, non posso accettare che i miei giovani studenti crescano in una società che impedisca loro di conoscere a fondo le proprie tradizioni, che non li educhi al confronto e alla condivisione e che, al contrario, subdolamente li inganni, in nome di una omologazione priva di diritti e identità.
Per fortuna il provvedimento a cui mi riferisco non è stato approvato, ma il solo fatto che se ne sia parlato seriamente mi rende guardinga.
Ecco, cari lettori, perché mi soffermo su questo argomento, per difendere il Natale, per farne comprendere la bellezza e la complessità e, soprattutto, per sottolineare che se censuriamo quella che è la celebrazione degli affetti per eccellenza, allora come possiamo pretendere di educare i più giovani ad essere dei buoni cittadini?
“Quando comunichiamo possiamo inconsciamente finire per ricadere nell’uso di forme note di linguaggio che ritraggono chiunque si discosti da uno standard privilegiato come fosse in svantaggio o qualcosa di “altro””. Questo si legge nel documento a uso interno “Linee guida della Commissione europea per la comunicazione inclusiva”; parole più che giuste e condivisibili, fino a quando il principio non diventa ossessione e l’inclusione non trasmuta in censura.

Credo sia arrivato il momento di smettere di seguire il flusso consumistico e incessante di questo sistema che non ci lascia il tempo di pensare, credo sia il caso di fermarci e osservare la piega che il mondo sta prendendo, credo che quest’anno sarebbe cosa “buona e giusta” chiedere a Babbo Natale di distribuire un po’ di buon senso.
All’interno della suddetta indicazione vi sono diversi esempi di atteggiamenti “politicamente corretti” da adottare per non ferire la sensibilità di questi famigerati “altri”. Si legge, ad esempio, di non utilizzare il termine “colonizzazione”, poiché impregnato di “connotazioni negative”, oppure si sconsiglia di chiamare i nascituri con nomi riconducibili ad una religione specifica, come “Maria” o “Giovanni”.Da tali suggerimenti possiamo evincere allarmanti soluzioni: anziché perdere tempo a spiegare e contestualizzare il fenomeno del Colonialismo, presto cancelleremo tale capitolo dai libri di storia, perché ormai il nostro editore è il Signor Buonismo; allo stesso modo chiameremo i nostri pargoli “Sharon”, “Chantal”, “Bryan” e “Kevin”, così li salveremo dall’oscurantismo religioso, sacrificandoli alla Grande Madre Patria della Cultura Filoamericana. Sempre in tale guida si legge che sarebbe non opportuno utilizzare espressioni come “Buon Natale”, poiché i “non cristiani” potrebbero risentirsene, e dunque si invitano i gentili lettori a emulare l’atteggiamento anglosassone del “season’s greetings”, ossia portare “auguri di stagione”. Questo ultimo appunto seguirebbe la disposizione degli atti ufficiali europei che considera a tutti gli effetti la parola “Natale” sconveniente. La pochezza intellettuale di tali provvedimenti si commenta da sola e non tiene conto delle origini di tale celebrazione relegata alla cristianità, le quali affondano nel paganesimo più ancestrale e negli usi e costumi dell’Antica Roma, punto di riferimento indiscutibile per la nostra civiltà occidentale. Tutta questa smodata attenzione alla sensibilità altrui mi fa venire in mente quando il Concilio di Trento, nel 1564, giudicò “scandalosi” i nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina, condannando poi di riflesso il povero Daniele da Volterra a passare alla storia come “il Braghettone”. Esempio eccessivamente datato? Eccone un altro: 2016, a seguito della visita presso la Capitale italiana del presidente iraniano Hassan Rouhani, diversi nudi romani all’interno dei musei Capitolini (Roma) vengono nascosti dietro nivee scatole di cartone. Non voglio proporvi – per il momento- una rabbiosa storia della censura della cultura, rischierei di scivolare nell’utilizzo di espressioni non adeguate al periodo: dopo tutto è Natale, dobbiamo sforzarci di essere più buoni. E superiori a certe scempiaggini.

