ilTorinese

Così giovani e già criminali: 10 arresti e 27 denunce per droga e strappo di collanine

OPERAZIONE DELLA POLIZIA A TORINO

La Polizia di Stato, nell’ambito dell’operazione ad alto impatto finalizzata al contrasto della criminalità giovanile, ha concluso una importante attività sul territorio della provincia di Torino, che ha avuto avvio lo scorso 22 agosto con l’intensificazione di azioni di prevenzione e contrasto che hanno riguardato giovani dediti principalmente, in gruppo o singolarmente, alla commissione di reati in materia di stupefacenti, contro la persona e il patrimonio.

Le attività, coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, hanno visto l’impiego degli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Torino, supportati dal personale dei commissariati sezionali e del locale U.P.G.S.P., e hanno interessato i principali luoghi di aggregazione dei giovani, tra i quali si menzionano il giardino “Sambuy”, prospiciente la Stazione Ferroviaria “Porta Nuova”, i giardini di via Montanaro, il Parco Dora e le zone cittadine della c.d. “movida” (via Giulia di Barolo, via Vanchiglia, via Verdi, p.zza Vittorio Veneto).

Nel corso delle operazioni, ferma restando la presunzione di innocenza degli indagati fino alla sentenza di condanna definitiva, sono stati arrestati 10 giovani appena maggiorenni per reati in materia di stupefacenti, contro la persona e il patrimonio (in particolare, furti con strappo di collane d’oro); sono stati denunciati in stato di libertà, per le medesime fattispecie di reato, 27 ragazzi di cui 2 minorenni.

Complessivamente le attività hanno consentito di identificare oltre 320 giovani di cui 73 minorenni, italiani e stranieri, di controllare 6 esercizi commerciali (bar e luoghi di abituale ritrovo di giovani) e 2 sale giochi elevando 6 sanzioni amministrative nell’ambito della somministrazione di bevande e alimenti; sono state altresì sequestrate sostanze psicotrope e somme di denaro per oltre € 4.000,00 nonché elevate 6 sanzioni amministrative.

La redenzione del colpevole: ma c’è uno spazio per la vittima?

Sugli schermi “Elisa”, un film che fa discutere

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Anche il suo precedente (2021) “Ariaferma” parlava di carceri, un chiuso carcere in via di dismissione dove si intrecciavano rapporti tra carcerati e carcerieri. Leonardo Di Costanzo (collaboratori alla sceneggiatura Bruno Oliviero e Valia Santella) con “Elisa”, presentato a Venezia in concorso, s’immerge in un’aria all’apparenza più salutare e fresca, laddove in nuove architetture, quasi grandi alberghi di montagna, trova l’ambientazione per un istituto sperimentale carcerario, in quel di Moncaldo in Svizzera, con ampi spazi per le detenute, lunghi corridoi invasi dal sole, tra fiabesche casette disseminate sulla montagna, solitari e tranquilli tragitti tra l’attività quotidiana e il riposo notturno, meditativi silenzi e piccoli dialoghi con la compagna di stanza, un’eccellenza universitaria in cui il criminologo Alaoui svolge quasi un corso per addentrarsi nella mente e nel passato delle detenute. Concentrandosi su quelli di Elisa – le basi del racconto stanno nel saggio di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali “Io volevo ucciderla”: vicenda trasposta sullo schermo ma realissima, il nome dell’omicida essendo Stefania e il luogo dei fatti la Brianza -, appunto, amara, stracolma di inquietudini che inquietano, al decimo anno della sua detenzione, gliene rimangono secondo la sentenza altrettanti, rea di quello che lungo le sedute non si dovrà più definire “il fatto”, ma chiamarlo per quello che realmente è, “un omicidio”. Una condanna per l’uccisione e per aver dato alle fiamme il corpo della sorella maggiore, tra sequestri, sotterfugi, inganni, falsi messaggi. Forse senza un un motivo, forse perché sempre e da sempre sottovalutata, rifiutata, messa all’angolo da una famiglia che anche l’ha caricata di troppe responsabilità.