Quello che mi piacerebbe fare è, se me lo permettete, raccontarvi qualcosa di più riguardo a questa festività dibattuta e bistrattata, tanto antica quanto complessa, le cui simbologie si sovrappongono nel tempo, eppure sopravvivono, nella meravigliosa banalità dei gesti che tutt’oggi ancora compiamo, in questo preciso momento dell’anno.Non vi è una tradizione autorevole circa la data dell’istituzione del Natale, anche se si ritiene che le origini della festa vadano ricercate nell’antica Roma, quando, a partire dal III secolo, si celebrava, proprio il 25 dicembre, il natale del “Sole invitto”. In un secondo momento, i cristiani sovrappongono al culto pagano la nascita del “vero sole”, Cristo. In meno di un secolo, tale tradizione si diffonde in tutta la cristianità ed è adottata anche nelle Chiese Orientali. Al Natale è collegato il ciclo dell’anno liturgico, comprendente il periodo di preparazione, l’Avvento, il tempo effettivo del Natale – dal 24 dicembre al 5 gennaio – e, infine, l’Epifania, che va dal 6 al 13 gennaio. La festa di Natale si prolunga, secondo il rito cristiano, per otto giorni, quest’ultimo – il 1 gennaio – prende il nome di “Festum sanctae Dei Genetricis Mariae in octava Domini”. A livello popolare sopravvivono usanze e simbologie assai antiche, precedenti e annesse alle celebrazioni romane, legate al culto del solstizio d’inverno, quali il ceppo, l’accensione di fuochi e falò, l’addobbare un albero, generalmente un abete – il famigerato Albero di Natale – lo scambio di auguri e regali, soprattutto rivolti ai più piccoli e la costruzione del presepe, usanza tipica dell’Europa centro-settentrionale.
Va da sé, l’importantissimo compito di rendere felici i bambini è affidato a Sanctus Nicolaus, che parte da Bari e arriva in tutto il Mondo, disseminando gioia e risate bonarie. L’azione del donare affonda le radici nella celebrazione romana dei Saturnalia, ma si rifà anche all’episodio dei Magi, che portarono come presente a Gesù oro, incenso e mirra; non di meno il dogma cristiano stabilisce nel dare e nel ricevere doni il principio strutturale di quel preciso avvenimento, la nascita di Cristo, ricorrente ma unico: i Magi e il genere umano ricevono il dono di Dio mediante la rinnovata partecipazione dell’uomo alla vita divina.
Una vera e propria documentazione riguardo al Natale non c’è, ma quel che è certo è la natura magica di tale periodo. Le feste di Natale durano 13 giorni, decorso che deriva dall’intervallo che si crea affiancando i metodi di misurazione del tempo utilizzati dagli antichi: i cicli lunari e quelli solari. Tali calendarizzazioni hanno diversa durata e differiscono proprio di circa 13 giorni. Si crea così un tempo magico, in cui il mondo dei vivi e quello dei defunti si toccano. Tale momento si collega al 21 dicembre, il giorno più breve dell’anno, individuato dagli antichi come Solstizio d’Inverno.

In un periodo evolutivo in cui il genere umano è accomunato da una visione mistica e ritualistica del mondo, non stupisce che quasi tutti i popoli festeggiassero il solstizio con cerimonie il cui elemento centrale era il fuoco. Un fuoco che divampa nella notte più lunga dell’anno, illuminado gli alberi spogli e la terra arida, fiamme che sconfiggono la paura delle tenebre.
Roghi propiziatori che diventano luce, luce che diventa l’ancestrale simbologia della rinascita, la transizione tra il buio e la morte del vecchio anno e l’inizio della nuova stagione, segnato dall’incessante allungarsi dei giorni, fino al culminare nel Solstizio d’Estate (21 giugno).
Oggi, il “ritorno alla luce” non è più costituito dall’ardere di grossi ceppi, ma dall’accensione delle luminarie per le vie delle città, nonché dalle piccole e numerose lampadine che contribuiscono ad abbellire il nostro albero di Natale, elemento tradizionale derivante dal culto degli alberi, tipico dei popoli del Nord Europa, mescolatosi con i rituali dei falò e dei grossi ceppi.
Tali usanze vanno a confluire, con il passare del tempo, nelle feste pagane che i romani celebrano in onore di Saturno, i “Saturnalia”. Durante il periodo imperiale tali festività si svolgono tra il 17 e il 23 dicembre, sette giorni in cui si interrompono i lavori nei campi e persino schiavi e contadini possono godere di un periodo di riposo dalle fatiche quotidiane. I nobili invece si cimentano in banchetti pantagruelici, occasioni per far visita a parenti e amici e per scambiarsi l’augurio “ Saturnalia”, accompagnato da regali simbolici detti “strenne”.
Non è il rigore e la compostezza che caratterizza questi convivi, come dimostra l’iniziativa di Gaio Fannio Strabone, il quale nel 161 a.C. propone la “Lex Fannia”, con cui è fissato un limite di spesa (100 assi) per allestire tali banchetti.

 

Seppur per un breve periodo, durante i festeggiamenti l’ordine sociale viene sovvertito, costituendo una sorta di “mondo alla rovescia”; è eletto un “princeps”, inizialmente una figura caricaturale della classe nobile, su cui poi prevale la connotazione religiosa. Ed ecco che tale individuo, che indossa una maschera buffa e un vestito rosso, è la personificazione di Saturno, divinità infera, preposta alla custodia delle anime dei defunti ma anche protettore delle campagne e dei raccolti. I romani credono che in tale periodo le divinità del sottosuolo vaghino per la terra arida e secca, era quindi necessario offrire loro doni e organizzare festeggiamenti per indurli a ritornare nell’Aldilà e favorire la ricomparsa della stagione estiva.
È sempre in epoca romana che il 25 dicembre inizia a delinearsi come giorno peculiare, ma vediamo come mai e perché.
È il caso di dirlo, “diamo a Cesare quel che è di Cesare”. È proprio il celebre stratega Giulio Cesare che, non pago di aver “tratto il dado”, di aver oltrepassato il Rubicone e dato il via alla seconda guerra civile, decide, nel I secolo a.C. di riformare il calendario. Il compito viene affidato, grazie al suggerimento della bellissima Cleopatra, a Sosigene di Alessandria, celebre astronomo egizio. Viene così stabilito il “calendario giuliano” secondo il quale il solstizio d’inverno, detto “bruma”, cade proprio il 25 dicembre, giornata dedicata alla festa del “Natalis Solis Invicti”, celebrazione associata alla rinascita di Apollo, dio del sole.Il tempo passa e Roma in duecento anni diventa un Impero. L’Oriente entra in contatto con l’Occidente, nuove tradizioni e religioni si mescolano con quelle originali, e tra gli dei che riscuotono larga eco vi è Mitra, particolare divinità solare, la cui celebrazione avviene il 25 dicembre.
Il mitraismo è un’antica religione ellenistica, basata sulla venerazione di Mithras, di derivazione persiana e zoroastriana. Piace ai romani la concezione misteriosofica del culto, basata sull’idea dell’esistenza dell’anima e sulla sua possibilità di pervenire attraverso le sfere planetarie all’“aeternitas”. La commemorazione del dio Mitra si sovrappone e si mescola alle festività precedenti, portando sorvolabili differenze a livello di organizzazione di culto ma non modifica la simbologia alla base dell’avvenimento, che rimane legata alla rinascita del Sole nel giorno più breve dell’anno. Successivamente assistiamo alla diffusione del Cristianesimo. Come sappiamo, le vecchie abitudini sono dure a cancellarsi, così i Cristiani utilizzano il saggio stratagemma di sovrapporre le proprie usanze a quelle antecedenti: ed ecco che da una parte, là dove vi erano i templi eretti in onore delle divinità ora sorgono grandiose chiese dedicate al Dio Unico, dall’altra vengono sanciti legami indissolubili tra antico e odierno, tra pagano e cristiano, costituendo una matassa di tradizioni e vicende indistricabili.