Un percorso, tra criminologo e colpevole, che parte dalla denuncia da parte di lei di non ricordare nulla di quanto commesso: ma un percorso che procede altresì lentamente tra le ammissioni e i ricordi che affiorano in una serie di flashback, disseminati da Di Costanzo qua e là, con intelligente tessitura, in un continuo prendere coscienza, confrontarsi con il passato, guardare al proprio interno, inventarsi un futuro, aprire il proprio squarcio ancora oscuro. Frasi, sguardi, parole che aprono scenari, mentre la macchina da presa di Luca Bigazzi si chiude in primissimi piani che sono allo stesso tempo un rapporto e una lotta, pronti in contrappasso a spalancarsi nell’ampiezza degli ambienti interni, ed esterni in quelle riprese dall’alto a inquadrare le giravolte della strada che dovrebbe condurre alla struttura di ricovero. Il percorso di Elisa è fatto di apprensioni e di dolore, di alti e bassi, di ricadute e di momenti di nuova speranza – ed è una nuova, eccezionale prova di Barbara Ronchi, che si carica sulle spalle gran parte della storia e del film, in un ritratto che non si potrà dimenticare nei Nastri o nei David di fine stagione, un ritratto fatto di gesti e parole sospesi, di attimi che riempiono lo schermo, di occhi che ri-costruiscono una ferocia e un misfatto, che cercano aiuto, che esprimono appieno sentimenti e cacciano via una cecità per lasciare posto a una tentennante consapevolezza.

Panorami, luoghi di sole e luce, un lavoro in prospettiva, un percorso sempre più angusto di rieducazione: per una affermazione di “umanità”, ricordava Ronchi presentando il film al pubblico torinese nella sala del Nazionale, perché “non si ritorni al medioevo, ad un’idea esclusiva di vendetta”, auspicava il regista davanti allo stesso pubblico. D’accordo. Nel convincimento tuttavia che la giustizia debba chiamarsi giustizia. Ma in una sceneggiatura che alimenta a tratti il sospetto del farraginoso e della poca chiarezza, che soprattutto non le concede più spazio per l’affermazione di un’idea che a chi scrive pare sacrosanta, c’è un cameo di Valeria Golino, madre compostamente dolorosa, che non accusa (più) perché “lasciamo stare qui, non ci sono più parole” ma che racconta al criminologo di quel branco feroce di ragazzini che le ha rubato, con una serie di coltellate, un figlio e che adesso forse sono già liberi – una manciata di minuti, esile esile, che pare dire “è vero, ci siete anche voi vittime”, un guardare dalla parte opposta, dalla parte di chi ha perso e continua a perdere giorno dopo giorno, “perché volevo rappresentare il punto di vista delle vittime, proprio perché lo spettatore non lo trascuri.” Una goccia di nessun conto nel mare magnum (necessario) della redenzione. Nel cinema come nella quotidianità. Fatto non comune, di questi ultimi giorni anche, affidato a un giudice che oggi “assolve” dalla accusa di maltrattamenti un uomo che ha sfigurato la mente e lo spirito e il viso di una donna come le immagini dimostrano ad ognuno, all’uomo della strada come all’uomo di legge: e poco deve importare che un procuratore abbia presentato ricorso in Corto d’Appello. Si continua a rimanere sospesi, all’obbligo del perdono, a non guardare a fondo a un dolore che resta il primo e il più angosciante.

Elio Rabbione

Pipe crack a Torino, Montaruli (Fdi): “No grazie”

“STOPPARE IL PROGETTO”

“Stoppare immediatamente il progetto per la distribuzione di pipette che sedicenti residenti di San Salvarlo avrebbero chiesto all’Asl” a dichiararlo è la vicecapogruppo di Fdi alla Camera Augusta Montaruli. “Non è così che risolviamo il problema droga ed anzi proprio la distribuzione di questo strumento può solo attirare e creare ulteriori tossicodipendenti – prosegue Montaruli -. Un’idea che non ci trova d’accordo a cui l’Asl non deve dare seguito esattamente così come abbiamo già chiesto per in altre occasioni. In caso contrario siamo pronti ad andare fino in fondo perché questa follia venga smantellata. Per noi è inaccettabile e da torinesi non vogliamo che sul nostro territorio ci siano iniziative che di fatto incentivano l’uso, non aiutano i tossicodipendenti, non incidono sulla prevenzione e avrebbero ripercussioni gravi sul territorio portando solo disagi. L’ideologia delle pipette non ci appartiene e faremo di tutto perché non trovi terreno nella nostra città”.

Bardonecchia, 20 settembre: cattolici impegnati in politica a convegno

 “Rilanciare l’ economia piemontese per la crescita del lavoro e per ridurre le diseguaglianze”.

Programma definitivo
Ridare un’anima alla politica e il valore aggiunto che i cattolici impegnati in politica debbono dare con più forza e riconoscibilità alla Comunità piemontese per Rilanciare la crescita economica di Torino e del Piemonte, oggi ultima tra le Regioni del Nord per tasso di crescita, per creare nuove occasioni di lavoro e ridurre le diseguaglianze che sono molto cresciute negli ultimi anni di bassa crescita in particolare a Torino .
Con molti riferimenti alla Lettera ai Corinzi , a Paolo VI , alla denuncia delle due Città di Mons. Cesare Nosiglia e all’appello del Cardinale Roberto Repole  affinché i capitali torinesi vengano investiti sul rilancio della economia locale , Mino Giachino , Giorgio Merlo e Mauro Carmagnola hanno promosso il convegno che si terrà a Bardonecchia sabato 20 settembre all’hotel La Betulla.
Il programma definitivo vede nella mattinata un grande confronto tra il Presidente degli industriali Marco Gay , Giorgio Airaudo leader della Cgil e Cristina Maccari della Cisl sulla economia piemontese e sulla crisi del settore auto .
Nel pomeriggio un dibattito politico su come i cattolici possano incidere di più nella vita politica piemontese e italiana uscendo dalla attuale irrilevanza perché come ha detto Pierluigi Castagnetti i cattolici nel PD sono silenziosi e nella maggioranza di governo hanno poca voce. Nel dibattito interverranno Vito Bonsignore, Marco Calgaro, GianPiero Leo, Fabrizio Comba, Mauro Carmagnola, Giorgio Merlo e Mino Giachino.

Bimba di 10 anni molestata dall’amico di famiglia sessantenne

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I genitori preoccupati che la loro figlia di 10 anni si comportasse in modo strano  le hanno chiesto il perchè. E la ragazzina ha confidato di avere subìto molestie da due anni dall’amico di famiglia sessantenne con cui veniva lasciata talvolta sola, tanto era considerato persona affidabile. E’ accaduto in provincia di Torino. Prima sono stati effettuati tutti gli accertamenti all’ospedale infantile, poi la segnalazione alla questura e nelle ore successive la squadra mobile di Torino ha fatto scattare il fermo. L’ex impiegato  in pensione e incensurato, è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale su minore.  Gli inquirenti stanno raccogliendo elementi per l’accusa, come   da foto che sarebbero state trovate nel cellulare dell’uomo che  si è avvalso della facoltà di non rispondere.

A Torino c’è il bunker antiatomico

Passeggiando nel cuore di Torino, all’angolo tra Via Vittorio Alfieri e Via Arsenale, si incontra uno degli edifici più raffinati della città, costruito dal Banco di Napoli con permesso del 30 giugno 1921. Le linee sobrie e armoniose, le balconate eleganti e le facciate scandite da finestre incorniciate con cura riflettono lo stile dell’epoca. Eppure, dietro a quell’eleganza si cela oggi un progetto inedito, affidato al gruppo Vertico, nato a Torino dieci anni fa dall’esperienza di Andrea Delmastro ed Edoardo Follo.