Non c’è da stupirsi che il piccolo Gesù, la luce che porta alla verità e scaccia l’ignoranza del politeismo, nasca proprio in questo giorno, quando la Natura si prepara a fiorire nuovamente e il sole pare “ri-nascere”. Le Sacre Scritture, tuttavia, non forniscono indicazioni troppo precise a proposito della nascita del Redentore, nonostante ciò, durante il pontificato di Giulio I, viene stabilito che la nascita di Cristo avviene proprio il 25 dicembre; Papa Leone Magno, un secolo dopo, riconferma tale ricorrenza; nel 529 Giustiniano dichiara ufficialmente tale giornata festività dell’Impero.
Anche da un punto di vista artistico tale informazione viene presa per buona, come dimostra il primo presepe, risalente al 1223 e inscenante la prodigiosa nascita: la rappresentazione è ambientata nella notte di Natale, all’interno di una grotta, precisamente presso il Santuario di Greggio (nel Lazio). Ad oggi tale ricorrenza è accettata dalle Chiese Occidentali e dalla maggior parte delle Chiese Ortodosse. Ed eccoci arrivati al termine di questa breve storia del Natale. Una festa antica, ancestrale, potente, volta alla celebrazione della Luce, della Rinascita, segnata dalla convivialità e dallo scambio di doni, da sempre occasione di condivisione e vicinanza per tutti gli uomini. Dite, cari burocrati, cosa c’è di non inclusivo in tale ricorrenza? E chi potrebbe offendere, di preciso, questa giornata, durante la quale si sta vicini ad amici e parenti e si aspetta insieme il risveglio della natura? Festività e tradizioni non sono solo frammenti di carta evidenziata sul calendario, ma occasioni per meditare sui significati, spesso dimenticati, che motivano tali ricorrenze. Ancora una volta, è attraverso lo studio e la conoscenza che si ottengono il rispetto e l’accettazione degli individui e delle diverse culture che contraddistinguono i popoli.
Come possiamo pretendere di convivere fianco a fianco senza accettare reciprocamente le diversità che ci rendono unici?
Così ha commentato il cardinale Pietro Parolin la scampata censura del Natale: “la tendenza purtroppo è quella di omologare tutto, non sapendo rispettare le giuste differenze, alla fine si rischia di distruggere la persona”. Ma vi ho ho già rubato troppo tempo, gentili lettori, è ora che vi lasci andare a festeggiare con i vostri cari. Buon Natale, dunque e che “Dio ci benedica tutti quanti!” (Dickens, “Christmas Carol”).

Alessia Cagnotto

 

Covid, il bollettino di sabato 25 dicembre

COVID PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 16

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato 3.756 nuovi casi di persone risultate positive al Covid-19 (di cui 2.395 dopo test antigenico), pari al 6,2% di 60.530 tamponi eseguiti, di cui 48.701 antigenici. Dei 3.756 nuovi casi gli asintomatici sono 2.699 (71,9%).

I casi sono così ripartiti: 2.452 screening, 980 contatti di caso, 324 con indagine in corso.

Il totale dei casi positivi diventa 452.043, così suddivisi su base provinciale: 36.406 Alessandria, 21.767 Asti, 14.620 Biella, 64.132 Cuneo, 34.972 Novara, 240.176 Torino, 16.011 Vercelli, 16.595 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.908 residenti fuori regione ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 5.456 sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati non in terapia intensiva sono 933 (+ 27 rispetto a ieri).

I ricoverati in terapia intensiva sono 80 (+ 6 rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 37.139

I tamponi diagnostici finora processati sono 11. 361.856 (+ 60.530 rispetto a ieri), di cui 2.666.800 risultati negativi.

I DECESSI DIVENTANO 11.995

Quattro decessi di persone positive al test del Covid-19, nessuno di oggi, sono stati comunicati dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte (si ricorda che il dato di aggiornamento cumulativo comunicato giornalmente comprende anche decessi avvenuti nei giorni precedenti e solo successivamente accertati come decessi Covid).

Il totale diventa quindi 11.995 deceduti risultati positivi al virus, così suddivisi per provincia:1.597 Alessandria, 731Asti, 444 Biella, 1.481 Cuneo, 962 Novara, 5.732 Torino, 553 Vercelli, 380 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 115 residenti fuori regione ma deceduti in Piemonte.

401.896 GUARITI

I pazienti guariti diventano complessivamente 401.896 (+1.223 rispetto a ieri), così suddivisi su base provinciale: 32.269 Alessandria, 19.523 Asti, 12.781 Biella, 57.633 Cuneo, 31.597 Novara, 214.091 Torino, 14.620 Vercelli, 14.855 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.587 extraregione e 2.940 in fase di definizione.