Delmastro racconta: “La nostra mission è quella di promuovere la riqualificazione del patrimonio edilizio attraverso la realizzazione di dimore di pregio, in grado di innalzare il decoro architettonico e contribuire all’evoluzione estetica e culturale della città. Tra i tanti cantieri a Torino, Palazzo Alfieri è al momento la nostra punta di diamante e prevede un intervento unico: la riconversione dell’ex caveau del Banco di Napoli in un bunker antiatomico.” Il caveau, sopravvissuto al bombardamento del 1927, per anni custodì gioielli, opere d’arte e beni preziosi, a pochi passi da Via Alfieri 19, sede storicamente associata alla massoneria, riconoscibile ancora oggi dal portone ligneo inciso con simboli iconici.

Il progetto di riqualificazione manterrà intatte le pareti in calcestruzzo armato spesse un metro e mezzo, integrandole con tecnologie di protezione avanzata secondo gli standard svizzeri, i più efficaci al mondo. La Svizzera garantisce infatti la massima sicurezza, fino al livello 7 della scala INES, il grado più alto in caso di emergenze nucleari o radiologiche. Un bunker, per sua natura, serve a proteggere dalle radiazioni: per questo viene collocato sotto terra, sfruttando la capacità del terreno di schermare i raggi gamma, pericolosi per la salute umana.

Il rifugio sarà dotato di porte blindate anti-radiazione, schermature in cemento armato, impianto di ventilazione con filtri a carboni attivi NBC capaci di eliminare il 99,9% di particelle radioattive, virus e batteri, oltre a valvole di sovrappressione per impedire infiltrazioni di aria contaminata. Sono previsti spazi per beni di prima necessità, autonomia idrica ed elettrica e acqua potabile, garantendo la sopravvivenza fino a trenta giorni per dodici persone. Gli ambienti saranno completamente personalizzabili e potranno includere cucine, zone giorno, camere matrimoniali e sistemi multimediali, oltre a optional che evocano scenari fantascientifici: anticamere di decontaminazione, serre idroponiche, rilevatori di radiazioni, tute protettive complete di maschere antigas, un ascensore segreto che collega direttamente l’attico al bunker senza che gli altri condomini possano saperlo, fino a una cantina per vini capace di contenere trenta bottiglie.

La notizia ha già suscitato interesse internazionale: dal Principato di Monaco agli Emirati Arabi, investitori guardano a Torino attratti dall’esclusività dell’intervento e dalla solidità del mercato immobiliare cittadino. Palazzo Alfieri diventerà uno dei pochissimi bunker in Italia, Paese che, a differenza di altri, non ha mai sviluppato una cultura diffusa dei rifugi. In Finlandia è obbligatorio realizzarli in edifici superiori ai 1.200 metri quadri, in Svezia se ne contano oltre 64.000, in Germania si pensa a riattivarli dopo la Guerra Fredda, in Svizzera vige il principio di “un posto per ogni abitante”, mentre in Italia gli esempi si contano sulle dita di una mano: a Roma il bunker di Villa Torlonia, oggi visitabile come attrazione turistica; a Milano il Rifugio 87, con capacità di 450 persone, e il Bunker Breda usato per eventi culturali; a Brione, nel bresciano, il primo villaggio bunker in costruzione come micro-città sotterranea; a Torino la storica rete di passaggi sotterranei di Piazza Risorgimento, legata ai fasti della monarchia sabauda.

Follo sottolinea: “Il bunker di Palazzo Alfieri è un po’ la versione 3.0. della Torino sotterranea del passato. Oltre al bunker Palazzo Alfieri custodirà un’altra chicca, che fa parte del nostro percorso di trasformazione degli edifici in luoghi che favoriscono relazioni, qualità della vita e futuro condiviso. Esattamente sopra il bunker abbiamo realizzato un chiostro contemporaneo – cortile interno a pianta quadrata che funge da vero fulcro distributivo dell’intero complesso residenziale – che lega memoria storica a vocazione abitativa. In sostanza abbiamo trasformato lo spazio destinato in passato agli sportelli bancari in uno spazio architettonico di grande valore, mantenendo il disegno originario in marmi policromi della pavimentazione, che è stata smontata, restaurata e riposizionata ricreando il tappeto geometrico che intreccia cromie e direzioni in legame visivo perfetto con le facciate. Le architetture che si affacciano sulla corte dialogano attraverso simmetrie rigorose che definiscono ordine e proporzione, mentre le grandi aperture vetrate, scandite da imbotti profondi, creano un ritmo controllato alternando trasparenze e superfici piene. La bellezza più pura è data dai giochi della luce che, filtrando su queste geometrie, genera profondità e riflessi cangianti nel corso della giornata.”

Montagna: investire sull’agricoltura produttiva e multifunzionale, ma anche sui servizi sociali e scolastici

Coldiretti Torino ha espresso soddisfazione per l’approvazione definitiva in Senato del disegno di legge per il riconoscimento e la promozione delle zone montane, un provvedimento che riporta la montagna al centro dell’agenda del Paese con interventi su sanità, scuola, connettività, mobilità e attività agrosilvopastorali. Proprio su questi temi Coldiretti ha organizzato due incontri di approfondimento lunedì 22 e martedì 30 settembre prossimi. Il primo è promosso da Donne Coldiretti Torino e si intitola “Fare impresa agricola al femminile nelle aree interne e nelle valli alpine”, dedicato al gap tra città e montagna nei servizi sociali, sanitari e scolastici, oltre alle imprese, un gap che pesa soprattutto sulle imprenditrici agricole. Il secondo appuntamento ha come titolo “La città incontra l’agricoltura di montagna”, un seminario per la promozione del rapporto metropolitano tra il capoluogo sabaudo e i sistemi agricoli delle vallate torinesi. Con la nuova legge sono destinati 200 milioni di euro annui nel periodo compreso tra il 2025-2027 per lo sviluppo delle montagne italiane, Fosmit, per Sanità, Scuola, Agricoltura, Mobilità, Servizi digitali e Turismo, oltre a misure contro lo spopolamento e incentivi per il personale che opera in montagna. Il via libera al provvedimento risponde alla necessità di maggiori innovazioni e infrastrutture, valorizzando il ruolo degli imprenditori agricoli nel presidio del patrimonio idrico e boschivo, nella prevenzione di incendi e dissesti, negli aiuti al turismo sostenibile. L’approvazione della legge rappresenta un’opportunità per ridurre la dipendenza energetica dall’estero con la gestione sostenibile dei boschi e la produzione di energia rinnovabile da legno e biomasse.
Per Coldiretti sarà ora decisivo che i provvedimenti di attuazione della legge sostengano concretamente l’agricoltura e il lavoro in montagna, rafforzando le indennità compensative, tutelando prati e pascoli, sostenendo filiere lattiero casearie e carni DOP/IGP, favorendo il ricambio generazionale e assicurando servizi essenziali e connettività. Fondamentale anche la semplificazione delle procedure tra Stato, Regione e Comuni montani, ma è anche centrale l’investimento nei servizi che permettono agli agricoltori di rimanere a vivere e lavorare in montagna alla pari di chi abita in città.

“Questa legge rappresenta un segnale importante per gli agricoltori che operano in territorio alpino – osserva il presidente di Coldiretti Torino Bruno Mecca Cici – si riconosce il ruolo centrale nelle attività agrosilvopastorali di montagna per rilanciare un territorio che non accetta più la commiserazione, ma vuole occasioni concrete di rilancio. L’agricoltura di montagna sta facendo passi da gigante verso la multifunzionalità e l’innovazione. Non si produce più solo cibo, ma le aziende producono servizi per le vallate e la stessa Città di Torino. Dobbiamo avviare una stagione di confronto sul piano locale per dare all’agricoltura di montagna un futuro di rilancio economico, e questa nuova legge andrà applicata nel Torinese, con progetti concreti, anche per colmare il divario di servizi tra valli e capoluogo”.

Mara Martellotta

Un orgoglio ferito e un volto spaccato

FRECCIATE

La legge si rispetta. Sempre. Ma rispettarla alla lettera, sorvolando  sull’umanità, può trasformarla in una beffa.

Lucia Regna è stata massacrata: 21 placche di titanio, un occhio compromesso per sempre. Il marito, invece, è “da comprendere”. Perché? Perché lei avrebbe “sfaldato un matrimonio”.

Tradotto, sembrerebbe che un volto spaccato valga meno di un orgoglio ferito. Un occhio cieco pesa meno di una fedeltà tradita?

Così la legge, che dovrebbe difendere i deboli, rischia di diventare un salvagente lanciato al violento. E una pietra in più addosso alla vittima. Ora però la procura impugna la sentenza e chissà che le cose non cambino.

Un matrimonio può crollare. È la vita che non dovrebbe essere fatta a pezzi.

Iago Antonelli

(Nella foto: il tribunale di Torino)

Il segreto delle Porte Palatine: tra storia romana e suggestioni medievali

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SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO
Passeggiare oggi in piazza Cesare Augusto, nel cuore di Torino, significa compiere un salto indietro di duemila anni. Tra il traffico cittadino, i palazzi moderni e la vita frenetica del centro, all’improvviso si aprono davanti agli occhi le Porte Palatine, imponenti e silenziose.
Le Porte Palatine non sono solo un monumento. Sono un ponte tra epoche diverse, un luogo dove storia e leggenda si intrecciano. Forse per questo, ancora oggi, continuano ad affascinare torinesi e turisti, attirando chi vuole scoprire un lato più intimo e antico della città.
Una delle porte meglio conservate dell’Impero romano
All’epoca della sua fondazione, Julia Augusta Taurinorum era una città strategica: sorgeva lungo la via che collegava Roma alla Gallia e, in seguito, alle province settentrionali dell’Impero. La città era protetta da mura poderose e quattro porte principali permettevano l’accesso da ogni lato.
Le Porte Palatine erano l’ingresso settentrionale, quello che conduceva verso Ivrea e le vallate alpine. Oggi sono considerate uno dei migliori esempi di architettura romana conservati in Italia.
Nonostante le vicissitudini dei secoli, la struttura ha mantenuto intatto il suo fascino. Non è un caso che il sito sia stato inserito nel percorso di Torino romana e che rappresenti una delle mete preferite da chi vuole conoscere la città partendo dalle sue radici.
Dal Medioevo alla rinascita
Dopo la caduta dell’Impero romano, le Porte Palatine conobbero un periodo di abbandono. Come molte strutture antiche, furono inglobate nelle nuove costruzioni medievali e in parte smantellate per riutilizzare i materiali.
Nel corso del Medioevo, le torri furono trasformate in fortificazioni e poi in dimore nobiliari.
Fu solo tra il XVIII e il XIX secolo, con l’arrivo dei Savoia e la crescente attenzione per le origini della città, che le Porte Palatine tornarono al centro dell’interesse culturale. Gli scavi archeologici avviati nell’Ottocento riportarono alla luce gran parte della struttura originaria, restituendole dignità storica e valore artistico.
Leggende e suggestioni
Intorno alle Porte Palatine non si intrecciano solo fatti storici, ma anche leggende popolari che contribuiscono al loro fascino misterioso.
Una delle più note riguarda l’imperatore Augusto. Si dice che, poco dopo la fondazione della città, egli vi si sia recato di persona per benedire il passaggio delle legioni. Secondo la tradizione, avrebbe pronunciato parole propiziatorie per il futuro di Torino. Non ci sono prove storiche, ma la leggenda ha alimentato per secoli l’immaginario collettivo.
Un’altra suggestione riguarda le energie esoteriche. Torino è famosa per essere parte del cosiddetto “triangolo della magia bianca”, insieme a Lione e Praga. Alcuni sostengono che proprio le Porte Palatine siano uno dei nodi energetici più potenti della città. Non ci sono conferme scientifiche, ovviamente, ma basta visitare il sito di notte per percepire un’atmosfera diversa, sospesa, quasi fuori dal tempo.
Le Porte Palatine oggi
Oggi le Porte Palatine sono al centro di un grande progetto di valorizzazione promosso dal Comune di Torino. L’area circostante è stata riqualificata, con nuovi percorsi pedonali, pannelli informativi e visite guidate organizzate in collaborazione con il Museo di Antichità.
NOEMI GARIANO

Il Graffitismo vandalico e il degrado urbano

Queste azioni barbariche non hanno niente a che vedere con i meravigliosi murales e graffiti che rendono Torino più bella e all’avanguardia nell’arte urbana.

Palazzi restaurati, rimessi a nuovo, molti soldi spesi e lavori che durano per mesi interferendo, il più delle volte, con le vite degli abitanti dei condomini che, tuttavia, aspettano pazientemente il risultato: muri puliti, tinta fresca, aspetto nuovo. Strade rinomate di Torino, passeggiate sotto i portici, storia, architettura, orgogli cittadini deturpati da scritte, spesso piene di rabbia, a sfondo politico, sociale o sportivo che potrebbero anche avere un senso se solo facessero parte di un progetto di comunicazione (che può utilizzare anche la critica) studiato e pensato al fine di dichiarare il proprio dissenso senza sfigurare parti significative della nostra città, ma anche semplici edifici residenziali.

È un problema complesso? Si perché’ quando parliamo di graffiti come rappresentazione del degrado si può pensare che di includere, anche quelli che, al contrario, rappresentano arte, cultura, bellezza e pensiero come quelli straordinari nel quartiere Campidoglio diventato un museo a cielo aperto, il Mau – Museo di Arte Urbana, i murales di Borgo Vittoria, tra cui la famosa Mongolfiera, quelli San Salvario, Barriera di Milano con Millo, Parco Dora, Vanchiglia e Parco Michelotti; in questo caso, e in altri non citati, parliamo di Street Art, di strumenti di riqualificazione urbana, di antidoto al grigio, al degrado e all’abbandono che fanno parte di importanti progetti come B.ART, promosso dal Comune di Torino, Il Monkeys Evolution che organizza MurArte, e tanti altri che lavorano in autonomia, ma anche collaborano con gli Enti Pubblici in spazi autorizzati.

Mettiamo da parte quindi l’idea che qualsiasi cosa venga dipinta sui muri della sia da demonizzare, perché’ evidentemente non è cosi, e concentriamoci per un attimo su tutti quegli interventi fatti per sporcare e in qualche modo mortificare le città. La versione più attuale del graffitismo: il muralismo, spesso è oggetto di discussione considerate le sue diverse declinazioni, da una parte opere di grande espressione artistica da preservare come patrimonio e dall’altra scritte che deturpano, mancanti di qualsiasi filosofia artistica e di pensiero. Il confine alcune volte risulta poco chiaro e la voglia di gridare le proprie idee può trasformarsi in azioni impulsive e compulsive, ma deve esserci un limite, non può essere tutto concesso in nome della libertà di espressione; e se lo facessimo tutti? Se un giorno cominciassimo a urlare le nostre problematiche oltraggiando i muri di Torino?

È ovvio che non può essere. La legge parla chiaro e oltre alla pena, che cambia in base all’oggetto offeso, ci può essere anche la richiesta di ripulitura a spese di chi ha creato il danno; il punto però è un altro e cioè quello di far comprendere a coloro che imbrattano la città che ciò che si sporca è patrimonio di tutti, è un bene della comunità. La legittimità’ di poter esprimere il proprio pensiero (sacrosanta) non deve mai varcare il confine del rispetto e del privilegio altrui (condiviso da tutti) di godere dei beni, privati e pubblici.

“La libertà non è assenza di obblighi”.

Maria La Barbera